UFC 269, ultima card numerata del 2021, ha offerto match impareggiabili in quanto a spettacolo, a cominciare da quelli preliminari per arrivare ai cinque più importanti, tutti a loro modo interessanti e, in alcuni casi sorprendenti. Persino quelli che hanno semplicemente confermato i valori in gioco, tipo quello di Sean O’Malley, lo hanno fatto con stile. “Sugar” O’Malley ha superato Raulian Pavia agli sgoccioli del round d’apertura, per la gioia dei suoi molti ammiratori (Michael Bisping, per dirne uno, è un suo fan) e il fastidio dei suoi detrattori (Marlon Vera, da quando ha battuto O’Malley, non ha mai mancato di giocare al tiro a segno con lui, anche perché l'americano di origine irlandese non ha mai accettato quella sconfitta).
Facilitato da uno fisico affusolato e una rapidità sorprendente, O’Malley ha coperto benissimo gli spazi concessi da Pavia prima di affondarlo con una sequenza mortifera. Il suo jab ha colto nel segno e l’overhand, che ha annunciato la fine dell’incontro, è stato davvero rapido e preciso, causando una parziale disconnessione di Paiva, che è durato ben poco dopo aver accusato il colpo. In molti dubitano ancora del valore assoluto di O’Malley, che dopo la sconfitta con Marlon Vera ha affrontato avversari non proprio sulla cresta dell’onda - non per sua scelta, avendo fatto nomi ambiziosi che però hanno rifiutato di sfidarlo. Adesso è ora di puntare ad un fighter in top 15, la divisione dei Pesi Gallo è ricca di talenti emergenti e veterani che hanno il ruolo di gatekeeper. O’Malley ha tutto ciò che serve per passare un test di alto livello: i numeri, il look giusto, la parlantina sciolta ed i favori del pubblico.
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La sorpresa più grande, prima del co-main event (ne parliamo tra poco), è arrivata nientemeno che da Kai Kara-France che ha dato il più caloroso dei benvenuti nella divisione dei Pesi Mosca a Cody Garbrandt. In passato Garbrandt è riuscito a nascondere i suoi evidenti problemi di resistenza, il suo mento è stato esposto però nei due match con TJ Dillashaw e quel che ne restava è stato demolito nella guerra contro Pedro Munhoz. Sportivamente parlando è drammatico assistere alla discesa verticale di Garbrandt, che da ex-campione ancora giovanissimo ha vinto solo uno dei suoi ultimi sei incontri, e che in quest’ultima occasione ha subito due knockdown e prima del definitivo TKO da parte di Kara-France.
Mascherando il diretto potente dietro una finta di jab, il neozelandese ha aperto la strada al suo colpo migliore. Garbrandt, dopo aver incassato, ha invitato Kara-France a continuare, prima di schivare un bell’incrocio e tentare ancora un takedown: per un attimo era parso potesse tenere a galla il match, poi però è arrivata l’ultima carica a pochi secondi dalla fine del primo round.
Garbrandt è apparso l’ombra di se stesso, l’ultima vittoria è dell’anno scorso, contro un allora trentottenne Raphael Assunçao, la penultima nel 2016 contro Dominick Cruz, nel match che lo consacrava come il miglior peso gallo sul pianeta terra - uno degli upset più spettacolari, netti e ricchi di stile della storia recente dell’UFC: per questo fa ancora più male vederlo così. Da allora, come detto, una vittoria in sei incontri, un parziale impietoso per un fighter ormai appeso ad un filo, incerto sul proprio futuro in UFC e sicuramente non nella posizione di chiedere qualcosa alla promotion.
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Charles Oliveira toglie ogni dubbio
Nel 1995 Charles Oliveira aveva appena 7 anni e gli furono diagnosticati febbri reumatiche ed un soffio al cuore, con la possibilità che diventasse addirittura paraplegico. Il sogno di uscire dalla favela dov’era nato, a Guaruja, vicino San Paolo, per diventare un calciatore professionista, si infranse contro quello scenario. Quindici anni dopo, nel dicembre 2021, Charles Oliveira ha difeso per la prima volta il titolo dei Pesi Leggeri sottomettendo Dustin Poirier, il fighter più quotato a diventare campione dopo l’uscita di scena di Khabib Nurmagomedov.
Il match è durato appena tre riprese e ci sono un paio di momenti che potevano portare l’incontro dalla parte di Poirier, che stavolta si è dovuto arrendere alla superiorità di un avversario più versatile e meglio preparato. Poirier era il combattente favorito alla vigilia: esplosivo, aggressivo e capace di finire il match con un singolo colpo, dopo la dimostrazione offerta nel nuovo doppio scontro con Conor McGregor ci si aspettava potesse confermarsi come numero uno e anche le quote nelle scommesse lo vedevano avanti a Oliveira. Poirier aveva anche aperto meglio l’incontro, con un gancio destro che ha fatto subito perdere l’equilibrio al campione. Ma appena Oliveira ha accorciato la distanza si è capito immediatamente che la serata di Dustin non sarebbe stata semplice.
