Nel 1999 Martina ha solo 18 anni, ma ha già vinto cinque tornei Slam in carriera. Punta al sesto in finale al Roland Garros, sarebbe il suo primo titolo sulla terra parigina. Ha già giocato una finale a Parigi, nel 1997, il suo anno d’oro: lì avrebbe realizzato il Grande Slam, se solo non si fosse messa di mezzo una carneade come Iva Majoli, che sorprende tutti sconfiggendola in due set. Adesso invece sta giocando contro Steffi Graf, più vecchia di lei di undici anni, che ha cominciato a vincere tornei quando Martina andava alle elementari. Però è lei, svizzera di origini slovacche, chiamata così in onore di Martina Navratilova, a tenere in pugno il match. È avanti 6-4 2-0. Forse è finalmente la sua giornata: magari ci vorrà un’altra mezz'ora, forse qualcosa di più, sembra comunque solo questione di tempo prima che vinca l’unico Slam che manca alla sua giovane carriera. Ma lì accade qualcosa.
Graf è al servizio, Martina risponde col dritto. La palla cade nei pressi della linea, arriva la chiamata del giudice di linea: è out. A veder bene, la palla sembra dentro, e anche la piccola svizzera ne è convinta: si avvicina alla rete per verificare meglio in prima persona. L’arbitro di sedia Anne Lasserre scende dal suo seggiolone: cerca il segno, non lo trova. Dà per buona la chiamata del giudice di linea. A quel punto Martina entra nel campo avversario e continua a muoversi intorno al punto incriminato in cui è rimbalzata la palla. Non è permesso, e così riceve un penalty point: in un colpo solo perde due 15.
Non si dà pace, per lei la palla è dentro, si siede sulla sua panchina, come se non volesse più riprendere a giocare. Il pubblico comincia a fischiare, i supervisor entrano in campo per parlare con lei e convincerla a tornare in campo. Solo a quel punto Hingis torna sui suoi passi, sorridendo nervosamente. La gente ammassata sugli spalti del Philippe Chatrier continuerà a riempirla di fischi, schierandosi apertamente con la tedesca.
Da lì, Hingis si aggiudicherà appena cinque game e il titolo finirà nelle mani di Steffi Graf, vittoriosa per 4-6 7-5 6-2. Al servizio sotto 2-5 nel terzo set, Hingis annulla un primo match point dell’avversaria con un servizio da sotto, lo stesso colpo con cui Michael Chang diciassettenne aveva mandato in tilt Ivan Lendl sempre sullo Chatrier, esattamente dieci anni prima. Ma stavolta, invece di esaltarsi per la tenacia dell’adolescente che batte il campione, il pubblico è offeso dall’oltraggio alla veterana, e continua a fischiarle contro.
Terminato l’incontro con una gelida e impersonale stretta di mano alla sua avversaria, Martina scompare. Si infila negli spogliatoi, l’organizzazione del Roland Garros si allarma: serviranno le rassicurazioni di mamma Melanie perché Hingis torni in campo per la premiazione. Ha gli occhi gonfi, la faccia bagnata dalle lacrime: il pubblico, impietoso fino a dieci minuti prima, si scioglie e la applaude. In mezzo al campo, Graf, attorniata dai fotografi, spende un pensiero per l’avversaria scossa: «Non essere delusa, hai un futuro meraviglioso davanti». Ripensa a lei, Steffi Graf, preconizzando una carriera altrettanto prosperosa per la ragazzina capricciosa. Dopo quella partita, la tedesca avrebbe giocato solamente altri due mesi, poi avrebbe detto addio al tennis. Ecco perché, nella cornice parigina, dice: «È la vittoria più bella della mia carriera». Sa bene perché: non vincerà altri titoli Slam nel singolare. La sua avversaria, quella dal futuro meraviglioso, neanche.
Le battute conclusive della finale di Parigi del 1999.
