Story of Speed è una rubrica realizzata in collaborazione con NIKE in cui celebriamo il diciottesimo anniversario di Mercurial, la scarpa che più di ogni altra ha innovato l’idea di design applicata al calcio, scarpa da sempre associata alla velocità. Per questo la rubrica è dedicata ad alcuni giocatori che hanno fatto della rapidità uno dei principali punti di forza.
1.
Poche cose ci emozionano come un talento sportivo che si mostra per la prima volta sotto forma di nuove e originali promesse di bellezza. Poche cose ci deludono come un giovane che non mantiene la sua promessa, mostrandoci un presente più scolorito del futuro che avevamo immaginato per lui. Solo dopo la febbre dell’entusiasmo e la scottatura della delusione un calciatore diventa quello che deve diventare, permettendo un giudizio più o meno definitivo. A quel punto però, salvo rare eccezioni, avremo già rivolto il nostro interesse altrove.
2.
A 17 anni Paulo Dybala ha i capelli rasati da militare e una maglia così larga che non lascia indovinare neanche le proporzioni del suo corpo. Quando esordisce con l’Instituto de Cordoba indossa la numero ‘9’ ed è così forte e così piccolo da sembrare un bambino troppo dotato, completamente fuori scala rispetto al resto del mondo.
Alla sua seconda partita segna il suo primo gol, di testa in tuffo. I compagni lo lasciano esultare da solo, seguendolo leggermente alle spalle, come a protezione di una cosa fragile e meravigliosa. Dopo il gol di testa ne arrivano altri più coincidenti con quello che diventerà Paulo Dybala, il calciatore della Juventus, quello che ha da poco eguagliato il record di marcature della prima stagione di Tevez in bianconero. Uno aprendo il piatto sul secondo palo, da posizione defilata; uno con un tiro secco, da fuori area; più di uno inventandosi finalizzazioni fredde e creative solo davanti al portiere.
3.
Insomma, l’impatto di Paulo Dybala con il calcio professionistico è poco meno che fragoroso. 17 gol in 40 partite, ad appena 18 anni. Diventa il giocatore più giovane ad esordire con la maglia dell’Instituto, battendo il record di Kempes; poi il primo giocatore a disputare 38 partite consecutive, battendo ancora Kempes; poi il primo giocatore a segnare due triplette in un campionato. Record che non rendono così assurdi neanche i paragoni di precocità con Diego Armando Maradona, tutti elencati in questo articolo.
4.
La storia di Paulo Dybala evoca per certi versi un calcio d’altri tempi, fatto di talenti sbocciati tra la povertà come girasoli nel deserto americano. La famiglia di Dybala vive a Laguna Larga, a 55km a sud di Cordoba: una località di 7000 abitanti assiepati attorno a un lago circondato da conifere. In alcune foto di Google sembra il Canada, in altre il Messico. Il padre di Dybala si chiama Adolfo, ha origini polacche e ogni giorno accompagna il figlio a Cordoba, agli allenamenti dell’Instituto. Poi, quando Paulo ha 15 anni, il padre muore per un tumore e lui non sa più come andare agli allenamenti. Di quel periodo ricorda: “Mi chiudevo al bagno a piangere. Da quel momento in poi il mio obiettivo è stato di diventare un calciatore professionista. Il sogno di mio padre era avere un figlio calciatore. I miei fratelli non ci sono riusciti, quindi lo dovevo realizzare io, era un dovere”. Alla sua storia è stato anche dedicato un documentario, in cui l’emigrazione del padre, in fuga dalla guerra, viene raccontata direttamente dalla nonna polacca, che vive in un una capanna ai bordi di un fiume.
