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Tutte le trade che vorremmo dal mercato NBA
21 gen 2020
Aspettando che entri nel vivo, analizziamo le mosse che ogni squadra dovrebbe fare per incrementare i propri valori aggiunti.
(articolo)
16 min
(copertina)
Foto di David Liam Kyle/NBAE via Getty Images
(copertina) Foto di David Liam Kyle/NBAE via Getty Images
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Quando il mercato NBA era andato in “letargo” la scorsa estate, ufficiosamente dopo la trade che aveva visto Russell Westbrook e Chris Paul scambiarsi casacca, l’impressione era che si trattasse di una quiete momentanea. Per quanto la free agency avesse già contribuito a cambiare drasticamente il volto della lega, il restyling sembrava ben lontano dall’essere finito, con tante franchigie ansiose di sfruttare il momento per migliorare il proprio status.

Ma dal 15 dicembre scorso, giorno in cui i 151 nuovi contratti firmati in estate tornavano disponibili per essere scambiati, ci sono stati appena tre trade. Tutti sembrano lavorare nell’ombra, riflettere, aspettare l’occasione migliore. L’impressione è che le cose si siano raffreddate nel momento in cui la regular season sembra aver già emesso gran parte dei propri verdetti, ma i risultati a breve termine non sono l'unico movente. Molte franchigie lavorano in prospettiva, altre devono spremere il massimo da ogni giorno; ci sono General Manager col fiato sul collo e altri che hanno intuizioni sorprendenti (vedi Masai Ujiri con Marc Gasol l’anno scorso); e poi ancora allenatori scontenti, tifosi incazzati, giocatori che chiedono di essere ceduti, altri che non lo chiedono ma si comportano proprio come se essere ceduti fosse la cosa che vorrebbero di più al mondo (se avete pensato a Kevin Love è perché si tratta di Kevin Love) o che vorrebbero vedere la propria squadra rinforzarsi perché non-devo-essere-io-a-ricordarvelo-ma-il-tempo-scorre. Insomma, la situazione è complessa.

La trade deadline è fissata per l’8 febbraio, e solitamente l’ultima settimana è sempre la più calda perché i prezzi di chi vuole vendere si abbassano, mentre l’ansia di chi deve comprare aumenta. È lecito aspettarsi dunque che il grosso dell’azione debba ancora cominciare. La NBA sta per entrare in quel periodo dell’anno in cui si spende più tempo a controllare la timeline di Twitter che concentrarsi sul campo.

Cosa cercano le Contender

Una delle poche cose certe è che ogni Contender (o presunta tale) vorrà provare a rafforzarsi. Gli L.A Clippers sono candidamente chiamati a fare tutto il possibile per darsi le maggiori chance di vincere, visto quanto è stato sacrificato per assemblare questo roster e il fatto che sia Kawhi Leonard e Paul George saranno nuovamente free agent tra meno di 20 mesi. Lo stesso vale per i cugini dei Lakers. Milwaukee ha in mano la patata più bollente di tutte perché dall’esito di questa stagione passerà una grossa fetta del futuro di Giannis Antetokounmpo, che in estate si troverà davanti un supermax su cui apporre la firma; i Philadelphia 76ers vorranno provare a correggere i propri limiti offensivi; Daryl Morey è sempre in agguato; Toronto, Boston, Miami, Denver, perfino i da sempre restii a muoversi in stagione Utah Jazz non vogliono lasciare niente di intentato. Ma cosa cercano esattamente queste squadre?

Marcus Morris è uno dei nomi più caldi del momento. Il 46.7% da tre punti su quasi sei tentativi a sera, la sua capacità di crearsi un tiro dal palleggio (93° percentile in situazioni di pick and roll), di punire i mismatch e giocare sugli scarichi (80° percentile) lo rendono uno dei pezzi pregiati di questa sessione mercato.

Esistono due scuole di pensiero: quella del Next Level e quella del Pezzo Mancante. Per Next Level si intende proprio raggiungere un livello superiore in termini di status, trovando quel giocatore che da solo è in grado di plasmare il contesto di gioco. I Sixers della passata stagione ne sono un esempio perfetto, con le trade che hanno portato a Jimmy Butler e Tobias Harris nel tentativo di aumentare il proprio star power. Per la verità questa opzione sembra difficilmente percorribile quest’anno, soprattutto dopo che Bradley Beal ha deciso di prolungare il proprio contratto con gli Washington Wizards la scorsa estate togliendosi dal mercato per questa stagione. Ma spesso l’unico limite è la fantasia e le cose cambiano in fretta nella NBA.

