Ogni lingua porta con sé la visione del mondo di chi la parla: per questo, a volte, ci sono problemi di traduzione ed è difficile trovare delle corrispondenze esatte. Allo stesso modo, la terminologia calcistica di un Paese ci dice qualcosa sulla cultura tattica dello stesso. In italiano c’è una parola che non ha corrispettivo nelle altre lingue europee e viene direttamente traslata o tradotta con combinazioni più o meno complicate. E non è quella a cui state pensando ora, “catenaccio”, ma un’altra, più positiva.
Trequartista: questo termine definisce il nostro modo di vedere il calcio e il nostro carico di speranze affidato a uno soltanto, interprete messianico dell’arte del pallone, spesso vestito con il numero 10. Mediapunta in spagnolo (l'equivalente di mezzapunta), offensive/attacking midfielder/playmaker in inglese, e così via, ma niente che riesca davvero a tradurre la completezza e il senso di “trequartista”. L'etimologia rimanda alla sua collocazione geografica particolare: non gioca a centrocampo, non è assimilabile a un attaccante, gioca in quella porzione di campo compresa tra il cerchio di battuta e l'area avversaria.
A questa specialità linguistica corrisponde una peculiarità tattica, che mai come quest’anno ha raggiunto un’affermazione così evidente: in Serie A si gioca con il trequartista, un uomo solo dietro le due punte, un uomo che sta sulla trequarti, appunto, tra le linee avversarie.
Ai tempi in cui Arrigo Sacchi allenava la Nazionale, nel 1994, sarebbe stato impensabile: dominava il 4-4-2, i trequartisti si rifugiavano sugli esterni o diventavano seconde punte. Vent’anni dopo, siamo unici in Europa per numero di partite giocate con il trequartista: nelle ultime due stagioni, il 4-3-1-2 è stato usato nel 5,7% delle partite in Italia, contro lo 0,1% della Bundesliga e della Ligue 1 e lo 0,2% della Premier League. In Spagna invece non si è proprio mai visto. Dopo le prime 7 giornate di campionato sembra che questa stagione sia destinata ad aumentare in modo significativo la percentuale di 4-3-1-2 sul totale dei moduli usati in Serie A: alla settima giornata, ben il 27% delle formazioni erano state disposte secondo questo modulo, un incremento significativo.
Sul campo
Tra le squadre che adottano il 4-3-1-2 c’è la Juventus di Allegri: non una novità, visto che nella passata stagione, dalla partita contro l’Olympiacos, l'allenatore livornese ha deciso di usare il suo modulo preferito. Nella sua tesi per il Master a Coverciano, Allegri definisce in maniera chiara quali dovrebbero essere le caratteristiche di un trequartista: «Farsi trovare sempre smarcato come punto di riferimento del gioco offensivo […]; muoversi soprattutto nella zona di campo intermedia tra i centrocampisti e i difensori avversari; essere in possesso di buona tecnica e buon dribbling in modo da poter creare superiorità numerica; saper verticalizzare; essere dotato di buon tiro e infine avere i tempi giusti di passaggio per eventuali inserimenti di compagni».
Non è proprio l’identikit di Vidal (sebbene abbia molte delle caratteristiche elencate) che eseguiva un lavoro specifico e adatto alle caratteristiche dei compagni: garantiva sempre una linea di passaggio nell’inizio azione (abbassandosi a centrocampo), attaccava spesso la profondità in zona centrale e creava spazio per gli inserimenti delle mezzali. Inoltre, il cileno era indispensabile in fase di non possesso, sia per la pressione sulla trequarti avversaria, sia per la capacità di scalare sulla linea dei centrocampisti.
Nei suoi 45 minuti da trequartista, Hernanes ha dimostrato di non essere sufficientemente dinamico per le necessità della Juve: si nota soprattutto il rallentamento della manovra, dovuto alla necessità di controllare sempre il pallone con un tempo lungo, ritardando così la scelta di passaggio.
