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Israel Adesanya si è ripreso quello che era suo
10 apr 2023
UFC 287 è stata anche la serata dell'addio di Jorge Masvidal.
(articolo)
10 min
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Foto di Alejandro Salazar / Imago
(copertina) Foto di Alejandro Salazar / Imago
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UFC 287 è stato, come spesso capita, un contenitore di storie. Uno degli eventi più riusciti dell’anno, che verrà ricordato per il ritiro di Jorge Masvidal al suo cinquantaduesimo match nelle MMA - un traguardo storico, e un’uscita di scena più che dignitosa contro un pericoloso Gilbert Burns - ma anche, soprattutto, per il re-match tra Alex Pereira e Israel Adesanya, valido per la cintura dei pesi medi che il primo aveva tolto al secondo non troppo tempo fa. Ma è stata anche la serata in cui uno dei fighter con più hype attorno, il diciottenne Raul Rasas Jr., ha ricevuto la prima lezione da parte di uno sport che non smette mai di insegnare qualcosa anche ai più esperti. Ci sarebbe da celebrare anche il ritorno alla vittoria di Kevin Holland e Rob Font, ma soffermiamoci sui tre incontri più importanti.

Adesanya ha riportato tutto a casa

Israel Adesanya si trovava in un abisso. Ma in quell’abisso non ha mai smesso di vedere uno spiraglio di luce, e gliene va dato atto. Perché Israel Adesanya è un visionario, un fighter unico ma anche un po’ eccentrico, un po’ oracolo. A quota tre sconfitte e nessuna vittoria contro Pereira (tra MMA e il loro reciproco passato nella kickboxing) un uomo che fa paura anche a sé stesso, come ha detto lui nei video promozionali nei giorni antecedenti all’incontro, Adesanya aveva tutto da perdere. Con la precedente sconfitta, che gli è costata il titolo, aveva già perso lo status di dominatore dei pesi medi, ma una seconda sconfitta avrebbe azzerato il discorso probabilmente per sempre. Adesanya, per come lo abbiamo conosciuto, non ci sarebbe stato più, si sarebbe dovuto ricostruire quasi da zero.

Pereira gli aveva preso tutto quello che c’era da prendere: titolo, consapevolezza e anche attenzione mediatica. Per questo Nnel corso della conferenza precedente all’evento, Adesanya si era presentato con un collare in stile Danny the Dog (il film di Louis Leterrier con protagonista Jet Li) dicendo di essere un cane pronto a scatenarsi. Nulla di strano, conoscendolo: la costruzione mediatica dei suoi match è sempre complessa e un po’ artefatta. Un modo come un altro per dirci che era pronto a tutto.

A dire il vero, anche nel primo match tra i due Adesanya aveva fatto capire di avere i mezzi e le qualità per battere Pereira, ma dopo aver controllato in larga parte il match alla fine la mentalità il brasiliano aveva avuto la meglio e, come un fulmine che cadeva tre volte nello stesso posto, era riuscito a prendersi una vittoria contro di lui anche nelle MMA. Si è parlato molto di quello che sarebbe stato il loro secondo match, ci si chiedeva soprattutto se Adesanya avrebbe fatto wrestling, arrivando a dei meme in cui indossava la papakha caucasica tipica dei daghestani. Invece Adesanya ha voluto superare la sua nemesi proprio su quello stesso piano che gli aveva dato così tanti dolori, quello dello striking.

La differenza con il primo match è stata nel ritmo e negli spazi da coprire. Adesanya ha aggredito col footwork e i movimenti di corpo Pereira, che comunque è rimasto composto e, forse, ha ottenuto un leggero vantaggio nel controllo del primo round, in cui entrambi hanno preso le misure piuttosto che aprire un gioco al massacro. Una volta a proprio agio, Pereira ha iniziato a colpire Adesanya con pesanti leg kick. Adesanya, dal canto suo, non ha avuto problemi a passare ad una stance southpaw e concedersi jab destri ed overhand sinistri poco prevedibili.

Una delle cose più sorprendenti è stata la scelta della distanza dalla quale si sono affrontati: una distanza minima, dalla quale si possono sferrare solo colpi corti e precisi, oppure cercare angolazioni inusuali. Proprio quest’ultima scelta ha regalato una vittoria storica ad Israel Adesanya.

Adesanya non ha lasciato respiro a Pereira che, invece di provare a schivare, ha preferito incassare per rispondere con reazioni, se possibile, ancora più pesanti. Il vero match si è aperto nella seconda ripresa, quando Israel ha iniziato a torchiare Pereira per rompere la sua postura solida e composta: gli overhand, gli high kick di Adesanya si sono infranti sulla guardia del brasiliano, procurandogli comunque dei danni non indifferenti. Pereira ha continuato ad avanzare con il suo volto minaccioso tipico dei Pataxò, la tribù di cui fa parte, mentre Adesanya con uno sguardo insolito, concentrato e determinato, lo ha accolto con un grande lavoro di in&out, fatto di colpi secchi, precisi, pesanti.

