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Tutta colpa di Mastour?
21 lug 2017
Cosa ci dice la breve carriera del predestinato italo-marocchino sul calcio di questi anni.
(articolo)
6 min
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“Perché tutti ti vogliono?” chiede la giornalista. “Perché forse in campo... faccio cose che gli altri non fanno”. Era il 2012, in quei giorni Hachim Mastour compiva quattordici anni.

“È il futuro” diceva Galliani. “Tecnicamente è il più forte che ho mai avuto” insisteva il responsabile dello scouting Bianchessi. “Il nuovo Messi” per i media marocchini. Lui stesso si poneva come obiettivo il Pallone d'Oro.

Nell'ultimo biennio ha giocato in prestito nelle massime serie di Spagna e Olanda, realtà diversissime. Il Málaga prima, il PEC Zwolle poi. Ha collezionato 183 minuti in totale: praticamente due partite di calcio in due stagioni.

Dal 1° luglio, a diciannove anni appena compiuti, Mastour è svincolato. Non l'ha messo al riparo l'essersi affidato a Mino Raiola lasciando Dario Paolillo, il suo primo agente. Non ha ancora trovato una squadra. Nessuno lo vuole, ora.

Quando esordisce con la nazionale maggiore del Marocco, in una gara delle Qualificazioni alla Coppa d'Africa, è il 12 giugno 2015. Una manciata di ore dopo farà diciassette anni.

Bastano pochi minuti in campo per suggellare una decisione da cui non può tornare indietro: Mastour sceglie i Leoni dell'Atlante. Nonostante avesse vestito la maglia italiana nell'Under 16, nonostante le pressioni per farlo continuare in azzurro. Il Marocco accoglie la decisione mostrandosi onorato, lo coccola e gli offre la maglia numero 10.

Una decisione che avrà consapevolezza, dietro, ragioni profonde. I risultati di un sondaggio di quei giorni, sul sito della Gazzetta, appiattiscono la questione: per il 64% dei votanti, «Se è bravo come dicono, avrebbe fatto meglio ad aspettare l'Italia».

Dall'esordio a oggi, in nazionale marocchina non ha più giocato. Neanche con le selezioni giovanili.

Il giorno dell'esordio, minuto 89. “He will become something great” ha detto il telecronista poco prima. Il calore di Amrabat che viene sostituito, lo sguardo con i tecnici, il boato dello Stade Adrar di Agadir.

È nato a Reggio Emilia, da genitori marocchini, il 15 giugno 1998. Probabilmente è il primo calciatore della seconda metà dei Novanta di cui si è parlato a livello mainstream. Quando a Sky gli chiedevano chi fosse l'allenatore a cui era più legato, rispondeva: “Mio padre”. Quando a Sky gli chiedevano chi fosse l'allenatore a cui era più legato, Mastour aveva quattordici anni.

È proprio al Mapei Stadium, l'impianto della sua città, che viene schierato da Pippo Inzaghi per il Trofeo Tim del 2014. Il Milan vince la manifestazione, per l'esplosione di Hachim sembra solo questione di tempo.

Lo voleva l'Inter, di cui aveva indossato i colori in un torneo giovanile. Ma un problema legato alla sua età, minore di quattordici anni, non gli permetteva di lasciare la regione d'origine. E allora, dopo un periodo alla Reggiana, si era inserito il Milan. Che pazientemente aveva atteso il quattordicesimo compleanno, aveva trovato l'accordo con la famiglia e l'aveva acquistato, per 2,1 milioni di euro secondo Transfermarkt.

Nella fase di mezzo Mastour dimostrava di conoscere già la grammatica e le consuetudini del rapporto coi giornalisti: «È vero che sei vicinissimo al Milan?”, “Di queste cose si occupa il mio procuratore».

Nel maggio 2014 il tecnico rossonero Seedorf lo convoca per l'ultima gara di campionato. Hachim non ha ancora sedici anni. Quella sera non entra in campo, il gran debutto è rimandato. Si parla comunque moltissimo di lui in panchina.