Dopo aver a lungo cercato un trequartista più dinamico, la Juventus ha acquistato Hernanes, che sembra rispondere meglio alla definizione di trequartista secondo la tesi di Allegri, ma meno alle necessità dei bianconeri in campo. Infatti, in quel ruolo ci ha giocato una sola partita, anzi un tempo, contro il Chievo. Uscito Marchisio per infortunio, è toccato a Hernanes abbassarsi a costruire gioco: tanto che Allegri ha preferito, dopo quella partita, abbassare il brasiliano fino a fargli occupare la posizione del regista e la squadra si è risistemata con il 4-3-3.
Il rombo della Juventus con Pereyra vertice alto: molto dinamico, detta la verticalizzazione a Chiellini, ma cerca sempre le zone laterali.
Poi nella partita di Napoli, Allegri si è fatto travolgere da un effetto nostalgia per l’asse Pirlo-Vidal e ha provato Hernanes vertice basso e Pereyra vertice alto del rombo: l’argentino in quel ruolo ci aveva già giocato, dimostrando grande mobilità, ma anche una tendenza ad allargarsi sulle fasce per fornire ampiezza, ma, al tempo stesso, creando un vuoto pericoloso in zona centrale. In una squadra che ha perso la capacità di Tévez di giocare tra le linee, forse c’è bisogno di un riferimento più sicuro. Contro la squadra di Sarri, la strana coppia non ha funzionato granché e la Juve è ancora alla ricerca di una nuova identità, probabilmente senza trequartista: è probabile che continuerà ad alternare il 3-5-2 visto contro il Siviglia al 4-3-3 visto contro il Bologna.
Dinamico
Dopo la partenza di Vidal, il dinamismo si è ridotto non solo nella Juve, ma anche in Serie A: sono pochi i trequartisti così mobili, di solito mezzali riconvertite sulla trequarti per la loro abilità negli inserimenti, nella pressione alta e nel ripiegamento sulla linea di centrocampo. A queste caratteristiche corrisponde Soriano, che da interno tuttofare nella Samp di Mihajlovic (a volte mediano, a volte interno destro, a volte più avanzato) si era trasformato temporaneamente in trequartista a inizio 2015. In quella posizione ha deciso di utilizzarlo anche Walter Zenga.
Soriano tuttocampista della stagione 2014/2015.
La caratteristica principale di Soriano trequartista è la sua capacità di garantire un collegamento tra due fasi temporali distinte: quella offensiva e quella difensiva. Il suo è un movimento perpetuo: in una squadra che adotta un gioco prettamente verticale, si fa trovare pronto per attaccare lo spazio e subito dopo ripiegare sulla linea dei centrocampisti, mantenendo le distanze giuste; garantisce ampiezza alla manovra, coprendo in orizzontale tutta la trequarti e creando spazio per gli inserimenti delle mezzali; recupera palloni sia in avanti che nella propria trequarti. La velocità in transizione offensiva rimane il pregio principale di Soriano, in una Samp che fa spesso molta densità nella propria trequarti.
Con il graduale ingresso di Correa, il ruolo di Soriano potrebbe tornare quello originario: l’argentino è un trequartista naturale, ma garantisce meno copertura (tanto che contro l’Inter è stato schierato da esterno d’attacco). Soriano è l’equilibratore del sistema blucerchiato e anche da mezzala può garantire compattezza alla squadra.
La transizione offensiva di Soriano: è difficile levargli il pallone in velocità, e con la porta davanti ha una grande capacità di condurre l’azione. In più la verticalizzazione per Éder è perfetta (l’italo-brasiliano poi fa ballare la lambada ai centrali del Napoli).
Associativo
Soriano avrebbe continuato a giocare da trequartista anche nel Milan: Mihajlovic l’aveva richiesto per coprire una posizione ancora senza padroni. Per ora, infatti, sono stati provati Suso e Honda, oltre a Bonaventura in alcune parti di gara, e poi dall’inizio contro il Genoa e il Napoli.
Contro il Perugia in Coppa Italia, Honda fa il trequartista come vorrebbe Sinisa: accompagna la transizione veloce di Antonelli e attacca lo spazio in zona centrale. Velo di Luiz Adriano, inserimento perfetto, gol.
