La partita tra Croazia e Spagna era importante per diversi motivi: definire la squadra vincente del girone, cui il tabellone concede un’autostrada fino alle semifinali; identificare di conseguenza anche l’avversario dell’Italia agli ottavi; e soprattutto darci delle indicazioni sulla credibilità di queste due squadre alla vittoria finale.
L’andamento della Spagna nelle prime due partite aveva di nuovo suscitato interesse, oltre che impressione: e se il disastro del Mondiale brasiliano fosse stato semplicemente un caso, un’eccezione? Lo stato dell’arte del calcio spagnolo, in questi due anni, è sembrato ottimo: vittoria di Champions ed Europa League, non hanno lasciato niente.
Eppure eravamo quasi convinti che il ciclo spagnolo fosse giunto alla sua fine: forse era solo un caso di obsolescenza simbolica. Il software del calcio associativo sembrava funzionare ancora benissimo; l’hardware è stato leggermente modificato, e adesso siamo qui a chiederci se la Spagna è davvero forte come quella che 4 anni fa ci spazzò via nella finale degli Europei.
La Croazia ha invece l’obiettivo di superare i quarti di finale, che furono il limite persino per la storica generazione di Suker e Prosinecki, ormai 20 anni fa. L’approccio a questi Europei è sembrato quello giusto: se non fosse stato per quegli ultimi minuti di follia contro la Repubblica Ceca (sia in campo che sugli spalti), anche i croati sarebbero arrivati a questa sfida a punteggio pieno.
E d’altronde dopo le prime due giornate, la Spagna era la migliore per expected goals medi a partita, mentre la Croazia era quarta: una sfida quindi tra due delle squadre più in forma. Sicuramente era anche una sfida tra due splendidi reparti di centrocampo (forse i migliori per qualità): a questa sfilata di eleganza calcistica, però, non ha potuto partecipare il migliore dei croati, Modric, per un problema all’inguine.
Showroom associativo
Per sopperire a questa grave assenza, Ante Čačić ha rivoluzionato la sua formazione, o forse era solo turnover (nella partita più importante del girone): ben 5 giocatori diversi nel classico 4-2-3-1 croato, con Rog al posto di Modric, Vrsaljko sulla sinistra al posto di Strinic, Jedavj al centro della difesa in sostituzione di Vida, l’ala Pjaca invece di Brozovic e Kalinic centravanti al posto di Mandzukic.
Forse una mossa troppo azzardata: la Spagna, che ha risposto con il classico 4-3-3 senza alcun cambio rispetto alla vittoria contro la Turchia, dopo un paio di minuti di balbettio ha cominciato a macinare gioco. Lo spettacolo degli uomini di Del Bosque è parso in alcuni momenti davvero quello di qualche anno fa: completo dominio del pallone, occupazione perfetta dello spazio tra le linee avversarie, corridoi di passaggio presidiati perfettamente, giocatori sempre su linee diverse per offrire almeno due opzioni al portatore (precisione di passaggio al 91.2%).
La pressione disorganizzata della Croazia non riesce a schermare Busquets, sempre troppo libero di ricevere: qui la Spagna supera 4 avversari con un semplice passaggio
In questa esibizione da calcio associativo, le Furie Rosse sono riuscite a segnare, dopo appena 6 minuti, un gol con Morata che è una sorta di poster del calcio spagnolo (oltre che indicativo dei problemi croati): perfetta uscita del pallone dalla metà campo; Silva raccoglie tra le linee e trova un corridoio di passaggio che supera tre avversari in un colpo solo, per servire l’inserimento di un centrocampista, Fabregas; il suo è un tiro-cross che trova a centro area Morata, per un facile gol a porta vuota.
L’uscita del pallone trova immediatamente Busquets; poi Fabregas perfetto a ricevere tra le linee, mentre Silva e Nolito garantiscono ampiezza e Morata attacca la profondità; ancora Fabregas attacca lo spazio creatosi grazie al taglio interno di Silva, mentre Jedvaj sembra quasi un passante
La Spagna domina e approfitta di una Croazia in balia delle onde: la doppia protezione del centrocampo croato corre per tappare falle che si aprono ovunque, senza riuscirci; le possibili transizioni offensive vengono bloccate immediatamente dagli uomini di Del Bosque, che occupano la metà campo avversaria in modo perfetto (a fine gara baricentro medio alto, a 54.5 metri, e recupero medio della palla alto, a quasi 42 metri).
