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In difesa di Tyson: il morso della discordia
25 feb 2021
Un estratto dal libro "Il circo del ring. Dispacci dal mondo della boxe" di Katherine Dunn pubblicato da 66th and 2nd.
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Pubblichiamo un estratto dal libro "Il circo del ring. Dispacci dal mondo della boxe" di Katherine Dunn tradotto e pubblicato da 66th and 2nd l'11 febbraio 2020.

Per un lungo periodo l’ex campione dei pesi massimi «Iron Mike» Tyson è stato la figura più tragica dello sport mondiale. Non l’ho mai incontrato né intervistato ma, come milioni di altri, ho assistito ai suoi incontri in televisione e ho nuotato negli oceani di inchiostro versati per parlare di lui. L’hanno trasformato in un mostro. Tendenzialmente diffido della pubblicità che ogni tanto sfocia in accuse infamanti, e dopo il famigerato incontro del morso la reazione dei media mi è sembrata solo il prodotto dell’isteria collettiva e di un insieme di equivoci. Mi ha dato parecchio fastidio. Il seguente articolo è apparso per la prima volta sul numero del 9 luglio 1997 del giornale «PDXS».

Il 28 giugno 1997, durante la terza ripresa dell’incontro valido per il titolo dei pesi massimi, Iron Mike Tyson ha dato un morso all’orecchio destro di Evander Holyfield, ne ha staccato un pezzo e l’ha sputato a terra. Dopo qualche istante gli ha addentato anche l’altro orecchio. Alla fine del round l’arbitro ha sospeso l’incontro, squalificando Tyson e dichiarando Holyfield vincitore. Qualche settimana più tardi la Commissione pugilistica del Nevada ha multato Tyson per tre milioni di dollari – la sanzione pecuniaria più alta mai inflitta nella storia dello sport – e gli ha revocato la licenza per un anno.

La sentenza però è stata gridata a pieni polmoni sui giornali e nei programmi televisivi d’America ben prima che la Commissione emettesse il suo verdetto. Anzi, nel momento esatto del morso. TYSON CATTIVO! La copertina di «Sports Illustrated» sbraitava «UN FOLLE!» a grandi lettere, e un sottotitolo recitava: «Un Mike Tyson fuori di sé disonora sé stesso e il suo sport». L’editorialista Dave Anderson del «New York Times» lo definì un «pitbull impazzito». Gli insulti si sprecavano: sporco, disgustoso, repellente, bestiale, deprecabile, vile, animalesco, vampiresco, sconvolto, matto, cannibalesco, omicida, codardo. E così via. Bill Clinton era scandalizzato. In una puntata di Crossfire John Sununu e Geraldine Ferraro hanno portato avanti un dibattito sul morso di Tyson, degenerato inevitabilmente in una propaganda finalizzata a proibire la boxe. Credo che la stampa non avrebbe reagito con tanta veemenza neanche se quel disgraziato avesse strappato a Holyfield il cuore dall’ano in diretta tv. Una simile dimostrazione d’isteria di massa non si vedeva dal primo verdetto sul caso OJ. Gli uomini neri cattivi facevano impazzire i media.

Tyson ha ricevuto dalla stampa e dal pubblico un trattamento più crudele di qualsiasi altro pugile nella storia – con l’eccezione, forse, di Muhammad Ali negli anni in cui si opponeva alla guerra e ai bianchi, e di Jack Johnson, che faceva infuriare i bianchi pestando i loro pugili e sposando le loro donne.

Molti altri atleti in tempi recenti hanno fatto un passo falso come e peggio di Tyson, ma sono stati trattati in maniera molto diversa. Il peso massimo Andrew Golota, per esempio, ha massacrato Riddick Bowe colpendolo ripetutamente sotto la cintura non in uno, ma in ben due incontri consecutivi. E il bello è che stava vincendo tutte e due le volte. È stato squalificato e ha perso, ma non è stato né sospeso né multato. Anzi, hanno punito l’entourage di Bowe per i tafferugli scoppiati dopo l’incontro al Madison Square Garden.

