Clwb Rygbi Aberafan. Questa è la scritta, rigorosamente in gallese, in cui ci si imbatte all'interno del Talbot Athletic Ground, lo stadio di Port Talbot, una cittadina, famosa per essere la città natale di Anthony Hopkins, affacciata sulla costa orientale della baia di Swansea, a circa quaranta chilometri da Cardiff.
Dal 1907 questo stadio molto “old school” – una tribuna coperta costruita interamente in legno su uno dei lati lunghi del campo e per il resto circondato dalle famose terraces – è la casa dell'Aberavon RFC: uno dei club, fucìna di giovani talenti, che gravitano attorno alla franchigia gallese degli Ospreys. Hanno vestito la maglia rossonera dei Wizards – il soprannome dei giocatori dell'Aberavon – tre nazionali gallesi: il flanker Justin Tipuric, il pilone Ryan Bevington, il centro Ashley Beck e il mediano di mischia Rhys Webb.
Il soprannome della squadra di casa compare in alcuni pannelli appesi all'esterno dello stadio: la scritta rossa su sfondo nero recita: GO WIZARDS!. All'esterno le scritte sono in inglese, per gli occhi dei meno attenti; all'interno, nelle tribune e nelle terraces, dove il cuore batte più forte, le scritte sono in gallese. Non può essere un dettaglio casuale in un Paese come il Galles, composto da persone che tengono moltissimo alle proprie tradizioni.
Deve esserci qualche significato recondito se la Federazione Gallese ha scelto proprio questo stadio per disputare la partita contro l'Italia femminile il 20 marzo scorso. Perchè le nostre ragazze sono in questo momento una delle squadre più tradizionali del torneo, nel senso etimologico della parola. “Tradizione” deriva dal latino tradere, ovvero “consegnare”, e sta a significare il complesso delle memorie, delle notizie e delle testimonianze che si trasmettono da una generazione all'altra, o l'insieme degli usi e costumi che, trasmessi da una generazione all'altra, si costituiscono in regole.
La formazione femminile italiana – abilmente costruita dal coach Andrea di Giandomenico e dal suo staff – è composta da un perfetto mix generazionale: accanto a giocatrici piene di esperienza ci sono ragazze giovani con grandi potenzialità che si candidano a tramandare la tradizione in futuro.
La tradizione della Nazionale femminile – caso unico nel rugby italiano – è una tradizione vincente. Negli ultimi quattro anni le donne hanno vinto 9 partite su 15. Nello stesso periodo la maschile ha vinto tre partite, l'under-20 una.
Il confronto è impietoso. Dove gli uomini mettono forza e muscoli, le donne puntano su tecnica e astuzia. Ma la differenza fondamentale è che il rugby femminile non è considerato uno sport professionistico, al contrario di quello maschile. E questo comporta alcune conseguenze: per praticare questo sport le ragazze devono fare spesso scelte difficili in termini di tempo, denaro, lavoro, studio.
Le atlete convocate in Nazionale per disputare il Sei Nazioni – sembra paradossale – sono costrette a fare enormi sacrifici: chi lavora deve chiedere un mese di ferie, e non è automatico che gli venga concesso o che se lo possa permettere; chi studia deve arrangiarsi, come è capitato per esempio a Maria Magatti, l'ala della Nazionale e il capitano del Rugby Monza, che lo scorso 18 marzo – tra la trasferta in Irlanda e quella in Galles – si è laureata in Scienze Motorie alla Cattolica di Milano.
Le ragazze dimostrano una passione e un amore per questo sport che appare evidente a chiunque veda una loro partita. Ed è normale che sia così, perchè se sono lì è solo perchè lo vogliono fortissimamente. La dedizione e l'impegno che le azzurre mettono in quello che fanno traspare da ogni azione. Lo si vede, per esempio, negli highlights della partita, vinta 12-16 contro il Galles con i punti al piede di Michela Sillari – che per il coach Di Giandomenico è ormai diventata imprescindibile e viene utilizzata come jolly tuttofare: centro, ala, estremo, una vera utility-back – e le due mete di Beatrice Rigoni– che, a proposito di tradizioni vincenti, ne ha una tutta sua nei confronti delle bionde vestite di rosso: titolare a sorpresa nel suo debutto (vincente) nel Sei Nazioni 2014 proprio sul campo di Port Talbot, mentre l'anno scorso è stata nominata Woman of the Match nella partita giocata a Padova, la sua città.
Gli highlights della partita con il Galles del marzo scorso.
Dedizione e impegno danno i loro frutti: con la vittoria contro la Scozia ottenuta nella partita di Bologna (davanti a 2500 spettatori) del 28 febbraio, le azzurre si sono qualificate alla Coppa del Mondo del 2017 in Irlanda; dopo la vittoria in Galles, invece, le italiane hanno scalato il ranking mondiale fino all'ottava posizione (la nazionale maschile è 14esima).
