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Tutti gli occhi addosso a Paul Pogba
15 lug 2018
Nella Francia di Deschamps, Paul Pogba ha un ruolo minimale in cui si è dimostrando maturo. Aspettando la finale di Coppa del Mondo con la Croazia.
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Paul Labile Pogba ormai ha compiuto 25 anni ed è entrato in quell’età calcistica in cui difficilmente ci riserverà sorprese, nel senso che è improbabile che in futuro si riveli un giocatore del tutto diverso da quello che pensiamo di conoscere. E non c’è un solo appassionato calcistico che non pensi di conoscere Paul Pogba.

Eppure, come spesso accade, anche se tutti sono sicuri allo stesso modo di sapere chi è Pogba, le opinioni su di lui divergono in modo estremo e per forza di cose qualcuno deve sbagliare. Pogba è uno dei giocatori più divisivi della sua generazione anche perché è uno dei più difficili da valutare oggettivamente: a 25 anni non è detto che Pogba abbia già fatto tutto quello che può fare; ma è vero anche che c’è chi alla sua stessa età ha fatto molto di più.

A 25 anni ha vinto quattro Scudetti - giocando un’ultima stagione in Serie A impressionante, con un dominio tecnico e fisico incontenstabile - una manciate di coppe Nazionali e una Europa League con lo United. Ma ha perso la finale di Champions League contro il Barcellona e viene da un paio di stagioni altalenanti, diciamo. E proprio poche settimane fa, Fabio Capello commentando il Mondiale della Francia ha detto che Pogba dominava in Italia per la sua forza fisica, ma che fuori dall’Italia è un giocatore “normale”.

Il suo talento è sotto gli occhi di tutti, ma sembra che a Pogba manchi ancora la partita, o anche il singolo momento - ma deve essere un momento importante - da sbattere in faccia ai suoi detrattori (come gli sbatte in faccia il suo stile).

Sapete a quale altro giocatore francese, proprio quando aveva 25 anni (anzi 26) mancava ancora un momento di gloria a rappresentazione del suo talento? Un giocatore che veniva da due finali di Champions League perse (proprio con la Juventus) e che aveva giocato un Europeo opaco due anni prima di giocare un Mondiale?

E che poi, proprio alla fine di un Mondiale in cui non era mai riuscito ad essere decisivo, quella partita l’ha avuta cambiando per sempre il modo in cui le persone lo avrebbero guardato?

Bravi, avete indovinato.

Il paragone con Zinedine Zidane è pretestuoso e lascia - almeno nelle mie intenzioni - il tempo che trova, ma è utile per ragionare su quanto una carriera intera possa cambiare in pochissimo tempo. Anche il talento di Zidane era diventato ormai evidente a tutti prima del giugno 1998, ma veniva comunque messo in discussione. Non importava quello che aveva fatto, da lui ci si aspettava molto di più.

«Con Zizou ritroviamo una parte della nostra anima», ha detto Marcel Desailly prima che Zidane rientrasse in campo, dopo aver scontato il turno di squalifica ricevuto per aver calpestato un giocatore dell’Arabia Saudita. «A condizione che venga lasciato tranquillo», aggiungeva Emmanuel Petit: «Ha una pressione così grande addosso che a volte in campo si perde».

Anche Deschamps, prima di affrontare la suo seconda Coppa del Mondo consecutiva da allenatore della nazionale, ha ricordato che «nel 1998 non era tutto rose e fiori. Ma una squadra che vince alla fine viene amata per forza di cose. Non ho mai visto una squadra vincente non essere amata».

Nel calcio la vittoria fa tanto anche nei confronti dei singoli giocatori, a cui viene perdonato qualcosa in più, che acquisiscono una consapevolezza diversa e giocano magari con maggiore leggerezza. Non sto dicendo che Pogba, se vincesse il Mondiale con la Francia, magari giocando una bella finale - ma neanche se segnasse una doppietta di testa - diventerebbe improvvisamente Zidane.

Voglio piuttosto dire che finora Pogba ha giocato senza quella tranquillità interiore che permette a chiunque di esprimersi creativamente (e i calciatori sono dei creativi). E poche cose sarebbero in grado di far cambiare idea a chi lo considera un sopravvalutato, ma una di queste sarebbe vincere un Mondiale da protagonista. Basta un momento per cambiare tutto, nella più importante che Pogba abbia mai giocato, la finale del Mondiale contro la Croazia.

