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UFC 261 è stata una festa
26 apr 2021
Il ritorno del pubblico, quello di Rose Namajunas, la violenza di Usman e Shevchenko.
(articolo)
14 min
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Dalla terra più soleggiata degli Stati Uniti, la Florida, e più precisamente da Jacksonville, abbiamo assistito a un (quasi) ritorno alla normalità, con il ritorno del pubblico in concomitanza con un evento epico per molti motivi. Sebbene il fascino dello schiocco dei guanti negli scambi ha rappresentato una componente alla quale ci eravamo abituati, e che ci aveva fatto cogliere altre sfumature dello sport, l’arena gremita e la folla urlante hanno restituito alle MMA quell’aspetto rituale, ancestrale, che era mancato nell’ultimo anno.

I tre match finali, facilmente interpretabili come tre main event visti i titoli in palio, hanno offerto spettacolo e finalizzazioni e, in termini di tempo, non hanno coperto nemmeno la totalità di un match singolo da 25 minuti. A fine serata abbiamo una sola nuova campionessa, Rose Namajunas, che torna ad esserlo quasi due anni dopo aver perso quella stessa cintura dei Pesi Paglia contro Jéssica Andrade, che a sua volta ha perso la sfida valida per i Pesi Mosca contro Valentina Shevchenko. Ma anche le conferme di Shevchenko e Usman in cima alla piramide alimentare delle rispettive categorie non sono arrivate in modo banale o noioso. Anzi.

Valentina Shevchenko, dominante

Che Valentina Shevchenko fosse una delle donne più dominanti del pianeta era già chiaro dopo la doppia sfida con Amanda Nunes, forse la fighter più grande di sempre. Shevchenko aveva sfidato Nunes nella divisione della brasiliana, i Pesi Gallo (61 kg) perdendo per decisione due match equilibrati, il secondo oltretutto terminato per decisione non unanime. Non si può dire che Shevchenko fosse “piccola” per quella la divisione, ma la Nunes era fisicamente avvantaggiata e dopo le due sconfitte non sembrava esserci molto interesse per un terzo match. Con la nascita dei Pesi Mosca (57 kg) un terzo match fra le due diventa l’unica opzione possibile per entrambe, considerando che Nunes non ha rivali in quelle superiori, anche Shevchenko è arrivato alla sua quinta difesa titolata e non sembra avere avversarie papabili.

Quella di UFC 261 è stata una lezione, che Shevchenko ha inflitto a Jessica Andrade, potente striker dai takedown violenti e travolgenti, ex campionessa Pesi Paglia UFC. La prestazione della campionessa nata in Kirghizistan è stata praticamente perfetta e le ha consentito di vincere uscendo praticamente illesa nei due round passati all’interno dell’ottagono. La grandezza di Valentina Shevchenko sta nel dominare le proprie avversarie nel loro punto forte, demolendole sul piano fisico e mentale. Jessica Andrade, alla fine del match, ha detto che si sarebbe aspettata un match molto più improntato sullo striking ed invece la determinazione della Shevchenko nel cercare il clinch, i takedown e le proiezioni è stata una sorpresa, fondamentale per la vittoria arrivata per TKO nel corso del secondo round.

Valentina Shevchenko intercetta il leg kick di Jessica Andrade, lega in clinch e porta la sua avversaria a terra.

L’impatto iniziale del match è stato molto intenso grazie al pubblico presente, che ha iniziato ad urlare il nome di Valentina mentre lei, con la solita guardia stabile frontalmente, iniziava a prendere le misure. Per Andrade il problema principale era quello di chiudere le distanze per entrare in fase di grappling. Il primo momento fondamentale che ha fatto comprendere ad Andrade che la serata non sarebbe stata semplice è arrivato dopo poco più di un minuto, quando Shevchenko ha effettua un check sul low kick della brasiliana e sfruttando l’inerzia è entrato in clinch, per poi sbilanciarla e trascinarla a terra con una certa facilità.

Valentina Shevchenko è fra le striker più spietate in circolazione, ma all’occorrenza sa trasformarsi in una grappler arcigna. Lo avevamo visto già contro Julianna Peña, sottomessa con una armbar, o contro Priscila Cachoeira e contro Katlyn Chookagian, appena l’anno scorso.

L’unico buon momento di Andrade arriva a metà del primo round: la brasiliana ribalta per un attimo la campionessa e la colpisce con dei montanti al corpo. La situazione verrà ribaltata ancora una volta poco dopo, quando Shevchenko otterrà un altro takedown.