Dopo un breve periodo nella squadra di Laguna Larga, decide di fare le valigie e andare a vivere nella struttura tecnica dell’Instituto de Cordoba. Si guadagna così il soprannome di “El pibe de la pensión”: dopo ogni gol il pubblico scende dalle gradinate come a voler abbracciarlo, lui gli va incontro e bacia la maglia. La stagione di Dybala a Cordoba, nei filmati di quel periodo, è piena di coriandoli che volano sul campo, di sponsor appiccicati sulle maglie, di esultanze enfatiche e disperate. Nel complesso appare sfocata e magica come quella di Maradona al Newell’s, la prima di Riquelme al Boca, la prima di Neymar al Santos. Durante la stagione il suo soprannome diventa più generico e solenne: ‘La Joya’, come a indicare un frutto cresciuto su un albero, un bene naturale che appartiene a tutti.
5.
Prima ancora che finisca il campionato Dybala viene messo di fronte al fatto che verrà ceduto: a 18 anni dovrà lasciare il club dove ha letteralmente vissuto, cambiare continente, lingua, campionato. Dybala lo accetta con una maturità quasi fatalista: “So che mi segue l’Inter, ma anche in Spagna e in Portogallo. Io cerco di guardare tutti questi campionati per capire come dovrò adattarmi”.
Luca Cattani, osservatore del Palermo, in quel periodo è in Argentina per trattare Franco Vazquez col Belgrano e finisce per prendere anche Dybala, per 12 milioni di euro, cifra record per i rosanero. Arrivato a Palermo va a vivere in un Hotel sulla spiaggia di Mondello: “Ogni giorno mi svegliavo, vedevo il mare e pensavo: questo è il paradiso!”.
Promessa
Impegno preso liberamente e sulla parola, o anche in forma legale, di fronte ad altri, di fare o dare qualche cosa.
Da Enciclopedia Treccani
7.
Quando El Shaarawy ha esordito al Bentegodi, in un Chievo-Genoa fermo sullo zero a zero, ha compiuto 16 anni da un mese, cosa che lo rende uno dei dieci esordienti in Serie A più giovani di sempre. In quel periodo la sua superiorità tecnica a livello giovanile è quasi ingiusta. Nella finale di andata della Coppa Italia Primavera, contro la Roma, riceve una palla sulla trequarti destra, cerca di aggiustarsela d’esterno per il tiro, ma manca il contatto e il pallone gli rimane indietro. Allora tira forte d’esterno, l’unico modo che gli era rimasto per tentare la conclusione con la palla un po’ sotto, e il tiro va dritto per dritto all’incrocio dei pali. Quello di rimediare all’imprecisione aumentando la velocità della sua esecuzione sarà sempre una caratteristica di El Shaarawy.
Il commentatore, quando parte il video, circa 30 secondi prima del gol, sta già parlando di El Shaarawy, della sua capacità di determinare partite di quel livello quando vuole. La grafica scrive male il suo nome.
Dopo aver segnato anche nella finale del campionato primavera, El Shaarawy viene girato in prestito al Padova, in Serie B.
8.
A inizio stagione Calori lo schiera trequartista, dove è costretto a fare cose che il suo talento non prevede: raccordare i reparti, giocare spalle alla porta, cercare l’assistenza più che lo spunto individuale. Poi Calori viene esonerato e il suo sostituto, Dal Canto, sposta El Shaarawy attaccante esterno di sinistra di un 4-3-3: con tutta la corsia esterna davanti da divorarsi con la corsa, la porta sempre di fronte a fungere da stimolante e il campo sempre aperto alla sua destra da rassicurazione. A quel punto la stagione diventa una parata delle doti tecniche e atletiche di El Shaarawy. Sforbiciate al volo, tiri a giro da fuori, tagli in mezzo alle difese a velocità furiose
9.
A fine prestito Preziosi dice che vorrebbe tenerselo per una stagione almeno perché “a Genoa un giocatore così passa ogni 100 anni”. Poi però lo cede al Milan per 13 milioni di euro e, dopo un anno di rodaggio, potenziamento muscolare e problemi fisici, arriva il più grosso boom che il calcio italiano abbia visto negli ultimi anni. Dura in sostanza quattro mesi, sontuosi e deliranti, in cui El Shaarawy incendia la fascia sinistra del Milan, percorrendola con una velocità e una leggerezza che la restringe a un fazzoletto di terra. Segna 14 gol solo nel girone d’andata, guidando per lunghi periodi la classifica marcatori. Ma non sono tanto i numeri quanto il repertorio che mette in mostra a generare un hype con pochi precedenti.
