
L’ultimo gesto del 2016 di Cristiano Ronaldo è stato entrare nella storia, cioè allargare ulteriormente la staccionata della ridente finca che possiede all’interno della storia del calcio, diventando l’unico giocatore, insieme a Pelé, ad aver segnato una tripletta in una finale di Mondiale per Club, o Coppa Intercontinentale.
Il 2016 è stato incontrovertibilmente l’anno di CR7: ha vinto l’Undécima, gli Europei col Portogallo, un Ballon d’Or in maniera plebiscitaria e per finire il Mondiale per Club, con una prestazione individuale pensata specificamente per infrangere ogni favola natalizia, personificazione di uno Scrooge che ce l’ha fatta.
Il tête-à-tête tra Cristiano e Messi sulla lunghezza del chi è il più forte dell’Universo, arrivati a questo punto, deve per forza vivere e alimentarsi anche su altri piani, ridefinirsi attraverso riflessi provenienti dall’esterno che possano moltiplicare gli effetti dello scontro.
Per esempio il tasso di epigonicità.
Tradizionalmente “il Messi di X” è il più forte in assoluto del suo Paese, regione, città o anche squadra di quartiere (spesso Messi e Maradona sono usati come sinonimi di supremazia tecnica): tipo “il Messi del Tor Tre Teste”. Di contro non è che ci siano poi così tanti “Cristiano Ronaldo di X”.
Mi sono chiesto perché: credo dipenda dal fatto che farsi avvicinare (o trovarsi avvicinato) a CR7 comporti dei rischi, e presupponga una serie di attributi che prescindono la classe calcistica, affondando come ramificazioni maligne nei campi dell’appeal, della faccia tosta, del cosplaying più puro. Per farsi dare del Cristiano Ronaldo non basta essere forti.
Nessun ragazzino è stato maltrattato nella stesura di questo articolo, per quanto lo meritasse.
Ho scelto 7 Cristiani Ronaldi, 7 persone che volenti o nolenti si sono trovati a vedere la loro percezione di calciatori legata (con un filo d’oro o con le catene di una condanna pesantissima) al numero dei vizi capitali, degli dei buddisti della felicità ma anche dei sigilli dischiusi i quali verrà l’Apocalisse, e al più celebre calciatore che lo porta sulla schiena.
Il Cristiano Ronaldo del Tajikistan.

Nella votazione per il Ballon d’Or 2015, l’ultimo di Messi, sia il capitano che il tecnico del Tajikistan hanno votato, controcorrente, per Cristiano Ronaldo. I centrasiatici hanno un rapporto d’amore particolare per CR7: quando nel 2009 il portoghese ha tenuto una lezione a dei ragazzini tajiki - facendosi umiliare da uno di questi, GUARDA IL VIDEO SHOCK - le tribune dello stadio di Dushanbe si sono completamente riempite.
In tutto questo, Nuriddin Davronov deve ancora capire per quale ragione si sia meritato l’appellativo di Cristiano Ronaldo tajik.
Ok, Nurridin ha segnato la rete più importante di tutta la storia calcistica del suo paese, la prima a un Mondiale (U17), forse solo meno brillante, ma di un pelo, di quest'altra, che è poi la seconda rete tajika a un Mondiale.
Davronov è un centrocampista centrale, che ama fare playmaking, che sventaglia palle con precisione da una parte all’altra del campo ma non ha né la dominanza fisica, né le accelerazioni prepotenti né la presenza scenica di CR7.
Per quale motivo, allora, precisamente, la FIFA l’avrebbe voluto sovraccaricare di questa responsabilità di chiamarlo “il Cristiano Ronaldo del Tajikistan”? Perché rovinare in questo modo la carriera onesta di un giovanotto come Nuriddin?
Il Cristiano Ronaldo di Singapore.

Irfan Fandi ha diciotto anni e una faccia da schiaffi, un fisico scolpito, spalle larghe e una postura inequivocabile; il Guardian l’ha pure messo tra i 40 giovani più interessanti del 2015, è riconosciutamente una delle stelle del calcio asiatico in pectore: tutti elementi che concorrono plausibilmente a fare di lui il Cristiano Ronaldo della piccola isola-città-stato del sudest asiatico.
Irfan, però, al contrario di CR - che è il sole del suo sistema - ha una figura ingombrante che lo sovrasta, anzi due. Da una parte il padre Fandi Ahmad, forse il più forte calciatore che Singapore abbia mai avuto, quel tipo di padre che viene invitato alle trasmissioni per calciare rigori bendato o per parlare di quanto è stato bello segnare un gol in Coppa Uefa all’Inter. Dall’altra Ikhsan, il fratello minore, in realtà il vero Cristiano Ronaldo di famiglia (nella sua evoluzione già più moderna di centravanti).
Si potrebbe parlare della “Famiglia Più Cristiana Ronalda di Singapore” (i figli si distinguono da dove portano la riga)?
Il Cristiano Ronaldo del Marocco, cioè HM7.
Quelli che lottano sono quelli che vivono.
Tre anni fa Hamza Mazgarni ha aperto un suo canale YouTube: il primo video che ha caricato è una sua rete in rovega contro il Tolosa. Ha 8 anni, e con l’umiltà di chi non è ancora nessuno parla di se stesso solo come Hamza Mazgarni. Nel secondo video, in un cortile polveroso, calcia una punizione che, a fidarsi, dovrebbe essere à la Cristiano Ronaldo; HM7 è un acronimo scherzoso, funzionale alla narrativa di quel video, ma la scintilla dell’estrema convinzione nei suoi mezzi deve esplodere nel cervello di Hamza, a un certo punto, perché di lì in avanti comincia a riprendersi mentre palleggia sul patio di casa, dando mostra di skillz che dovrebbero bastare per farne il NEXT CRISTIANO RONALDO.
Hamza è fortunato perché nel settore giovanile dell’USMAM, la squadra di Ait Melloul, a una manciata di chilometri da Agadir, in cui si sta formando ci sono anche Hakim Aferdi, che per chi non lo sapesse è il prossimo Mesut Ozil, nonché Neymar Tarik.
Hamza deve essersi fatto arrivare a casa il kit del perfetto cosplayer: tutorial su come tagliarsi i capelli nella maniera aerodinamica del lusitano, swag da spruzzare sul torace prima di scendere in campo. Le sue punizionialla CR si affinano campo sabbioso dopo campo sabbioso, minareto dopo minareto sullo sfondo, finché qualcosa di vagamente somigliante prende forma e allora HM7 comincia a crederci davvero.
Che ci crediate oppure no grazie alla sua cristianoronalditudine ha strappato un ingaggio nell’esaltante e idilliaco calcio ucraino: la sua parabola inevitabilmente destinata a schizzare verso l’infinito inizia da Karkhiv, dove gioca con il Metalist (ma non quello in cui giocava il Papu, quello è fallito: un altro).
E dove nel frattempo ha virato, in quanto a aspirazioni, sulla figura di Neymar.
Il Cristiano Ronaldo dell’Honduras