La mobilità di busto nello schivare gli headkick del brasiliano ha infuso grande sicurezza ad Adesanya, che si è fatto avanti a pieno regime, morbido e letale, come un serpente. “Poatan” - nome di guerra di Pereira - ha tenuto botta e ha continuato a cercare il volto di Adesanya con diretti e ganci sinistri, anche se forse i suoi colpi ad avere più successo sono stati i leg kick, che come detto hanno costretto Adesanya al cambio di guardia. La sequenza finale è arrivata con meno di un minuto rimasto nel cronometro: con un’azione che poteva sembrare fotocopia del primo match nelle MMA tra i due, Pereira ha caricato a piena potenza e guardia aperta Adesanya, che si è chiuso a riccio a parete. Dopo aver subìto, però, un colpo molto pesante spalle a parete, Adesanya si è piegato sul busto ed ha centrato Pereira prima con un jab corto e poi con un overhand destro mortifero.

Pereira, colpito nella zona temporale, ha avuto un breve tilt necessario a Israel per ripetere lo stesso colpo mandandolo definitivamente KO, prima che l’arbitro dichiarasse chiuso il match su un suo pugno a martello. Una volta in piedi, Adesanya ha scoccato tre frecce immaginarie verso il corpo del brasiliano a terra, appropriandosi dell’esultanza del suo avversario. È stata la sua redenzione, il riscatto totale ai danni della sua nemesi, la sua catarsi. L’indistruttibile Alex Pereira è stato trattato con la sua stessa medicina: le mani di pietra del suo nemico.

Nella vittoria di Adesanya c’è anche il riscatto di un fighter che si rifiuta di vedere la storia ripetersi e la cambia, nonostante il copione paresse voler prendere la stessa piega, di un combattente più forte degli eventi, delle cose che gli capitano. E più forte dei suoi avversari, più forte di tutti. Questo è tornato, oggi, Israel Adesanya nella divisione dei pesi medi, libero da un peso invisibile.

Il suo discorso, poi, è stato di grande ispirazione e rispetto. “Vi auguro di sentire il livello di felicità che sto sentendo io, almeno una volta nella vita. Ma se non andate là a fuori a prendervela, non ce la farete, se non perseguite ciò che volete, non ce la farete. Se quando vi buttano giù, quando vi tirano merda addosso, rimanete lì, non avrete mai questi risultati. Fortificate la vostra mente e cercate la felicità. Io sono fortunato ad averla provata ancora, e ancora, e ancora.”

Forse ancora più bello il momento in cui Adesanya ha incontrato Pereira nel backstage e i due si sono abbracciati, promettendo - Adesanya a Pereira - viaggi in Brasile per conoscere i suoi luoghi, la sua gente, augurando - Pereira ad Adesanya - che dalla rivalità nasca una nuova amicizia. Certo, ci sarebbe un possibile terzo incontro tra i due… ma in quel momento non sembrava pensarci nessuno dei due e forse è più bello così.

Jorge Masvidal dice addio

A Miami davanti alla sua gente, a Miami dove tutto è cominciato in cortili nascosti alla vista, nella clandestinità, è andato in scena l’ultimo incontro del Bad Motherfucker Jorge Masvidal.

Tacciato sempre di essere un journeyman, un fighter di passaggio senza troppe aspirazioni, nell’ultima parte della sua carriera Masvidal ha offerto le prove più convincenti: passando dai pesi leggeri ai welter ha conosciuto una nuova giovinezza, specie nel trittico di vittorie visto nel 2019, anno in cui ottenne un KO devastante ai danni di Darren Till, seguito dal record di KO più veloce della storia UFC contro Ben Askren e della conquista della cintura di BMF (un titolo a metà tra marketing e street-cred) contro Nate Diaz, vinto anche quello per TKO.

Tra il 2020 ed il 2023, però, solo sconfitte per Masvidal, quattro, prima di lascare i guantini nella gabbia (gesto simbolico che, nell’emozione del momento, Masvidal ha dimenticato di fare). Davanti a lui c’era il pericolosissimo Gilbert Burns: mani pesanti, jiu-jitsu d’élite, grande atletismo e personalità da vendere, il brasiliano aveva mostrato tutto il suo valore offrendo a Khamzat Chimaev lo scontro più complicato della sua intera carriera.