10.
Non si era ancora visto in Italia un talento offensivo così abbagliante e moderno, con colpi così millennial. El Shaarawy sembrava poter portare la tradizione dei fantasisti italiani, della dinastia Baggio-Del Piero-Totti, nella contemporaneità. Il primo paragone con Del Piero arriva ai tempi del Padova, stessa squadra in cui è esploso “Pinturicchio”: “Vuoi diventare il Del Piero del Milan?” gli chiedono, e lui risponde, ovviamente: “Magari!”. “La pasta è quella”, si scrive. Dopo i suoi primi gol al Milan i titoli sono su questo tono:
- “El Shaarawy si prende il Milan”
- “El Shaarawy, 20 anni e numeri già da campione”
- “Il Milan ai piedi di ‘Amon Ra’ El Shaarawy” (Amor Ra è il Dio del Sole egizio)
- “FARAONICO”
- “Come El Shaarawy al mondo c’è solo Neymar” (Adriano Galliani).
11.
a) Messi, 10 gol con il Barcellona nella Liga 2006-2007 a 19 anni, 10 mesi e 27 giorni.
b) El Shaarawy, 10 gol con il Milan nella Serie A 2012-2013 a 20 anni e 21 giorni.
c) Cristiano Ronaldo, 10 gol con il Manchester United in Premier League a 21 anni, 10 mesi e 21 giorni nel 2006-2007.
12.
Quindi. Le storie di El Shaarawy e Dybala sono storie di predestinazione che, come scrive Stefano Piri, «è un criterio preso seriamente da dirigenti e addetti ai lavori per distinguere un buon giocatore da un campione». La precocità dell’esplosione di un giocatore è in una certa misura garanzia della profondità del suo talento, quasi di una sua origine mistica, di natura diversa da quella degli altri giocatori.
13.
Predestinazione
Nella teologia cattolica, «il piano secondo cui Dio ordina la creatura razionale al conseguimento della vita eterna» (s. Tommaso). Da Enciclopedia Treccani.
14.
Quando esplode a vent’anni si può immaginare che la carriera di un talento sia una linea retta in continua ascesa, senza rallentamenti o divagazioni. Non c’è niente di strano nell’essere riconosciuti e lodati per qualcosa che si è palesemente portati a fare. Anche per questo il momento dell’esplosione è così semplice da gestire: i lati negativi e i difetti sono nascosti dalla precocità, dall’idea di un potenziale che può essere infinitamente modellato e aggiustato nei suoi angoli più spigolosi. Se adesso è così forte chissà che cosa potrà diventare. Segnare gol, guadagnarsi titoli cubitali, leggere l’eccitazione attorno: una cosa che può ripetersi centinaia e centinaia di volte, senza finire mai.
15.
Negli anni ’50 il filosofo e matematico René Thom ha elaborato un modello di calcolo dei mutamenti discontinui dei fenomeni naturali: la teoria delle catastrofi. Una catastrofe inizia quando da un momento di “stabilità” ci si sposta in uno di “crisi”. Thom usa l’esempio dei cani: quando un cane è posto di fronte a una situazione critica può reagire in due modi – che sono le due biforcazioni del sistema -: attraverso la collera o attraverso la paura, che genereranno due comportamenti differenti, e quindi due diversi punti d’arrivo. Il rischio della crisi è che può portare insomma un fenomeno a precipitare nella direzione contraria a quella desiderata.
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A meno che non si è un talento alieno, cioè ancora più straordinario di quelli di cui stiamo parlando, al momento dell’esplosione seguirà sempre un momento di calo. Che magari è solo un momento di adattamento, di aggiustamento rispetto al contesto, e da questo punto di vista si tratta persino di un momento di crescita personale, solo che noi non riusciamo a non considerarlo come una forma di dissipazione. La percezione di quanto è profonda questa difficoltà è relativo a quanto fragoroso è stato il momento dell’esplosione: più ci si è presentati sotto grandi auspici, più il livello di aspettative iniziali è stato lanciato così avanti da non poter essere rispettato o raggiunto nel breve periodo.
