Leggende a confronto
di Giovanni Bongiorno
UFC 279 sembrava una card noiosa, forse persino un po’ crudele nei confronti di due leggende - Nate Diaz e Tony Ferguson - gettate in pasto a due fighter in forte ascesa - Khamzat Chimaev e Li Jingliang - ben contenti di appendere le loro teste sopra il proprio caminetto. Ma è stata proprio una mancanza di professionalità da parte di quello che sarebbe dovuto essere il protagonista assoluto della serata, e cioè Chimaev, a costringere l’UFC a mescolare le carte. Quando il fighter svedese di origine cecena non è riuscito (a suo dire su consiglio dei medici) a entrare nei limiti di peso dei pesi Welter, categoria prevista per combattere contro Diaz, la card è stata modificata radicalmente. E ne è venuta fuori una decisamente migliore.
Così Nate Diaz è stato posto di fronte a Tony Ferguson nel main event, mentre Chimaev ha affrontato Kevin Holland, con il quale aveva avuto da ridire nel backstage prima della conferenza stampa di presentazione - una rissa che ha spinto l’UFC ad annullare la conferenza stessa, per la sicurezza di tutti. Nel frattempo Daniel Rodriguez, che avrebbe dovuto affrontare Holland, si è trovato invece contro Li Jingliang, in origine opposto a Ferguson. Di quest’ultimo incontro non scriveremo, ma la controversa vittoria di Rodriguez ai punti, per decisione non unanime, è stata una piccola sorpresa introduttiva alla serata culminata nella sfida tra i due veterani.
L’UFC sembrava voler punire Diaz, che da tempo chiedeva che gli venisse dato un avversario per liberarsi dall’esclusività del loro contratto e andare a fare altro (pugilato?), mettendogli davanti un fighter giovane e feroce come Chimaev. Ma sembrava una punizione anche quella di Ferguson, che veniva da quattro sconfitte consecutive, tra cui il suo primo KO subito, e che andava incontro a un destino terribile contro il cinese Li Jingliang.
Alla fine, invece, è stato una specie di tributo alla carriera di entrambi, un incontro in cui due delle personalità più forti e uniche degli ultimi anni si sono trovate l’una di fronte all’altra, e anche se entrambi sono ormai lontani dal loro prime è stato un evento a suo modo eccezionale e spettacolare.
E per capire il senso del loro incontro bisogna appunto tenere conto di tutto, anche di cose che non entrano nell’ottagono. Tipo la più grande qualità di Nate Diaz, quel carisma che ha costruito il suo personaggio, il “real gangster” di Stockton, l’uomo che fa seguire i fatti alle parole.
L’amore sconfinato che i fan nutrono per i fratelli Diaz, non è immotivato. Partiti dal basso, con la sindrome del reietto, i due Diaz - Nate e il fratello Nick, altra leggenda UFC - hanno conquistato i palcoscenici più alti dello sport, pur senza mai vincere un titolo nella promotion americana più importante (Nick era riuscito a collezionare il titolo welter Strikeforce, poi però in UFC si schiantò in maniera piuttosto decisa contro il treno di George St. Pierre).
Ciononostante, l’appeal generato dai Diaz, da Nate soprattutto nell’ultimo periodo, prescinde dal risultato dei match che disputano. In questa particolare occasione, Nate si è trovato di fronte Tony Ferguson, che ha accettato cinque round di battaglia contro un fighter noto per la sua durata e il suo cardio.
La battaglia è partita in favore di Diaz, grazie al suo tipico uno-due immediato, col diretto che arriva con un tempo d’anticipo perché parte immediatamente dopo al jab. Ciò che è stato sorprendente, però, è stata la tendenza di Diaz a parare i pericolosi leg kick di Ferguson: qualche tempo fa avrebbe incassato e si sarebbe fatto limitare il footwork, stavolta invece ha presentato la gamba avanzata, la destra essendo un mancino, pronta al blocco frontale immediato.