Cristiano Ronaldo Reyes Rhodeside è l’unico Cristiano Ronaldo di questa lista a essere davvero un Cristiano Ronaldo.
Il padre Joselito Reyes, quello che nella foto somiglia a Roberto Carlos ma non è che stiamo a chiamarlo “il Roberto Carlos dell’Honduras”, gli ha messo il nome della stella portoghese, e ha confessato che avrebbe avuto piacere a chiamare il suo secondo figlio Zlatan Ibrahimovic, Zlatan Ibrahimovic Reyes Rhodeside: ora, se fossi un tifoso madridista particolarmente malato per la mia squadra e avessi un figlio in arrivo forse ci penserei meno di quanto mi sembra opportuno e adeguato dall’esterno, a chiamare mio figlio Cristiano. O Ronaldo. O entrambi. Ma Zlatan Ibrahimovic è da TSO.
In ogni caso CRRR cresce bene, quando gli chiedono se gli piaccia Messi risponde “A me piace l’Honduras” e ovviamente si crede sempre il più forte in campo.
Il Cristiano Ronaldo Tedesco

“Il Messi tedesco? Nah, io voglio essere il Cristiano Ronaldo tedesco”.
Quasi due anni dopo questa intervista, quando si scoprirà che il suo ingresso decisivo nei supplementari della finale di Coppa del Mondo era stato motivato da Loew con la frase “Vai e dimostra al mondo che sei meglio di Messi”, Mario Goetze si schernirà: “Ma perché non merito di essere accostato a lui”. Una frase molto poco cristianoronaldica, però.
Il Cristiano Ronaldo delle Filippine

Paulino “el Rompe Redes” Alcantara è stato il più grande calciatore filippino di tutti i tempi, nonché uno dei migliori del Barcellona dell’era pionieristica: una specie di Messi ante litteram. Ángel Guirado, novanta anni più tardi, ha riportato in equilibrio anche questo piattino della bilancia cosmica: nella sfida ormai senza tempo né dimensioni astrali tra Messi e Ronaldo ha scelto di dare il suo contributo ronaldista alle longitudini filippine irrorando la maglia degli Azkals con quell’afrore di coattitudine, spavalderia e sex-appeal guascone, giusto un filo più gitano e maudit della luccicanza color mallo-di-noce di CR, che solo gli emuli di Cristiano sanno avere.
Nella maniera in cui affonda come lama nelle carni della difesa dello Sri Lanka c’è tutta la sua preminenza, dominanza, eleganza.
Il Cristiano Ronaldo Greco/Tedesco. Ma soprattutto fake.

Athanassios Kotsabassidis è il ragazzo semiaccovacciato all’estrema destra di questa foto, quello con una maglia e uno stemma apparentemente familiari, se non fosse che lo sponsor è il sito di una specie di Just Eat tedesco e lui no, non è Cristiano.
Saki, come si fa chiamare, è un freestyler: dopo alcuni anni passati nelle serie minori tedesche ha scoperto di somigliare, meno nello stile di gioco che nei tricketti da campo dell’oratorio o nell’outfit, a un CR, però sottovuoto o lavato a 60°.
Sul suo profilo di Instagram ci porta a spasso in un mondo parallelo in cui come facciamo a essere certi che questo non sia un cuoco delle Bermuda che somiglia a Marcelo, e che quest’altro non sia il sosia freestyler di Marco Reus?
Saki, insomma, è la dimostrazione che l’unica maniera di avvicinarsi o mettersi a confronto con Cristiano Ronaldo è farlo sapendo di mentire, in maniera giocosa, credendoci senza crederci sul serio; sforzandosi di cercare doppelganger, in giro per il mondo, che ti facciano sembrare credibile.
La storia di Saki ci insegna che di Ronaldo di successo ce n’è uno solo.
Ed è un peccato, perché ne servirebbe almeno un altro disponibile per cresime, comunioni e meeting aziendali.