Da quel momento in poi i gol, gli assist, le buone prestazioni, diventano sempre più scontate. Sempre più un dovere, una regolarità, a cui si DEVE corrispondere. Fare cose straordinarie diventa sempre più ordinario, al punto che il talento è costretto a rilanciare sempre più avanti attraverso gesti tecnici di volta in volta più assurdi ed originali.
Soprattutto se è stato pagato molto o è già diventato un’icona (quanto ha inciso la cresta nella severità verso El Shaarawy?). La precocità, a quel punto, rischia di diventare una condanna.
17.
Per due anni al Palermo Dybala non ha combinato quasi niente. Dopo un esordio da titolare in Serie A contro la Sampdoria, condito da due gol e un generale senso di onnipotenza, per il resto della stagione ha giocato poco e male. Il Palermo retrocede in Serie B e “il costosissimo Dybala” non viene risparmiato dalle critiche. L’anno dopo si pensa che la serie inferiore possa aiutarlo a trovare spazio e a offrire prestazioni, ma Dybala rimane l’attaccante di riserva, dietro a Hernandez e Lafferty. Si titola “Lo strano caso Dybala” o “Il mistero Dybala, il bomber che ha perso il gol”.
Gennaro Gattuso, a inizio anno, fa un discorso che in parte ne elogia il potenziale, e dall’altra ne critica l’applicazione: «È un giocatore che è due pagine avanti nel manuale del calcio, ma bisogna fargli scattare qualcosa nella testa. Lui fa cose che io da giocatore non potevo nemmeno pensare, lui è classe pura, non può non fare bene per i colpi che ha e per il calcio che può giocare. Lo conoscevo, ma dal vivo mi ha colpito. Però gli dico sempre che deve svegliarsi. Anche noi dovremo metterlo nelle condizioni di sfruttare il suo potenziale. Paulo è un giocatore vero, uno coi colpi. Deve metterci più cattiveria. Lui non potrà mai fare il centrocampista difensivo, ma deve metterci qualcosa in più nel cambio di passo».
19.
El Shaarawy invece, dopo quel pazzesco girone d’andata, si ferma come se si fosse inceppato il motore che ne attivava l'ispirazione. Alcuni sostengono sia un problema tattico, dato dalla presenza di Balotelli che occupa quegli spazi che andava ad attaccare lui, anche se partendo da lontano. Altri sostengono ci sia un problema fisico, muscolare. Però sia Allegri che Galliani sostengono che il problema non è né tattico né fisico, bensì mentale. Nelle successive due stagioni gioca poco, soprattutto a causa di problemi fisici. Iniziano le leggende metropolitane che rimano col grande tema della corruzione morale, come se le cose belle siano per forza di cose fragili e corruttibili dalla cattiveria del mondo.
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Quindi, nonostante la strada verso il successo dovrebbe teoricamente essere abbreviata dal talento a disposizione, l’apparato psicologico che viene montato sui ragazzi, le narrazioni che gli ronzano attorno, sono il più delle volte fuori controllo. Non ce ne rendiamo conto, forse per la mancanza di sensibilità che ci sentiamo legittimati ad avere di fronte a qualcuno che per lavoro gioca a pallone, e che, inoltre, è sboccatamente portato per farlo.
Non sfruttare il ‘dono’ che si è avuto, nonostante la strada verso il successo dovrebbe essere se non altro più breve che per gli altri, è una grave mancanza di rispetto nei confronti di chi quel dono non ce l'ha. Poche cose sono trattate con più severità e sdegno di un talento sprecato, di uno “che non aveva la testa”. La patina di culto da cui è attualmente ricoperta gente come Ortega, Edmundo o Morfeo è riuscita a stratificarsi solo grazie al beneficio del tempo. Prima che questi giocatori si trasformassero in simboli di qualcosa di diverso, quando erano ancora in attività, il loro apparente disinteresse verso il gioco del calcio era giudicato poco meno che scandaloso.