Il ritmo del primo round è stato forsennato e mentre Poirier colpiva pesantemente in allungo, Oliveira accorciava e combinava gomitate e ginocchiate al corpo. Già da qui il brasiliano ha provato a mettere i presupposti per il proprio takedown, che non parte dal single-leg o dal double-leg, ma piuttosto dalla presa della schiena dopo il doppio undertook al corpo. Al termine del primo round, nonostante tanti cambi di fronte, Poirier sembrava avere un leggerissimo vantaggio, in virtù dei pesanti colpi messi a segno e del knockdown ottenuto a un minuto e mezzo dal termine della ripresa. Ma il campione aveva terminato in crescendo.
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Nel secondo round, anche grazie a un suggerimento del suo angolo, Oliveira ha cercato da subito l’atterramento. Quando ci ha provato è stato ribaltato, ma è riuscito a rimanere in posizione di "omoplata", completando la transizione poco dopo. Un appunto: i cronisti americani, in un’analisi che mi sento di condividere, hanno sottolineato che probabilmente per portare giù Poirier Oliveira ha utilizzato il guantino di Poirier per far leva, una pratica illegale: Herb Dean, l’arbitro, non ha richiamato il brasiliano e Poirier non si è lamentato, ragion per cui fino a prova contraria dobbiamo considerare l’azione regolare.
Sembrerebbe proprio prendere il guantino, ma vai a sapere...
Da quella posizione, intrappolandogli il braccio, Oliveira ha fatto girare Poirier e l’ha obbligato ad una guardia forzata da terra, dalla quale poi ha scatenato un furioso ground and pound. Al commento, Rogan sembrava esterrefatto della mancata reazione di Poirier, Din Thomas invece ha sostenuto che probabilmente non voleva concedere posizioni migliori da terra al campione. Poirier a fine match ha dichiarato che sentiva troppa distanza tra il proprio bacino e quello dell’avversario per offrire una reazione adeguata senza rischiare. Il secondo round comunque è arrivato alla sua fine nel controllo totale del campione.
Oliveira ha dimostrato di non essere un semplice grappler: anche dallo stand-up ha portato a casa colpi notevoli, i suoi gomiti si sono fatti strada come lame e i suoi calci frontali sono arrivati a segno tra addome e fegato di Poirier, sfiancandolo. Dopo il primo round la sensazione era piuttosto chiara: Oliveira stava costruendo la strada verso la vittoria sfiancando fisicamente Poirier, una strategia che avrebbe presto pagato i dividendi. E all’inizio della terza ripresa, in effetti, Poirier sembrava parecchio più stanco del campione: in apertura Oliveira ne ha approfittato, ha preso la schiena alla stessa maniera del primo round e ha scalato Poirier come fosse una parete rocciosa fino ad arrivare al collo, con un unico gancio.
Come nella sua seconda vittoria in UFC contro Efrain Escudero, Oliveira ha messo a segno un’altra standing rear-naked choke, avanzando anche nel record per maggior numero di sottomissioni in UFC (15) e nella striscia di vittorie consecutive, arrivate a 10, superando oltretutto Donald Cerrone nel maggior numero di finalizzazioni nella storia di UFC, adesso 18 (Cerrone raggiunto anche per il maggior numero di bonus, ancora 18). Oliveira non sembra aver intenzione di fermarsi e dopo il match ha ricevuto i complimenti di Justin Gaethje, idealmente il suo prossimo avversario.
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Uno dei momenti più toccanti, però, l’ha offerto Dustin Poirier: dopo essere stato sconfitto, ha offerto una donazione (pare di 20mila dollari, almeno secondo Ariel Helwani) per il paese di provenienza di Charles, la famosa favela di Guaruja situata in San Paolo. Charles ha sollevato il braccio di Poirier e si è complimentato con lui, ma l’americano sembrava distrutto: «Ho lavorato duro per tornare qui», ha detto ricordando quando la prima volta ha lottato per il titolo, contro Khabib Nurmagomedov, «e di nuovo sono finito strangolato, ho il cuore spezzato».
Dopo un’evoluzione che ha dell’incredibile, Charles Oliveira si conferma campione e, cosa più importante, non soffrirà il fantasma di Khabib (che si è complimentato con lui via social) viste le prestazioni che sta offrendo. La sua striscia di vittorie è talmente assurda da far sembrare Oliveira un combattente diverso da quello che avevamo conosciuto in passato: più duro, più determinato, capace di reggere a colpi pesantissimi e di tornare ancora più forte, spezzando volontà e fisico dei suoi avversari.
