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Tre cose sul Community Shield
08 ago 2016
Per evitare fraintendimenti, Mourinho mette le mani sul primo trofeo stagionale.
(articolo)
7 min
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Il Manchester United con Mourinho in panchina si aggiudica il primo trofeo della stagione, lo fa con un gol tipicamente Zlatanesque di Ibrahimovic mentre sul sito ufficiale della società si preannuncia l’arrivo di Paul Pogba. Insomma, è stata una domenica speciale per la parte rossa di Manchester, anche se in campo si è vista una squadra lontana dalla perfezione.

Anzi, a dir la verità, Ranieri e il Leicester sono andati vicinissimi al rovinare la festa manuniana.

Le certezze e le fatiche di Ranieri

Ranieri è ripartito dalle certezze della scorsa stagione, a cominciare dall’undici iniziale (della formazione base 2015/16 solo King ha preso il posto di Kanté, ormai al Chelsea) fino al sistema di gioco. Il solito 4-4-2 molto compatto nel quale le due punte hanno giocato un ruolo attivo in fase difensiva: la posizione di partenza di Vardy e Okazaki, davanti ai mediani Carrick e Fellaini, costringeva i centrali difensivi dello United a fare gioco; sul viaggio orizzontale del pallone tra Blind e Bailly, poi, uno dei due attaccanti usciva in pressione in modo da orientare il giro palla verso la fascia; a quel punto, tutti gli effettivi del Leicester si schiacciavano verso la linea laterale con l’intento di intercettare il pallone facendo densità.

La fase difensiva era, come sempre, propedeutica a quella offensiva: in ogni occasione Drinkwater ha provato a lanciare Vardy in profondità e solo l’imprecisione di certe rifiniture da parte del centrocampista inglese, e la buona partita di Bailly, hanno impedito al numero 9 del Leicester di avere più occasioni a disposizione delle poche avute. Nell’azione che ha portato al gol del pareggio, Vardy è stato lanciato uno contro uno con de Gea da un retropassaggio sciagurato di Fellaini, accecato dalla fatica (e Mourinho, ha detto nel post-partita, anche dal campo su cui la palla scorreva lentamente) dopo l’ennesimo recupero difensivo.

La densità è una chiave anche offensiva per il Leicester, quando decidono di battere corto la rimessa con le mani. L’esecuzione, come in questo caso, non è sempre perfetta.

Per il resto si sono rivisti gli stessi, pochi ma efficaci, schemi offensivi della scorsa stagione: solo la traversa ha impedito ad Okazaki e al suo taglio sul primo palo in occasione di un corner, di sbloccare il risultato; sulle rimesse laterali, Ranieri può contare su una varietà di soluzioni, sia sul corto che sul lungo (e a Fuchs quest’anno c’è Hernandez a fare da contraltare sull’altra fascia).

Altro schema ricorrente nel Leicester: il sovraccarico della zona centrale. Mahrez indirizza il pallone su Albrighton, ignorando in apparenza lo scatto di King, che invece va a riempire l’area. Purtroppo il controllo dell’ala sinistra è macchinoso e il cross desiderato non arriverà mai.

Subito dopo l’intervallo, Ranieri ha provato a sfruttare la peculiarità del regolamento della Community Shield che concede sei sostituzioni per ricavare nuove energie dalla sua panchina. Ahmed Musa ha fatto il suo esordio entrando al posto di Okazaki: più che proporsi come appoggio alla manovra, com’è solito fare il giapponese, Musa si è mosso come un altro Vardy buttandosi su ogni pallone lanciato dalla difesa. Grey, usato col contagocce l’anno scorso ed entrato al posto di uno spento Albrighton, ha mostrato il proprio talento a fiammate. Mendy è sembrato una versione meno elettrica ma più disciplinata di Kanté.

La strategia ha funzionato ma non ha portato i frutti sperati (tutti i nuovi entrati hanno fatto bene, anche se nessuno è riuscito ad essere decisivo come lo sono stati tutti i giocatori in rosa lo scorso anno, nei momenti cruciali). Se non altro, da questa partita abbiamo capito che per Ranieri si prospetta la stagione più difficile della sua carriera: deve dare nuove motivazioni ad un gruppo di giocatori che potrebbe essere ancora appagato dall’impresa compiuta lo scorso anno; dovrà distribuire le energie per far fronte anche all’impegno in Champions League; dovrà recuperare mentalmente il suo talento migliore, Riyad Mahrez, che ieri è sembrato poco presente.

