Pochi istanti dopo il fischio di inizio Milinkovic-Savic, dopo aver messo a terra il più classico dei lanci verso l’esterno da calcio di inizio, ha provato a verticalizzare per Marusic, trovando però l’intercetto di Zalewski. Il pallone è ripartito immediatamente verso la metà campo biancoceleste: da Zalewski a Cristante, e poi verso Mkhitaryan, Abraham e quindi Pellegrini. In pochissimi istanti, la Roma è passata dal difendere sua trequarti a guadagnare, anche se in maniera un po’ rocambolesca, il calcio d’angolo che gli ha consentito di passare in vantaggio al primo minuto di gioco, nonché l’undicesimo gol su corner del campionato. Circa due ore dopo, interrogato nel post-partita sulle difficoltà tattiche della sua squadra, Maurizio Sarri ha glissato, affermando che il problema principale della Lazio sia stata l’incapacità di reagire all’imprevisto iniziale, e come di fronte a ciò ogni problema tattico sia passato in secondo piano.
La considerazione di Sarri non va trascurata, ma va detto che se prendere gol dopo un minuto sugli sviluppi di un piazzato che era finito prima sulla traversa e poi sulla coscia dell’avversario può essere considerato un episodio sfortunato, il modo in cui la Roma è arrivata a creare i presupposti per la conquista del corner stesso è abbastanza rilevante nel racconto di questo derby di ritorno. L’azione, infatti, è stata il preludio a quello che avremmo poi effettivamente visto per buona parte dei novanta minuti più recupero, con i giallorossi attenti e aggressivi, pronti ad approfittarne rapacemente delle insicurezze offensive della Lazio.
L’organizzazione difensiva della Roma
Il gol di Abraham ha messo la partita su un piano ideale per Mourinho, consentendo alla Roma di lasciare più serenamente il possesso alla squadra di Sarri, che dal canto suo è apparsa sin da subito insicura e, dopo i passi avanti dell’ultimo periodo sotto vari aspetti del gioco, incapace di trovare il modo per manipolare l’atteggiamento in non possesso della Roma e fragile senza palla.
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La strategia di Mourinho era di mantenere un blocco in non possesso ad altezza medio-bassa, dosando attentamente le corse in avanti dei suoi uomini più avanzati per evitare di scoprire troppo il corridoio centrale. In questa zona, Abraham e Pellegrini si sono trovati frequentemente sulla stessa linea. Alle loro spalle Mkhitaryan doveva disturbare Lucas Leiva, mentre Sergio Oliveira e Cristante avevano il delicato compito di alternare le uscite in marcatura su Luis Alberto e Milinkovic-Savic, e lasciarli per scivolare in copertura. I cinque hanno dimostrato molta attenzione e puntualità nell’alternare i movimenti in pressione e marcatura, oltre che una certa fluidità di movimento, che si traduceva poi anche nella capacità del resto del blocco di assorbire le proiezioni offensive della Lazio.
Al di là della buona organizzazione, però, l’arma che ha consentito alla Roma di controllare serenamente la partita è stata la partecipazione attiva di tutti i singoli alla fase difensiva, che ha consentito di portare raddoppi e coperture con intensità e, di conseguenza, anche fare in modo che i duelli venissero affrontati con la convinzione di chi sa di avere le spalle coperte. In questo contesto sono spiccate alcune prestazioni individuali, da quelle dei difensori centrali che si sono divisi il controllo di Ciro Immobile con successo (Ibanez e Smalling in particolare), ma anche Tammy Abraham che, galvanizzato dalla doppietta, ha iniziato a rincorrere diverse volte all’indietro (tanto da spingere Mourinho a richiamarlo in alto, per avere un riferimento pronto per le ripartenze) e Sergio Oliveira, che è stato prezioso soprattutto con i suoi movimenti a schermare gli spazi che si aprivano nella linea difensiva alle sue spalle, assorbendo gli inserimenti dei giocatori della Lazio.
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Alcuni ripiegamenti difensivi degni di nota di Abraham e Sergio Oliveira.