Un esempio perfetto quando si parla di Pezzo Mancante è quello di Nikola Mirotic nella passata stagione, preso dai Milwaukee Bucks nella speranza di aggiungere un ulteriore tassello a un gruppo già rodato (spoiler: non è andata benissimo). Il Pezzo Mancante è quel giocatore che solitamente ha un contratto sotto la media NBA, magari in scadenza, proveniente da una squadra senza grandi aspirazioni per il proseguo della stagione, e che possiede le skills tecniche o fisiche per implementare qualcosa di diverso. È un mercato molto più fluido, che ogni anno si popola di giocatori nuovi: Davis Bertans, Robert Covington, Marcus Morris e forse Jae Crowder – perché i Memphis Grizzlies nel frattempo stanno volando, letteralmente, e i problemi mostrati ai playoff delle ultime due stagioni potrebbero scoraggiare gli acquirenti – sono i principali candidati in questa stagione.

La situazione di Covington è legata a doppio filo a quella della sua franchigia, che dopo un inizio convincente ha iniziato a sfaldarsi sotto il peso dei problemi strutturali del roster. Minnesota continua a essere aggressiva (la trade che ha spedito Teague ad Atlanta ha anche liberato un posto a roster) e i rumors attorno a D’Angelo Russell si rincorrono dall’estate scorsa, ma gli Warriors potrebbero voler aspettare l’estate (e magari attaccare la loro prima scelta futura al suo contratto) in cerca di qualcosa di meglio di quello che ha da offrire Minnesota, Covington compreso.

Bertans, invece, deve far gola a molti. L’ex Spurs è uno dei giocatori più efficaci della NBA, oltre l’80° percentile in situazioni di spot-up, transizione e hand-off. Il suo 43.5% da tre su quasi 9 tentativi a sera risolverebbe buona parte dei problemi di spaziature offensive di tante squadre, in primis Philadelphia.

Drummond, Love, Gordon, Wiggins: quando servirebbe cambiare aria

Minnesota, soprattutto, deve capire cosa fare con Andrew Wiggins. Il suo inizio di stagione era stato incoraggiante, ma non tanto da spiegare i 95 milioni che i T’Wolves gli devono per altri tre anni. Le doti atletiche sono sotto gli occhi di tutti, così come i 23.6 punti su 36 minuti (massimo in carriera), ma il suo gioco non si è mai evoluto come ci si aspettava, soprattutto al tiro. 30% dal palleggio, 31% da tre, 35% in catch & shoot: tutti numeri decisamente troppo bassi per un giocatore con un contratto come il suo. Il mercato per Wiggins non sembra così bollente, ed è piuttosto difficile capire chi potrebbe puntare su di lui (Charlotte? Detroit??); ma forse una trade sarebbe proprio quel che ci vorrebbe per dargli una prospettiva di carriera diversa.

Wiggins è ancora molto giovane (25 anni) e non sarebbe la prima volta di un giocatore che sembrava essere infilato in un vicolo cieco: o aver raggiunto un plateau insuperabile, o che cambia totalmente la narrativa della propria carriera cambiando canotta (Victor Oladipo, per fare un esempio). Lo stesso si può dire di Andre Drummond e Aaron Gordon, che come Wiggins sembrano essere finiti in una sorta di limbo involutivo. Drummond è uno dei migliori rimbalzisti della NBA (forse il migliore) e cattura quasi il 35% di quelli difensivi disponibili; inoltre rifila quasi 2 stoppate e 2 recuperi a partita e gli avversari tirano con il 9% in meno con lui nei paraggi al ferro. Allo stesso tempo la sua produzione offensiva è drasticamente calata e le oltre 16 palle perse su cento possessi sono il peggior dato della carriera.

 Gli Hawks sono una delle squadre accostate a lui, anche se le trattative sembrano essere saltate. Drummond non ha mai giocato con una point guard del livello di Trae Young e la sua presenza permetterebbe ad Atlanta di colmare alcuni gap, come la difesa del ferro o la presenza sotto canestro. Se ne riparlerà in estate da free agent?