Charles Oliveira è il legittimo campione e nessuno può dubitare di lui, ma la striscia dei pretendenti non è che sfoltita: dietro l’angolo ci sono già Justin Gaethje e il vincitore del futuro match tra Islam Makhachev e Beneil Dariush. Senz’altro, per gli osservatori ci sarà da divertirsi.
Julianna Peña e l’upset più pazzesco della storia delle MMA
Non c’era alcun modo immaginabile per Julianna Peña di battere Amanda Nunes, i siti di betting la davano per sconfitta in partenza con quote mai viste per un incontro titolato (nonostante fosse la più valida tra le possibili pretendenti al titolo) eppure ha finito per ribaltare i pronostici sottomettendo la campionessa più dominante della storia delle MMA femminili. Niente è scontato nello sport più insondabile e difficile da prevedere di tutti, anche se, va detto, una parte di Amanda Nunes sembra essere rimasta negli spogliatoi, o a casa, senza entrare in gabbia nella notte di sabato. Non per questo l’impresa di Peña è meno sorprendente: anzi ha tenuto fede alla sua promessa della vigilia, persino nelle modalità con cui è avvenuta la vittoria. Anche per questo non può e non deve essere sottovalutata.
Non vi è dubbio che Amanda Nunes per la storia delle MMA sia la campionessa più importante che si sia mai vista, la meglio attrezzata, la più determinata nella propria scalata, ma in uno sport spietato come le MMA basta un attimo, un battito di palpebre per sovvertire il più deciso dei pronostici. Nunes, in un certo senso, è caduta nella trappola di Julianna Peña: una combattente con forte propensione alla sottomissione, che riesce ad essere incredibilmente pericolosa anche negli scambi a viso aperto. Ricorda, per certi versi, i vecchi brawler, ma rischia poco, supportata da un ottimo allungo (175 cm come Amanda Nunes) e dalla capacità di nascondere il proprio volto dietro i suoi colpi.
Contro Nunes ha dovuto sudare, ed ha persino accusato degli scambi importanti, ma non ha mai vacillato, anzi ha sempre dato l’impressione di essere avanti nella conta dei danni. Come promesso Peña ha iniziato a mettere pressione sin da subito, subendo qualche leg kick pesante ma tornando all’assalto con ottimo uso della sua dirty boxing, lavorando dall’esterno e superando le difese della ormai ex campionessa dei Pesi Gallo. Nunes ha provato ad ottenere una buona posizione da terra e c’è riuscita per qualche minuto, imponendo la mezza monta prima e la presa della schiena poi: delle posizioni difficili per Peña, che però non ha mai ceduto. Difendendo il tentativo di rear-naked choke e sfruttando la mezza guardia profonda dopo aver girato dal lato giusto, la statunitense ha praticamente annullato il ground and pound della campionessa, costringendola a difendere un tentativo di kimura nell’ultima porzione del round. Nunes si è liberata negli ultimi cinque secondi.
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Nunes ha iniziato il secondo round con un sorriso stampato in faccia, ma era abbastanza evidente di quanto quel ghigno fosse dato dal nervosismo, anche perché i colpi di Peña andavano a segno. La seconda ripresa è stata una bagarre con il suo picco nei primi tre minuti, Peña è stata la fighter a mettere a segno più danni e ciononostante Nunes non è corsa ai ripari, non ha compreso la pericolosità della sfidante accettando gli scambi selvaggi, facendosi sopraffare dal desiderio di pareggiare il conto. Non appena è mancata la lucidità alla campionessa, Peña ha accelerato ancora e con un takedown l’ha portata a terra e sottomessa, con una rear-naked choke senza mettere i ganci. Il che dimostra come Nunes non ne avesse proprio più.
La differenza l’hanno fatta tutti i colpi dall’esterno andati a segno sul volto di Nunes, privata delle proprie energie e della propria lucidità prima di essere finalizzata. Peña ha citato Nate Diaz nella sua vittoria contro McGregor, con l’ormai famigerata «I’m not surprised…».
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«Devo solo tornare in palestra e ricominciare...» ha detto Nunes, sorridente, quasi liberata da un peso, ma l’impressione è che non fosse al suo meglio. Il rematch sembra altamente probabile, ma adesso si aprono molte possibilità per Peña: gli altri possibili rematch con Germaine De Randamie e Valentina Shevchenko (due sconfitte nei suoi ultimi cinque match) avrebbero senso, specie quello con Shevchenko, arrivata due volte ai punti con Nunes. Peña ha detto di voler scendere di divisione per la sfida contro Valentina e in caso potrebbe esserci un braccio di ferro su chi delle due dovrebbe avere la chance di diventare doppia campionessa.
La divisione femminile dei Pesi Gallo si è sbloccata, ma guai a dare Amanda Nunes come fuori dai giochi. Nella serata giusta, le imprese compiute da questa campionessa sono state epiche. La speranza è che torni presto al suo livello e che questo non sia l’inizio della parte declinante della sua parabola.