Due giocatrici italiane sono state selezionate da Scrumqueens, il sito di riferimento per il rugby femminile, per il XV ideale del Sei Nazioni: Sara Barattin, mediano di mischia e capitano, premiata per “le sua corsa e il suo tiro che hanno aiutato l’Italia a mettersi ripetutamente sulla strada giustaManuela Furlan, premiata semplicemente perchè “è una gioia per gli occhi”” con “ i suoi break e la grande abilità nel trovare un varco”. Nella stessa classifica sono state menzionate anche altre tre azzurre: Beatrice Rigoni (n.12), Isabella Locatelli (n.7) e Melissa Bettoni (n.3), autrice quest'ultima dell'ennesimo impressionante Sei Nazioni per quanto riguarda il work-rate (nominata Woman of the Match a Bologna nella partita contro la Scozia).
I successi delle ragazze sono frutto non solo del loro ottimo lavoro ma anche di quello dell'allenatore e del suo staff, composto da Tito Cicciò, Giuliana Campanella e da Maria Cristina Tonna. Proprio quest'ultima è la responsabile di alcune trasformazioni introdotte e/o incoraggiate a livello giovanile. La Coppa Italia, ad esempio, a cui partecipano squadre composte da 7 giocatrici che si scontrano su metà campo in diversi tornei, ha permesso di moltiplicare – letteralmente – le squadre esistenti e quindi le giocatrici che si avvicinano al rugby.
Le migliori mete del 6 Nazioni femminile.
Da un paio d'anni, inoltre, il sistema del tutoraggio consente un meccanismo di “travaso” delle giocatrici da questo campionato “light”, semplificato nella struttura e nel gioco, a quello maggiore a XV, con allenamenti congiunti ed esperienze di gioco che recano vantaggi sia in termini qualitativi che quantitativi. Può sembrare un'ovvietà, ma nel rugby femminile a volte può essere un problema arrivare al numero minimo di atlete per giocare una partita o anche solo per allenarsi in maniera decente.
I risultati di queste sperimentazioni sono concreti: Elisa Pillotti, azzurra che ha debuttato in Nazionale quest'anno (titolare nelle ultime quattro partite) gioca nel Rugby Parabiago, squadra iscritta alla Coppa Italia di rugby a 7 e società satellite del Rugby Monza, che gioca a XV. Stesso discorso per Sara Tounesi, convocata nella partita contro il Galles, che gioca nel Rugby Cremona, squadra “tutorata” dal Rugby Colorno.
Questa è l'intervista pre-Sei nazioni alla capitana italiana. Fa ridere 1)perchè la intervistatrice la chiama "Sara BarattAn", invece che Barattin, 2) perchè anche quando la intervistano la Barattin (una dei migliori mediani di mischia a livello europeo) non riesce a stare ferma con le mani e 3) perchè alla fine del video si vedono le sei capitane una a fianco all'altra, e la differenza dei fisici è quasi imbarazzante.
L'aumento delle giocatrici e delle squadre presenti sul territorio dà i suoi frutti, avvicinando sempre più ragazzine – spesso molto dotate atleticamente - alzando quindi il livello. Tutto questo lo si può toccare con mano andando a vedere una qualunque partita della Nazionale. In confronto allo Stadio Olimpico di Roma dove giocano gli uomini, quelli dove giocano le donne sono “stadi di periferia”. Ma, grazie all'organizzazione delle squadre locali sommata al crescente hype che avvolge l'Italdonne, sono sempre pieni: 2000 spettatori l'anno scorso a Badia Polesine per assistere alla vittoria sulla Francia, 2800 quest'anno ad Ivrea per la partita contro l'Inghilterra, 2500 a Bologna per la vittoria contro la Scozia, fino al record di 3500 spettatori accorsi al Plebiscito di Padova l'anno scorso per vedere la vittoria delle azzurre sul Galles.
Anche se le partite della femminile, quando va bene, vengono trasmesse in streaming su internet (quelle della nazionale maschile vengono trasmesse in chiaro su DMAX, il campionato di Eccellenza maschile si può vedere in chiaro su RaiSport, le partite degli incontri internazionali più importanti – maschili – si possono vedere su Sky), le ragazze possono vantare un seguito sempre maggiore anche sui social. La pagina Facebook “Ladies Rugby Club”, che si occupa di dare notizie sul rugby femminile e può essere considerata un punto di riferimento in Italia, vanta più di 5mila Mi piace ed è in crescita continua. Sui suoi profili ufficiali la Federazione Italiana Rugby – sia su Facebook che su Twitter– ha impostato come immagini del profilo e di copertina delle foto che ritraggono le azzurre e si riscontra un altissimo livello di engagement per le notizie sul rugby femminile. D'altronde sembra abbastanza ovvio, considerando che in questo momento la femminile è di gran lunga il fiore all'occhiello della FIR.