Tra i vari strumenti usati dalla Spagna per dar vita a questa fiera del calcio associativo, possiamo contare i sovraccarichi su una fascia (in particolare la sinistra) per poi cambiare campo velocemente sul lato debole; i movimenti esterno-interno delle ali, per occupare le linee avversarie e aprire lo spazio per l’inserimento dei terzini, altissimi; i movimenti ad attaccare la profondità di Morata, per allungare la difesa avversaria e creare spazio tra le linee, oltre che per creare un corridoio di passaggio tra i due centrali.
Lo strano isolamento in cui ogni tanto si ritrova Iniesta: capisco la fiducia, ma così è troppo anche per lui
La Furia Roja però non si abbatte come dovrebbe sull’avversario, anzi sembra indulgente: sull’asse di sinistra, Iniesta sembra poco brillante e isolato, e poco più avanti Nolito è scollegato e un po’ fuori dal contesto. Nonostante il dominio, nell’ultimo terzo di campo c’è difficoltà nel concretizzare, un po’ per la solita ricerca estrema della miglior soluzione a ogni costo, un po’ per leggerezza. Quando Morata riceve uno splendido filtrante per attaccare la porta frontalmente, la partita sembra destinata a finire: ma l’ormai ex juventino sbaglia un controllo semplice e le divinità del calcio si arrabbiano.
L’importanza degli scacchi
Pochi minuti dopo, cioè esattamente alla fine del primo tempo, la Croazia pareggia con una giocata tutto sommato elementare: Perisic riesce a crossare dalla sinistra perché chiuso male da Juanfran e addirittura guardato con sufficienza da Silva; a centro area la coppia Piquè-Ramos si disunisce, con il madridista che non legge il movimento di Kalinic ad attaccare il primo palo. Il gol del centravanti della Fiorentina è splendido, un colpo di tacco esterno morbido e in controtempo.
Il 4-1-4-1 spagnolo rende molto difficile l’inizio azione della Croazia nel primo tempo: Rakitic è troppo piatto sulla posizione di Kalinic e così diventa troppo facile schermare un doble pivote.
Un premio eccessivo forse sul piano di gioco per i croati, che erano sembrati in balia degli avversari: e forse per continuare a divertirsi, come fa il gatto con il topo, la Spagna li aveva rimessi lentamente in partita, con una serie di errori individuali e di concentrazione, non da calcio d’élite.
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Il triangolo di inizio azione funziona bene; i terzini sono uno sbocco naturale della manovra, ma poi è Perisic il vero riferimento offensivo, con Rakitic sacrificato in una posizione così avanzata.
Al pressing poco ordinato di inizio azione, sia Ramos che De Gea hanno risposto con misfatti associativi: tanto che sull’errore di passaggio del portiere, Rakitic era riuscito nell’impresa di colpire traversa e palo con un pallonetto soffice ma ricoperto dalla sfortuna.
Ma il gatto spagnolo aveva sottovalutato il topo croato: al rientro dalla pausa negli spogliatoi, infatti, la squadra di Čačić sembrava rivitalizzata. Abbandonato il nullificante 6-3-1 del primo tempo, la Croazia provava a risalire il campo e non lasciare più la superiorità completa in zona centrale: Badelj e Rog si stringono e cominciano a schermare in modo più efficace le linee di passaggio. Il centrocampista viola, in particolare, è riuscito a recuperare ben 12 palloni (record della partita), oltre a 3 intercetti.
La Croazia comincia a capire come si fa: schermare bene la zona centrale, costringere Silva e Iniesta a ricevere spalle alla porta.
La maggior solidità difensiva croata ha reso ancora più sterile il controllo del pallone degli avversari, tanto che la Spagna è riuscita a effettuare un solo tiro nello specchio della porta nel secondo tempo: il rigore sbagliato da Sergio Ramos. Il portiere croato Subasic guadagna talmente tanto campo che sembra quasi voler abbracciare il capitano degli spagnoli, ma riesce a respingere il tiro e a salvare la sua squadra: ai posteri il dibattito sul perché una squadra con Silva, Iniesta, Fabregas e in quel momento anche il mitico Bruno Soriano debba affidare i propri tiri dal dischetto a un difensore centrale.