Prima del Mondiale erano quattro anni che Pogba non parlava con la stampa francese, proprio perché il rapporto si era fatto troppo teso (misura precauzionale che, proprio in questo Mondiale, è stata presa per tutelare Kylian Mbappé).

La prima volta che è tornato davanti ai microfoni con il suo solito swagger, l’aria da spaccone impermeabile alle critiche : «Sembra che in Europa tu non possa giocare a calcio dopo essersi tagliato i capelli. Da adolescente, quando giocavo a Torcy, mangiavamo kebab prima di giocare e vincevamo 6-0. Adesso se ti vedono ballare su Instagram prima di una sconfitta diventa un problema».

Liberation lo ha definito proprio per questo come qualcuno «ossessionato, reso fragile, dallo sguardo degli altri», ma lui ha detto che dopo il passaggio al Machester United, e i 100 milioni che è costato, «tutti mi sono addosso». E dopo la partita di esordio con l’Australia, una partita difficile decisa da un suo rimpallo con il difensore australiano Behich che ha causato il gol del 2-1, in un clima leggermente più positivo del solito nei suoi confronti, ha ribadito: «Lo so che sono il bersaglio di molte critiche. Sono passato dall’essere il giocatore più pagato al mondo al giocatore più criticato al mondo. Mi viene perdonato meno che agli altri, ma lo accetto e non mi impedisce di essere felice in nazionale».

L’impressione è che in questo Mondiale qualcosa sia cambiato per Pogba. Già durante lo scorso Europeo avevo provato a descrivere lo strano minimalismo che a mio avviso rappresenta la parte più autentica e luminosa del talento di Pogba. La capacità di ridurre il suo gioco all’essenzialità pur senza sparire dalla partita o rinunciare al controllo che Pogba sa esercitare su compagni e avversari. In questo Mondiale, in cui la Francia ha il controllo della palla solo per brevi momenti (nel secondo tempo il Belgio ha avuto il 68% del tempo il pallone) e la fase offensiva si risolve velocemente, si stanno perdendo un po’ delle sue dote nel playmaking, ma sta emergendo la sua capacità di leggere i singoli contesti e dominare gli uno contro uno.

Se Pogba lo scorso Europeo era il regista arretrato della squadra, con il compito di far uscire la palla dalla difesa, quest’anno in una squadra maggiormente verticale, che attacca spesso in transizione, si muove lungo tutto l’asse centrale. Coprendo una distanza, una porzione di campo, equivalente a quella di due giocatori, a volte dando l'impressione di essere passato da un'area all'altra con tre passi.

Pogba, in questa Francia, non deve forzare le sue giocate per rompere contesti statici, il suo stile è più fluido e ritmato (i suoi critici direbbero che ha meno "fronzoli"). In un contesto in cui tutti sbagliano qualcosa - la percentuale di passaggi riusciti di Pogba, 79,5%, è la più alta tra i giocatori offensivi della Francia, e chiaramente inferiore a quella del triangolo difensivo Varane-Umtiti-Kanté - i suoi errori pesano di meno. Le sue corse palla al piede, in cui perde volutamente il contatto con la palla per aumentare il passo, e i suoi dribbling in controtempo, vengono percepiti come il tentativo naturale di dare continuità a una fase offensiva elettrica, che ha bisogno di una scintilla per prendere fuoco.

E, a proposito, di statistiche, giocando in una coppia di centrocampisti centrali, Paul Pogba è il giocatore che tramite i passaggi e i dribbling ha fatto più progredire il gioco della propria squadra in questo Mondiale.

E Kanté è il giocatore che ha effettuato più tackle e anticipi (in media su 90’). La coppia perfetta?

La semifinale con il Belgio è stata già una parziale consacrazione. Non abbastanza, certo, ma Pogba, senza fare niente di veramente eccezionale, ha giocato una partita estremamente pulita, con una presenza da un’area di rigore all’altra impossibile (quasi per tutti) da ignorare.

Nel secondo tempo, quando il Belgio ha aumentato il volume del proprio gioco (e ha provato ad arrivare al tiro con i cross dalla destra) Pogba ha eseguito alcune coperture che sarebbero potute costare il gol, anticipando due volte Fellaini e ostacolandolo in un’altra occasione; dopo il 90’, invece, dava ancora sostegno alla fase offensiva: ha mandato al tiro prima Griezmann, con un filtrante di esterno, e poi Tolisso, gestendo un contropiede in superiorità con nessun egoismo. Ha sofferto solo i duelli difensivi con Hazard, che però quando è in forma come in queste ultime partite del Mondiale è quasi indifendibile.