Rientrato nel discorso per un’eventuale match titolato, tempo dopo aver perso male contro Kamaru Usman, Gilbert Burns ha affinato ancora di più il suo striking affrontando ad armi pari un fighter pericoloso dallo stand-up come Masvidal, ricorrendo solo nel secondo round al controllo attraverso la qualità nel grappling.

Masvidal non ha avuto molte risposte, soffrendo anche sul piano dello striking, con il brasiliano che lo ha riempito di jab e diretti al volto. Certo, la dura mascella di Masvidal ha retto, ma il dinamismo di Burns, il suo lavoro in entrata e in uscita, ha creato non pochi grattacapi allo stanco Jorge, che anche a fine match ha confessato che ormai da qualche match entrare in gabbia era diventato più difficoltoso.

Se non altro Masvidal ha mantenuto la promessa che aveva fatto, in spagnolo, al pubblico pagante: “Violencia”. E violenza è stata. Al termine di tre riprese ben combattute (la prima forse pendeva leggermente dal lato di Masvidal, la seconda decisamente dal lato di Burns; la terza pareva inizialmente favorevole al fighter di Miami, ma poi il brasiliano ha ripreso le redini e riportato l’inerzia dal suo lato senza eccessive difficoltà: i giudici hanno visto due 30-27 ed un 29-28) Gilbert Burns ha alzato il braccio al cielo, ha ringraziato il pubblico ed applaudito la carriera di Masvidal, per il quale non ha mai nascosto il proprio rispetto.

Masvidal ha risposto a Burns alla stessa maniera. È stata una chiusura degna per un fighter come Masvidal, che si dice ora felice e multimilionario, conscio di potersi concentrare sui suoi impegni fuori dalla gabbia, da promoter (giusto lo scorso week-end è andata in scena una serata di boxe da lui organizzata con nomi interessanti tra ex-UFC ed ex glorie del pugilato, sempre in bilico tra sport e spettacolo ma almeno non c’erano youtubers).

E Burns? Il brasiliano classe ‘86 aggiunge un’altra vittoria al suo record e va a due consecutive, dopo quella su Neil Magny ottenuta a UFC 283. Idealmente, dopo Colby Covington (spinto da Dana White come o peggio di un parente) dovrebbe essere lui il prossimo in lista per una chance titolata. Khamzat Chimaev permettendo (ma al momento il ceceno sembra puntare a combattere nei pesi medi…).

A Raul Rosas jr. serve solo un po’ di tempo

Il giovane fenomeno Raul Rosas jr. ha trovato il suo battesimo di fuoco, perdendo la sua imbattibilità, contro lo sfavorito Christian Rodriguez. Dopo un primo round praticamente dominato attraverso l’ottima qualità nel grappling offensivo, il diciottenne messicano si è trovato in difficoltà nella gestione delle energie, avendo dato quasi tutto in quei primi cinque minuti.

Sottovalutando forse le abilità del suo avversario, ha patito due colpi molto pesanti, uno dei quali, una ginocchiata d’incontro al volto sul tentativo di takedown che l’ha stordito per un attimo, prima di tornare all’assalto.

Le contromisure di Rodriguez sono state da atleta consumato (anche lui in realtà è molto giovane, ma è una questione di maturità sportiva) con sprawl, controllo delle distanze e difese posizionali e, soprattutto, il dominio nel grappling tra il secondo e il terzo round. Rosas Jr. è stato costretto a difendersi dal grappling asfissiante di Rodriguez, intelligente, guardingo e paziente nel game plan, che alla fine lo ha premiato. Mentre Rosas jr. ha forse pagato la partenza in quinta e la sicurezza eccessiva, finché non ha iniziato a perdere i primi scramble e con loro, condizione atletica e fiducia.

Si tratta di un piccolo passo falso in un percorso che comunque si prospetta brillante per il diciottenne messicano, se passerà dai corretti aggiustamenti. Persa l’imbattibilità, per Rosas jr. adesso si prospetta un periodo di lavoro intenso che gli consentirà di comprendere i suoi errori ed i relativi aggiustamenti. D’altronde, parliamo del fighter più giovane del roster UFC, arrivato a combattere nella main card di un evento numerato dopo appena sette incontri da professionista. Di talento, e di tempo, ne ha quanto ne vuole.

Per Christian Rodriguez invece, è arrivato il passaggio da “signor nessuno”, uno dei tanti fighter nel roster UFC, a uno che merita quanto meno un incontro ai piani medi della divisione pesi gallo. Le qualità, la completezza mostrata e la fluidità nel passaggio delle vari fasi del combattimento, oltre alla forza mentale con cui ha resistito all’assalto alla baionetta di Rosas Jr. e ai suoi insistiti tentativi di ghigliottina, lasciano sperare che magari Rodriguez sia destinato anche a qualcosa di più.

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