Oggi Martina ha 34 anni e poche settimane fa ha vinto il titolo di doppio misto agli Australian Open in coppia con l’indiano Leander Paes, battendo il duo Kristina Mladenovic - Daniel Nestor 6-4 6-3. Se già il doppio negli anni ha perso il suo prestigio—consentendo a tennisti ultratrentenni di dominare la scena indisturbati—, figurarsi il doppio misto, visto come piacevole diversivo, quasi un passatempo. Eppure, quando l’ultimo colpo della francese Mladenovic muore sulla rete, Martina urla la propria gioia e abbraccia il suo compagno con una veemenza che sembra quasi imbarazzare il quarantunenne indiano. Poi si ricompone, ma sfoga l’emozione parlando alla stampa: «Non avrei mai immaginato di tornare a vincere, a vent’anni dalla mia prima partecipazione a questo torneo, nemmeno nei miei sogni più sfrenati. Grazie, Leander, per avermi chiesto di giocare con te».
Nel nome di Martina Navratilova
Martina Hingis nasce nel 1980 a Kosice, nell’ex Cecoslovacchia, e prestissimo la madre Melanie decide di farne una campionessa: a due anni si ritrova già con una racchetta in mano, a quattro partecipa al primo torneo. La affascina anche l’equitazione, ma quando, nel 1986, si trasferisce in Svizzera con la madre, pur continuando a montare sui suoi adorati Montana e Shubidu, finisce per dedicarsi al tennis. Fin da bambina dimostra uno spiccato talento: è in grado di battere anche ragazze più grandi e più alte di lei, tanto che a 12 anni e 8 mesi vince il Roland Garros junior, contro avversarie che avevano anche 18 anni, un record assoluto di precocità per un torneo Slam Under-18.
Esordisce nel circuito professionistico a 14 anni appena compiuti, l’età minima consentita. Il suo primo torneo lo gioca a Zurigo nell’ottobre del 1994, dove al primo turno elimina la statunitense Patty Fendick, 29 anni, un’era geologica a separarle. Poi, però, si deve arrendere a Mary Pierce, numero 5 al mondo, che quell’anno aveva disputato la finale del Roland Garros. In quel torneo è presente anche Martina Navratilova, ormai trentottenne, in una delle sue ultime apparizioni da singolarista prima del ritiro che avverrà di lì a poche settimane. Le due non si incrociano, se non fuori dal campo: a Navratilova, che si rilassa nel player lounge tenendo in una mano Piano infinito di Isabel Allende e nell’altra il guinzaglio che lega il suo toy fox terrier Killer Dog (che ha la stessa età di Martina), fa specie vedere una ragazzina così giovane sul suo stesso proscenio: «Non approvo, ma chi sono io per giudicare?». Del resto quella giovane atleta è prontissima per il grande salto: solo un anno dopo, ad Amburgo, approda per la prima volta in finale di un torneo, dove viene sconfitta dalla spagnola Conchita Martínez.
Nel 1996 stabilisce un altro primato di età: a 15 anni, in coppia con la ceca Helena Sukova, vince il titolo di doppio a Wimbledon. Mai, nella storia dei Championships, c’era stato un vincitore così giovane. A 16 anni, Martina è già tra le prime dieci del ranking WTA e si guadagna il diritto di disputare il Master di fine anno al Madison Square Garden di New York. La svizzera fa fuori, nell’ordine, Irina Spirlea, Kimiko Date e Iva Majoli. C’è lei, in finale, ad affrontare la pluridecorata Steffi Graf, campionessa in carica, contro cui aveva perso poche settimane prima in semifinale agli US Open. Vincerà la tedesca, ma Hingis sboccerà come tennista di fronte al mondo intero. Il suo gioco, così straordinariamente pulito ed efficace, colpisce il pubblico. La finale viene giocata al meglio dei cinque set, evento raro nel tennis femminile, e finisce 6-3 4-6 6-0 4-6 6-0 per Graf, ma il mondo ha capito di avere di fronte una nuova giocatrice di altissimo livello.
