UFC 280, andato in scena ad Abu Dhabi, ha mantenuto le promesse che aveva fatto alla vigilia. Si è visto davvero di tutto: un nuovo e legittimo campione dei pesi leggeri, la conferma del momentaneo dominatore dei pesi gallo - complice un infortunio occorso allo sfidante - e la consacrazione di un altro fenomeno, finora più mediatico che sportivo.
Il ritorno del dominio daghestano
Ma andiamo con ordine. Il motivo principale per cui UFC 280 era molto atteso risiedeva nella risoluzione finale ai vertici della divisione pesi leggeri. Charles Oliveira, il campione senza cintura (l’unico nella storia ad averla persa sulla bilancia, prima del match contro Justin Gaethje), aveva come obiettivo quello di certificare la sua posizione, quella di fighter più forte al limite dei 70 chili. Davanti a lui però si ergeva la minaccia più grossa della divisione, l’alter ego di Khabib, il suo protégé, Islam Makhachev.
La storyline è davvero curiosa, se non altro perché Charles, quella cintura, prima di perderla sulla bilancia l’aveva vinta in un match contro Michael Chandler, ereditandola proprio da Khabib, che l’aveva lasciata vacante dopo il suo ritiro. Islam non era imbattuto come Khabib, lui un match in UFC l’ha perso e con quella sconfitta aveva perso anche la sua aura di imbattibilità, ma il fascino ideale della sfida con Oliveira rimaneva intatto, considerando anche che Khabib sarebbe stato all'angolo di Makhachev.
Nel corso degli ultimi anni Makhachev ha detto più volte di voler prendere il testimone del suo coach e compagno di team Khabib, per portare il livello della loro arte in cima al mondo, onorando così il padre di Khabib, Abdulmanap Nurmagomedov (morto due anni fa) che ha allenato entrambi. UFC 280, in definitiva, ha segnato il tanto agognato passaggio di testimone da Khabib Nurmagomedov a Islam Makhachev, disegnando la chiusura di un cerchio perfetto e cementando così la posizione di Khabib come coach (che copre anche all'angolo di Belal Muhammad, peso welter che ha battuto l’ex imbattuto Sean Brady nella stessa card).
Il match tra Makhachev e Oliveira è durato appena due riprese ed è stato elettrizzante e ad alta intensità. In apertura, un solidissimo Makhachev ha messo subito a segno un potente overhand mancino che ha fatto vacillare Oliveira, riportando alla mente i suoi ultimi tre match (contro Michael Chandler, Dustin Poirier e Justin Gaethje), nei quali era riuscito a ritornare dall’inferno e vincere. Il match contro Makhachev però, ha fatto eccezione. Il brasiliano, nel corso della prima ripresa, è stato portato a terra da Makhachev, che lo ha controllato, non senza difficoltà, cercando di superare la sua guardia.
Oliveira è riuscito a rimettersi in piedi e a restituire qualche colpo pesante, la sensazione però era che Makhachev fosse più adamantino, più granitico sia nell’assorbimento i colpi che nel colpire. L’allungo di Oliveira avrebbe dovuto aiutarlo, ma il continuo avanzamento di Makhachev, disposto a superare la tempesta che il brasiliano gli aveva riservato pur di entrare nella guardia di Do Bronx, ha consentito al daghestano di mettere a segno i colpi più pesanti, per poi costruire ancora il proprio successo grazie alla qualità finale del suo ground game.
Seppur con un ground and pound non irresistibile, che aveva più il compito di impegnare e sfiancare Oliveira, piuttosto che di metterlo KO, Makhachev ha iniziato a controllare la reazione del brasiliano da terra. La sensazione era quella che il vantaggio dal punto di vista fisico-atletico fosse dal lato del russo, che ad un certo punto, dalla posizione di clinch con gli under hook a parete, ha addirittura proiettato l’ex campione.
Poco dopo la metà del secondo round, Oliveira ha iniziato a muoversi più rapidamente ed in maniera elusiva dallo stand-up; saggiata la forza e la capacità di stabilizzazione di Makhachev a terra, probabilmente il brasiliano ha pensato al blitz per concludere l’incontro, ma dopo aver fintato una ginocchiata sforbiciata in volo, è caduto vittima del gancio di Makhachev, che si è precipitato su di lui, eludendo e schiacciandolo dal lato sinistro e superando la guardia del brasiliano, arrivando a preparare in un unico movimento anche l’arm-triangle choke che gli è valsa la vittoria.
Oliveira ha ceduto quasi subito e Makhachev si è laureato campione sottomettendo il fighter che detiene il record di sottomissioni in UFC.