Oppure Roy Jones, che ha perso il titolo per squalifica per aver colpito alla testa Montell Griffith mentre era in ginocchio. O Terry Norris, che ha perso ben due volte il titolo mondiale, sempre per squalifica, per aver colpito Luis Santana mentre era a terra. Né lui né Jones sono stati penalizzati ulteriormente. E non dimentichiamoci di Ray Mercer, che nel 1993, in pieno match, ha offerto a Jesse Ferguson una mazzetta da centomila dollari per farsi buttare giù. Non è mai stato punito, ha solo perso l’incontro. Ciononostante ho l’impressione che, se domani Mike Tyson venisse bruciato sul rogo, ogni giornalista sportivo d’America si alzerebbe in piedi ad applaudire.

C’è un altro modo, però, di vedere la questione del morso di Tyson. Seguitemi. Mordere è contro le regole e chi lo fa va penalizzato, però un morso è comprensibile e, in certi casi, perfino giustificabile. Il tanto venerato Holyfield stava combattendo sporco. E l’arbitro non muoveva un dito per impedirglielo. Tyson ha dovuto difendersi. Se fanno gli scorretti, sii scorretto anche tu: è una regola non scritta della boxe.

Quasi tutti gli opinionisti danno per scontato che Tyson sia un pugile disonesto e che quei morsi siano stati semplicemente una versione estrema delle sue solite tattiche antisportive. Eppure, malgrado l’abbiano dipinto come un mostro per tutta la carriera, Tyson non è particolarmente scorretto. È raro che colpisca sotto la cintura, sebbene sia più basso di gran parte dei suoi avversari. Di tanto in tanto colpisce sul break o dopo la campana, e non disdegna spallate o gomitate. A volte prolunga troppo il clinch. Comportamenti del genere sono normali in un incontro di boxe. Si è spinto sopra le righe solo con i morsi.

Nessuno a parte Mike Tyson sa cosa gli sia passato per la testa quella sera, e nel discorso pubblico di scuse ha detto esplicitamente di aver «perso il controllo» una volta constatata la gravità del taglio sopra l’occhio destro, provocato da una testata di Holyfield nella seconda ripresa. Subito dopo l’incontro ha detto di essere stato preso ripetutamente a testate dal suo avversario, e di aver dovuto reagire per fargli passare la voglia di riprovarci.

La versione dei fatti di Tyson è stata ignorata, etichettata come un mucchio di frottole. «Sports Illustrated» ha definito i morsi «assolutamente gratuiti», ed è l’opinione condivisa da tutti. I critici hanno sposato due teorie volte a spiegare il gesto di Tyson. Entrambe si basano sull’idea che Holyfield stesse dominando l’incontro:

1) Secondo la Teoria dell’Impulso Criminale, Tyson è un delinquente, un bruto, un animale, e sotto stress si comporta come tale. I morsi sono stati il risultato impulsivo di un attacco di rabbia scatenato dalla sua incapacità di sopraffare Holyfield.

2) Secondo la Teoria della Fuga Premeditata, invece, Tyson ha scelto di farsi squalificare per evitare l’umiliazione di perdere di nuovo contro Holyfield.

Questa seconda teoria non è altro che l’opinione dello stesso Holyfield, espressa subito dopo l’incontro e sostenuta dalle voci secondo cui il preparatore Teddy Atlas, prima dell’incontro, avrebbe predetto una squalifica alla terza ripresa. Atlas era andato a guardare l’incontro a una festa organizzata a casa del giornalista Jack Newfield, a New York, e la notizia della sua profezia si è sparsa in un attimo. Dopo gli hanno chiesto come facesse a saperlo, e Atlas ha risposto soltanto: «Conosco i miei polli». Sia messo agli atti però che Atlas era un professionista esemplare quanto volete, ma nutriva un profondo odio personale nei confronti di Tyson.

Ho guardato più volte le tre riprese di quell’incontro, con attenzione e perfino al rallentatore, e credo che Tyson abbia detto la verità. Holyfield l’ha preso intenzionalmente a testate parecchie volte e l’arbitro, Mills Lane, non ha fatto niente per impedirglielo. Tyson ha agito in quel modo per vendicarsi, e convincere con le cattive Holyfield a farla finita.