Il ‘dono’ è soprattutto una responsabilità, qualcosa che porta la gente ad aspettarsi da te qualcosa di cui non sei neanche totalmente in controllo. Questo per dire che per Dybala ed El Shaarawy perdersi, buttarsi via, era molto più semplice di quanto vogliamo concedergli. Dovremmo riuscire a considerare straordinaria la capacità che hanno avuto di non assecondare la spirale della decadenza, rivelandosi grandi quasi quanto le aspettative che avevano suscitato.
21.
A dicembre di questa stagione, dopo le prime 15 presenze, il Monaco non schiera più in campo El Shaarawy per evitare che scatti il riscatto obbligatorio. È il punto più basso di una carriera che sarebbe stato impossibile immaginare protagonista di un colpo di coda appena un mese dopo. Quando, nello specifico, El Shaarawy esordisce con la Roma e segna un gol di tacco che vale tre punti. Da lì inizia la rincorsa della Roma, che mette insieme otto vittorie consecutive e per poco non arriva seconda in campionato. La storia del riscatto di El Shaarawy è iniziata a essere, da subito, la metafora del riscatto dell’intera squadra.
Ma bisogna inventarsi gol del genere per essere all’altezza delle aspettative?
Dybala invece, dopo la promozione del Palermo in Serie A, ha avuto una parabola più lineare. In quell’estate il Palermo ha ceduto sia Lafferty che Hernandez, credendo allo sbocciare del suo talento come se fosse un fenomeno legato al divenire della natura: il crescere e il calare della luna, lo sbocciare e l’appassire dei fiori. “L’anno prima era raro che qualcuno mi offrisse un caffè. Da quest’anno me ne offrono due o tre al giorno”. Lo scorso anno è definitivamente esploso e in questo è riuscito ad affermarsi come uno dei giocatori chiave della squadra campione d’Italia.
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Quest’anno Paulo Dybala e Stephan El Shaarawy hanno preso una forma più definita, diventando dei calciatori con pregi e difetti riconoscibili, a sé stessi e agli altri. Per farlo hanno dovuto lavorare per migliorarsi molto più di quanto le loro doti naturali lascerebbero immaginare, snaturando in parte i loro istinti, scendendo a compromessi con il sistema che ne ha assorbito il talento.
Anche due giocatori così scandalosamente dotati, per emergere nel calcio attuale, non hanno potuto fare affidamento esclusivo sul proprio talento, ma hanno dovuto costruirci sopra dimensioni supplementari.
Paulo Dybala, per esempio, ha dovuto aggiustare la posizione in campo e i compiti da svolgere. L’argentino in realtà ha cominciato a cambiare ruolo ancora prima di cominciare a giocare tra i professionisti. Nelle giovanili dell’Instituto de Cordoba giocava da enganche e diceva di ispirarsi a Riquelme e Veron. Dario Franco, però, lo ha fatto esordire come punta di un attacco a tre, con grande licenza di attaccare la profondità. Stando ai racconti dei suoi allenatori nelle giovanili, Dybala aveva fatto la differenza in tutte le categorie, ma nessuno si sarebbe aspettato un’esplosione così rapida, forse allora determinata proprio da quell'avanzamento che nel Palermo ha raggiunto l’apice. Con Iachini, nella scorsa stagione, Dybala ha segnato 13 gol giocando da punta di un attacco a due insieme a Franco Vazquez. Il punto non era tanto la posizione quanto la possibilità di attaccare partendo da lontano e in associazione con un altro giocare estremamente talentuoso.
Nella Juventus Dybala ha passato i primi mesi in panchina, lavorando soprattutto in palestra per trasformare il suo corpo minuto in qualcosa di adatto a un calcio sempre più intenso. Stando alle cronache mette su 3 kg di muscoli, con Allegri che commenta con i giornalisti: “Avete visto che cosce che ha messo su?!”.
