Per quanto banale, se c’è un aggettivo perfetto per descrivere lo stile di Sean O’Malley è “divertente”. Da grande intrattenitore qual è, O’Malley ha tentato più volte e trovato alla fine un KO spettacolare per sbarazzarsi di Thomas Almeida. Visto ai suoi esordi come un papabile contendente alla corona, Almeida fu presto messo a tacere da Cody Garbrandt e, da quel match (del 2016) è parso sempre più sperduto all’interno dell’ottagono, perdendo tre incontri e vincendone uno solo. Dal punto di vista della UFC, quindi, un fighter perfettamente spendibile per far risalire l’hype di O’Malley, sconfitto recentemente da Marlon Vera.
Almeida è un fighter aggressivo con basi nella muay thai, è solido ma non estremamente mobile. La sua staticità ha sofferto parecchio la mobilità di O’Malley. Con una stance ortodossa e guardinga, Almeida è entrato nell’ottagono con l’intenzione, probabilmente, di tagliare le distanze e distruggere il footwork di O’Malley a suon di low kick. Una strategia che non ha mai trovato compimento. Il gioco di gambe ha consentito a O’Malley di tenere in mano le redini dell’incontro e di combattere praticamente sempre alla distanza che gli faceva più comodo, a differenza di Almeida che si è dovuto adattare e non l’ha fatto bene.
Una delle schivate di O’Malley sui colpi a seguire di Almeida.
Almeida ha inseguito e pressato il suo avversario, a tratti raggiungendolo, ma finendo comunque per andare a vuoto a causa del proprio footwork inadatto e di assalti troppo in linea retta. Sostanzialmente, il footwork multidirezionale di O’Malley serviva a far spostare a piacimento Almeida, colpito sempre in maniera piuttosto agevole.
O’Malley ha spesso girato la testa da un lato per fintare dei calci girati - colpi che, quando li ha tirati davvero, sono andati a segno - per poi invece affondare con colpi dritti.
Uno dei momenti in cui O’Malley ha girato la testa, fintando il colpo in girata, per poi affondare verticalmente.
Il suo “stand-up game” fatto di finte, versatilità e creatività ha sorpreso più volte Almeida e già a metà del primo round lo ha mandato knockdown con un calcio alla testa, ma O’Malley ha cercato il walk-off KO e non ha approfittato con il ground-and-pound dell’attimo di vulnerabilità di Almeida, che è rientrato nell’incontro.
Il colpo perfetto di Sean O’Malley.
Su qualche tentativo di colpo in girata O’Malley è finito a terra, ma Almeida non è riuscito a capitalizzare. Il secondo round ha visto una gestione più attenta di O’Malley, che non ha affondato ma ha portato in giro per la gabbia il suo avversario, succhiandogli le ultime energie residue. Nel terzo round anche O’Malley pareva aver iniziato a patire la fatica, ma ogni volta che Almeida tentava l’affondo, “Suga” lo ha intercettato col calcio obliquo in avanzamento.
Almeida a un certo punto è parso quasi rassegnato, povero di idee, incapace di trovare la soluzione al rebus. Rapidità, gestione delle distanze e timing hanno fatto sì che gli attacchi diretti al volto di O’Malley andassero tutti a segno, schiacciando progressivamente il naso di Almeida. A poco più di un minuto dalla fine dell’incontro, Almeida ha tentato l’assalto della disperazione, incappando in un gancio sinistro e finendo poi KO con un diretto in ground and pound da manuale.
Con una tale performance, O’Malley ha riguadagnato consapevolezza e considerazione da parte di pubblico e addetti ai lavori. Per metterlo in difficoltà ci vogliono fighter dall’ottima capacità di gestire le distanze o power wrestler dall’offensiva straripante. E O’Malley, dopo questa vittoria, si è guadagnato il diritto di avere in programma un match importante.
La decadenza di Woodley (e il momento di Luque)
Il co-main event di UFC 260 ha segnato l’ultimo atto della parabola discendente di Tyron Woodley. Stavolta a finalizzarlo, addirittura al primo round, ci ha pensato Vicente Luque, power-puncher dotato di un buon wrestling difensivo e di un ottimo submission game. Luque era il numero 10 dei ranking, Woodley il numero 6 e sapeva bene che questa battaglia era importante ai fini della propria permanenza in UFC.