È solo con un grande dispendio di energie che, dopo un minuto di controllo, Andrade è riuscita a ritrovare le distanze, ma solo temporaneamente. La qualità negli atterramenti della campionessa è stata decisiva e la sfidante non è riuscita a contenerla nemmeno in un’occasione. Andrade in clinch ha provato a ribaltare la situazione, ma la fisicità di Shevchenko è stata fondamentale per mantenere lo status quo.

Ottenuto il secondo takedown, Shevchenko è passata al primo vero attacco: dopo aver preso la schiena di Andrade ha tentato la sottomissione con una rear-naked choke, ma la sua avversaria ha mantenuto la calma ed è uscita da una pessima situazione.

Nel tentativo di sottomettissione, Shevchenko non ha messo i ganci (con i talloni dietro le cosce) e la brasiliana è riuscita a uscire.

Il primo round è comunque terminato con un dominio nel grappling di Shevchenko, nella sua ennesima prova di completezza. La campionessa ha messo i presupposti per quello che sarebbe successo nel secondo round. Andrade, all’infuori di qualche sporadico colpo nello scramble, non è mai riuscita ad esprimersi, anche per via dei molti takedown di Shevchenko (ha pareggiato il record per il maggior numero di takedown nella storia dei Pesi Mosca femminili in UFC). Andrade ha tentato più volte di sollevare Shevchenko per imporre i propri power takedown, ma non è mai riuscita a concretizzare l’assalto grazie alla difesa con le spalle a parete, e all’equilibrio, di Shevchenko.

Proprio come contro Katlyn Chookagian, alla fine Shevchenko ha imprigionato Andrade nella posizione chiamata “crocifisso” e da lì ha iniziato a colpirla con pugni e gomitate. Con tutto lo sforzo possibile, Andrade non poteva sottrarsi ai colpi e l’arbitro ha dovuto interrompere l’incontro per TKO. Così Valentina Shevchenko continua il proprio dominio e le effettive pretendenti al titolo delle 125 libbre si fanno sempre meno numerose. Il terzo incontro con Amanda Nunes sembra non è solo un’opzione valida, ma è anche l’unica a disposizione di Dana White.

Shevchenko imprigiona Andrade in posizione “crucifix”.

Il come back di Rose Namajunas

La massima di Muhammad Alì “Vola come una farfalla, pungi come un’ape” si adatta perfettamente all’attuale versione di Rose Namajunas, diventata per la seconda volta campionessa dei Pesi Paglia (52 Kg). Nella vittoria contro Weili Zhang (ingiustamente fischiata dal pubblico americano, forse caricato dalle dichiarazioni di Namajunas che aveva fatto dell’incontro un po’ la sfida tra i “liberi” Stati Uniti e la Cina comunista) ha offerto una prestazione tanto breve quanto ad effetto, che entra di diritto tra le più iconiche nella storia delle MMA.

Namajunas ha aperto il match muovendosi lateralmente e fintando colpi verticali, con un footwork estremamente mobile che le ha consentito da subito di acquisire sicurezza. Sulla falsariga del primo match vinto contro Joanna Jedrzejczyk, è stato soprattutto quest’aspetto ad aprire lo spazio per il colpo vincente, arrivato praticamente subito. Lo stile della Namajunas ha delle caratteristiche uniche: sebbene colpisca in maniera molto rapida e secca, dando la sensazione di poter terminare un match in una frazione di secondo, il suo footwork è morbido, quasi danzante, e nasconde perfettamente le intenzioni malevole dietro ogni suo colpo.

Ad esempio Zhang, in apertura, per guadagnare un po’ di spazio ed iniziare a stabilire il proprio range d’attacco, l’ha colpita con un leg kick ma non ha pensato alle conseguenze possibili, contro una striker chirurgica e col vantaggio nell’allungo. Lo studio e lo sfruttamento di angolazioni imprevedibili è uno dei punti che giocavano maggiormente a favore di Namajunas e l’in-&-out col quale ha cominciato a studiare le reazioni di Zhang devono averle dato la percezione di poter affondare praticamente subito.

Namajunas subisce il leg kick interno di Zhang sulla gamba avanzata. È un colpo in counter perché Namajunas è in avanzamento.

Dopo un diretto al volto, andato a segno in fase di avvicinamento, Namajunas ha fatto sfogare Zhang coi leg kick e le ha fatto prendere fiducia, rispondendo con combinazioni di jab e diretto per riottenere la distanza ottimale. L’azione decisiva è arrivata con poco più di un minuto trascorso sul cronometro, con un headkick sferrato con la gamba avanzata. Il colpo, arrivato a metà fra il piede e la tibia, ha impattato perfettamente sulla mandibola di Zhang. L’esecuzione tecnica di Namajunas è stata perfetta e la fighter cinese non ha visto arrivare il calcio, probabilmente aspettandolo al corpo, visto il movimento minimo in arretramento.