C’è qualcosa però che non quadra, l’ultimo game del match: Graf ha la partita in pugno, è avanti 5-0, difficile ribaltare la situazione. Martina quel game non vuole giocarlo, appare poco combattiva e incassa persino due ace. Lo scambio più lungo dura appena tre colpi. Tra un punto e l’altro cammina in maniera indolente, alza gli occhi al cielo, non nasconde la sua profonda delusione. Non sopporta la sconfitta, si impunta, e quando deve arrendersi non vuole lasciare all’avversaria la soddisfazione di godersi la vittoria.
Pochi mesi prima si erano giocati gli Internazionali di Roma, e la quindicenne Martina giocava contro l’italiana Sandra Cecchini, che aveva il doppio dei suoi anni. È il secondo game del primo set: la Cecchini batte, la palla tocca il nastro, ma Hingis risponde lo stesso e fa punto. L’italiana fa notare all’arbitro di sedia che il punto è da rigiocare per via del tocco del nastro, e chiede conferma l’avversaria, ma Martina, noncurante, nega seccamente. La Cecchini si innervosisce e a fine partita si sfoga: «Una ragazzina non può comportarsi così. Prima era tutta carina: mi ha chiesto anche di giocare a carte. Dopo la partita, ha avuto il coraggio di dirmi: ‘Scusa, non sono abituata a fare queste scene, ma siccome siamo in Italia e tendono a regalare i punti a voi ho dovuto tutelarmi’. Ma come si permette?». Sarà un torneo felice per Hingis, che ai quarti si toglierà la soddisfazione di battere Graf. In finale però dovrà arrendersi, ancora una volta, a Conchita Martínez. Ma è solo questione di tempo: nell’autunno del 1996 arrivano i primi titoli da singolarista, ad ottobre batte a Filderstadt la tedesca Anke Huber, mentre a novembre supera Monica Seles sul cemento di Oakland.
I record di gioventù di Martina Hingis
- Vincitrice più giovane di un torneo Slam Under-18 – 12 anni
- Vincitrice più giovane di un match in uno Slam – 14 anni
- Vincitrice più giovane di un torneo Slam (doppio Wimbledon 1996) – 15 anni
- Vincitrice più giovane degli Australian Open – 16 anni
- Vincitrice più giovane di Wimbledon – 16 anni
- Giocatrice più giovane a raggiungere il primo posto nel ranking – 16 anni
Toccare il cielo
Ad inizio 1997 Martina è considerata una delle giocatrici più interessanti del circuito, ma non certo una delle favorite. E invece la svizzera esplode: trionfa agli Australian Open contro Pierce, a Wimbledon contro Jana Novotna e agli US Open contro Venus Williams. Manca il Grande Slam per un soffio, arrendendosi in finale al Roland Garros contro Iva Majoli. In tutto, nel 1997 vince dodici titoli, diventando la bestia nera di Monica Seles (battuta in tre finali in quell’anno) e riuscendo finalmente a prendersi la rivincita su Conchita Martínez, sconfitta al torneo di Stanford. A marzo, Hingis si prende la piazza più alta del ranking, che manterrà in tutto per 209 settimane: a 16 anni, 6 mesi e 1 giorno, è la più giovane numero 1 della storia.
La finale degli Australian Open del 1997: Martina Hingis supera Mary Pierce 6-2 6-2.
A inizio 1998 è lei la regina assoluta del circuito: Graf fuori da mesi perché alle prese con problemi fisici, Novotna in fase discendente, Lindsay Davenport e Monica Seles le avversarie più credibili, ma sempre sconfitte da Hingis, e le sorelle Williams ancora semisconosciute. Il ranking di fine 1997 restituisce l’immagine del vuoto creato dalla svizzera: i suoi 6.264 punti sono quasi il doppio dei 3.753 di Jana Novotna, la numero due dell’epoca.
Hingis comincia la stagione vincendo il secondo Australian Open in carriera, superando agevolmente in due set Conchita Martínez; si ferma in semifinale a Parigi e a Londra, mentre a Flushing Meadows manca il bis, superata in finale da Lindsay Davenport. A fine anno sarà proprio l’americana a prendersi il primo posto nel ranking, seppur per pochissimi punti. In compenso, quell’anno Hingis ottiene un risultato stratosferico nel doppio: vince tutte le prove dello Slam, in Australia in coppia con Mirjana Lucic e con Jana Novotna nel resto dell’anno. In tutte e quattro le finali sconfiggerà la coppia formata da Natasha Zvereva e Lindsay Davenport. Una piccola vendetta, completata da un’altra vittoria su Davenport al Master di fine anno.
