Nella loro storia ormai più che cinquantennale ci sono due cose a cui gli Indiana Pacers non si sono mai abituati: l’attenzione del mondo esterno e la mancanza di competitività. Se la sostanziale assenza della prima deriva principalmente dalla posizione geografica, quella relativa alla seconda è frutto della volontà dei proprietari della franchigia in carica dal 1983 di evitare la pratica conosciuta come tanking.
Tuttavia – dopo aver ceduto Domantas Sabonis e successivamente Malcom Brogdon, mosse che lasciavano intendere la disponibilità a scambiare anche l’ultimo pezzo pregiato del roster, Myles Turner –, i Pacers sembravano approcciarsi alla stagione 2022-23 senza grandi pretese in termini di vittorie e classifica, accettando quindi quella voglia di ricostruire a lungo rifuggita. Di cattivi risultati, però, ne hanno visti ben pochi, ricevendo viceversa attenzioni del tutto impreviste da parte di media e appassionati. Il motivo di un esito tanto sorprendente ha un nome e un cognome: Tyrese Haliburton.
L’uomo giusto al punto giusto
Qual è la situazione ideale per un giocatore NBA in cerca di affermazione? Trovarsi in una squadra dal roster in ricostruzione ma dal discreto livello di talento complessivo, con una guida tecnica solida e competente che consenta di commettere errori ma che allo stesso tempo fornisca un’idea coerente di gioco e sia esigente dal punto di vista dell’impegno e della concentrazione su ogni dettaglio. Si tratta di una combinazione macchinosa e infatti alquanto rara, ma che in qualche modo si è realizzata proprio a Indianapolis in questa prima parte di stagione. Rick Carlisle rimane una delle menti più brillanti di tutta la lega e l’organico allestito da Kevin Pritchard, con la scelta quantomai azzeccata di Bennedict Mathurin con la quinta scelta assoluta al Draft e la conferma di Buddy Hield oltre ad altri veterani come Turner e TJ McConnell, ha fin qui reso oltre le aspettative. E se sul record di squadra (15-16 al momento in cui scriviamo) ha inciso un calendario favorevole, non c’è alcun dubbio che il principale fautore dell’ottimo avvio di Indiana sia Haliburton.
Messo nelle condizioni ideali di cui sopra, Haliburton, al suo terzo anno in NBA, ha potuto per la prima volta operare in un contesto tattico organizzato. I Pacers della seconda metà della scorsa stagione non lo erano, scombinati dalla trade con al centro Sabonis, e sui Sacramento Kings allenati da Luke Walton meglio sorvolare. I risultati si sono visti immediatamente: la produzione statistica è la migliore della sua breve carriera, con l’eccezione della percentuale da tre che a fronte di un volume di tiri maggiore ha subito un calo (invero leggero: dal 41% al 38.5%). Ma anche se quanto fatto vedere in questa prima parte di stagione lo avvicina molto al livello di un All-Star, non va dimenticato che si tratta di un ragazzo di soli 22 anni con alle spalle un’esperienza molto breve da professionista. Più che celebrarne il salto di qualità effettuato negli ultimi mesi, quindi, pare opportuno considerare Haliburton come un prodotto non ancora finito e provare a capire cosa sappia già fare, dove ha la possibilità di migliorare e infine che tipo di giocatore potrebbe diventare.
Intelligenza cestistica
Fin dai tempi di Iowa State, tra le caratteristiche di Haliburton che avevano impressionato maggiormente gli scout c’era un quoziente intellettivo cestistico di primo livello. In maglia Cyclones era difficile vedergli combinare qualcosa che facesse sobbalzare lo spettatore, ma era altrettanto difficile vederlo sbagliare una decisione o incappare due volte nello stesso errore. La naturale predisposizione a imparare velocemente gli era allora valsa paragoni con autentici scienziati del gioco come Chris Paul e Steve Nash. Oggi la maturità con cui Haliburton dimostra di saper trattare la materia rende meno blasfemi quei paragoni.