Il momento finale del match, l’arm-triangle.
A missione compiuta, lui e Khabib si sono lasciati andare alle emozioni al microfono di Daniel Cormier, ricordando Abdulmanap Nurmagomedov. Makhachev ha addirittura dato la cintura a Khabib come se appartenesse a lui, asserendo «Khabib mi ha plasmato».
Khabib ha poi rivelato le loro intenzioni future: un super match con Alexander Volkanovski in Australia. Di questo però non si è ancora certi, anche Oliveira ha chiesto subito il rematch, ricordando a Dana White come sia stato un perfetto company man e domandando quindi la possibilità di essere il prossimo in linea.
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Il passaggio del testimone
Una sola cosa appare certa: oggi Makhachev è il peso leggero più forte in circolazione; per lui però, a differenza di Oliveira, gli avversari contro i quali confermarsi sono ancora numerosi.
Aljamain Sterling è ancora in cima
Se si pensa alla stranezza con la quale Aljamain Sterling ha vinto due dei suoi tre match titolati, una risata può anche scappare. Dopo aver vinto il titolo nel primo confronto con Petr Yan a UFC 259 a causa di una squalifica rimediata dal russo ed averla difesa di misura contro lo stesso Yan a UFC 273, con una prestazione maiuscola, a UFC 280 Sterling, in una forma atletica mostruosa, si è ritrovato davanti il redivivo TJ Dillashaw, rientrato in punta di piedi con una vittoria contro Cory Sandhagen dopo un lungo periodo di squalifica a causa della sua positività all’EPO.
Dillashaw non aveva perso il titolo dei pesi gallo in gabbia, ma gli era stato giustamente tolto quando USADA, l'agenzia statunitense antidoping, ha riscontrato la sua positività. Perciò, a seguito di una vittoria per un soffio su un altro contendente, Dana White aveva pensato di offrirgli la chance titolata. Alla luce di com’è finito il match, di cui tecnicamente c’è poco da dire, lascia molto pensare al perché ad un atleta di livello élite venga permesso di combattere con un evidente infortunio. Dillashaw aveva subito innumerevoli lussazioni alla spalla sinistra nel corso del suo ultimo camp. Aveva addirittura chiesto all’arbitro, come ammesso da Dillashaw stesso, nello spogliatoio, durante il briefing pre-gara, di non interrompere il match nel caso in cui la spalla fosse uscita durante il match.
A parte la richiesta surreale che l’arbitro, per quanto possibile, ha esaudito, lascia perplesso chi guarda prima di tutto alla salute degli atleti, Dillashaw ha combattuto, anzi, più che combattuto, subito l’aggressione totale di Sterling. Dopo pochissimi scambi Sterling ha tentato il takedown, Dillashaw ha attutito la verticalizzazione, ma è finito sulla spalla, infortunandosi sul colpo. Si vede chiaramente come lo sfidante provi a sistemarsi da solo il braccio mentre il campione provava a stabilizzare prima di attaccare in ground and pound.
Mentre ha provato a limitare, per quanto possibile, attraverso l’uso di un solo braccio il lavoro del campione, Dillashaw ha provato persino a rimettersi in piedi, riuscendoci a tratti, ma non potendo trovare appoggio né difesa dal suo lato sinistro, ha finito ben presto per prendere la peggio negli scambi prima e a terra poi. Superata la tempesta del primo round, un chiarissimo 10-8 per Sterling con a tratti la tentazione da parte dell’arbitro di interrompere, Dillashaw è riuscito a convincere medico ed arbitro a farlo entrare anche per il secondo round, ma il risultato è stato il medesimo ed il match è stato interrotto a meno di un minuto dalla fine del secondo round.
L’analisi finale di Cormier, Anik e Felder fa riflettere: non dovremmo sempre auspicare un match nel quale i due atleti, specie di questa caratura, siano sempre al 100%? Sì, perché è ovvio che quando si parla di titolo UFC si sta parlando del livello massimo delle MMA. No, perché i fighter in realtà non sono mai al 100% e piccoli infortuni e fastidi fanno parte della vita di ogni fighter. Quindi dove starebbe la soglia?
Ciò che è inconfutabile è che se il match fosse stato fermato dopo il primo takedown si sarebbero evitati danni inutili a Dillashaw. Con tutta probabilità, il fighter ha combattuto sia per la borsa, sia perché a 36 anni non è detto che un’altra occasione titolata arriverà, specie nell’immediato e con la moltitudine di talenti che la divisione dei pesi gallo offre oggi.