Nel 1999 vince il suo terzo Australian Open, superando in finale la francese Amélie Mauresmo. Quello sarà il suo ultimo Slam vinto da singolarista: Martina continua a giocare ad alti livelli, ma sempre più spesso si arrende sul più bello. Qualcosa è cambiato, non è più la ragazzina di qualche anno prima, adesso è la campionessa affermata che ha l’obbligo di imporsi. Non è ancora abituata a questa pressione, alla tenera età di 18 anni e mezzo, la conseguenza è la scenata nella finale persa al Roland Garros contro Graf. E poi, c’è qualcos’altro: il 12 settembre 1999 gioca la finale degli US Open, uscendo sconfitta. Di fronte c’è una giovanissima Serena Williams, che porta a casa il suo primo major. L’inizio di un nuovo dominio è vicino, il regno della Hingis sta per finire.
Nel 2000 Martina continua a ottenere ottimi risultati. Vince nove titoli, tra cui il Masters di fine anno. Non riesce però a vincere nessuno Slam. Arriva in finale agli Australian Open, ma perde ancora contro Lindsay Davenport, un epilogo che si ripete anche nei due anni successivi, quando si arrende per due volte a Jennifer Capriati.
Nel frattempo la Svizzera conosce un volto nuovo del tennis nazionale: Roger Federer. Nel 2001 vince il suo primo titolo ATP, a Milano. Nello stesso anno, Federer e Hingis giocano per la prima volta insieme in Hopman Cup e vincono il torneo. Tra i due tennisti svizzeri ci sono solo undici mesi di differenza d’età, ma, mentre la carriera di Federer è in costante ascesa, quella di Martina sembra precipitare. Tra il 2001 e il 2002 vince appena cinque tornei. Si assenta sempre più spesso, per problemi ai piedi e alle caviglie. Gioca per l’ultima volta nell’ottobre del 2002 a Filderstadt, il primo torneo che aveva vinto in carriera, sei anni prima.
https://www.dailymotion.com/video/x27xogh_2001-seles-gambill-def-hingis-federer_sport
Martina Hingis in coppia con Roger Federer alla Hopman Cup del 2001.
La notizia del ritiro arriva a febbraio 2003: a soli 22 anni, i soliti fastidi alle caviglie costringono Martina ad abbandonare il tennis, anche se, nella sua decisione, c’è anche la constatazione di non riuscire più ad essere all’altezza della sua fama. Se qualcosa ha posto un freno alla carriera di Martina Hingis, ancor più che gli infortuni, è stato il suo carattere, competitivo fino all’esasperazione, non solo nel tennis. Se questo ha aiutato nei primi anni della carriera per diventare una campionessa così precoce, una volta consacratasi il fastidio di perdere se lo è trascinato dietro come un peso, la cui zavorra si è accentuata proprio negli appuntamenti cruciali della stagione. Non appena le sconfitte si sono accumulate, concentrandosi poi in maniera importante proprio nelle finali, Hingis ha capito che la sua emotività era più forte del suo talento. Quando, dopo aver perso a Parigi con Amelie Mauresmo, si riduce a chiamarla «metà uomo» per via dell’omosessualità della francese, dimostra la sua impotenza di fronte alla sconfitta, la sua incapacità di sopportarla.
Se fosse rimasta nel circuito nell'era del dominio delle sorelle Williams, magari Hingis con un’altra testa avrebbe continuato a competere ad alti livelli. Il suo gioco rappresenta l’anello di congiunzione tra il tennis vecchio stile fatto di tecnica e variazioni, incarnato da un mostro sacro come Steffi Graf, e il nuovo stile, il power tennis basato sulla potenza fisica e sui colpi a tutto braccio, la cui diffusione si deve soprattutto al cambiamento dei materiali impiegati per le racchette e alla progressiva uniformazione delle superfici di gioco. Prima delle Williams, Monica Seles, Jennifer Capriati e Lindsay Davenport erano state le maggiori interpreti di questo nuovo gioco, che via via ha contaminato la maggior parte delle giocatrici.