Ospite del podcast di JJ Redick, Haliburton descrive e commenta un’azione dei Pacers con l’acume e la competenza di un analista video.
Anche se per inclinazione Haliburton non è portato a prendersi per forza il tiro decisivo, proprio in ragione del suo elevatissimo QI cestistico nei momenti chiave delle partite sa mantenere la freddezza e la lucidità necessarie a effettuare la migliore giocata possibile.
Haliburton prima trova Turner con il lob dalla rimessa, poi sull’errore del compagno cattura il rimbalzo, attira il raddoppio della difesa avversaria e pesca Nembhard libero per la tripla della vittoria contro i Lakers. Da notare la lucidità nel non servire Buddy Hield in angolo, dove già si era allungata l’ombra lunga di Anthony Davis, ma nel ribaltare il lato.
A proposito di inclinazione: quella di Haliburton per l’altruismo era già estremamente evidente al college. La capacità di coordinare i movimenti dei compagni, unita alla velocità nell’interpretare gli adattamenti delle difese avversarie, lo rende ora uno dei migliori passatori della lega. Anzi, al momento in cui scriviamo l’ex Kings guida l’apposita classifica con 10.7 assist di media a partita, precedendo colleghi ben più celebrati come Trae Young, Luka Doncic e il due volte MVP Nikola Jokic. E se nelle situazioni di attacco a metà campo i margini di miglioramento appaiono ancora significativi, in transizione Haliburton è quasi infallibile.
Specialità della casa: passaggio in transizione al compagno che arriva a rimorchio dopo aver attirato la difesa avversaria che rientra per coprire il contropiede.
Non è un caso che dal momento in cui Carlisle gli ha affidato le chiavi della squadra, i Pacers abbiano compiuto balzi in avanti notevoli quanto a numero di possessi (erano 18° la scorsa stagione, sono 5° quest’anno) e nei punti segnati da contropiede (erano 11° e ora sono 2°). Indiana, in definitiva, pratica una pallacanestro modellata attorno alle caratteristiche di Haliburton e, al netto di quanto sapranno fare i compagni, buona parte dei destini della squadra dipenderanno dalla sua capacità di lavorare sugli aspetti del gioco nelle quali ha maggiori difficoltà.
Margini da colmare
Ad Haliburton si chiede innanzitutto di essere più aggressivo nell’attaccare il ferro, perché anche se non è dotato di un primo passo fulminante e può contare su un’elevazione che è persino eufemistico definire nella media, la lunghezza delle braccia (oltre due metri la sua apertura alare) e la sensibilità nei polpastrelli gli consentono comunque di concludere con eccellenti percentuali (66.4% fin qui nella restricted area).
Tra le altre cose, l’avversario che qui si frappone tra Haliburton e il canestro avrebbe vinto tre volte il premio di difensore dell’anno.
La meccanica di tiro non è esattamente da manuale, con il tronco del corpo un po' troppo rigido e la tendenza rilasciare la palla tenendo i piedi per terra e spostando indietro il bacino; il risultato è che le percentuali dei tiri in sospensione (40.5% su quasi 300 conclusioni) appaiono migliorabili, per quanto il tiro da tre entra con alte percentuali anche dal palleggio (39%). Se Haliburton riuscisse quantomeno ad aumentare la velocità d’esecuzione, in particolare nelle conclusioni prese dal palleggio, il probabile, ulteriore incremento nell’efficacia costringerebbe i coaching staff avversari a rivedere le modalità di marcatura nei suoi confronti e aprirebbe nuovi orizzonti tattici per la manovra offensiva dei Pacers.
I mezzi fisici del ragazzo di Oshkosh, Wisconsin sono buoni, ma non eccezionali per gli standard NBA, fattore che in difesa lo costringe spesso a confrontarsi con avversari più dotati dal punto di vista atletico e che lo mettono in difficoltà soprattutto nel gioco in avvicinamento al ferro (Haliburton concede il 65% nei tiri presi all’interno dell’area dagli avversari). È quindi probabile che Haliburton sia destinato a rimanere un mediocre difensore di uno contro uno, ma l’intelligenza cestistica di cui sopra, qui tradotta nella capacità di intuire in anticipo le intenzioni degli avversari, potrebbe consentirgli di diventare comunque un fattore positivo anche nella metà campo amica.