Ecco quello che ho visto:

Suonata la prima campana Holyfield si è portato subito al centro del ring puntando alla zuffa e commettendo una scorrettezza dietro l’altra – colpi bassi, trattenute, prese e spintoni. In particolar modo, però, ha deciso di usare la testa come terzo braccio. Verso la fine della prima ripresa l’arbitro l’ha redarguito per le trattenute. «Non farmelo ripetere!» gli ha detto. Alla terza ripresa gli ha dato un avvertimento per un colpo basso, ignorando gli altri. Io ne ho contati tre.

Più alto di Tyson di almeno sette centimetri, Holyfield si chinava e piegava in continuazione per calare la testa verso quella dell’avversario, trovando spesso e volentieri il contatto. Tyson, che dal primo incontro con Holyfield era uscito pesto e sanguinante a furia di testate, stava sempre chino e schivava come un matto nel tentativo di evitare quel martellamento cranico. A metà della seconda ripresa Holyfield ha ottenuto il risultato che si era prefisso: con una testata ha aperto un grosso taglio sopra l’occhio destro di Tyson, che ha cominciato a buttare sangue. Il pugile si era ferito in quello stesso punto in allenamento, cosa che l’aveva costretto a posticipare l’incontro con Holyfield previsto inizialmente per maggio. A mio parere, e lo dico basandomi solo sul video, la testata è stata intenzionale. L’arbitro, invece, l’ha pensata diversamente. L’ha dichiarata involontaria, e Holyfield non ha perso punti. La ferita era nel punto perfetto, il sangue colava nell’occhio di Tyson offuscandogli la vista. C’era il rischio che l’arbitro dovesse interrompere l’incontro perché il pugile non ci vedeva, non sarebbe più riuscito a difendersi.

Holyfield si è aggiudicato ai punti sia il primo sia il secondo round. L’impiego del jab lungo da parte di Tyson, una strategia che a quanto si dice era un suggerimento del suo nuovo allenatore Rich Giachetti, non stava funzionando, perché l’avversario aveva le braccia più lunghe e si teneva a distanza. Non sono state, però, riprese a senso unico, umilianti. Tyson combatteva, era ancora in gioco. Tra un round e l’altro Ira Truckee, il chirurgo plastico che faceva da cutman all’angolo di Tyson, è riuscito ad arrestare il sanguinamento, ma sarebbe bastato il tocco di una piuma per riaprire la ferita.

Si è parlato a lungo del fatto che Tyson sia rientrato sul ring, alla terza ripresa, senza il paradenti. L’arbitro se n’è accorto all’istante e l’ha spedito a metterselo. In piedi dietro le corde c’era Rich Giachetti, che l’ha infilato nella bocca del suo pugile. I critici vedono in questo episodio un segnale del fatto che i morsi erano premeditati, che Tyson volesse combattere senza paradenti per azzannare Holyfield liberamente.

È una teoria che non ha senso. Non è il pugile a gestire il paradenti tra una ripresa e l’altra, ma il suo secondo. Inoltre negli eventi pay-per-view ci sono telecamere e microfoni a ogni angolo, l’avremmo sentito chiaramente se Tyson si fosse rifiutato di rimetterselo. Certo, lui e Giachetti potevano aver ordito un piano in anticipo – «quando ti faccio un segno, tu non darmi il paradenti…» – ma è una scommessa niente male pensare di riuscire a mordere uno dei migliori pesi massimi del pianeta senza prima farsi spaccare la mascella. E in ogni caso, prima ancora che tu possa sferrare un solo pugno, qualsiasi arbitro degno di questo nome si accorgerebbe che ti manca il paradenti, come infatti è stato. No, è molto più probabile che Rich Giachetti fosse scosso e se ne sia dimenticato. Ogni volta che un pugile si alza dall’angolo senza paradenti, sappiamo che l’errore è del secondo.

Rimesso il paradenti, Tyson si è lanciato all’attacco alla sua maniera, con rapidi ganci in attesa di un varco per liberare il destro. Holyfield si è protetto alla meglio dalla tempesta di colpi e ha ricominciato a sferrare testate. Un destro di Tyson al corpo, seguito da un sinistro devastante al mento, hanno fatto barcollare Holyfield il quale, nella frazione di secondo precedente al morso, ha abbattuto la tempia destra sul taglio sopra l’occhio di Tyson. Di nuovo. Il movimento ha portato l’orecchio di Holyfield a portata di bocca di Tyson, e nel video si vede chiaramente che il pugile l’ha addentato come reazione al dolore della testata.