Namajunas aveva già abituato gli osservatori a questo tipo di exploit quando sorprese tutti mettendo Joanna Jedrzejczyk KO, a UFC 217. Oggi Namajunas può dire di aver battuto le due campionesse più dominanti della sua categoria, a distanza di anni, il che la rende una delle fighter più misteriose difficili da leggere.

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In genere, i colpi con la parte avanzata risultano più lenti e prevedibili, ma non è stato il caso del calcio di Rose Namajunas.

Dopo i colpi in ground and pound, Zhang si è lamentata con l’arbitro perché ha ritenuto lo stop anticipato, ma a parte la caduta plastica si può notare un secondo di inattività anche mentre l’arbitro separa le contendenti. Nell’intervista successiva al match Namajunas si è commossa al microfono di Joe Rogan: «I’m the best», ha detto. Solo la migliore avrebbe potuto battere una campionessa del calibro di Zhang, che veniva da 21 vittorie consecutive. Namajunas ha detto anche di non aver nulla di personale contro l’ex campionessa (anche se prima del match aveva detto «meglio morta che rossa») e di non odiare nessun essere umano.

Le strade che può percorrere adesso la Namajunas sono sicuramente molto più numerose di quelle che avrebbe potuto percorrere Zhang. La divisione si fa parecchio più interessante e le opzioni variegate. Attenzione però, la nuova versione post-Andrade di Namajunas ha riacquisito ogni sicurezza dal punto di vista mentale, che poi era anche l’ultimo scoglio da affrontare per tornare alla carica. Il suo nuovo status di campionessa non è casuale, ma conferma ancor più di prima che Rose Namajunas è tornata in cima per rimanerci.

Kamaru Usman è già una leggenda

Cosa serve a Kamaru Usman per essere considerato il campione più dominante della storia? Altre tre vittorie farebbero comodo: con quella contro Jorge Masvidal (seconda sconfitta al secondo tentativo per lui, questa ancora più netta), la sua striscia di W consecutive è arrivata a 14, la seconda più lunga nella storia della UFC dopo quella di Anderson Silva (16). Ha superato Khabib Nurmagomedov e Georges St-Pierre, difendendo per la quarta volta la cintura dei Welte, per giunta con il KO più significativo della sua carriera. E uno dei più iconici della storia della promotion.

Per chi non lo sapesse, Jorge Masvidal è un fighter estremamente duro, capace di rispondere colpo su colpo in ogni situazione, circondato dall’aura dello street fighter indistruttibile. Dalla sua aveva il pubblico di Jacksonville, che urlava il suo nome senza sosta, restituendo un’atmosfera incredibile e quasi dimenticata, che è diventata elettrica durante la presentazione di Bruce Buffer. Ma il calore del pubblico non basta contro uno come Usman.

Nelle ultime uscite del campione si è notata una continua evoluzione, soprattutto in fase di striking, che gli aveva consentito di piegare gli sfidanti più duri in quella dei Welter che, probabilmente, è la divisione più interessante in UFC. Già contro Colby Covington, e in misura ancora maggiore contro Gilbert Burns, si era vista una crescita esponenziale nel lavoro di braccia del campione, capace di preparare il jab con entrambe le guardie e di renderlo duro, granitico, quasi un diretto.

Questo cambiamento, abbinato all’avanzamento perpetuo di Usman, che può sia utilizzare uno striking aggressivo sia un grappling asfissiante, ha reso il campione praticamente inattaccabile. Oggi Kamaru Usman è la personificazione del fighter di MMA definitivo, e Jorge Masvidal ha ammesso a fine incontro di essere stato sorpreso dalla violenza del suo colpo, e di essersi sentito troppo sicuro.

La guardia di Usman è particolare: gamba sinistra avanzata, ma braccia quasi parallele, in virtù di un mento granitico. Una posizione che gli permette di cambiare guardia rapidamente.

La prima volta Masvidal aveva avuto solo sei giorni di preavviso, aveva combattuto sapendo di dover dare tutto e subito perché, con la poca energia accumulata in allenamento e quasi del tutto prosciugata dal taglio del peso, non avrebbe tenuto il ritmo per cinque round. Stavolta, oltre a un camp in piena regola, arrivava con la fiducia nei propri mezzi alle stelle, convinto di avere le capacità per poter scambiare con Usman. Non è stato dunque sorprendente vedere Masvidal tentare di attaccare per primo.