Qualche parola a parte la merita la partita difensiva di Nicola Zalewski, che ormai sembra essere considerato un titolare a tutti gli effetti da Mourinho. Nonostante l’età e le caratteristiche di partenza, Zalewski è sempre più a suo agio nell’interpretazione del ruolo di esterno di centrocampo/difesa, e la partita giocata contro un avversario difficile come Felipe Anderson è stata una dimostrazione di sicurezza e maturità. Oltre a ostacolare in vari modi le progressioni del brasiliano, Zalewski è stato bravo in un paio di situazioni anche a creare ripartenze pericolose subito dopo aver vinto il contrasto.
Le occasioni in cui la Roma ha costruito attraverso il palleggio consolidato non sono state molte, sia perché per la maggior parte del tempo i giallorossi hanno giocato senza palla, sia perché quando avevano a disposizione il pallone, l’atteggiamento era generalmente orientato a ricercare l’ampiezza immediata, o al massimo la verticalizzazione verso Abraham. Una significativa eccezione è l'azione che ha portato al secondo gol, che ha consentito a Mkhitaryan di portarsi a ridosso di Hysaj, ricevere un bel filtrante “mascherato” di Cristante e creare il presupposto per un 2 contro 1, avvalendosi della sovrapposizione di Karsdorp. Una manovra che ha portato la Lazio in una situazione strutturalmente difficile da difendere, sia a causa della fatica nello scalare velocemente da un lato all’altro sul giropalla avversario, sia per la scarsità dei ripiegamenti sugli esterni e della pressione attiva sul portatore in posizione centrale.
I molteplici problemi della Lazio
Se è vero che la Roma ha giocato una partita difensiva di alto livello ed è stata cinica, fortunata, ma anche talentuosa nell’ottimizzare le occasioni a disposizione, la Lazio ci ha sicuramente messo del suo. La squadra di Sarri, infatti, non ha fatto molto per rendere la vita difficile ai giallorossi, soprattutto quando ha avuto la possibilità di imbastire dei palleggi manovrati con tanto di buone superiorità numeriche o momenti di alleggerimento della pressione.
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Vittima delle sue insicurezze, la Lazio si è affondata quasi da sola buona parte delle impostazioni da dietro, con i suoi giocatori che sembravano pensare in maniera individuale e non collettiva, disinteressandosi a fornire supporto una volta passato il pallone, oppure perdendo un prezioso tempo di gioco, o non essendo pronti nella riaggressione dopo aver perso la palla. L’atteggiamento a palla persa, oltre a risultare carente nelle marcature preventive, ha mostrato una distanza troppo grande tra i reparti data sia dall’attitudine della difesa a scappare subito verso l’area a palla scoperta, sia alle corse aggressive di Abraham che davano ancora più preoccupazione alla linea. Tutto ciò ha creato i presupposti affinché diverse ripartenze della Roma si sviluppassero centralmente con Mkhitaryan a portare palla e a creare occasioni.
Nelle sue peggiori partite stagionali la Lazio ha spesso mostrato, oltre all’instabilità difensiva data dalla difficoltà nel portare un pressing alto con continuità, anche un’eccessiva rigidità delle sue fasi di possesso. Il primo aspetto contro la Roma non è stato messo a dura prova, sia per il modo in cui si è sviluppata la partita sia per l’atteggiamento privilegiato dall’avversario che non enfatizzava molto il palleggio basso, e anzi ci sono state un paio di situazioni nel primo tempo in cui la Lazio avrebbe potuto trasformare due ripartenze alte in occasioni da gol. Il secondo aspetto, però, è stato ben presente in questo derby: la sensazione che affiorava guardando la Lazio che tentava di risalire il campo era quella di tre “reparti” nel vero senso della parola, cioè tre blocchi separati, difesa centrocampo e attacco, che facevano una grossa fatica a comunicare tra loro in un modo che andava al di là del mero passaggio da una zona all’altra. Poche le rotazioni e gli scambi rapidi, pochissime le combinazioni che coinvolgevano più di due uomini alla volta: fatta eccezione per le ripetute sovrapposizioni di Marusic a destra e per qualche inserimento di Luis Alberto sul centro sinistra, la Lazio non sembrava avere l’ispirazione di muoversi per “giocare insieme”, con il risultato che i suoi giocatori più avanzati ricevevano spesso palla in situazioni di inferiorità, oppure si trovavano a forzare una soluzione individuale sull’esterno (con scarsi risultati). In questo contesto, Milinkovic-Savic, forse il giocatore più decisivo di questa squadra insieme a Ciro Immobile, è rimasto troppo lontano dall’area avversaria per la maggior parte del tempo.