Il numero 10 giapponese dovrebbe essere il titolare in quel ruolo, ma basta vedere le poche partite finora giocate per capire che si tratta di una soluzione non ottimale. Honda è un trequartista particolare: non ha grandi tempi di passaggio, non riesce a pressare alto come vorrebbe il suo allenatore, non è velocissimo negli inserimenti offensivi e neppure nelle transizioni (positive e negative). Alla fine, infatti, il compito che gli riesce meglio è quello di svuotare la trequarti: i suoi continui movimenti a uscire verso l’esterno, permettono a Bonaventura di trovare spazio e di svolgere benissimo il lavoro di mezzala d’attacco.
È molto difficile trovare Honda in posizione di vero trequartista: qui prova a creare gioco sulla destra, zona cui tende naturalmente, mentre Bonaventura è in posizione centrale.
In una squadra che ha poche risorse tecniche a centrocampo e che, a eccezione di Montolivo, non ha un regista vero e proprio, è un paradosso che un giocatore come Honda non si trovi granché bene: abbassandosi potrebbe creare una linea di passaggio preziosa per i difensori e potrebbe catalizzare il gioco del Milan. Ma neppure questo è pienamente nelle sue corde: un giocatore che sa fare molte cose bene, ma nessuna davvero benissimo. Un giocatore associativo che ha dato il suo meglio in un sistema con altri due trequartisti (in questo caso forse è meglio dire “mezzepunte”): nel 4-2-3-1 di Slutsky nel CSKA Mosca.
I rossoneri invece cercano con insistenza di saltare il centrocampo, mettendo in difficoltà più di tutti l’uomo sulla trequarti. Spesso, Honda è chiamato ad attaccare le seconde palle o a giocare semplicemente di sponda. Nelle squadre di Mihajlovic il trequartista deve essere un incursore vero e proprio: dinamico, abile a verticalizzare, pronto a inserirsi e a ripiegare. Il ritratto di Soriano, appunto, il contrario di Honda. Per questo l’opzione Bonaventura sembra prendere il sopravvento (è stato schierato tra le linee nelle ultime due partite, entrambe perse), privando però di dinamismo e qualità il centrocampo rossonero (de Jong interno destro non è stato un bel vedere, e anche con Kucka la situazione non sembra migliorare): in questo momento la coperta del Milan è incredibilmente corta nella zona fondamentale del campo.
Riconversione
Non c’era solo il Milan sulle tracce del trequartista nato in Germania, ma anche il Napoli (l’affare è saltato all’ultimo minuto della sessione estiva di calciomercato). Il motivo è presto detto: Sarri aveva bisogno di un trequartista per riproporre il 4-3-1-2 dell’Empoli e serviva un giocatore dinamico e capace di mantenere la compattezza della squadra, uno dei cardini del gioco sarriano.
Nel frattempo, il tecnico ha provato a riconvertire Lorenzo Insigne, l’unico con caratteristiche adeguate, nel ruolo di trequartista. Nel rombo di Sarri, però, il numero 10 è un giocatore particolare: non si abbassa spesso per aiutare l’inizio azione; deve attaccare in zona centrale perché ci pensano gli attaccanti a garantire ampiezza con movimenti volti ad allargare la linea difensiva avversaria; si muove in sincronia con le punte, così da attaccare la profondità quando il centravanti si abbassa per tirare fuori un centrale avversario.
Insomma, deve saper attaccare bene lo spazio, mantenere la compattezza con la linea di centrocampo e partecipare al pressing alto sulla trequarti avversaria.
I vari rombi del Napoli: qui Insigne dalla fascia si è appena accentrato, creando spazio per l’inserimento di Ghoulam e dettando la verticalizzazione centrale a Koulibaly. In questo modo la squadra riesce a coprire il campo in tutta l’ampiezza, con Insigne a riempire il vuoto centrale.
Nelle prime partite del Napoli, invece, Insigne faceva bene solo alcune cose: ottimo nelle rifiniture, pericoloso per la compattezza delle linee, che infatti si sfaldavano, dando luogo a una squadra lunga in alcuni momenti di gara. La naturale tendenza di Insigne a muoversi in orizzontale e a cercarsi la zona di competenza sulla fascia hanno spinto Sarri a un cambiamento di modulo, passando al 4-3-3.