Lo United è un cantiere aperto

Al contrario di Ranieri, Mourinho ha presentato delle novità nell’undici iniziale: in difesa Bailly ha fatto coppia con Blind (quest’ultimo tolto dal mercato per via delle indisponibilità di Jones e Smalling) e davanti a loro agivano Carrick e Fellaini (che al variare degli allenatori e delle squadre alla fine gioca sempre), con in attacco Ibrahimovic che si è impossessato della maglia numero 9 e della relativa casella.

Del vecchio United è rimasto il 4-2-3-1 di partenza e il modo di impostare gioco, con la palla che si muove a pendolo da una fascia all’altra passando per i difensori, disegnando una ‘U’. Il gioco non poteva passare dal centro perché, come detto, Carrick e Fellaini erano statici e tagliati fuori dagli attaccanti avversari; la compattezza del Leicester in fase di non possesso ha fatto il resto del lavoro.

Del quartetto offensivo il più in palla è sembrato Lingard, l’unico in grado di muoversi con una certa costanza attraverso le linee per offrire un gancio per la salita del pallone o per il cambio di fascia. Il gol del 1-0, al di là dell’intervento goffo di Morgan che ha aperto lo spazio verso la porta, è nato da una sua percussione centrale palla al piede, bravo a scoprire un Leicester disordinato perché ansioso di ripartire in contropiede.

Con l’ingresso del mobile Herrera al posto di Carrick, e la stanchezza sopraggiunta negli uomini di Ranieri, si è aperto qualche canale anche centralmente e finalmente i giocatori dello United hanno potuto avvantaggiarsi del ruolo da pivot di Zlatan Ibrahimovic. Lo svedese ha deciso la partita a modo suo: sovrastando fisicamente Wes Morgan su un cross di Valencia.

Se ci sono buone notizie per Mourinho arrivano tutte dal pacchetto arretrato. Bailly ha tenuto botta sulle incursioni di Vardy e Musa: l’ex Villareal si è rivelato come il difensore veloce e bravo nella copertura della profondità la cui presenza è dogmatica nella dottrina di Mourinho. Shaw, pur in riserva di energie, è sembrato recuperato mentalmente e agonisticamente: il terzino sinistro ha appoggiato l’azione di Martial, creando più di un problema a Simpson messo in inferiorità numerica; ha annullato un evanescente Mahrez.

Per il resto, il Manchester United è ancora un cantiere aperto: dalla cintola in su, Mourinho ha una tale vastità di scelte che è difficile capire quale sarà l’identità di questa squadra da qui a due mesi. E ancora manca all’appello Paul Pogba.

Mourinho non sembra aver imparato la lezione

A mettere del sale a questa che era poco più di un amichevole agonistica ci ha pensato Mourinho. Già in settimana era stato aspramente criticato (un eufemismo per chi suggeriva la galera per il portoghese) per il trattamento riservato ad un serio professionista, nonché campione del mondo, come Bastian Schweinsteiger, relegato ai margini della prima squadra.

Nel terzo dei quattro minuti di recupero, Mourinho ha fatto entrare Henrikh Mkhitaryan, e di per sé un ingresso così tardivo sapeva di lesa maestà nei confronti di uno degli acquisti(in teoria) più importanti dal punto di vista tattico di quest’estate comunque ricca, proprio per dare fluidità e intensità a quella trequarti di campo che ieri è sembrata particolarmente macchinosa; ma come se non bastasse Mkhitaryan è entrato al posto di Juan Mata che era entrato neanche trenta minuti prima. Quel che è peggio è che i trenta secondi di recupero supplementare concessi dall’arbitro per questa sostituzione, sono valsi un’occasione d’oro al Leicester che a momenti costavano il pareggio ai “Red Devils".

Dopo il faccia a faccia in campo, negli spogliatoi, sia Mata che Mourinho hanno provato ad abbassare i toni. Il portoghese a microfoni accesi ha spiegato che aveva bisogno di un giocatore più alto per contrastare i giocatori del Leicester sui cross (o meglio, che voleva far finire la partita e ha tolto il giocatore “più basso”) e nessun giornalista inglese gli ha fatto notare tra Mkhitaryan e Mata passano sì e no 7 centimetri di differenza.

Ad occhio e croce sembra che Mourinho non si ritenga responsabile di quanto successo allo spogliatoio del Chelsea nell’ultima stagione, che non ne abbia tratto nessuna lezione. Con il materiale esplosivo a disposizione quest’anno potremmo vederne delle belle sia in un senso che in un altro. Intanto Mourinho si gode la prima vittoria al primo tentativo, per parlare di nuovo con lui di successi e sconfitte, se tutto andrà bene, bisognerà aspettare dieci mesi. E sapete quanto Mourinho ci tenga ad avere l’ultima parola.

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