Pogba ha appoggi di qualità davanti a cui passare la palla tranquillamente sui piedi (Griezmann, Mbappé, Giroud); ha appoggi indietro da cui ricevere e con cui scambiarsi la palla se pressato (Pavard, Varane, Kanté); e non ha bisogno di toccare più palloni di tutti per avere influenza sul gioco. Se commette una sbavatura (una palla imprecisa che Mbappé raggiunge prima che esca) o un errore (un dribbling subito con Varane subito dietro pronto, come successo con Hazard) non muore nessuno.

Il suo è ruolo - anche per la volontà di Deschamps - ancora più minimalista, che però per una volta sta venendo apprezzato.

Se Capello intendeva usare la parola “normale” in senso negativo, si sbagliava di grosso. Ma è vero che questo Pogba è un giocatore “più normale” di quello che ci era sembrato in Italia, in un centrocampo di mostri come quello della Juve (con Pirlo, Marchisio e Vidal) in cui da lui più che un’influenza sul gioco ci si aspettava il colpo in grado di spezzare le partite. Pogba oggi fa cose normali, almeno per la maggior parte del tempo, ma le fa eccezionalmente bene. Con un controllo, tecnico, fisico e mentale, che è il segno di riconoscimento dei grandi giocatori.

A questo punto sappiamo che Pogba non sarà mai Zidane, che non avrà mai la visione di gioco né la sensibilità nei passaggi per giocare sulla trequarti offensiva e diventare una macchina da assist, né che è il tipo di giocatore da poter decidere ogni partita con una singola giocata. Ma la sua influenza e la sua calma (che non è trasandatezza, o arroganza) si esprimono in un raggio d’azione ampissimo, con costanza e intensità. E non dovrebbe servire niente di più per riconoscere che Paul Pogba è un eccellente, raffinatissimo e straordinario giocatore di calcio.

Pogba è cresciuto sottraendo al proprio gioco tutto quello che c'era di inutile. Adesso è un giocatore maturo su cui non pesa minimamente "lo sguardo degli altri". Adesso è un giocatore più facile da capire.

Il problema per Pogba non è mai stato solo il modo in cui cura i propri capelli, o il suo carattere estroverso, ma al di là dell’incomprensione sul piano calcistico c’è tutto un livello del discorso che riguarda Pogba che è sempre molto personale. In cui c’entra, a mio giudizio, il razzismo di fondo delle società occidentali, e di quella francese in particolare, nei confronti dei calciatori provenienti dalle periferie, dei figli dell’immigrazione africana e araba che la nazionale francese simboleggia.

Essere giovani e ricchi, senza essere nati già ricchi, è di per sé una colpa in un periodo conservatore come il nostro. Booba, uno dei rapper più famosi in Francia semplifica il conflitto su Netflix dedicato a Karim Benzema e allo scandalo che lo ha escluso di fatto a vita dalla nazionale: «Nel calcio ci sono molti soldi e loro sono solo dei ragazzi di periferia che guadagnano molti soldi. E agli occhi dei dirigenti e dei capi di stato restano dei ragazzi di periferia a cui si danno molti soldi».

Forse anche per questo Paul Pogba è stato sempre chiesto di fare molto di più di quello che in realtà ha sempre fatto piuttosto bene. Pogba non solo è un giovane calciatore di successo, che non fa niente per nascondere il fatto che, effettivamente, è una ficata essere un giovane calciatore di successo, ma in più non è neanche eccezionale in un modo che costringe tutti da accettarlo. Pogba non fa profilo basso come Kanté, né ha l'aria inarrestabile che ha Mbappé. Pogba fa il suo, che per qualcuno non è abbastanza.

Per questo, nonostante tutto, alcuni penseranno sempre che Pogba sia sopravvalutato. Ma oggi c'è da giocare la finale con Croazia, e la Francia potrebbe vincere la sua seconda Coppa del Mondo. E se giocasse una bella partita, una grande partita, se riuscisse a trovare un suo momento, allora diventerebbe evidente che il problema non è certo di Paul Pogba.

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