Un’azione esemplificativa delle difficoltà offensive della Lazio. La palla giunge a Pedro defilato a sinistra da Luis Alberto (che a sua volta aveva ricevuto da Milinkovic). Lo spagnolo, isolato in due contro uno, tenta un cross, ma in area ci sono solo Immobile e Felipe Anderson contro cinque giocatori della Roma.
Tutto ciò si è tradotto in tentativi di attacco disperati, che quando non diventavano ripartenze della Roma, nel migliore dei casi erano intercettati dai difensori giallorossi. Dopo l’ennesimo pallone perso da Felipe Anderson nel primo tempo, Sarri ha tentato di invertire le sue ali, portando Pedro a destra, presumibilmente perché riteneva quello di Zalewski, Pellegrini e Ibanez il lato più proficuo da cui attaccare. Al rientro dall’intervallo però è tornato sui suoi passi, e la sua squadra ha passato forse il miglior momento della partita per i primi 10-15 minuti del secondo tempo, semplicemente cercando di accelerare il ritmo dei passaggi o in alternativa cercando la profondità verso Immobile con più rapidità. Le ripartenze della Roma si sono fatte più rade, probabilmente anche per la scelta di Mourinho di rendere ancora più sicura la difesa del 3-0, ma il buon momento della Lazio è durato comunque troppo poco per rimettere la partita in carreggiata in tempo utile.
Eppure la Lazio aveva i mezzi per far male alla Roma, o quantomeno per rendere la sua partita difensiva sostanzialmente più problematica di quanto non lo sia stata in realtà. Emblematica l’azione avvenuta dopo pochi istanti dalla doppia sostituzione che ha portato Luka Romero e Lazzari sulla fascia destra, uno scambio velocissimo che ha coinvolto i due neo entrati e Milinkovic-Savic, culminato con lo sprint di Lazzari e un cross a rimorchio, intercettato però dal solito Sergio Oliveira.
Fatta eccezione per una singola azione simile nel primo tempo, la Lazio non è mai riuscita a sviluppare rapidamente sulle catene laterali. Al contempo, passare dal centro tenendo un ritmo alto, date le marcature fluide ma stringenti del compatto blocco centrale di Mourinho, è stato proibitivo per tutta la partita a eccezione dei primi minuti del secondo tempo.
Troppo poco, insomma, per le ambizioni offensive tipiche delle squadre di Sarri, che arrivato a questo punto della stagione forse si sarebbe aspettato un altro livello di assimilazione dei suoi principi offensivi in una partita che contava. Per il resto, la Lazio sembra essere una squadra troppo fragile per tenere duro quando i meccanismi offensivi non ingranano, e lo ha provato anche in una partita in cui ha passato relativamente poco tempo a difendere di posizione. Il legame tra la qualità offensiva e quella difensiva si dimostra ancora una volta difficile da scindere.
La Roma, invece, non deve fare altro che incorniciare una delle sue migliori prestazioni stagionali. Difficile dire quale sia stato il giocatore decisivo tra i giallorossi, tutti particolarmente in palla. Tammy Abraham continua a sbloccare partite difficili, dimostrando che quando è in giornata può dare un apporto completo alla partita che va anche al di là dei gol; Pellegrini e Mkhitaryan sono due autentici leader tecnici; Zalewski vive un momento d’oro; Oliveira sembra irrinunciabile. Resta da vedere per il finale di stagione se la Roma riuscirà a fare passi avanti anche in partite radicalmente diverse da questo derby, quelle in cui il coinvolgimento mentale per forza di cose non sarà questo e dove un gol immediato non metterà subito le cose in discesa. Oggi però per la Roma rimangono solo 90 minuti convincenti, che le danno una spinta importante nella corsa a un posto per una qualificazione europea.