Una sovraesposizione che stride beffardamente con la parola Mastour, che in arabo significa “nascosto”. Il gran debutto con la prima squadra del Milan non ci sarà più.

Arriva al Málaga nell'estate 2015, circondato dall'attesa. È una scelta oculata: un club attento ai giovanissimi, che gestisce con criterio e schiera ben volentieri. In quel 2015/16 Mastour raccoglie la miseria di cinque minuti nell'unica presenza. Doveva fermarsi per due stagioni, invece basta quella.

Al PEC, nella città industriale di Zwolle, le cose migliorano solo perché non possono peggiorare. 6 presenze complessive con la prima squadra e una decina con la rappresentativa Under 21. Flop, bluff, fallito. La stampa olandese lo inserisce tra le peggiori delusioni del campionato.

Incontra i tifosi dello Zwolle e uno gli mette in braccio un bambino di pochi mesi, che lui non ha idea di come tenere mentre gli scattano la foto.

Fino alla convocazione di Seedorf in prima squadra, Mastour aveva giocato 22 minuti in Primavera. E già in quel contesto non sembrava pronto fisicamente.

Forse il punto è che gli si è chiesto di rappresentare la mera estetica, l'estro, il dono ricevuto, prima di avere un corpo formato e un comportamento da atleta. “Inscena l'art pour l'art” notava Fabrizio Gabrielli due anni fa. Mastour non aveva ancora fatto niente a livello professionistico e già aveva i riflettori puntati sul proprio talento, come se il talento potesse bastare, nel calcio e fuori.

L'esaltazione nei suoi confronti si è alzata e abbassata come un'onda anomala. È possibile accelerare in questo modo le cose? Quanto veloce vogliamo che vada il mondo, e cosa siamo disposti a sacrificare in cambio?

La sua pagina Instagram mette insieme foto recenti di lui che scende da auto sportive, lui che fa la V di Vittoria, lui con ex campioni del Milan, e frasi tipo “Always Believe” e “Work always pays off!!!”. Siamo lontani dai tempi in cui sfidava i fan a palleggiare con la frutta, in una camera con l'orsacchiotto sopra al letto.

La presentazione del suo blog. “Vi racconterò quello che mi succede, la mia vita, le mie emozioni, i miei desideri, ma anche le mie difficoltà”. Oggi il sito non esiste più: digitare www.hachimmastour10.com porta a una pagina vuota.

Nell'estate 2013 viene chiamato dalla Nike per testare il nuovo pallone della serie A della stagione in arrivo. Pochi mesi dopo è il protagonista di uno spot di Red Bull insieme a Neymar. Devono scambiarsi colpi a effetto, mostrare le abilità. Hachim ha quindici anni e mezzo. Dopo un trick sorride al neoacquisto del Barcellona, che però non ci bada affatto. Poi si affrontano a un videogioco: completamente estranei, costretti a fingersi complici, Mastour è rigidissimo e Neymar addirittura parla solo in portoghese.

Tutto questo, insieme alle immagini dei palleggi in solitaria con l'arancia e la palla da calciobalilla, a considerarlo oggi, nella fase complicata che Mastour deve attraversare, fa pensare ai numeri circensi di un freak costretto a esibire sé stesso e il proprio talento. Suggestivo che Raiola, in una bassa polemica con Paolillo, scegliesse un'immagine in questa stessa direzione: «Non mi piace il circo intorno a lui».

Non è certo l'unico: viene da immaginare Mastour circondato da ex predestinati che battono i pugni sul tavolo delle illusioni e dicono “Uno di noi / Uno di noi”.

Alcuni di quelli hanno smesso col calcio, altri sono riusciti a trovare un equilibrio. Che poi è l'unico augurio possibile per lui, adesso, mentre i riflettori si spostano altrove e già in molti hanno deciso che si è bruciato.

«Il mio cammino è molto lungo e difficoltoso» diceva lanciando il suo blog: «Vorrei condividerlo con voi».

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