In rarissime occasioni ha cambiato guardia per alleviare i danni subiti, ma già al primo blocco aveva causato un taglio alla gamba di Ferguson. Da parte sua, Ferguson come sempre è stato molto rapido col gioco di gambe, provando ad attaccare con in&out pericolosi, fatti di gomitate e colpi in girata. Diaz ha incassato senza mai accusare eccessivamente i colpi, attaccando poi dall’interno e anticipando il suo avversario, aprendogli quasi subito uno squarcio sotto l’occhio sinistro.
L’incontro è andato avanti così, fino al takedown di Ferguson nel quarto round che ha portato alla sottomissione schiena a terra di Nate Diaz. Un risultato eccezionale, un biglietto di addio alla UFC che strappa il cuore - con tanto di immagine iconica di Nate che mostra il bicipite del braccio destro mentre col sinistro stritola il collo di Ferguson - ed è stato incredibile notare quanto fosse intatto il carisma di Nate Diaz.
Quello che rende unici Diaz è la loro capacità di creare il caos, non necessariamente in termini di violenza, esulando quasi il contesto, un po’ come quando il fratello Nick si stese a terra aspettando Anderson Silva, nel loro celebre incontro. Le urla estasiate da parte del pubblico sono quello che piace sia a loro che alla promotion, la componente spettacolare, giocosa, sbruffona, in uno sport intenso e brutale che non fa sconti a nessuno.
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Quando Tony Ferguson sfuggiva al suo pressing, Nate Diaz andava a bordo gabbia a parlare con gli ufficiali e con Dana White, scalciando in un’occasione in cui Tony ha tentato di approfittarne attaccando. In termini generali, Ferguson non è mai riuscito a prendere le misure a Nate, sempre in avanzamento, sempre dentro la sua guardia, sempre dietro l’uno-due pronto. E quando “El Cucuy” tentava di prendere la distanza, Diaz si metteva a giocare.
I ripetuti “no” con la testa di Nate Diaz parevano riferirsi all’eccessivo uso di Ferguson (legittimamente) dei leg kick, con cui provava a scuotere Diaz dalla distanza e limitarne cardio ed avanzamento. L’effetto però è stato contenuto e Nate è comunque riuscito ad accorciare, sacrificando le gambe: ogni volta che Diaz riceveva un leg kick sfruttava il colpo per avanzare e mettere una combinazione da due o tre colpi. Spesso anche il gancio, sia destro che sinistro, ha avuto effetto scuotendo Ferguson.
L’idea di Ferguson, con tutta probabilità, era quella di portare in giro per l’ottagono Nate, farlo stancare e magari sorprenderlo con qualche gomitata; ma sia queste che i colpi in girata, non hanno avuto effetto su Nate, che si è fatto sempre trovare pronto per evitare gli impatti più duri, mantenendosi guardingo e tralasciando la possibilità di prendere la schiena al suo sfuggente avversario probabilmente per guardarsi bene proprio dai colpi in girata.
Quando Ferguson ha accettato di scambiare con Diaz, Nate ha preso subito le misure e le sue combinazioni sono state sempre più pesanti e precise, rallentando Ferguson e rendendolo una preda appetibile dopo i tre round per i quali si era preparato.
Appena iniziato il quarto, Tony ha tentato un takedown quasi strisciando a terra e appena Diaz ha minacciato il frontale si è rimesso in piedi. A poco più di due minuti dalla fine del round, Ferguson ha tentato ancora il takedown, ma Nate lo ha accolto direttamente in una guillotine choke, costringendolo alla seconda sconfitta per sottomissione in carriera (la prima arrivata però nella fase embrionale della carriera di Ferguson).
Diaz al microfono ha onorato la sua storia in UFC, ma ha anche annunciato di avere in mente un nuovo progetto che renderà più felici i fighter, non mancando di tirare una frecciata a Conor McGregor che secondo lui non si è mai impegnato in merito. Diaz aveva già citato McGregor, annunciando la futura chiusura della trilogia, cosa che sembra aver interessato l’irlandese. Vedremo.
Intanto sembra finita un’era, quella di Nate Diaz in UFC, ricca di incontri epici e sanguinosi. Passerà alla storia per i suoi successi sportivi ma prima di tutto per la sua personalità, per il suo stile dentro e fuori dall’ottagono. Sono pochi i fighter che possono dire lo stesso, quelli capaci di creare un interesse paragonabile agli attori, ai cantanti, il tutto restando sempre naturali. Nate Diaz è sempre stato semplicemente se stesso.