Eppure Hingis non ha mai sofferto questo tipo di avversarie, riuscendo a cogliere gran parte dei successi proprio superandole negli appuntamenti più attesi della stagione. Hingis sapeva come affrontare questo tipo di avversarie: sopperiva con l’intelligenza al fatto di non essere fisicamente potente, aveva una visione del campo e una capacità fuori dal comune di prevedere i colpi dell’avversaria, come se avesse trascinato su un campo da tennis l’abilità di un giocatore di scacchi, abbinandola alla sua idea di tennis geometrico, fatto di colpi precisi da fondo campo ma anche di frequenti discese a rete. La precisione con cui colpiva la palla, il variare dei colpi e del ritmo, il cercare sempre la soluzione inaspettata, il trovare angolazioni ardite erano il suo tennis. Uno dei suoi colpi preferiti era la palla corta, soluzione che oggi in campo femminile poche tenniste osano provare. In più, la ricerca della rete metteva in risalto la grande sensibilità con cui riusciva a colpire la palla. Questo, però, non le impediva di variare tattica e decidere di affrontare le avversarie più strutturate fisicamente. In questo Martina è stata davvero innovativa, nella capacità di coniugare l’eleganza e la varietà del suo tennis con un gioco più duro e solido: se c’era da colpire forte non si tirava indietro. Proprio come Roger Federer, il connazionale che stava emergendo negli stessi anni in cui lei stava svanendo. Come lui, Hingis è riuscita a mantenere un proprio stile sapendo anche adattarsi a quanto il tennis stava esprimendo in quel periodo. Una lezione che poi è stata appresa al meglio da Justine Henin, che in qualche modo ha raccolto idealmente la sua eredità.
Errori gratuiti
La Hingis testimonial per una cucina.
«Voglio giocare a tennis solo per divertimento. D’ora in poi, mi concentrerò sull’equitazione e sugli studi». Hingis esce di scena con queste parole, ma il tennis rimane nella sua vita. È protagonista di diversi spot pubblicitari, tutti farciti di immagini di Martina che impugna la racchetta. Nel frattempo, mentre gira il mondo, medita di diventare coach a tempo pieno, ma il richiamo è troppo forte. Così, a fine 2005, Martina annuncia il ritorno in campo: «Non sono mai stata felice del fatto che gli infortuni abbiano condizionato la mia carriera. Mi sono divertita lontano dal campo, ho passato un periodo che mi ha permesso di sperimentare altri lati della vita. Ma mi manca il tennis e la competizione ad alti livelli, così voglio vedere se posso giocare senza infortunarmi e competere con le migliori». Nonostante i tre anni e passa di inattività, Hingis si dimostra fin da subito competitiva. All’esordio vince il doppio misto agli Australian Open, in coppia con l’indiano Mahesh Bhupathi. Nel doppio Martina è stata prima nel ranking per 35 settimane, facendo proprio anche un record per pochi eletti: è una delle cinque tenniste nella storia ad essere stata numero uno nel singolare e nel doppio contemporaneamente.