La Nazionale femminile va di moda per un motivo molto semplice: è bella da vedere. Le ragazze azzurre hanno una qualità tecnica altissima, in ogni ruolo, e questo emerge molto di più se messe a confronto con la nazionale maschile, poiché i maschi si concentrano di più sulla parte muscolare del gioco e meno sulle skills e sulla tattica. Anche se le donne fanno alcune sessioni di allenamento in palestra, non sono “ pompate” come gli uomini – tranne alcune giocatrici francesi, incredibilmente grosse (non grasse: grosse) – e danno l'impressione di saper sempre cosa fare quando hanno la palla in mano. E, cosa ancora più importante, lo fanno con stile.
Il 25 marzo è stato ufficializzato il nuovo allenatore della Nazionale maschile. Sarà l'irlandese Conor O'Shea , ex ct dei London Harlequins, che già nella sua prima dichiarazione sembra proprio richiamare il concetto di tradizione.
L’allenatore della nazionale femminile di rugby, Carmine Di Giandomenico.
La speranza è quella, in futuro, di poter andare tranquillamente all'estero senza aver nessuna vergogna nel dire che si è andati a vedere l'Italia del rugby. Auspicando che la nazionale maschile si rimetta in sesto velocemente, nel frattempo possiamo comunque andare in giro a testa alta: grazie alle donne.
La transizione
Chi fosse impaziente di vedere le ragazze in campo ma non avesse voglia di aspettare l'anno prossimo per il Sei Nazioni 2017 questo weekend potrebbe avere un'occasione irripetibile. Il 4 e il 5 giugno Calvisano (Brescia) sarà il cuore delle fasi finali del movimento ovale in rosa.
La formula prevista è quella sperimentata con successo la scorsa stagione, in cui fu la Cittadella del Rugby di Parma ad ospitare le finali 2014/15. “Un opportunità importante – spiega Maria Cristina Tonna, responsabile FIR del settore femminile – per le atlete che partecipano alla Coppa Italia di assistere ad un incontro di rugby a XV e per le finaliste del massimo campionato italiano femminile di avere una cornice di pubblico d'eccezione”.
Nel corso della due giorni il centro sportivo San Michele ospiterà le qualificazioni e le fasi finali della Coppa Italia di Rugby a Sette femminile 2015/16 e del Campionato Interregionale Under 16 Femminile 2015/16. Sono attese oltre ottocento atlete provenienti da tutto lo Stivale.
L'evento clou è previsto alle 19.30 di sabato 4 giugno, quando al Peroni Stadium si sfideranno – in un remake della finale dell'anno scorso – Monza e Valsugana Padova per aggiudicarsi il titolo di Campione d'Italia di Serie A femminile 2015/16.
Le Valsu-Girls e le Ringhio hanno conquistato la finale vincendo le semifinali contro, rispettivamente, Benevento e Bologna (la sorpresa di questi playoff: è arrivata in semifinale eliminando Treviso nel barrage). Le giocatrici di entrambe le squadre aspettano questo momento da tutta la stagione, e non vedono l'ora di giocarsela in quelli che saranno, senza dubbio, 80 minuti ad alto tasso tecnico ed agonistico.
Valsugana e Monza sono squadre giovani. Entrambe sono l'espressione femminile di società nate come maschili che – la tradizione! – hanno deciso di offrire una costola alla causa di Eva. Hanno messo in piedi un progetto, ci hanno creduto, e ora si godono i risultati. A prescindere dal risultato di sabato sera.
Il baricentro del rugby femminile si è spostato. Dalla Marca trevigiana e dalla Riviera del Brenta ora si trova tra la Brianza e i Colli Euganei. Valsugana e Monza sono le due squadre più forti delle ultime due stagioni. Probabilmente saranno punti di riferimento anche per i prossimi anni. Hanno sostituito il duopolio che ha fatto la storia del rugby rosa negli ultimi anni: Treviso e Mira, che si sono giocate lo scudetto in 12 delle ultime 13 finali disputate. Le Red Panthers di Treviso vantano 16 scudetti, le veneziane 6, mentre Monza (due anni fa) e il Valsugana Pdova (campione in carica) hanno un tricolore a testa. Sabato si giocano il secondo.
Il big-match di Calvisano sarà anche una vetrina azzurra per il rugby rosa. In campo infatti ci saranno, tra una squadra e l'altra, ben 9 atlete che hanno vestito la maglia della Nazionale durante l'ultimo Sei Nazioni. Cinque sulla sponda veneta (Paola Zangirolami, Beatrice Rigoni, Elisa Giordano, Valentina Ruzza e Silvia Folli) e quattro su quella lombarda (Maria Magatti, Isabella Locatelli, Lucia Cammarano e Elisa Pilotti).
Monza ha vinto entrambi gli scontri diretti in campionato, ma è un dato che conta solo fino ad un certo punto. In una partita secca tutto è possibile. Anche per questo, l'appuntamento è da non perdere.
Secondo gli organizzatori sarà una festa. Secondo gli intenditori sarà uno show. Sulla carta, sarà il meglio che il campionato italiano possa offrire. Eleganza, tecnica e agonismo ai massimi livelli. Un menù per palati fini.