Dopo l’incontro Holyfield ha dichiarato che Tyson ha prima sputato il paradenti, dopo di che l’ha morso. È il canovaccio cui fanno ricorso i critici per dimostrare l’intenzionalità dell’atto. In realtà dal video si capisce chiaramente che Tyson aveva ancora il paradenti al momento del morso. Era uno di quei paradenti che aderisce all’arcata dentale superiore e consente di aprire la bocca. Solo quando Holyfield si è fatto indietro Tyson si è chinato per sputarlo, insieme al brandello di orecchio. Nel video si vede benissimo. Addirittura c’è Mills Lane che si china subito a raccogliere il paradenti. Holyfield si gira su sé stesso pestando i piedi dal dolore, poi volta le spalle all’avversario per allontanarsi. Tyson gli va incontro e lo spinge con entrambe le mani. Holyfield rimbalza sulle corde.

A quel punto l’azione si interrompe. Prima Mills Lane squalifica Tyson per il morso, poi cambia idea appena il medico della Commissione del Nevada, Flip Homansky, dichiara che Holyfield può proseguire. L’arbitro toglie due punti a Tyson, uno per il morso e uno per la spinta.

L’incontro riprende. Tyson colpisce ancora duro, Holyfield gli dà un’altra testata e Tyson morde di nuovo. Stavolta l’orecchio sinistro. Col paradenti in bocca. I due pugili continuano a combattere fino alla campana. Tyson torna all’angolo senza essersi liberato del paradenti.

Secondo i giudici questa ripresa l’ha dominata Tyson, un vantaggio vanificato tuttavia dai punti di penalizzazione. In ogni caso l’arbitro ha interrotto l’incontro prima della quarta ripresa, squalificando Tyson per il secondo morso.

Ormai l’inerzia del match era tutta in favore di Tyson e per via del morso Holyfield era in evidente difficoltà. Ci fosse stato un altro round, non sarebbe stato così improbabile che finisse al tappeto. Alla luce di questo, affermare che Tyson abbia cercato di farsi squalificare per evitare un’umiliazione non sembra plausibile.

Forse Tyson non riteneva possibile che l’arbitro interrompesse un incontro multimilionario solo per le sue scorrettezze, due morsi e uno spintone. La ferita l’ha reso vulnerabile, doveva vendicarsi per proteggersi. Dare testate a sua volta era fuori discussione, ci avrebbe solo rimesso, così come i colpi bassi – non era un pugile abituato a darne, il suo stile di per sé non si presta a questo genere di scorrettezza. Credo che i morsi siano stati un impulso, un atto di autodifesa. Certo, mordere è contro le regole e non avrebbe dovuto farlo. D’altro canto, però, era evidente che non potesse contare su Mills Lane per impedire a Holyfield di prenderlo a testate.

L’errore più monumentale di tutti l’hanno commesso prima dell’incontro i due agenti di Tyson, John Horne e Rory Holloway, quando hanno protestato per la designazione dell’arbitro Mitch Halpern e hanno lasciato che a sostituirlo fosse Mills Lane, ex procuratore distrettuale e oggi giudice della contea di Washoe (dopo l’incontro Lane si è ritirato dal ring e lavora in un programma televisivo sullo stile di Forum). Sosteneva Holyfield da anni, tanto che secondo il suo allenatore Tommy Brooks, «la sera in cui Evander ha perso contro Riddick Bowe, Mills è scoppiato a piangere». In tempi non sospetti aveva dichiarato più volte che Tyson era un pericoloso criminale cui avrebbe dovuto essere negato il permesso di salire su un ring di boxe. Non sorprende, dunque, che abbia tralasciato le scorrettezze di Holyfield.

Quello che mi sconcerta di più, però, è la cecità dei commentatori a bordo ring e delle centinaia di giornalisti presenti nell’arena. Si sono sorbiti anni di battage pubblicitario fino a convincersi che Holyfield, il Guerriero di Cristo, fosse un santo e che tutto ciò che faceva fosse giusto (un tifoso furibondo ci ha detto: «Non è tanto il morso, ma a chi l’ha dato!»), e che Tyson, il criminale da strada, fosse malvagio. Era una vita che volevano punirlo. A quanto pare su questo pianeta non c’è nulla di più spaventoso e terribile di un uomo nero cattivo.