Quanto è cattivo Chimaev?
di Daniele Manusia
All’inizio dell’anno scrivevo: “Sembra un personaggio inventato da qualche sceneggiatore: la faccia da cattivo, le frasi da cattivo (“I KILL EVERYBODY”) e un’aggressività nell’ottagono che fa sembrare i suoi avversari dei passanti aggrediti all’improvviso. Per qualcuno, tuttavia, deve ancora affrontare un avversario che lo metta veramente alla prova, potrebbe essere solo hype, marketing, la furbizia di costruirsi un personaggio che ricordasse la spavalderia di Conor McGregor e la spietatezza di Khabib”.
Tutto questo è ancora vero per Khamzat Chimaev, che ha distrutto Kevin Holland in poco più di due minuti, dopo avergli allacciato le braccia alla vita con la rapidità di un animale selvaggio uscito dai cespugli. A dire il vero, non mi è chiaro se Chimaev non sia saltato su Holland approfittando del fatto che quest’ultimo stesse con il braccio sinistro teso e alto in una posa che di solito hanno i fighter che vogliono toccare i guanti con i loro avversari prima di cominciare a picchiarsi - perché lo facciano, dopo che l’arbitro glieli ha già fatti toccare i guanti poco prima, non lo so, ma non cambia molto all’eventuale mancanza di etichetta di Chimaev.
Ad ogni modo, Holland ha provato a sfuggirgli a terra, si è dimenato come un pesce a cui va tolto l’amo, ma Chimaev è stato asfissiante e agile come al solito, finché lo ha chiuso in una D’Arce Choke costringendolo alla sottomissione. È stata l’ennesima prova della sua spaventosa pericolosità nell’ottagono, sporcata però dal fatto che ha mancato il peso costringendo la UFC a cambiargli avversario (e a modificare anche altri due incontri).
Al di là delle considerazioni tecniche sul suo valore e sul suo futuro in UFC (per quel che mi riguarda penso che possa arrivare a un match titolato, e magari a vincerlo, sia nei Welter, se riesce a entrarci, che nei Medi) Khamzat Chimaev comincia a pormi un problema dal punto di vista umano.
Non è solo che trovo di troppo la sua retorica sull’uccidere gli avversari che incontra, così come sul morire nell’ottagono. Ma più in profondità penso che Chimaev abbia un’idea ambigua, se non ipocrita, di coraggio, di forza, di valore.
Praticamente ogni settimana Chimaev litiga con qualche altro fighter UFC incontrato in palestra, o per strada, ed è tutto un “pensi di essere un gangster”, almeno davanti alle telecamere. Come ha fatto ad esempio con Buckley quando, sorridente, l’americano ha fermato il suo compagno di team Darren Till chiedendogli un incontro: Chimaev gli è andato sotto minaccioso e dopo che Buckley si è allontanato ha chiesto a Till chi fosse. Till, sincero o no, magari stava solo continuando la pantomima del bullo, ha detto di non saperlo.
La risposta di Chimaev più o meno a qualsiasi domanda è: “in Cecenia mangiamo i gangster a colazione”. Cosa voglia dire poi lo sa solo lui, considerando che la Cecenia è di fatto governata da gangster. Anche dopo aver battuto Holland ha preso il microfono di Joe Rogan e ha gridato al pubblico di Las Vegas che lo fischiava: “Siamo in Cecenia”. Il che è problematico, considerando le relazioni tra Chiamaev e il sovrano/dittatore della Cecenia Ramzan Kadyrov - di cui ha scritto approfonditamente Karim Zidan - e i crimini di cui si è macchiato quest’ultimo, tortura, rapimenti, omicidi su larga scala.
Ma lo è anche considerando un video uscito qualche tempo fa in cui Chimaev e Kadyrov si allenano insieme.