Forse per questo Woodley (spesso accusato di una strategia attendista e noiosa) ha iniziato il match col piede sull’acceleratore, mostrando a Luque il proprio dominio nel wrestling. Non avendo vinto nemmeno un round nei suoi ultimi tre incontri, la situazione di Woodley era sportivamente drammatica: l’ex campione dei Welter doveva dimostrare di essere tornato sé stesso anche dal punto di vista della motivazione. Luque, però, pareva aspettarsi un approccio simile e quando si è trovato spalle a parete, ha lavorato per invertire, con successo, la posizione. Contro un fighter come Luque, ci saremmo aspettati un Woodley guardingo e voglioso di sfruttare al massimo il suo wrestling offensivo e la sua predisposizione al counterstriking, invece ci si è ritrovati davanti a un Woodley iperaggressivo.
Se c’è una situazione specifica nella quale Luque brilla sono gli scambi selvaggi. La scelta di Woodley di scambiare è stata davvero sorprendente: anche a metà del primo round, Woodley non ha ceduto il passo e ha puntato il suo avversario tentando di stenderlo con dei buoni overhand, prontamente contenuti da Luque. Woodley ha anche tentato di mettere a segno il takedown, ma il wrestling difensivo di Luque ha avuto successo: quando il brasiliano riusciva a bloccare il takedown, guidava l’azione successiva, costringendo Woodley spalle a parete.
Luque riesce a gestire la fase di clinch al meglio.
I diretti di Woodley hanno continuato ad andare a segno, ma la qualità di Luque nell’assorbirli ha sorpreso anche l’ex campione. Nel momento in cui Woodley ha provato ad affondare gli ultimi colpi, Luque ha risposto con un overhand che ha fatto perdere ogni certezza al suo avversario.
Da qui, Woodley è entrato nel panico: ha subito un altro gancio sinistro da Luque, tornato composto e concentrato, con una capacità di ripresa dai colpi subiti davvero impressionante; poi ha provato a rispondere con tutto ciò che aveva in corpo, ma le sue gambe non gli rispondevano più. Camminando in maniera sconnessa da un lato all’altro della gabbia, Woodley è riuscito a mettere a segno un ultimo gancio, ben assorbito da Luque, prima di cedere il passo a un ultimo gancio sinistro che l’ha fatto capitolare. A chiudere il match è stata una “D’arce choke”, con Woodley che non ha neanche provato a difendersi per i primi secondi (probabilmente era stordito dai colpi).
Luque mette i presupposti per una D’arce choke, mentre Woodley non accenna risposta.
Una discesa verticale negli inferi, quella di Tyron Woodley, ritrovatosi in quattro match, tutti persi, da campione indiscusso di categoria a gatekeeper della top 10, nemmeno così temibile. Una delle parabole discendenti più tristi e per certi versi incomprensibili di tutta la promotion: per lui adesso le cose si complicano e rischia il taglio addirittura dalla promotion, dato che oltretutto non gode delle simpatie di Dana White.
Luque, invece, sembra aver imboccato la corsia preferenziale che porta alla vetta. Lui ha detto di non voler correre e godersi il cammino: per questo ha già sfidato Nate Diaz, con cui, va da sé, verrebbe fuori un match spettacolare, senza niente se non l’onore in palio.
Inizia l’era Ngannou
Nel 2018, a UFC 220, si è consumato il primo atto della battaglia fra titani che si è conclusa lo scorso sabato notte. Stipe Miocic, con la prestazione più accorta e strategicamente vincente della propria carriera, aveva controllato, dominato, un acerbo Francis Ngannou, rimandandolo ai piani medi della divisione. E mentre quello cercava la strada per il rematch, Miocic ha dato vita a una delle trilogie più emozionanti dei Pesi Massimi, contro il campione dei Massimi Leggeri Daniel Cormier. Si può dire quindi che per entrambi, quell’incontro del 2018 ha funzionato da punto di partenza della parte di carriera più importante: per Miocic quella che lo ha portato tra i migliori di sempre, per Ngannou quella che lo ha portato alla maturità sportiva e, da lì, alla cintura.