Già nell’esperienza ad Iowa State Haliburton aveva dimostrato una notevole capacità di leggere le linee di passaggio avversarie, qualità per ora tradottasi solo in parte a livello NBA.
Play the right way
Per provare a capire quali siano i possibili orizzonti futuri di Haliburton, occorre innanzitutto separare il giudizio sul giocatore da quello sulla trade che l’ha visto coinvolto lo scorso febbraio e sulle circostanze che nel 2020 l’hanno portato a essere scelto fuori dalla top 10 del Draft. Per evidenti ragioni ogni valutazione sullo scambio avvenuto tra Indiana e Sacramento andrebbe rimandata di qualche anno, anche se in effetti i Kings parrebbero aver commesso l’ennesimo errore proprio nell’anno in cui avevano azzeccato – miracolosamente!- una scelta al Draft, un paradosso realizzabile solo a Sacramento.
In merito alla scelta del 2020, è quasi impossibile ignorare il fatto che Haliburton, oggi come oggi, sia il secondo/terzo miglior giocatore uscito da quel Draft dietro al solo Anthony Edwards e se ne può discutere con LaMelo Ball, complici i problemi fisici di quest’ultimo. E, anche se è un esercizio futile, viene spontaneo pensare a cosa sarebbe potuto succedere se a sceglierlo fossero stati i Golden State Warriors, il cui stile di gioco basato sul concetto di read & react sarebbe stato a dir poco perfetto per le caratteristiche dell’ex Iowa State, o come a Phoenix sarebbe più rosea la prospettiva di una transizione al dopo Chris Paul se i Suns non gli avessero preferito Jalen Smith (curioso caso del destino, oggi suo compagno a Indiana).
Ad ogni modo, come detto in premessa, si tratta di considerazioni che lasciano il tempo che trovano perché oggi Haliburton è un forte, fortissimo candidato al premio di giocatore più migliorato dell’anno e perno di una squadra che promette bene se non benissimo. È facile quindi pronosticare un futuro radioso per lui e per i Pacers, che sull’intesa con Mathurin potrebbero costruire un backcourt in grado di portarli lontano, mentre è forse un po' più complicato provare a immaginare fin dove possa spingersi il processo di crescita di Haliburton. Per quanto visto finora l’impressione è che gli manchi qualcosa, sia sul campo che nell’allure mediatica, per competere con i vari Doncic e Morant, giusto per attenersi ai pari ruolo, e che il suo destino sia forse quello di diventare una versione deluxe di Andre Miller o Chauncey Billups, uomini-squadra adorati da addetti ai lavori e puristi del gioco ma in gran parte snobbati dal grande pubblico.
Zero fronzoli, poche concessioni allo spettacolo per il solo gusto di fare spettacolo: nella concezione di basket di Haliburton si fa ciò che serve per provare a vincere o lo si fa nel modo più semplice possibile.
Il modesto tasso di spettacolarità del repertorio di Haliburton potrebbe rappresentare il suo più grande limite e allo stesso tempo il suo pregio maggiormente apprezzato. A distinguerlo da buona parte dei colleghi, d’altronde, non è tanto cosa fa sul parquet, quanto come lo fa: la naturalezza con cui è in grado di comprendere le situazioni che si creano di volta in volta, azione dopo azione, intuendo in tempo reale cosa è meglio fare. Lo stile di gioco della guardia dei Pacers potrebbe essere definito minimalista, perché ogni sua giocata risulta priva di guizzi superflui, è essenziale e trova la sua ragion d’essere nel vecchio motto di coach Larry Brown: play the right way.
Forse non riuscirà mai a diventare una vera e propria superstar, ma se amate davvero la pallacanestro e non vi siete ancora innamorati di Tyrese Haliburton, dateci retta: è solo questione di tempo.