Nel video, la solita energia di Chimaev è tenuta perfettamente a bada dalla tecnica d’élite di Kadyrov, probabilmente l’unico sul pianeta terra in grado di controllare così bene Chimaev da sottometterlo quasi senza sforzo, senza neanche il bisogno di migliorare la propria posizione una volta portato a terra. Davvero eccezionale, non si capisce perché Kadyrov non sia un fighter professionista.
Adesso, che Chimaev non schiacci a terra Kadyrov e lo soffochi, gli torca il collo e magari glielo spezzi, è comprensibile. È impossibile mettersi nei panni di tutti quegli atleti usati da criminali e dittatori per pulire o rafforzare la propria immagine, nel caso di Kadyrov poi bisogna tenere presente la lunga mano dei suoi scagnozzi. Basti pensare alla storia di Umar Israilov, sua ex guardia del corpo, ucciso a Vienna, Austria, in mezzo alla strada, dopo che era diventato critico nei confronti del regime.
Chimaev vive in Svezia, dove è emigrato a 18 anni insieme alla madre e al fratello, ed è probabile che prima di diventare un fighter professionista e di talento la sua famiglia non se la passasse tanto bene nel Paese natio. In un Paese, cioè, in cui si arricchisce solo la cricca vicina al potere, per questo non è difficile immaginare che i Chimaev non fossero molto vicini a Kadyrov. E che magari, anzi, come molti in Cecenia, Chimaev stesso fosse a conoscenza degli altri aspetti del carattere di Kadyrov, oltre alla sua passione per lo sport. Quelli ad esempio, che hanno portato all’uccisione della giornalista Natal’ja Estemirova (a cui aveva dato della “puttana” nel suo ufficio pochi giorni prima, accusandola di non voler indossare il velo per eccitarlo) e migliaia di altri ceceni.
Il paragone con Lomachenko e Usyk, rimasti a difendere il territorio ucraino dopo l’invasione russa, ma anche con i fighter della palestra di proprietà del leader ceceno (Akhmat MMA) mandati in guerra da Kadyrov sull’altro fronte (mentre Kadyrov stesso mette in scena la sua partecipazione alla guerra sui social, secondo alcuni gonfiando enormemente il suo ruolo e quello dei suoi seguaci) sorge spontaneo, anche se forse è ingiusto.
Si può pensare allora a quando, nel 2018, in occasione del mondiale russo che ha preso parte anche in Cecenia, Salah è stato obbligato dalla federazione egiziana a incontrare Ramzan Kadyrov mentre la squadra soggiornava a Grozny. Kadyrov e la sua cricca hanno messo in piedi un servizio fotografico su più giorni, in campo, a cena, nei lussuosi palazzi istituzionali, al punto che si è detto che Salah fosse così arrabbiato con la federazione da pensare di lasciare la Nazionale.
Il fatto è che o Chimaev è sincero nel suo sostegno a Kadyrov, un assassino, o maschera la paura che sarebbe anche giusto abbia. Nel frattempo però gli rende servizio, incarna un’idea di ceceno funzionale al potere di Kadyrov e si mostra, lui stesso, sottomesso a quel potere. Senza mostrare la minima contraddizione, neanche quando ringrazia sia la Svezia che la Cecenia, due nemiche nel conflitto geopolitico in corso (la Svezia è stata minacciata da Putin in persona non più di qualche mese fa). Il tutto, confondendoci con il suo talento sportivo effettivamente eccezionale.
Ed è questa la cosa peggiore che fa il potere di questo tipo, tirannico, megalomane, assoluto, sulle persone comuni. Peggio che ammazzarle e torturarle. Le costringe a diventare stupide. A credere a delle bugie talmente evidenti che con un minimo di lucidità, e molto più coraggio, si potrebbe persino ridere in faccia al potente che le mette in mostra. In fin dei conti non è questo che vuole sempre il potere, farci dimenticare la differenza tra ciò che è vero e falso?
E in quella stessa crepa, in quella stessa fessura, si perde tutto il valore umano di Khamzat Chimaev. Super villain della UFC ma che di fronte ai cattivi veri e propri diventa un agnellino. Fighter fenomenale, devastante, che metaforicamente parlando può uccidere tutti i fighter che incontra, ma che si trasforma marionetta quando ha davanti a un assassino vero e proprio.