Alla vigilia di UFC 260 erano in molti a dare favorito il fighter camerunese, così come erano in molti a darlo favorito tre anni fa. Ngannou ha deluso le aspettative la prima volta, convinto forse di poter battere Miocic affidandosi esclusivamente alla propria forza sovraumana, espressa in cariche verticali aggressive, cadendo nella trappola del campione più esperto e tecnico, che non senza qualche difficoltà lo ha reso sempre più innocuo, facendogli passare gran parte delle cinque riprese con le spalle al suolo.
Sabato scorso, a UFC 260, invece, lo spettacolo è stato diverso. La domanda che si facevano tutti, appassionati, giornalisti, fighter, era semplice: quanto era cambiato Francis Ngannou? La risposta è stata altrettanto semplice, sebbene enigmatica: molto, praticamente in tutto. Ngannou aveva ben chiari i campi sui quali lavorare: difesa dei takedown e gestione delle energie; come si capisce anche dalla risposta sincera data nella conferenza precedente al re-match: la prima volta, secondo Ngannou, era entrato nell’ottagono «convinto di abbatterlo brutalmente, come se non fosse stato nessuno».
Così, per il re-match, Francis Ngannou si è presentato nella miglior forma della sua carriera. Non ha sprecato un movimento. Non ha accelerato bruscamente senza un valido motivo. Ha tenuto ben salde le redini dell’incontro e alla fine non ha fatto nemmeno sembrare difficile quella che per qualunque altro fighter sarebbe stata una missione quasi impossibile.
Miocic si è presentato al weigh-in pesando 106 kg, contro i 119 di Ngannou: praticamente una categoria di differenza, ed era ovvio che un Miocic più leggero avrebbe puntato sul footwork e il rientro (aspetti che, peraltro, hanno caratterizzato l’ultima azione dell’incontro), ma la durezza psicofisica di Ngannou e i vari miglioramenti compiuti in ogni ambito gli hanno consegnato la vittoria.
Ad aprire le danze è stato proprio Ngannou, con un violento leg kick al quale ha fatto seguire, poco dopo, un colpo al corpo. Ha iniziato prendendo le misure, senza intenzione di travolgere Miocic, come invece aveva fatto coi suoi ultimi avversari. Con la sua presenza fisica è riuscito a controllare in maniera agevole molti dei movimenti in uscita di Miocic, punito spesso coi calci bassi; anche il campione, dal canto suo, ha tentato di rompere l’avanzamento di Ngannou con dei low kick, appena percepiti da Ngannou e, anzi, assorbiti in maniera tranquilla. Il primo diretto pesante di Ngannou è arrivato dopo circa un minuto e mezzo, ma Miocic non è parso accusarlo in maniera evidente.
Francis Ngannou affonda il primo overhand su Stipe Miocic.
È stato un lavoro di in & out molto preciso di Ngannou, che ha messo da subito in mostra anche la propria velocità. Miocic sapeva bene di non potersi permettere scambi selvaggi con Ngannou, ragion per cui subito dopo aver incassato il primo colpo si è giocato la sua carta migliore: quella del single-leg takedown.
Il momento più importante del match è stato proprio questo: Stipe ha tentato l’atterramento, ma non ha avuto fortuna: Ngannou ha subito ripreso l’equilibrio, ha piazzato il proprio peso sul tronco e ha effettuato uno sprawl da manuale, non consentendo a Miocic di trattenere la sua gamba. Il movimento laterale è stato perfetto: Ngannou ha messo i ganci sotto le braccia per arrivare al controllo posteriore e, dopo aver portato a sua volta Miocic a terra, ha iniziato a colpirlo con violenti montanti e ganci al volto. Stipe si è rimesso in piedi poco dopo, seppur subendo stavolta dei danni evidenti.