Una maggiore forza sulle gambe ha forse permesso a Dybala di migliorare il gioco spalle alla porta che gli ha richiesto Allegri. È stato arretrato di qualche metro, con il compito di andarsi a cacciare le tasche di spazio sulla trequarti centrale, dove poter ricevere e attaccare la porta scambiando con i compagni. Nel corso della stagione Pogba gli è stato avvicinato, permettendo l’aumento della qualità offensiva e, di conseguenza, dei risultati della Juventus.
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El Shaarawy era stato già portato in palestra dal Milan invece, quando si pensava che i cronici problemi al ginocchio fossero legati alla sua fragilità muscolare. È stato un tema molto chiacchierato, al punto che Buffa profetizzava persino un destino tormentato dal suo ingrossamento simile a quello di Pato.
Nel suo momento di maggiore difficoltà, a inizio anno, Conte lo ha richiamato in Nazionale, dove si è presentato con un’aura da reduce. Mettendosi placido sulla fascia sinistra del suo 3-5-2 e assolvendo tutti i compiti difensivi con diligenza calvinista. Come qualcuno che si lava dai suoi peccati attraverso profondi ripiegamenti difensivi.
Sono state probabilmente le prestazioni in Nazionale, il modo in cui ha messo le proprie doti atletiche al servizio del collettivo, che hanno convinto la Roma a puntare su di lui a gennaio, quando non c’era praticamente nessuno a credere in un suo rilancio. E in effetti anche nel 4-3-3 di Spalletti El Shaarawy svolge importanti compiti difensivi, spendendo energie nei rientri anche per Salah e totalizzando all’incirca un 1,5 tackle ogni novanta minuti giocati. Una media non banale per un attaccante.
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Guardiola sostiene che un allenatore può spiegare e preparare nei dettagli il modo in cui la squadra fa risalire il pallone fino alla trequarti. Da lì in poi sta ai giocatori, dentro il quadro di qualche indicazione, sfruttare la loro creatività per inventarsi il modo più diretto ed efficace per andare in porta (la cosa è spiegata per esempio da Thierry Henry in questo video).
Tanto Dybala quanto El Shaarawy sono stati fondamentali quest’anno nell’aumentare esponenzialmente la velocità e la creatività della propria squadra quando la palla transitava sulla trequarti. Messa in termini più spiccioli: quando la palla arriva a loro c’è sempre la sensazione che possa succedere qualcosa. La manovra si addolcisce, il gioco assume un senso più orientato ad offendere, come se il campo scivolasse lentamente in pendenza verso la porta avversaria. Il diverso modo in cui Dybala ed El Shaarawy declinano la loro velocità e la loro creatività è lo specchio di due diversi modi di intendere il calcio e il talento offensivo.
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Il gioco di El Shaarawy è elettrico: è un mosaico caotico di strappi in velocità, furiosi tagli dentro l’area, conclusioni mozze e improvvise. El Shaarawy si incendia nello spazio, quando può divorare il campo che lo divide dalla porta come un automobile lanciata fuori giri in una prateria.
Pur giocando da esterno di un attacco a tre, agisce più da finalizzatore che da tornante. Per questo preferisce non giocare con un riferimento centrale ad otturargli lo spazio in area: la porzione di campo che le sue doti atletiche e le sue ambizioni gli vogliono far coprire è molto estesa, e va dalla fascia sinistra di centrocampo al centro dell’area. Tutta una zona che El Shaarawy squarcia in diagonale, solo o con l’assistenza dei compagni, sempre a una velocità che non si riduce più di tanto neanche palla al piede.
Tuttosport ha scomposto un vecchio gol di El Shaarawy in diversi frammenti per calcolare la velocità di El Shaarawy: la velocità di punta è di 27km/h (quella di CR7 è di 33 km/h). I primi 30 metri senza palla sono percorsi in 3 secondi e 85 centesimi; i secondi 40, quelli corsi col pallone, in 5 secondi e 34 centesimi, quindi con poca differenza tra velocità col pallone e velocità senza.