Gordon sembra incastrato all’interno delle diverse personalità che sembrano comporre il suo talento, e dopo sei stagioni il prodotto di Arizona non ha ancora capito che tipo di giocatore vuole essere – o forse lo ha capito ma non riesce a esprimerlo al meglio. I 15.6 punti su 36 minuti sono il peggior risultato da quattro anni, così come il 29.3% da tre: Gordon avrebbe le caratteristiche perfette per diventare un Draymond Green 2.0, cioè un giocatore in grado di bloccare sulla palla per poi tagliare (95° percentile), o rollare verso canestro (86°), sfruttando il suo atletismo (70% al ferro) per costringere gli avversari a scelte difficili.

Gli infortuni di Jonathan Isaac e Al-Farouq Aminu hanno portato la situazione a uno stallo momentaneo, e difficilmente Orlando lo lascerà partire senza un’offerta sostanziosa. Non tutte le franchigie giocano per gli stessi obiettivi: fare i playoff per due anni consecutivi potrebbe essere sufficiente per i Magic per non farsi prendere dal panico (anche perché il contratto di Gordon non scade prima del 2022) e aspettare l’estate in attesa di offerte migliori.

Chi spera di non dover aspettare l’estate è Kevin Love, la cui avventura ai Cleveland Cavaliers è ai titoli di coda ormai da settimane. Stanco di dover guardare Collin Sexton e Darius Garland mentre cercano di imparare come si gioca da point guard in NBA, Love è ancora in grado di dire la sua in attacco (quasi 20 punti e 12 rimbalzi su 36 minuti), e le sue doti balistiche (37% da tre, 40% in catch & shoot) lo rendono un profilo intrigante.

Il problema è che il suo gioco interno è calato ulteriormente negli ultimi anni (gli avversari tirano con il 67% contro di lui, uno dei peggiori della lega), e i 92 milioni di dollari garantiti per i prossimi tre anni sono un limite che, per adesso, nessuno si è sentito di valicare.

Per mesi si è letto di un potenziale interessamento dei Portland Trail Blazers, ma Portland sembra più intenzionata a contenere i rischi, come dimostra lo scambio Kent Bazemore per Trevor Ariza, che oltre a dimezzare la tassa di lusso della squadra ha cambiato ben poco. I Blazers sono ancora in corsa per un posto disponibile ai playoff a Ovest, così come chiunque non si chiami Golden State, e avere Damian Lillard e CJ McCollum potrebbe bastare per non disperarsi fino alla fine.

La situazione a Ovest

I Blazers sono una delle sette squadre che possono ancora sperare di agganciare il treno playoff. Tra i Grizzlies, attualmente ottavi, e i Sacramento Kings 14esimi ci sono quattro partite e mezzo di distanza e tutto può ancora cambiare nella seconda parte di stagione. I San Antonio Spurs in rarissimi casi decidono di muoversi a stagione in corso e, sebbene un roster pieno di incongruenze che continua a non trovare continuità, anche questa stagione non dovrebbe fare eccezioni. Discorso simile (seppur per motivi diversi) per quanto riguarda i New Orleans Pelicans: il rientro di Zion Williamson e un calendario più agevole nella seconda parte di stagione rendono più semplice aspettare a prendere decisioni importanti, specialmente su Jrue Holiday.

Più complicate la situazioni di Suns e Kings. Il nucleo dei Phoenix sembra ancora acerbo per poter competere ad alto livello, e difficilmente i contratti in scadenza di Tyler Johnson (19 milioni) e Dario Saric (3,5 milioni) permetteranno di aggiungere un pezzo in grado di fare la differenza; ma la proprietà non vuole più vedere la squadra relegata nei bassifondi e le recenti prestazioni di Devin Booker e Deandre Ayton potrebbero essere sufficienti per convincersi di puntare tutto sui playoff (che in Arizona mancano da 10 anni).

Gli infortuni di De’Aaron Fox e Marvin Bagley, invece, hanno complicato i piani iniziali di Sacramento, ma anche loro non sembrano avere il potenziale per fare il salto di qualità. Almeno non fino a quando il back-court Fox-Buddy Hield non crescerà nella metà campo difensiva e sarà chiaro qual è il ceiling di Bagley. I Kings sono la peggior difesa nei pressi del ferro della lega e oltre a Richaun Holmes non c’è un centro affidabile (Harry Giles e DeWayne Dedmon sono già con le valigie in mano). Per Sacramento è già tempo di scelte difficili: la prossima estate scade il contratto di Bogdan Bogdanovic, Fox sarà eleggibile per un’estensione e i soldi per tutti non ci sono.