Il lunedì successivo all’incontro Tyson si è presentato da solo davanti ai giornalisti per leggere una dichiarazione di scuse. Ha detto di aver sbagliato a mordere. Ha detto che avrebbe accettato senza fare ricorso qualsiasi punizione volessero infliggergli. Ha chiesto solo di non essere sospeso a vita. Non dava la colpa a Holyfield, a Mills Lane o a nessun altro. Si è assunto la completa responsabilità delle sue azioni. Molti giornalisti hanno fatto spallucce di fronte a quelle scuse, convinti che fossero opera di qualche esperto di comunicazione. No. Loro scrivono discorsi in cui danno la colpa a qualcun altro. «Sarà sincero?» si chiedevano. Per favore. Era evidente che fosse sinceramente pentito. Nessuno vorrebbe mai trovarsi in una situazione simile. Qualcuno ha per caso chiesto a Bill Clinton se fosse «sincero» quando si è scusato con le vittime dell’esperimento di Tuskegee?

Mordere va contro le regole, ma le regole non servirebbero a nulla se non esistesse una comune propensione a trasgredirle. E comunque il morso non è certo un comportamento «anomalo», né era la prima volta nella storia della boxe che i denti incontravano la carne.

A Portland gira una storia molto conosciuta sull’agente Mike «Motormouth» Morton. Si racconta che la sera prima che Andy «The Scapoose Express» Kendall affrontasse Dick Tiger al Madison Square Garden, negli anni Sessanta, Morton gli avesse dato le seguenti istruzioni: «Andy, allora, appena suona la campana vai lì e colpiscilo forte alle palle. L’arbitro ti toglierà un punto. Appena inizia il secondo round, corri a mordergli l’orecchio. Ti toglieranno un altro punto. Perderai due riprese, ma ne avrai altre otto per lavorare sul tuo avversario, che sarà dolorante e terrorizzato». Alla fine Kendall non riuscì a seguire quest’astuta strategia e perse ai punti contro Tiger, un maestro della tecnica.

Altri non sono stati così pignoli. Due anni fa il peso massimo Andrew Golota ha morso Samson Po’hua in diretta televisiva e la reazione della gente è stata d’incredulità, ma nessuno si è agitato più di tanto. Anzi, Golota ha addirittura vinto l’incontro per ko tecnico alla quinta ripresa. Bobby Czyz ha dichiarato di essere stato morso. Jimmy Ellis ha confessato di farlo spesso. Nessuna multa, nessuna sospensione. Evander «Holy» Holyfield stesso ha confessato che, a diciassette anni, durante un match dilettantesco aveva morso «Jakey» Winters, che gliele stava dando di santa ragione. Winters ha detto che Holy sanguinava. Holyfield dal canto suo ha sottolineato di aver morso la spalla, non l’orecchio. Capirai che bravura: tra i dilettanti le orecchie sono protette dal casco.

Senza fare nomi, abbiamo visto pugili che mordono anche qui, sulla costa del Nordovest. Un pericoloso ex peso medio di nostra conoscenza, per esempio, ricorda ancora con tenerezza il terrore provocato da un certo morso dato al momento giusto, e si vanta di essersi addirittura soffiato il naso sulla ferita aperta dell’avversario, dopo. La boxe, del resto, non è il ping-pong.

Si morde anche negli altri sport. Capita che i lottatori, che siano al liceo o all’università, assaggino l’avversario di tanto in tanto. Quando Tree Rollins ha morso Danny Ainge, la Nba l’ha multato di cinquemila dollari e sospeso per due gare. Non proprio l’esatto equivalente dei tre milioni di dollari e l’anno di esilio inflitti a Tyson.

Gli esperti di boxe e i tifosi della prima ora sanno benissimo le cose che vi ho appena raccontato, eppure si dichiarano «sconvolti e disgustati» di fronte a chi chiede a gran voce di proibire questo sport, da sempre malvisto. Nessuno si mette a sbraitare di proibire il basket quando Dennis Rodman prende a testate gli arbitri o prende a calci i fotografi. Non si incita all’abolizione della Chiesa cattolica quando i preti molestano i ragazzini del coro. Ma la boxe è diversa. E Mike Tyson è l’Uomo Nero d’America.

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