Probabilmente quest’azione ha avuto un impatto devastante su Miocic, non solo fisicamente, ma soprattutto psicologicamente. Da quel momento ha avuto la consapevolezza che stavolta sarebbe stato molto più difficile costringere il proprio avversario a terra. Ciononostante, Miocic non ha consentito a Ngannou di riportarlo a terra al tentativo successivo, riuscendo a riprendere fiato e sistemarsi dalla distanza.
Ma anche dalla distanza - anzi soprattutto da lì - Ngannou sa essere molto pericoloso, colpendo subito Miocic con un calcio alto. Il colpo non è stato tecnicamente perfetto, il piede d’appoggio ruota appena, ma è arrivato totalmente inaspettato: è stata forse la prima volta che si è visto Ngannou tentare un headkick. Ngannou ha colpito col piede, non con la tibia, e Miocic ha saputo incassare anche questo colpo.
Ok, quindi adesso Ngannou calcia anche. Bene, ci mancava solo questo.
Negli ultimi due minuti della ripresa Stipe ha provato a colpire con dei low kick, che però hanno avuto poco effetto sulle gambe di Ngannou. Al termine della prima ripresa, il volto di Miocic trasudava delusione.
In apertura del secondo round l’angolo di Ngannou gli ha chiesto di accelerare, e lui non si è fatto pregare: il primo overhand è andato a vuoto, ma il pressing su Miocic si è fatto sempre più asfissiante. E c’è da sottolineare il comportamento in gabbia di Ngannou, che è entrato in maniera estremamente tranquilla, conscio dei propri miglioramenti, intelligente nella scelta dei colpi e dei momenti, consapevole che l’occasione giusta si sarebbe presentata. Senza fretta e con una buona organizzazione, la sua strategia ha pagato i dividendi.
Così, mentre anche l’angolo di Stipe spingeva per una maggiore intensità d’attacco, che l’ha portato a centrare Ngannou col jab in avanzamento, lo stesso Ngannou ha restituito il favore sotto forma di gancio sinistro. Ma il vero capolavoro è avvenuto poco dopo: Ngannou ha cambiato guardia per un attimo, anticipando Stipe col jab destro e scaricando il diretto sinistro proprio sul mento del campione, che è crollato all’indietro.
Miocic si è rimesso in piedi, ha girato al lato e una volta tornato in piedi ha trovato un ottimo gancio destro, che l’ha illuso per un attimo di poter ripetere la prestazione offerta contro Werdum, affondato mentre indietreggiava. Ngannou si è fermato per una frazione di secondo, ha fatto addirittura un passo indietro.
In una frazione di secondo, prendendo coraggio, Stipe ha tentato l’assalto, ma è lì che è arrivato il gancio sinistro di Ngannou, corto e violento, che lo ha mandato giù. A terra, Miocic è stato raggiunto anche da un colpo in ground and pound, di cui forse non c’era bisogno (colpa dell’ennesimo posizionamento sbagliato dell’arbitro Herb Dean).
Con un paio di colpi secchi bene assestati, non della potenza tipica ma sicuramente più veloci, Ngannou è riuscito a costringere Miocic, il campione dei Massimi più longevo della storia della UFC, a fargli spazio. Inizia così il regno di Ngannou, perché se quando gli mancava la cintura esisteva ancora qualcuno che dubitava della sua efficacia adesso nessuno sembra poterlo battere.
Jon Jones si è già proposto e Ngannou ha risposto positivamente nell’intervista post match: «Il match con Jon Jones è quello che ha più senso, ma se Jon non salirà di categoria dovrò continuare a combattere perché voglio essere più attivo». Dana White ha già fatto il nome di Derrick Lewis, l’unico altro fighter UFC capace di batterlo, ai punti, anche se il loro incontro (immediatamente successivo al primo con Miocic) fu stranissimo e difficilmente rivedremo Ngannou così bloccato.
Una cosa è certa: Francis Ngannou ha convogliato tutta la sua esplosività e la sua potenza in uno stile adesso completo. Nella storia dei Massimi non si è mai visto un fighter dotato di questa potenza, qualità che potrebbe addirittura trasformarlo in uomo-copertina per UFC.