Scambiare Bogdanovic per Kyle Kuzma migliorerebbe la situazione? Di sicuro Kuzma sembra essere l’unica pedina in mano ai Lakers per migliorare il roster (oltre ai buyout, ovviamente).

Nonostante i Grizzlies stiano guardando al futuro, Memphis sarà ugualmente uno dei centri focali del mercato, perché quando si parla di Pezzo Mancante nessuno come ha nella propria manica un asso come Andre Iguodala. I Grizzlies sono convinti di poterlo cedere senza ricorrere al buyout: Clippers e Lakers sarebbero le destinazioni più probabili, ma difficilmente riusciranno a mettere insieme un’offerta interessante (e dovranno aspettare); il contratto di Nene non basta a Houston per arrivare ai 17 milioni dell’ex Warriors, che appare inaccessibile via trade anche per Milwaukee, Boston e Philadelphia.

Una squadra che dovrebbe provarci davvero sono i Denver Nuggets. Il fatto che Nikola Jokic stia lentamente tornando sui suoi livelli deve far ben sperare, ma finora la regular season ha lasciato più dubbi che certezze. Il roster è pieno di buoni giocatori che possono riempire le rotazioni, ma coach Malone non ha spazio per tutti – soprattutto se Michael Porter Jr. dovesse continuare a crescere. Denver deve incassare il lavoro degli scorsi anni: Iguodala è in grado di sposarsi meglio negli eventuali match-up contro Kawhi Leonard o LeBron James e guadagna quasi quanto Gary Harris, il cui impatto offensivo è crollato nelle ultime due stagioni. Scambiare un giovane che deve ancora entrare nel prime della propria carriera per un veterano di 35 anni che non gioca da sei mesi (per di più in scadenza e interessato a un ritorno sulla Baia, dove è rimasto a vivere) è un rischio enorme, ma a volte serve un atto di fede e i Nuggets sono nella posizione giusta per scommettere su loro stessi.

Iguodala ha anche già giocato in Colorado…

Le questioni intriganti di Thunder, Heat e Raptors

Sei mesi fa i Thunder sembravano destinati a un lento e lungo periodo di ricostruzione, adesso la squadra di coach Donovan con un record di 24-19 sta consolidando la propria presenza ai playoff. I Thunder sono intriganti: raggiungere la post-season (anzi, raggiungere lo stesso risultato della stagione scorsa!) con un roster di transizione sarebbe già di per sé una cosa incredibile. Ma, ancora meglio, Sam Presti adesso può giocare a carte coperte: tutti quei giocatori che sembravano pronti per essere spediti altrove (Danilo Gallinari, Dennis Schröder, Chris Paul, forse anche Steven Adams) hanno visto il proprio valore raddoppiare, forse anche triplicare, rispetto all’estate e potrebbero partire come no.

È evidente che questo roster non rappresenti la Versione Finale del progetto di ricostruzione, ma i Thunder non hanno alcuna fretta di cedere i propri pezzi e, anzi, potrebbero perfino provare a trovare degli incastri per migliorare il roster (il contratto in scadenza di Andre Roberson da 10 milioni è un filler da non trascurare). Presti è un predatore che sa dove guardare in cerca di opportunità: ogni notte qualcuno diventa sempre più disperato, la regular season è un gioco al massacro. I Thunder potrebbero essere una wild card in vista della deadline del 8 febbraio. Presti ha anche in dotazione un arsenale di scelte impareggiabile, comprese la 2021 (non protetta) e la 2023 (protetta in lotteria) dei Miami Heat, un’altra franchigia che ha saputo mettersi in una posizione invidiabile.

La completezza del gioco offensivo di Danilo Gallinari, capace sia di spaziare il campo (40% da tre su quasi nove tentativi a sera), che attaccare i recuperi o sfruttare la sua altezza per punire i mismatch. Potrebbe essere un Pezzo Mancante per una squadra più ambiziosa dei Thunder?

