UFC 249 si è svolto senza pubblico, in un’arena silenziosa che però non ha tolto nulla all’assoluta qualità della card: anzi in termini qualitativi l’evento ha superato ogni aspettativa, meritando paradossalmente tutta l’attenzione che (fuori dall’Italia) gli è stata data in quanto unico evento sportivo del momento.
A parte un caso di COVID-19 presente (anzi tre, perché oltre a Jacare Souza anche i due membri dello staff che dovevano sedere al suo angolo sono risultati positivi) che ha fatto saltare uno degli incontri (quello tra Jacare, appunto, e Uriah Hall) la gestione di UFC sarebbe stata esemplare se non fosse stato per la richiesta ai partecipanti, compresi membri dei media, di rinuncia a fare causa all’organizzazione nel caso in cui avessero contratto il virus, con tanto di possibilità di revocare le paghe dei fighter nel caso in cui si lamentassero pubblicamente dei protocolli di sicurezza.
La card, in ogni caso, ha regalato finalizzazioni e battaglie incredibili, dai preliminari alla principale, iniziata con i match spettacolari fra Greg Hardy e Yorgan De Castro, vinto per decisione da Hardy, e quello fra Calvin Kattar e Jeremy Stephens, vinto per TKO da Kattar. Poi è arrivato il terzo match della main card, uno di quelli che danno carica ed emozioni più longeve di quanto effettivamente duri l’incontro.
Ngannou è sempre l’uomo più spaventoso sul pianeta
https://twitter.com/DAZN_IT/status/1259764867415846913
Ufficialmente è durato 20 secondi, nella realtà dei fatti ne è servito qualcuno in meno a Francis Ngannou per mettere KO Jairzinho Rozenstruik. Ngannou ormai è considerato un campione senza corona, per via della situazione di stallo nei posti immediatamente sopra il suo nel ranking dei Pesi Massimi, con Miocic che è impegnato nei suoi compiti da pompiere e Cormier che lo aspetta; ma la rapidità e la ferocia con cui Ngannou ha palesato il dislivello d’esperienza che lo separa da Rozenstruik è comunque impressionante.
Rozenstruik ha un trascorso nella kickboxing ma le MMA, si sa, sono più spietate: veniva dalla vittoria con Overeem dopo la quale aveva sfidato apertamente Ngannou, e se c’è una volta in cui il detto “attento a ciò che desideri, perché potresti ottenerlo” è caduto come un fulmine su coloro che non lo avessero tenuto a memoria, è stata questa. Rozenstruik è stato vittima di un arrembaggio famelico, prima del quale è riuscito a portare solo due colpi minori a Francis Ngannou, che lo ha affondato col suo stile sgraziato ma incredibilmente violento.
Si tratta di un’ennesima dimostrazione verticale di forza che non può passare inosservata solo perché tecnicamente non impeccabile. Ngannou è un ciclone che si abbatte su un albero inerte, una furia che pare non poter essere fermata negli scambi a viso aperto. Ha passato appena due minuti e quarantasei secondi in gabbia negli ultimi quattro match: Ngannou è la personificazione del fighter che può ottenere il KO appena tocca il suo avversario.
Henry Cejudo non lo ferma nessuno (al massimo si ritira lui)
https://twitter.com/WhatsUp_MMA/status/1259337792607457280
In un co-main event titolato dall’altissimo livello tecnico, Henry Cejudo è riuscito a infliggere a Dominick Cruz la prima e unica sconfitta in carriera per TKO. Nonostante si sia lamentato della chiamata arbitrale, Cruz ha subìto undici i colpi senza rispondere, prima dell’intervento dell’arbitro. Ed è un’altra pietra che impreziosisce il percorso di Cejudo, il suo costante processo d’evoluzione (nemmeno il soprannome è rimasto uguale per Cejudo, che usava farsi annunciare come “The Messenger” mentre adesso si fa chiamare “Triple C”) che sembra essere arrivato al termine, visto che dopo l’incontro ha annunciato il proprio ritiro.
