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Tutti vogliono il posto di Khabib
17 mag 2021
17 mag 2021
L'incontro tra Oliveira e Chandler in UFC 262 ha dimostrato come la lotta al trono dei pesi leggeri è apertissima.
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Era il 6 ottobre 2018 e, ad UFC 229, si consumava uno dei match più importanti della storia delle MMA, sicuramente il più importante per la divisione dei Pesi Leggeri: Khabib Nurmagomedov, il peso leggero più forte della nostra generazione, ha costretto alla resa la leggenda Conor McGregor. A quel punto i rapporti di forza all’interno della divisione erano cambiati: Khabib aveva sconfitto l’uomo che rappresentava non solo l’UFC ma tutto il movimento e da quel momento ha monopolizzato la cintura dei Leggeri. Nessuno è riuscito nell’impresa di batterlo, nessuno è riuscito anche solo a farlo sanguinare sul ring, o a metterlo in seria difficoltà. Dopo il ritiro di Khabib, però, si è aperta una voragine nella divisione, che Dana White (dopo aver aspettato di vedere se Khabib, per caso, non si sa mai, potesse ritornare sui propri passi) ha deciso di chiudere con l’evento di sabato, UFC 262, in cui in palio c’era la cintura dei Pesi Leggeri e almeno un altro match decisivo per capire come stanno le cose, e come vanno ridefinite le gerarchie, nella categoria più competitiva della promotion.

Charles Oliveira ha sopraffatto Michael Chandler
Nel suo esordio in UFC (dopo aver dominato gli ultimi cinque anni di Bellator) Michael Chandler aveva soddisfatto tutte le richieste che il pubblico ha nei confronti di un possibile campione: ha prima demolito Dan Hooker, con un KO che resterà negli annali in appena due minuti e mezzo, e poi ha preso il microfono in mano lanciandosi in uno strano monologo, condito da una filastrocca, in cui chiamava in causa il resto della divisione che conta. Insomma, un piccolo show in stile WrestleMania, ma solo dopo aver mostrato che in gabbia le sue abilità non sono seconde a nessuno. Chandler era probabilmente nel suo miglior momento di forma atletica e psicologica, e per questo l’UFC gli ha dato subito una chance per il titolo vacante.

Nell’evento UFC 262, che si è svolto nella notte tra sabato e domenica scorsa, Chandler ha affrontato Charles “Do Bronx” Oliveira, un veterano di 31 soli anni. Oliveira detiene il record per il maggior numero di vittorie per sottomissione in UFC (14) ma a quanto pare aveva promesso a Dana White che avrebbe messo KO Chandler. Dopo un bel low kick in apertura, che ha fatto perdere l’equilibrio a Chandler, il brasiliano ha provato ad avanzare ma si è trovato a fare i conti con la boxe esplosiva dello statunitense.

Subiti due diretti e due ganci in combinazione, gli si è aperta una ferita sull’arcata sopraccigliare, rendendo l’incontro particolarmente complicato per Oliveira. Così, poco dopo, ha portato a terra Chandler e ha resistito egregiamente ad un tentativo di guillotine choke (chiuso ma non con l’angolazione perfetta). Poi è riuscito a prendere la schiena del suo avversario, che però è riuscito a mettersi in piedi e a schiantarlo contro il tappeto, lanciandosi con veemenza all’indietro. Di nuovo a terra, Oliveira non è riuscito a esprimere il massimo potenziale, nonostante i due fossero ancora alle prime battute del match (e quindi senza quel sudore che rende le prese a terra più facili da sfuggire).

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Dopo aver schienato se stesso e Oliveira, Chandler ha utilizzato la propria esplosività girandosi e salendo sopra Oliveira. Da questa posizione di vantaggio ha cercato di fiaccare la resistenza dell’avversario, mirando alla figura con colpi secchi e potenti alternati a ganci al volto. Oliveira è andato in difficoltà, finendo per accettare di stare schiena a terra e subire il ground and pound dello statunitense, per un tempo che è sembrato infinito.

Se alla fine del primo round il destino del match sembrava segnato, l’inizio del secondo ha cambiato tutto. In una sfuriata dall’incredibile precisione e dalla straripante fisicità, Charles Oliveira ha abbattuto con un assalto secco Chandler, mettendolo KO in pochissimi secondi, appena 19 dall’inizio del round.

Praticamente al primo vero scambio, Oliveira ha evitato un diretto del suo avversario, rientrando con un diretto a sua volta, sul quale Chandler non è stato abbastanza lungimirante e, seppur schivando il primo, ha dimenticato di proteggere il mento, venendo colpito in pieno da un gancio sinistro corto di Oliveira che lo ha messo a terra.