In realtà è cambiato solo il modulo sulla carta, perché Insigne fa esattamente quello che faceva prima: solo che stavolta non è un bug del sistema, bensì un valore aggiunto (5 gol e 3 assist in 7 partite). Taglia dall’esterno per ritrovarsi in zona centrale, e ripiega sugli esterni in fase difensiva. Sarri ha ricordato, dopo la partita contro la Juve, che durante il ritiro estivo il 4-3-3 è stato provato, ma creava grandi difficoltà nel controllare il vertice basso avversario: mancava la compattezza in zona centrale. Adesso una migliore condizione fisica ne rende possibile l’utilizzo, con Hamsik che spesso si occupa di controllare il vertice basso avversario, mentre Insigne si abbassa a schermare la mezzala avversaria. Il surplus legato alla posizione ibrida di Insigne, ala-trequartista, è la capacità di regalare superiorità numerica sulle fasce, mantenendo allo stesso tempo la visione di gioco di un numero 10.
Modernità
Il vero desiderio del tecnico del Napoli era però un altro: acquistare Saponara, il trequartista da lui consacrato a Empoli in Serie B e poi esaltato in Serie A nella seconda metà della scorsa stagione, di rientro dal deserto milanista.
https://www.dailymotion.com/video/x37b5cp_1-2-massimo-maccarone-goal-italy-serie-a-19-09-2015-udinese-calcio-1-2-empoli-fc_news
Saponara sa fare bene tutto e in più ha visione di gioco e tempi per l’ultimo passaggio: questa gemma è per Maccarone, che ringrazia.
Nei toscani privi del loro allenatore artefice dell’impresa, i meccanismi offensivi non sembrano cambiati: Saponara rimane l’ancora a cui aggrapparsi per una salvezza sicuramente più difficile di quella della passata stagione.
Per ora, il numero 5 empolese non sta deludendo, anzi è probabilmente il miglior trequartista della Serie A (se non si tiene conto dell’espulsione contro il Frosinone) sia per visione di gioco che per occupazione degli spazi e per il contributo in zona gol. Saponara è soprattutto l’unico trequartista puro, l’unico che potrebbe giocare in tutte le altre squadre che prevedono un uomo tra le linee.
Da vertice alto del rombo deve sempre attaccare la profondità, quando uno dei due attaccanti si abbassa o quando entrambe le punte si allargano; in aggiunta, deve garantire un movimento continuo sulla trequarti, in particolare per garantire superiorità numerica con le catene di fascia (terzino-mezzala-trequartista).
https://www.dailymotion.com/video/x36q33v_riccardo-saponara-1-0-hd-empoli-vs-napoli-italy-serie-a-13-09-2015_sport
Pucciarelli si abbassa attirando Chiriches fuori posizione: Saponara può attaccare la profondità e viene servito perfettamente da Zielinski. Classico movimento empolese.
In fase difensiva, gli si chiede di mantenere la compattezza della squadra in zona centrale e di infastidire il vertice basso avversario, spingendo l’inizio azione verso le fasce.
In questo momento, è difficile trovare un giocatore che sappia coniugare doti così diverse (mobilità, visione, tecnica, intelligenza tattica) ed è anche difficile immaginare Saponara fuori dalla Nazionale nel futuro prossimo (in questa occasione potrebbe essere stato penalizzato dai tre turni di squalifica).
Instabile
Nella prima stagione al Bruges, all’età di 20 anni, Perisic venne utilizzato anche da trequartista: serviva un giocatore veloce, ma tecnicamente abile, capace anche di segnare. La sua duttilità lo spinse persino a diventare capocannoniere del campionato belga, e ha spinto Mancini a farlo giocare di nuovo dietro le due punte. Acquistato con l’obiettivo di usarlo in un 4-3-3, all’Inter devono aver cambiato idea: e così al posto di un Brozovic non troppo a suo agio, Perisic è diventato trequartista.
Perisic non riesce a giocare davvero da trequartista: contro il Chievo si sposta sulla fascia sinistra, a volte anche su quella destra, ma non riesce a trovare una posizione di vertice alto del rombo.