«Potrò anche essere cringe (un termine che in questo caso possiamo tradurre con «imbarazzante») per il mio atteggiamento al di fuori dalla gabbia, ma qui dentro ci so fare!» ha detto Cejudo alla fine. E come dargli torto, anche se viene accusato di aver evitato sfidanti pericolosi, adesso ha aggiunto la testa di una leggenda dei Pesi Gallo alla sua collezione. Dopo un iniziale lavoro chirurgico di leg kick, Cejudo ha mozzato il gioco di gambe tipico di Cruz, una delle qualità che più lo rendevano ingestibile per i suoi avversari, e gestito il suo gioco di shoulder roll, i movimenti di corpo e tutti i tentativi dell’ex campione di andare a segno.
Cejudo aveva un evidente svantaggio fisico (di altezza ed estensione delle braccia) ma era anche incredibilmente più rapido di Cruz. Oltretutto, pareva sapesse esattamente ciò che l’ex campione WEC ed UFC voleva provare. Come una molla carica che si allunga al momento opportuno, lo striking di Cejudo (che per chi non lo sapesse è campione olimpico di lotta libera) è stato impeccabile: finta in attacco, movimento di Cruz, blitz dentro la guardia avversaria.
Sul piano del singolo pugilato, Cruz è riuscito inizialmente a tener testa e a controbattere agli assalti di Cejudo, capace di tenere il centro dell’ottagono seppur con allungo ridotto. Grazie al suo stile elusivo e privo di punti di riferimento, Cruz è capace di girare da ogni lato, con una guardia aperta inusuale che unita al footwork gli permette di improvvisare ogni volta che deve sfuggire a un attacco. E per la maggior parte del tempo ha scelto il lato debole di Cejudo, il sinistro, cercando l’apertura giusta. Cejudo però è riuscito a stanarlo, colpendolo più volte con il calcio destro, alle gambe, anziché tagliargli la strada con il mancino e perdere un tempo d’attacco. Cejudo, cioè, ha preferito rincorrere Cruz piuttosto che incrociare i guanti.
Il primo round di Cejudo è stato da rigore militare: leg kick quando Cruz avanzava coi colpi di braccia o coi movimenti di busto, takedown quando invece avanzava cercando un calcio sulla lunga distanza. Da terra Cejudo ha avuto due occasioni per far male, ma Cruz è un lottatore tecnico e rapido ed è tornato in piedi limitando i danni e riguadagnando lo stand-up, senza però riuscire a mettere davvero in pericolo il campione.
Nel secondo round Cejudo ha continuato a controllare, assorbendo pochi leg kick e qualche diretto, ma è rimasto comunque in pieno controllo del centro dell’ottagono e dell’inerzia del match. La fase finale è stata concitata: con venti secondi rimanenti sul cronometro, a seguito di una testata accidentale, l’arbitro chiama tempo e consente a Cejudo di esser controllato dal medico. Il match riprende circa mezzo minuto dopo e nei secondi finali Cruz va a vuoto con un montante, mentre Cejudo prende le misure e lo abbatte con una ginocchiata, finendo poi il lavoro in ground and pound. Come detto, a seguito di undici colpi senza difesa attiva o risposta, l’arbitro Keith Peterson si è convinto a interrompere l’incontro.
Dai tempi della sua prima sconfitta contro Demetrious Johnson, Cejudo è diventato il fighter più sorprendente in circolazione, un campione che non si limita a gestire o battere gli avversari, ma porta a termine il compito in maniera impeccabile. Nel suo discorso finale ha detto di volersi godere la famiglia e di aver deciso di ritirarsi, delle note che suonano stonate considerando che sembra essere già in programma il match con José Aldo. Parole che forse servono a chiedere un adeguamento contrattuale. Vedremo.
Il capolavoro di Justin Gaethje
https://twitter.com/DAZN_IT/status/1259465006833438721
Tony Ferguson, campione ad interim UFC, si presentava con gli onori della cronaca per essere l’unico fighter nella divisione, insieme al campione indiscusso Khabib Nurmagomedov, a detenere il record in corsa di 12 vittorie consecutive. L’ultima volta che aveva perso un match era il maggio 2012, otto anni fa (contro Michael Johnson). Da allora Tony Ferguson si è trasformato in uno dei due più duri fighter nella divisione, al pari solo del campione in carica. Prima o poi, però, in uno sport famoso per la sua spietatezza, il nuovo che avanza finisce per bussare alla porta di tutti, e il gioco al massacro che finora era stato la sua delizia è diventato la sua croce.