La compostezza nella guardia di Usman contrastava con la guardia aperta di Masvidal, che non ha ritenuto pericoloso lo striking del campione. Il primo diretto a segno di Usman, dopo un minuto, deve averlo riportato a più miti pensieri, visto che l’impatto ha avuto una certa efficacia, oltre ad un effetto a sorpresa sulla folla. Masvidal ha risposto con un sorriso ed una smorfia, ma ha accusato il colpo non senza preoccupazione.

Questo è un momento fondamentale perché Usman capisce di poter far male ed impensierire seriamente sul colpo singolo il suo avversario.

Anche il footwork di Usman è parso rinnovato, rapido, senza riferimenti. Forse è una tendenza che sta prendendo sempre più piede fra atleti di un certo livello, ma nel caso di Usman, che avanzava dritto per dritto sicuro della sua forza straripante in grappling, è davvero un cambiamento notevole.

Dopo aver subito la potenza di Usman, gli attacchi di Masvidal sono sembrati più telefonati, velleitari, come se tradissero un certo timore di esporsi. Ad una combinazione di middle kick e gancio, brillantemente contenuti e schivati, il campione ha risposto con un diretto che ha ristabilito il suo range preferito, non subendo particolarmente il gancio in chiusura di Masvidal, che forse avrebbe dovuto comprendere che gli attacchi verticali magari non sarebbero stati la scelta migliore.

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Usman contiene il middle kick, schiva il primo gancio e colpisce Masvidal con il sinistro; in chiusura Masvidal centra Usman, ma il campione non fa una piega.

Subito dopo Usman mette in mostra la specialità della casa: mette a segno un takedown potente, che però non basta per frenare Masvidal, che da terra è parso indiavolato e, provando a tenere basso Usman, ha iniziato a colpirlo con pugni e gomitate da posizione di guardia. Con grande sforzo, comunque, Masvidal è riuscito a tornare in piedi, caricato dalla folla urlante.

Gli scambi che hanno seguito l’azione hanno premiato ancora Usman. Masvidal ha provato a reggere l’urto, ma il risultato è stato impietoso e ha visto il nigeriano prevalere e controllare il termine del round.

Il jab di Usman è un concentrato di rapidità e potenza.

Il secondo round si è aperto col canto di incoraggiamento del pubblico per Masvidal, che ha risposto assestando un buon low kick, unica arma che è parsa funzionare un minimo nel tentativo di arrestare gli avanzamenti del campione. Non si può dire che Masvidal sia stato inesistente: ha provato ad assaltare in più occasioni Usman ma per quanto forte provasse a colpire si ritrovava spesso a dover contenere i suoi contrattacchi, ben più potenti.

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Kamaru Usman risponde a un overhand con overhand.

L’ultimo atto è stato epico: Usman ha iniziato ad avanzare, ha preso le misure, fintato un gancio col braccio avanzato (con cui ha abbassato la mano a protezione di Masvidal) e ha sparato un diretto distruttore che si è impattato sul mento di Masvidal, costringendolo alla prima sconfitta per KO in UFC e alla quarta finalizzazione totale subita in carriera (2 KO o TKO, 2 sottomissioni). L’ultima volta era stata nel lontano 2009, in un match Bellator. I pochi colpi in ground and pound sono stati superflui, Herb Dean aveva già visto abbastanza.

Il colpo è da poster: potente, chirurgico, perfetto. Il sudore che schizza dalla testa di Jorge Masvidal in una nuvola, la sua testa che si muove senza controllo dando l’impressione di poter volare via come una palla (nell’intervista post-match Masvida si è sentito di dover tranquillizzare i suoi figli che da casa hanno visto il match).

Per Kamaru Usman qualsiasi aggettivo ormai è superfluo e riduttivo. Il suo volto sorridente sbuca come un incubo di lynchiana memoria nei sogni dei primi pretendenti al titolo, che ne hanno già fatto la conoscenza e per nessuno di loro esiste ricordo felice. Neanche l’urlo e le minacce di Colby Covington gli rubano per un attimo la scena: è il fighter che più si è evoluto nel suo percorso in UFC, il più dominante insieme a Khabib, l’uomo più vicino al record dei record: la striscia di vittorie di Anderson Silva. Soprattutto, Usman sembra avere ancora molto da dire. Certo sembra siano terminati gli avversari coi quali dimostrarlo, a vedere la top 10 solo Stephen Thompson pare un avversario legittimo e capace di portare qualcosa di diverso all’equazione finale. Kamaru Usman, oggi, è il campione più dominante in UFC. E rischia di esserlo ancora a lungo.

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