Chandler ha provato a riprendersi, ma Oliveira l’ha rincorso, facendogli costeggiare la gabbia e raggiungendolo di nuovo con un gancio che ha messo fine all’incontro. Il ground and pound successivo serviva solo in attesa dell’intervento dell’arbitro. Oliveira non ha sprecato un movimento, ha aggiustato le misure e con un controllo perfetto delle distanze ha affondato Chandler. Un’azione da manuale, lodevole ancor di più per un grappler reinventato striker.

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Per ragioni legate ai trascorsi della divisione, così come a quelli suoi personali, la vittoria di Oliveira è stata storica e, nonostante abbia iniziato il match fra i fischi da parte del pubblico, alla fine l’ha portato dalla sua parte. Charles Oliveira ha combattuto 28 match in UFC prima di diventare campione, un percorso che lo rende il fighter protagonista della scalata più lunga mai vista nella promotion: a soli 31 anni ha ancora un pezzo di strada da fare, da campione, la cintura non è la ricompensa finale per i suoi sforzi ma l’inizio di qualcosa di nuovo per lui.

Nonostante il bel momento di Oliveira, è impossibile non farsi domande sul futuro della divisione. Oliveira ha le qualità e le caratteristiche giuste per superare atleti del calibro di Dustin Poirier, Conor McGregor o il nuovo contendente Beneil Dariush?

Beneil Dariush non può più essere ignorato
Il co-main event di UFC 262 vedeva coinvolti l’ex campione “ad interim” Tony Ferguson e il rinato Beneil Dariush, in un incontro in cui nessuno dei due poteva permettersi il lusso di fallire. Ferguson aveva bisogno di vincere per mettere fine alla striscia di due sconfitte che aveva messo in dubbio il suo talento, mentre Dariush, reduce da sei vittorie consecutive, cercava il successo per ambire a un incontro da titolo.

Nel primo round la componente fisica ha giocato un ruolo fondamentale: mentre Ferguson ha provato a muoversi in maniera continua, Dariush ha tentato di chiudere ogni spazio, provando a controllare il suo avversario e a limitarne ogni offensiva. Ferguson, in effetti, non è mai stato pericoloso e anzi ha dovuto subire il takedown del suo avversario, accettando la sua superiorità sul piano del timing. Il controllo è continuato a terra e a parte un tentativo di rubber guard da parte di Ferguson, e qualche colpo schiena a terra che hanno ricordato le passate qualità di Ferguson, Dariush ha avuto ben poche preoccupazioni.

In apertura del secondo round, Ferguson ha provato una “D’arce choke” per limitare le conseguenze del takedown a segno di Dariush, ma era posizionato dal lato sbagliato, sulla destra, e la pressione non poteva avere effetto.


Il tentativo di D’arce choke di Ferguson



Dariush ha avuto fisicamente la meglio per un tempo prolungato e solo a due minuti dalla fine della ripresa Ferguson ha accennato a rialzarsi, ma è stato riportato subito a terra dal suo avversario, superiore anche in fase di ground game. Vedere Ferguson dominato così facilmente da Dariush fa crollare ogni dubbio su come sarebbe andato un confronto con Khabib, almeno oggi come oggi.

Da terra Ferguson ha provato a difendersi in tutti i modi. Più che una difesa tecnica, però quella di Ferguson è stata piuttosto volontà: anche quando Dariush lo ha stretto in una «heel hook» non ha mollato, dimostrando che si sarebbe fatto strappare la gamba, piuttosto che cedere (Dariush ha detto di aver sentito nettamente un «pop» venire dalla gamba di Ferguson). La resistenza dell’americano, uno dei fighter più amato in assoluto dalla fan-base anche per questo genere di cose, ha spinto Dariush a mollare la presa e tornare a dominare in piedi, fino alla fine del round.

Nel terzo round si è fatto sentire ancora di più il dominio di Dariush, rapido nel portare a segno il takedown e a controllare Ferguson schiena a terra per tutto il resto della ripresa. È stata una prestazione a dir poco dominante, che i giudici hanno premiato assegnadogli la vittoria in maniera netta (30-27 per tutti e tre) e che le parole al microfono di Joe Rogan (un delirante appello ai «marxisti» che dice di capire e che invita a redimersi, unito a una delirante richiesta rivolta ad Elon Musk di fargli avere la sua Tesla) non possono mettere in ombra.


Si noti il movimento della gamba sotto la pressione della heel hook. Ferguson ha una resistenza al dolore sovrumana.