Justin Gaethje, migliorato ed evoluto in ogni aspetto del combattimento, solido, sicuro, rapido, chirurgico, granitico, è diventato così il nuovo campione ad interim (anche se ha rifiutato la cintura a fine incontro dicendo di volere «quella vera») ed è ormai ufficialmente una minaccia per la corona di Khabib Nurmagomedov. La sua è stata un’evoluzione rapida e netta, che ha avuto bisogno di lezioni pagate a caro prezzo (con Eddie Alvarez e Dustin Poirier) dopo le quali il divertente Gaethje è diventato meno istintivo, animalesco, diventando un fighter ragionato, forse persino freddo. Al termine del match con Ferguson, al microfono di Joe Rogan, Justin ha detto che per stare in mezzo ai campioni era diventato obbligatorio modificare il suo stile di combattimento.
Ferguson ha avuto grande difficoltà a trovare la via del volto di Gaethje e i momenti del match sono stati quasi tutti in favore dello sfidante, che alla fine della quinta ripresa pareva ancora fresco mentre l’ex campione ad interim aveva l’orbita occipitale rotta e sembrava evidentemente stordito - nonostante ciò, con grande cuore e un po’ di masochismo, sarebbe andato comunque avanti e si è lamentato dell’interruzione arbitrale. Ferguson ha avuto i suoi momenti durante l’incontro, soprattutto quando il suo montante ha incrociato, con una frazione di secondo di anticipo, quello di Gaethje, al termine del secondo round, mandandolo al tappeto sul suono della campana. Per sfortuna di Ferguson, i round durano cinque minuti, non un secondo di più, altrimenti magari gli sarebbe bastato.
Dall’inizio del terzo round, però, Gaethje ha iniziato a vincere tutte le azioni con combinazioni in uscita, arrivando spesso a segno col gancio sinistro e travolgendo più volte Ferguson con diretti pesanti e overhand che superano la mano avanzata. Il peso dei colpi è stato sicuramente un fattore fondamentale: sebbene Ferguson in genere colpisca spesso e colpisca duramente, Gaethje lo ha colpito più duramente e ha resistito in maniera più lucida alle vampate avversarie. Già tagliato sotto l’occhio destro e all’arcata sopraccigliare sinistra, all’inizio del terzo round Ferguson è una maschera di sangue, tale e quale ai suoi avversari precedenti.
https://twitter.com/espnmma/status/1259533218098958337
Anche Gaethje sputava sangue dalla bocca, ma i danni erano di lieve entità. Ferguson è riuscito ad andare a segno con dei jab al volto troppo leggeri in confronto al ritorno fisico e feroce dei diretti seguiti dagli overhand di Gaethje, che ha confermato il dominio sia sul numero di colpi significativi che sull’efficacia. Ferguson forse avrebbe dovuto provare a evitare l’incrocio dei guanti almeno ogni tanto, lavorando all’esterno invece di scambiare frontalmente cercando di arrivare al mento di Gaethje, che ha lavorato molto bene anche con i leg kick, suo marchio di fabbrica.
Il momento clou dell’incontro arriva dal quinto round: Ferguson, stanchissimo anche per via del camp troppo lungo (avrebbe dovuto combattere ad aprile con Khabib) e dei due tagli di peso effettuati, inizia a incassare tutti i colpi che Gaethje porta, resta in piedi come uno zombie e dopo un maldestro tentativo di roll subisce l’ultimo assalto, fatto di diretti e ganci, tra cui l’ultimo gancio sinistro che lo colpisce in pieno. Ferguson scuote la testa e non si capisce se voglia negare il dolore o se stia cercando di ricollocare il proprio cervello nella scatola cranica prima che gli esca dall’orecchio. L’arbitro, Herb Dean, aspetta che Gaethje (a dir la verità non troppo motivato a quel punto) prepari una nuova carica prima di interrompere l’incontro.
«Khabib è il campione, aspetto questo genere di sfide da sempre, ho un grande coach e con i giusti accorgimenti adesso sono pronto», ha detto Gaethje a fine incontro. A conti fatti, il match fra Khabib e Tony Ferguson si allontana ancora di più, forse non lo vedremo mai e sicuramente non li vedremo mai combattere al proprio meglio.