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La velocità di Dybala si esercita in spazi più piccoli ed è sempre in relazione all’organizzazione e all’esecuzione del gesto. Anche e soprattutto quando il campo si restringe, ha un tempo e una proporzione dello spazio migliore dei suoi avversari. Girato spalle alla porta, in porzioni di terra per altri impraticabili, Dybala pianta le gambe come arbusti e usa il corpo in maniera flessuosa, come fosse su una moto da cross. A quel punto diventa praticamente impossibile togliergli palla.
Come altri giocatori argentini cresciuti come enganche e spostati in posizione avanzata – Higuain, per esempio – anche Dybala ha conservato una certa attitudine associativa al gioco. In un’intervista ha detto “provo sempre a giocare semplice, a uno o a due tocchi, passare e andare nello spazio per raccogliere il passaggio di ritorno”. Una sintassi di gioco che Dybala fa con un equilibrio tra rapidità e qualità diverso dagli altri.
Quando però c’è da condurre in prima persona la transizione, Dybala si prende la responsabilità di aumentare le marce e rompere gli argini delle linee avversarie.
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Special delivery from @nikefootball for some of the fastest players in the world. #Mercurial
Una foto pubblicata da Ronaldo (@ronaldolima) in data: 7 Mag 2016 alle ore 09:58 PDT
Ronaldo (Il Fenomeno) ha scelto solo alcuni destinatari per le sue Mercurial Superfly Heritage ID, le scarpe fatte per volare, indossabili solo dai giocatori più veloci al mondo. Tra di loro, ovviamente, ci sono sia Dybala che El Shaarawy.
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Entrambi sono finalizzatori che amano attaccare lo spazio partendo da lontano, e per questo il loro gesto tecnico preferito e più frequente è quello di rientrare verso il campo per cercare la conclusione con il piede forte. Ma anche qui Dybala ed El Shaarawy sono due mondi a parte.
Quando El Shaarawy parte palla al piede, con la testa alta e l’andatura un po’ sbilenca, sembra correre in equilibrio su una corda e il campo si smuove in una vertigine verticale. Rientrando fa scattare sempre una minaccia per gli avversari, ponendoli di fronte al dilemma se uscire per chiudergli il tiro, oppure aspettare il cross per l’attaccante, con il rischio di venire dribblati. Questa costante e duplice minaccia è propria di giocatori capaci attraverso la loro mera presenza di squilibrare l’organizzazione avversaria, anche quando non riesce a essere decisivo in prima persona.
La velocità e la frequenza di questi tagli tendono il corpo di El Shaarawy fino al punto in cui sembra spezzarsi (a inizio carriera ha avuto alcuni problemi sul ginocchio sinistro, quello su cui carica il peso del corpo per fare questo movimento). El Shaarawy sembra correre sull'orlo di un burrone, su una striscia di terra con un precipizio alla sua destra. Quando tira a girare, la più classica delle sue conclusioni, non avvolge il pallone in modo pieno ed elegante: piuttosto lo frusta con una specie di colpo di sciabola.
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Il movimento di Dybala è meno potente e scomposto. Quando avanza da destra a sinistra si sposta il pallone con l’esterno a piccoli passi, con la sfera che si muove molto laterale, creando il controtempo per una sterzata improvvisa all’interno. Altre volte, con la difesa più schierata, corre stando attento a mantenere il piede destro a protezione del pallone, come a tracciare una linea immaginaria su cui corre in orizzontale per ricavarsi lo spazio per tirare.
Il suo gesto di tirare è più avvolgente, meno secco. Per questo inarca tutto il corpo alla sua destra, lasciando lo spazio per un’oscillazione rotonda e pulita della gamba sinistra.
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Nella Roma di Spalletti, El Shaarawy è costretto spesso ad affrontare difese schierate e la ricerca del grimaldello per scardinarle lo costringe a ridurre la frequenza dei propri strappi palla al piede, fermandosi, lasciando emergere di più la sua capacità di gioco associativo. La catena di sinistra è utilizzata da Spalletti per costruire di più il gioco, creare densità e scoprire il lato debole per favorire i tagli di Salah alle spalle della difesa. In questo le doti tecniche di El Shaarawy diventano importanti per far collassare la fase di non possesso avversaria su di sé.