Non è stato un esperimento riuscitissimo: la fase di costruzione dell’Inter è ancora imperfetta, e Perisic tende naturalmente verso le fasce, per creare superiorità numerica. Nelle tre partite giocate da trequartista (Carpi, Milan, Chievo), il croato ha dimostrato le sue qualità evidenti palla al piede: transizione offensiva rapida, capacità di saltare l’uomo, dinamismo continuo.
Al tempo stesso, Perisic ha dimostrato che questa soluzione può essere solo temporanea e in ogni caso non particolarmente efficace: il croato preferisce sempre giocare sugli esterni, lasciando poi a Jovetic il presidio della zona centrale. Mancini lo ha capito, e prima ha provato ad affiancargli Ljajic contro il Verona, e poi è passato addirittura al nefasto 3-5-2 visto contro la Fiorentina, per arrivare di nuovo a un 4-3-2-1, con Palacio sulla destra e Perisic a sinistra. Il croato è sembrato più a suo agio nella posizione naturale di esterno, risultando persino il giocatore più pericoloso in zona offensiva. I nerazzurri stanno ancora cercando un assetto tattico definitivo e le prestazioni di Perisic non possono che essere altalenanti.
Il vantaggio
Un’altra squadra che usa in modo assiduo il trequartista è il Chievo di Maran: Birsa si occupa di verticalizzare immediatamente il gioco, di raccogliere le seconde palle, di abbassarsi per aiutare l’inizio azione, ma anche di muoversi orizzontalmente su tutta la trequarti per creare spazio agli inserimenti delle mezzali. In più, ha il ruolo di schermare il regista avversario nella buona pressione organizzata dei clivensi. E per ora, con 3 assist e 2 gol, aiutato anche dalle ottime prestazioni di squadra, si sta imponendo come uomo chiave.
Birsa si alza da terra e in un attimo fa la cosa per cui si allena tutta la settimana: servire con un lancio in diagonale il movimento di Paloschi ad attaccare la profondità.
Ma perché il 4-3-1-2 piace a tutti? Perché lo adottano anche squadre che lottano per la salvezza? Uno dei vantaggi di questo modulo è la possibilità di coprire molto bene sia in ampiezza (con la catena di fascia terzino-mezzala-trequartista/punta), sia in zona centrale, con il trequartista ad attaccare eventualmente la profondità o a verticalizzare rapidamente per le punte. Con il rombo si mantiene anche la possibilità di aggredire alto l'inizio azione avversario.
D'altro canto, gli avversari possono trovare contromisure specifiche: Paulo Sousa alla prima giornata contro il Milan ha schierato la Fiorentina con un 3-4-2-1 per ottenere superiorità numerica in difesa (3 vs 2), a centrocampo e soprattutto sulle fasce. Tra le possibilità per poter mantenere superiorità sulle fasce e non avere problemi a difendere con il quinto uomo c’è quella del 3-4-1-2. Un buon esempio è il Palermo di Iachini, con il trequartista probabilmente più tecnico della Serie A, “El Mudo” Vázquez.
Sembra di vedere un ballerino circondato da rugbisti.
Nel gioco di Vázquez si riconoscono alcune caratteristiche dell’enganche argentino: la capacità di abbassarsi e di fare da collegamento tra i reparti; la qualità del controllo di palla e la capacità tecnica fuori dal comune; la “pausa” per aspettare i compagni e ridefinire i tempi. Il resto ha dovuto impararlo in Italia: l’attacco degli spazi, la necessità, a volte, di velocizzare la transizione; la capacità di dettare sempre una linea di passaggio sulla trequarti o di gravitare intorno alla punta senza mai farsi catturare dalla linea difensiva avversaria. Vázquez però è un anarchico dalla trequarti in su: liberissimo di trovarsi la posizione, spesso anche da seconda punta.
Il numero 20 del Palermo è l’incarnazione dei compiti che spettano al trequartista: al di là delle questione tattiche, della superiorità geometrica del rombo per la numerosità delle linee di passaggio; al di là dell’attacco in zona centrale, statisticamente più pericoloso, e al di là anche della maggior compattezza della squadra; il trequartista rimane il giocatore a cui affidare le chiavi offensive del gioco della propria squadra, in una Serie A che si affida ancora molto (troppo?) al talento individuale per risolvere situazioni di gioco complicate.