Aljamain Sterling con questa vittoria, intanto, centra la seconda difesa titolata, un obiettivo tutt’altro che certo coi tempi che corrono. Nondimeno, con questa vittoria raggiunge proprio Dillashaw a 13 vittorie nella divisione, eguagliando il record, e quota 8 vittorie di fila, la striscia maggiore nella storia della categoria.
Dopo l'incontro Sterling ha dichiarato di essere pronto ad affrontare chiunque, chiamandoli a gran voce: Sandhagen, Vera e concorrenza varia, ma con tutta probabilità, affronterà un ancora incredulo Sean O’Malley.
La calda notte di Sean O’Malley
Per quanto ormai si possa affermare con certezza che Sean O’Malley sia un fenomeno e ne abbia davvero tutti i crismi, atletici e mediatici, la sua controversa vittoria su Petr Yan ha lasciato sbigottiti.
Un match intenso, premiato col bonus Fight of the Night è stato il frutto dello scontro tra due fighter dalla portata colossale, ognuno dei quali con qualcosa da dimostrare. Per Yan era l’ora del grande comeback, del ripristino dello status di migliore in circolazione, della riconquista della vetta per rigiocarsi l’opportunità titolata. Per O’Malley, con nulla davvero da perdere, era l’occasione definitiva per passare dal vertice basso della top 10 a quello alto saltando un’enorme fila, per poi - al massimo - difendere la posizione prima di guadagnare una title shot.
Il favorito era ovviamente il russo, con più esperienza nei grandi match e una strategia sempre, o quasi, vincente. E in termini di strategie vincenti, sapendo che il match in questione era sulle tre riprese, Yan è partito davvero forte, provando subito ad affossare O’Malley, ma trovando davanti a sé un combattente duro e disposto a prendere la peggio pur di scambiare con lui a viso aperto.
È così infatti che O’Malley ha guadagnato alla fine il favore di due giudici su tre. Yan ha subito aggredito Suga Sean, che ha tentato di alleggerire la pressione dell’ex campione, cambiando guardia e girando all’esterno, rientrando occasionalmente solo a tentativo sicuro. Nel corso del primo e del secondo round O’Malley ha subito più di quello che ha restituito, ma è riuscito a rimanere nel match, evitando di prendere imbarcate di colpi e aggressioni senza risposta.
Yan, grazie al suo pugilato, ha imposto subito il proprio ritmo e, dopo aver subito un colpo duro ad inizio match, ne ha restituito uno, un overhand, ben più potente. Ad ogni tentativo di O’Malley, Yan ha risposto con colpi più potenti, precisi, calcolati, prima di prendere l’iniziativa anche in grappling, controllando anche lì, dopo aver fatto fare un giro in volo al suo avversario.
Nel corso del terzo round, O’Malley ha capito che era rimasto poco da conservare e ha dato sfogo alle sue abilità, riuscendo a centrare Yan e a tagliarlo sull’arcata sopraccigliare destra.
Yan, qui, ha provato a pressare, ma la ferita, che sanguinava copiosamente, ha bagnato la schiena del suo avversario, che sfuggito al clinch è poi riuscito a tornare a distanza e a scambiare.
Nell’ultima porzione del match O’Malley è sembrato più fresco e attivo, ma sui cartellini pareva ancora aver trionfato l’esperto Yan. Due giudici su tre però hanno assegnato la prima ripresa a O’Malley, dando vita a una delle decisioni più controverse della storia recente. Lo stesso Sean non ha voluto esprimersi chiaramente quando Daniel Cormier gli ha chiesto se secondo lui avesse fatto abbastanza per ottenere la vittoria.
«Devo rivedere il match, è stato pazzesco… Ecco, questo è quello che succede quando affronti il numero uno al mondo. Mi ha un po’ sorpreso il suo wrestling, e poi di solito non vengo colpito durante i miei match, invece stavolta li ho proprio sentiti…».
Quando poi Cormier gli ha chiesto se avesse voluto combattere per il titolo dopo questo match, O’Malley ha risposto che vorrebbe rivedere il match prima di decidere, un segno di rispetto verso il suo avversario, ma anche la maturità di capire che forse un passo indietro potrebbe fargli bene per rinforzare la sua posizione da contender e farlo crescere nel frattempo.
Di sicuro O’Malley è maturato e oggi, se anche sui cartellini dei giudici ci fosse stata una sconfitta anziché una vittoria, nessuno si sarebbe più sognato di chiamare il bluff. Sean O’Malley è un fenomeno, senza se né ma, e come dice lui, se la gente vorrà vederlo campione, sarà quello che darà loro. Aljamain Sterling permettendo, bentornati allo Suga Show.