Ma El Shaarawy rimane un finalizzatore mascherato, e quando la densità del possesso della Roma si sposta sulla destra ama esercitarsi in uno dei suoi movimenti preferiti: cioè il taglio dentro l’area ad attaccare i cross dal fondo o le seconde palle respinte dalle difese. Spesso mettendo in mostra un’agilità marziale, liquida. Non è quasi mai troppo preciso, privilegiando l’improvvisazione all’accuratezza, ma ha comunque un tasso di conversione sopra la media degli attaccanti della Serie A – 16%, rispetto a una media del 14%.
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Dybala non è frenetico nella finalizzazioni. Come i grandi attaccanti è consapevole di avere un controllo dell’area di rigore migliore degli altri, quindi riduce la velocità, scala le marce e si coordina in conclusioni che non sembrano quasi mai frutto dell’istinto. In area di rigore il suo controllo del corpo e la varietà di soluzioni balistiche gli danno un grande vantaggio.
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Tanto El Shaarawy quanto Dybala quest’anno erano chiamati a dare prova della consistenza del loro talento. Se per Dybala il percorso era stato meno accidentato, El Shaarawy a gennaio era quasi all’ultima chiamata. Pochi mesi dopo è una delle pedine fondamentali della squadra terza in campionato e sarà uno dei giocatori più importanti per la Nazionale di Conte agli Europei.
Da quando El Shaarawy è arrivato alla Roma la squadra ha alzato la propria media punti da 1,6 a partita a 2,6. Certo non ha spostato l’inerzia da solo, ma “il Faraone” ha contribuito con 7 gol (quasi uno ogni due partite), 2 assist e risultando sempre una minaccia per le difese (crea mediamente una chance per 90 minuti e tira 3 volte e mezzo, uno dei dati più alti della Serie A).
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Dybala era invece chiamato a rimpiazzare, simbolicamente e tecnicamente, Carlos Tevez, l’eroe degli ultimi due scudetti juventini. Dopo un paio di mesi passati più in panchina che in campo, il suo ingresso nel cuore del gioco dei bianconeri ha determinato un miglioramento chiaro delle prestazioni di squadra. Durante il filotto di 10 vittorie consecutive, che ha creato i presupposti per la vittoria finale, Dybala ha segnato 7 gol e fornito 5 assist.
Dybala insomma si è assunto una buona porzione di responsabilità creative nella Juve, anche più di Paul Pogba. Rispetto al francese ha creato più occasioni da gol (2,60 per partita), ha tirato di più (3,85 per partita), ha realizzato più dribbling (3,38 per partita), regalato più passaggi chiave (2,30 per partita).
Oltre alla sostanza, Dybala è riuscito a rimpiazzare anche il peso simbolico che Tevez aveva nei cuori dei tifosi, prendendosi l’aura del giocatore capace di attingere al proprio talento sovrannaturale per farne qualcosa di bello ed efficace: gol e gesti tecnici che rassicurano sul fatto di giocare con qualcuno di diverso dalla propria parte.
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Nonostante siano entrambi poco più che ventenni, dal momento della loro esplosione sono passati già 4-5 anni e diverse ere calcistiche. Per esempio, negli anni della loro esplosione, la Juventus doveva ancora vincere il primo campionato del suo primo ciclo vincente e la Roma era ancora al primo anno di gestione americana.
Un periodo di tempo lungo, che spesso tendiamo a dimenticare, non facendo caso a quanto questi due giocatori siano stati costretti a cambiare completamente, diventando una cosa molto diversa da quel bozzolo indecifrabile e meraviglioso che erano a 18 anni. Quello che sono diventati, il loro adattamento ai contesti, ci dice molto non solo su quanto è lunga la strada che separa un talento, anche il più puro, dalla sua affermazione. Ma ci dice molto anche su cosa è diventato il calcio: una cosa molto più complessa del correre, dribblare, tirare in porta. Una lotta per la sopravvivenza che non fa sconti a nessuno: o ti evolvi, o ti estingui.