Gli Heat hanno vinto 29 delle prime 41 partite disputate, 19 su 20 in casa, e con l’aggiunta estiva di Jimmy Butler (più gli arrivi di Tyler Herro, Kendrick Nunn e Duncan Robinson) hanno trovato una quadratura invidiabile. Il futuro è molto più roseo, così come le pick in uscita molto meno sanguinose: Miami potrebbe giocare il long game e non compromettere l’assetto attuale: i contratti di Kelly Olynyk, Dion Waiters e James Johnson sono destinati a scomparire in tempo per l’estate del 2021, dove con Pat Riley e il lungomare di South Beach gli Heat saranno in prima fila per tutti i migliori free agent, greci-nigeriani inclusi.

Nonostante la revival season di Goran Dragic, Miami è alla ricerca di una point guard dalla scorsa estate. La chiave di volta per ogni operazione potrebbe essere Justise Winslow: il prodotto di Duke deve ancora compiere 24 anni e nelle ultime due stagioni ha mostrato miglioramenti al tiro intriganti per un giocatore con la sua versatilità; non è chiaro se Miami voglia privarsene, ma il suo contratto di appena 13 milioni con una Team Option sull’ultimo anno lo rende ancora più appetibile, al netto dei tantissimi problemi di infortuni. Gallinari sarebbe un fit istantaneo accanto a Bam Adebayo, così come Kyle Lowry alzerebbe di molto la caratura del back-court. Servono offerte importanti per arrivarci, però, soprattutto per il canadese, perché i Raptors non sembrano intenzionati a smontare l'attuale assetto.

Dopo l’addio di Kawhi Leonard (e in minor misura di Danny Green) si pensava che Masai Ujiri seguisse una strada diversa, ma mai sottovalutare il cuore dei campioni. I Raptors sono una squadra vera, che gioca duro su ogni possesso, e, ancora più importante, sono una squadra di grandissima qualità. Fred VanVleet ha raggiunto un livello altissimo, Paskal Siakam è definitivamente esploso e il quintetto titolare vanterebbe il miglior attacco e la seconda miglior difesa in tutta la lega. Toronto non vuole solo difendere con onore il titolo conquistato lo scorso luglio: vuole fare una campagna playoff da protagonista.

Per quanto l’apporto di Serge Ibaka sia sempre molto apprezzato (20.5 punti e 11.5 rimbalzi su 36 minuti sono il massimo in carriera), la combo Rondae Hollis-Jefferson/Chris Boucher ha fatto vedere quel giusto mix di atletismo e imprevedibilità che potrebbe portare Ujiri a sacrificarlo sull’altare di un prospetto diverso.

Gli Indiana Pacers aspettano fiduciosi il rientro di Victor Oladipo e la squadra sembra essere molto solida, ma questo non significa che l’esperimento di accoppiare Myles Turner e Domantas Sabonis stia funzionando: i problemi di fit tra i due restano, e per sussistere Turner deve accettare un ruolo molto marginale, soprattutto in attacco. Le franchigie sono al telefono per tastare il terreno, ma i Pacers non sembrano volerne sentire. Ha senso: i Pacers sono una squadra tosta che gioca in un mercato secondario, e giocatori giovani e delle qualità di Turner sono difficili da trovare o sostituire.

Parlando di centri, anche il futuro di Clint Capela è da tenere sott’occhio. Lo svizzero ha altri tre anni di contratto dopo questa stagione (e altri 52 milioni di dollari garantiti) e rappresenta l’unica carta in grado di permette a Morey di scuotere un roster che nelle ultime partite è sembrato più instabile (4 sconfitte nelle ultime 6). Sempre in Texas, i Dallas Mavericks – per quanto perfettamente posizionati sia in termini di classifica che di salary cap – possono già permettersi di pensare al presente: è il privilegio di avere un giocatore sensazionale come Luke Doncic. E ancora: gli Warriors potrebbero trovare il giusto acquirente per Russell e scatenare una reazione a catena; Pelicans e Blazers potrebbero premere il bottone rosso, anche accidentalmente, ed essere disposte a considerare offerte per McCollum o Holiday; i Clippers hanno il contratto di Maurice Harkless sempre in bella mostra, e chissà quante altre occasioni si potranno aprire nei prossimi giorni.

La NBA è in continua evoluzione. Basta una #WojBomb per cambiare drasticamente la geografia della lega. Attivate le notifiche sul telefono, il mercato sta per entrare nel vivo.

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