Ma la svizzera si dimostra di nuovo all’altezza anche sul versante del singolare, tanto che nel suo torneo preferito, gli Australian Open, si spinge fino ai quarti di finale, fermata da Kim Clijsters. A maggio vince gli Internazionali d’Italia, superando in finale Dinara Safina in due set e raccogliendo la sua prima vittoria in singolare dopo oltre quattro anni (l’ultima era stata a Tokyo nel febbraio 2002). Riesce, con sorprendente facilità, a tornare tra le prime dieci al mondo, guadagnandosi così pure l’accesso al Masters di fine anno (anche se si fermerà al round robin di fronte alle più quotate Henin e Mauresmo). A settembre trionfa a Calcutta, nel febbraio dell’anno successivo vince per la quinta volta il torneo di Tokyo. Poi a Wimbledon 2007 viene trovata positiva alla cocaina, sceglie di non difendersi pubblicamente e si chiude in un silenzio interrotto solamente da un amaro comunicato stampa. «Contro di me accuse immonde e mostruose. Io non ho mai fatto uso di sostanze dopanti. In tutta la mia carriera sono sempre stata trasparente ed onesta. È innegabile che per me era sempre più difficile competere ad alti livelli, sia a livello fisico che psichico. Accuse come questa sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Quindi, considerata la situazione, la mia età ed i problemi dell’anca, ho deciso di lasciare il tennis professionistico». Martina avanza dei dubbi anche sull’attendibilità dei test, sulle procedure utilizzate e persino sulla paternità di quei campioni di urina. A sua difesa, sostiene di «essersi sottoposta ad un test sulla cocaina attraverso i bulbi piliferi, con esito negativo». Ma, siccome non ha «alcuna voglia di passare i prossimi anni a battersi contro le organizzazioni antidoping», decide di arrendersi. La Federazione internazionale la squalifica per due anni, il tennis sembra ormai un capitolo chiuso.
Ma Martina Hingis non riesce a far smettere di parlare di sé, perché attorno a lei gravita costantemente un nugolo di uomini, soprattutto personaggi dello sport: il tennista Magnus Norman, il calciatore Sol Campbell e il golfista Sergio García. Con il collega Radek Stepanek prima e con l’attore Andreas Bieri poi il matrimonio era ad un passo: annunciato in pompa magna, in entrambi i casi è stato misteriosamente cancellato a poche settimane dalla grande data. Finché Martina non si è sposata per davvero, con l’asso dell’equitazione francese Thibault Hutin. Celebrato nel 2010, il matrimonio tra i due è finito presto in pezzi, e la causa per il divorzio si trascina ancora oggi. Hutin, sei anni più giovane della Hingis, ha accusato la moglie di essere un’adultera seriale: a un primo tradimento, avvenuto a un anno dalle nozze e perdonato dal marito, ne sarebbe seguito un altro, che di fatto sancì la fine della liaison.
Hutin racconta i retroscena della relazione: «Dovevamo incontrarci a New York e io volevo farle una sorpresa. La sorpresa, invece, l’ho ricevuta io: sono andato nella sua camera d’albergo e ho visto che non era sola. Ho cercato di salvare il matrimonio, ma poi ho scoperto che mi aveva tradito un’altra volta. Credo che Martina abbia una concezione tutta personale della moralità. È fatta così e credo che sia sempre stata infedele verso i suoi fidanzati». Qualche anno dopo, nel 2013, il povero Hutin sarebbe stato picchiato da Hingis e dal compagno della madre, che avrebbe frantumato sulla testa del povero francese un lettore dvd. Spaventato a morte, Hutin ha allertato la polizia, aggiungendo: «Più tardi Martina mi ha mandato un sms in cui minacciava di mandarmi dei sicari russi per uccidermi». Motivo del contendere, le elevate richieste economiche dell’uomo a seguito della separazione.
«Fuori dalla tomba»
Nella carriera di Martina gli “invece” sono una costante, un rassicurante refrain: così a fine 2013 ci riprova, tornando al tennis professionistico per la terza volta, questa volta dedicandosi esclusivamente al doppio. Nello stesso anno, Hingis viene inserita nella International Tennis Hall of Fame.
Quando la slovacca Daniela Hantuchova fa pressioni su di lei perché faccia coppia con lei nel doppio, lei accetta subito e racconta cosa significhi stare su un campo con una racchetta in mano: «È stato fantastico tornare a giocare. Daniela ha avuto molto coraggio e mi ha tirato fuori dalla tomba. Ero nervosa prima di entrare in campo, ma lei è stata davvero solida e mi ha dato molto fiducia. Dopo il primo set è stato puro piacere».