Mentre la Spagna si inaridisce, trovando soluzioni di gioco quasi solo sulla sinistra (contro la coppia Srna-Pjaca), la Croazia appare invece più fresca e ringalluzzita: la giocata da pokerista del ct Čačić sembra avere effetto. L’intensità di gioco aumenta, mentre la Spagna sembra esaurirsi, senza alcun giovamento dai cambi: Soriano al posto di Nolito sposta Iniesta e Fabregas di qualche metro in avanti; Aduriz al posto di Morata garantisce un punto di riferimento molto più statico ai centrali croati.
I cambi di posizione nella Croazia: Rakitic comincia a farsi vedere più in basso, lasciando a Perisic il compito di mezzala offensiva, mentre Pjaca, dopo aver iniziato sulla sinistra, si sposta sulla destra ad allargare la difesa spagnola.
Consapevole della grande opportunità, l’allenatore croato invece aggiunge qualità con Kovacic al posto di Rog: e in quel momento in mezzo al campo c’è talmente tanta qualità che si potrebbero anche eliminare le porte.
In teoria la Spagna ha superiorità numerica in questa transizione, ma Kalinic scarica indisturbato su Perisic, che segna nonostante il tentativo disperato di Piquè.
Naturalmente le squadre finiscono per allungarsi un po’ e la Croazia si esalta nel momento tattico che aveva aspettato per tutto il match: le transizioni offensive. La Spagna non rimane più ordinata e allora anche Pjaca mostra il suo talento, con ben 7 dribbling riusciti (record della partita); e non è un caso se è proprio così che la Croazia vince la partita, e proprio grazie al suo giocatore offensivo più importante, Perisic. L’ala croata è sempre pronta a saltare l’uomo (4 dribbling), a garantire ampiezza, ad accentrarsi tra le linee, addirittura a fare da riferimento aereo per i lanci lunghi (3 duelli aerei vinti, miglior dato del match), e poi a concludere: a tre minuti dalla fine un suo sinistro entra sul primo palo, coperto davvero male da De Gea, e consegna alla Croazia l’ingresso nel tabellone dei beati, quello in cui qualunque squadra può ragionevolmente pensare di raggiungere la finale (mentre dall’altra parte Italia, Spagna, Germania, Francia e Inghilterra si affrontano in una sorta di palio di Siena).
La Spagna ha buttato una partita che a un certo punto controllava in maniera quasi elementare, e che ha dominato anche dal punto di vista delle occasioni da gol.
Forse è una vittoria immeritata, ma la Croazia ha dimostrato per l’ennesima volta la sua capacità di adattarsi alle varie situazioni della partita, come un pugile che sa gestirsi anche quando è alle corde. Con la formazione al completo, l’intensità di gioco dei croati può davvero risultare indigesta a molti; la capacità di controllare il pallone con un centrocampo stellare o di ripiegare per le velocissime transizioni offensive di Perisic, riescono a sopperire anche ai notevoli problemi di struttura senza palla (e a un pressing un po’ troppo anarchico).
La Spagna ha buttato al vento un’occasione incredibile, dopo aver dominato il primo tempo con una facilità da bei tempi andati: ma è quasi impossibile uscire indenni da una partita con così tanti errori individuali, compreso un calcio di rigore sprecato. A volte la Spagna nel secondo tempo è sembrata davvero quella pre-2008, con un possesso palla inconcludente e poco strutturato, molto lontano dalla superiorità ricercata con il gioco di posizione. Alla Roja manca ancora qualcosa nell’ultima fase di gioco: forse la volontà di saltare l’uomo qualche volta in più, anche a rischio di disordinarsi (solo 2 dribbling in tutti i 90 minuti); e le transizioni difensive non sembrano granché ordinate, e forse non lo saranno mai.
Alla fine di questa strana giostra, sarà proprio l’Italia ad affrontare le Furie Rosse, nel remake della finale del 2012. Forse è vero che non è più quella Spagna, ma ha dei momenti di splendore che la ricordano davvero; l’opportunità però è irripetibile e può davvero essere l’Italia a sancire la fine del grande ciclo spagnolo. A Del Bosque piace giocare sotto ritmo per poi colpire, a Conte piace andare a mille all’ora: sarà una sfida tra due squadre con stili diversi e idee precise.