Justin Gaethje e Islam Makhachev alla finestra
Chi altro può ambire alla cintura più ambita della UFC? Anzitutto c’è Justin Gaethje, l’ultimo ad aver perso contro Khabib e che aveva strappato il titolo “ad interim” a Tony Ferguson, in un’altra prestazione malinconica e autolesionista di Ferguson (che si aggiunge a quella con Oliveira, in cui aveva resistito a una leva al braccio che avrebbe spezzato il tronco di un albero). Gaethje può contare sul suo wrestling e su un leg kick che pesa come un macigno, oltre che su colpi da KO che, proprio contro Ferguson, ha rimodellato in colpi pesanti tesi a demolire il proprio avversari. Dopo quella che è stata la prestazione della sua maturità, Gaethje va considerato per forza di cose tra i pretendenti alla cintura e Dana White ha speso belle parole per lui, sottolineando prima dell’ultimo evento come si sarebbe abbinato bene a entrambi i fighter che lottavano per la cintura, sia a Oliveira che a Chandler. Con tutta probabilità, è lui il prossimo nella gerarchia degli sfidanti al titolo, anche se tutto dipende da come finirà il match fra Poirier e McGregor (difficilmente l’UFC si farebbe sfuggire la possibilità di inserire McGregor in un match titolato).

Ma va spesa qualche parola anche per Islam Makhachev, nuova speranza del Daghestan, compagno di team ed amico di Khabib, che ha dimostrato di appartenere già al massimo livello delle MMA. Otto vittorie e una sola sconfitta in UFC, Makhachev è un fighter di trent’anni, il più giovane tra quelli nominati fin qui. Dopo un’assenza dall’ottagono durata un anno e mezzo, Makhachev è tornato lo scorso marzo mettendo in mostra una forma stellare contro il duro Drew Dober, in un match che ha visto la vittoria del russo per sottomissione nel corso del terzo round.

Makhachev sta affinando le proprie abilità e, sebbene non sembri avere lo stesso identico dominio dell’amico Khabib in fase di grappling, è più creativo e sorprendente in fase di striking, anche se probabilmente meno potente. Adesso è a quota sette vittorie consecutive e l’UFC non può più pensare di tenerlo sotto traccia. Ma è il numero 11 dei ranking e il salto che lo porterebbe verso Charles Oliveira è troppo lungo, ci vuole almeno un passo o due prima. Un ipotetico match contro Dan Hooker, ad esempio, solleticherebbe il palato degli appassionati e porrebbe Makhachev davanti a una vera prova del nove verso l’élite di categoria senza sembrare azzardato, considerando che Hooker viene dalla sconfitta più brutta della sua carriera e va testato.

In ogni caso, una cosa è chiara a tutti gli osservatori: Makhachev non è in UFC soltanto per partecipare e la presenza al suo angolo di Khabib aumenta il fascino delle sue potenzialità.

Poirier e McGregor
Il duello che sicuramente interessa di più, per qualità, ma soprattutto per introiti generati e discussioni al seguito, è quasi sicuramente quello che chiuderà la trilogia fra Dustin Poirier e Conor McGregor. McGregor è stato campione di due divisioni di peso, pur non militando in maniera attiva nella divisione dei pesi leggeri e rimane un contendente credibile anche dopo l’ultima sconfitta patita proprio per mano di Dustin Poirier, che ha pareggiato i conti dopo la sconfitta subita per mano dell’irlandese nel 2014, nella divisione di peso inferiore, durante la magica scalata di "The Notorious". Nel frattempo però Poirier è diventato un fighter totalmente diverso: la sua fiducia nei propri mezzi è cresciuta a dismisura, i suoi continui confronti con avversari d’élite del calibro di Eddie Alvarez, Max Holloway, Dan Hooker e Justin Gaethje lo hanno reso sicuro e capace di capire nel migliore dei modi i momenti dell’incontro, permettendogli di ribaltare bagarre che potevano sembrare a rischio, come quelle contro Alvarez e Gaethje. Poirier è uno degli striker più pericolosi della divisione e possiede un grappling difensivo arcigno e resistente. Nel ground game inoltre è capace di mostrare una ottima difesa a contorno di una discreta fase offensiva. In genere, preferisce scambiare, ma all’occorrenza sa dimostrare di essere un fighter completo e capace di finire i match da ogni posizione, come ha fatto contro Anthony Pettis.

Conor McGregor, se non altro, ha capito che se vuole giocare contro i grandi dovrà presentarsi in condizioni diverse rispetto alle sue ultime uscite perché se è vero che Khabib potrebbe essersi definitivamente ritirato, è altrettanto vero che adesso gli altri contendenti hanno ancora più fame e stimoli. Ragion per cui, se vuole riottenere quello che un tempo fu il suo titolo, non c’è tempo per il pugilato.

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UFC 257, la sequenza con la quale Poirier ha ottenuto il KO su McGregor.



Nel secondo episodio di un’eventuale trilogia, McGregor è sembrato incapace di rispondere all’adattamento di Poirier e alla sua offensiva improvvisa. L'americano è parso il peso leggero più forte e completo in circolazione dopo Khabib. È per questo che è considerato, da chi scrive, ancora una volta, l’uomo da battere.

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