Qualche mese prima aveva confessato di pensare con insistenza, da anni, ad un ritorno in campo, ma non aveva trovato il coraggio, limitandosi a fare la coach con la russa Anastasija Pavlyuchenkova e poi con la tedesca Sabine Lisicki, ma senza successo. Aveva pure ideato una collezione di abbigliamento, la Tonic Lifestyle Apparel, pensata appositamente per le tenniste. Ma poi si è trovata a ripetere, per l’ennesima volta: «Amo stare sui campi da tennis».
Non in singolare, però, per una questione di forma fisica e per la consapevolezza di non poter primeggiare. Nel doppio, invece, tutto le riesce più facile, e nel 2014 vince tre titoli: a Miami con Sabine Lisicki, a Wuhan e Mosca con Flavia Pennetta. Con Pennetta prende parte anche al tabellone di doppio degli US Open, dopo che l’anno prima ci aveva provato con Daniela Hantuchova, con la delusione dell’eliminazione al primo turno. Ma con Pennetta è tutta un’altra storia: le due avanzano spedite nella competizione, senza perdere nemmeno un set. In tutto, lasciano 22 giochi alle loro avversarie nelle cinque partite che scandiscono l’avvicinamento alla finale, che viene disputata contro Ekaterina Makarova ed Elena Vesnina: non andrà per il verso sperato, si imporranno le russe 2-6 6-3 6-2.
Ma il 2015 è subito ricco di soddisfazioni: il 10 gennaio vince a Brisbane in coppia con Sabine Lisicki, battendo il duo Caroline Garcia – Katarina Srebotnik 6-2 7-5. Il modo migliore per avvicinarsi al torneo che più le è rimasto nel cuore, gli Australian Open, dove partecipa sia al doppio femminile sia a quello misto. Nel primo, rinnova l’intesa con Flavia Pennetta, ma dopo aver superato le coppie Bencic - Siniakova e Hantuchova - Knapp, si fermano al terzo turno contro il tandem orientale Chan - Zheng. Nel doppio misto con Leander Paes invece è un cammino inarrestabile: nessun set perso sulla strada che porta al successo in finale, 6-4 6-3 su Nestor e Mladenovic. L’indiano, dodici anni prima, aveva vinto lo stesso titolo a Melbourne con un’altra Martina, Navratilova, come a chiudere un cerchio.
Una clip che ripercorre i colpi più belli e i momenti significativi della carriera di Martina Hingis.
Conclusioni
Per ora Martina ha negato di voler riprendere a giocare da singolarista. «Non chiedetemi di tornare in singolare. Non sono pronta ad allenarmi quattro ore al giorno, soprattutto quando fa caldo. Ho già effettuato un ritorno in singolo, ma poi non ce la facevo più». Continuerà a giocare in doppio: quando Paes, dopo la vittoria degli Australian Open, ha osato virare sull’argomento con tono speranzoso («Il futuro del progetto dipende da lei...»), Martina ha esclamato: «Ma certo!». Anche perché il suo sogno si chiama Rio 2016: per questo ha dato la disponibilità a giocare in Fed Cup per la Svizzera e garantirsi così il pass per le Olimpiadi. Le uniche che disputò furono nel 1996, ad Atlanta: partecipò a tutte le specialità (singolare, doppio, doppio misto), fermandosi al secondo turno nel singolo e ai quarti degli altri due tabelloni.
Ci vorrebbe una medaglia olimpica per sigillare un'altra volta la sua carriera: nel 2012 Federer le aveva chiesto di giocare il doppio misto in coppia nel torneo olimpico disputato a Wimbledon, e all'epoca lei rifiutò. «Non credo sia il caso, mi piacerebbe ma tu dovresti concentrarti soltanto su singolare e doppio», le parole di Martina riportate da Federer stesso. Che le ha risposto: «Ok, non se ne fa nulla. Siamo felici tutti e due, tu sei felice di esserti ritirata, io sono felice di stare in campo». L'ironia della sorte è che dopo le Olimpiadi di Rio i ruoli potrebbero invertirsi: il 2016 è atteso un po' da tutti come l'anno in cui Federer finalmente lascerà, mentre Martina, nella sua terza vita tennistica, potrebbe continuare a correre e alzare piccoli e grandi trofei per ancora molti anni.