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Giovanni Bongiorno

Volkanovski ha una risposta a ogni problema

UFC 290 è stata una card semplicemente pazzesca.

Cosa è successo a UFC 290? Molte cose, ma prima di tutte le altre questa: Alexander Volkanovsky è passato dall’essere “The Great”, il suo soprannome ufficiale fino allo scorso venerdì, a “The Greatest” come andrebbe chiamato da adesso in poi. Persino Jon Jones, attuale numero uno pound for pound, ha ammesso recentemente che la continua attività di Volkanovski stesso e di Islam Makhachev avrebbero dovuto garantire ai due i primi due posti di quella particolare classifica (pound for pound, per chi non lo sapesse, è il ranking dei migliori fighter senza distinzioni di peso, stilata da qualcuno all’interno dell’UFC senza veri criteri oggettivi). La prestazione di Volkanovski, contro un combattente enigmatico e quasi illeggibile come Yair Rodriguez, è stata gigantesca e ha mostrato come il campione australiano dei Pesi Piuma non solo sia tra i fighter più duri del roster, ma anche uno di quelli in perenne evoluzione.

 

Yair Rodriguez aveva ottenuto il titolo dei pesi piuma ad interim contro Brian Ortega a luglio 2022, a causa di un infortunio di Volkanovski che, nell’ultimo anno solare, ha combattuto una sola volta contro Islam Makhachev – per il titolo dei Pesi Leggeri (una categoria sopra la sua, cioè): incontro molto equilibrato perso ai punti. Qualcuno magari aveva qualche dubbio sulla sua capacità di adattarsi a un fighter imprevedibile come Rodriguez, ma Volkanovski gli ha preso rapidamente le misure dallo stand-up. 

 

Per contrastare il movimento perpetuo e i colpi con angolazioni di tutti i tipi, Volkanovski ha attuato una strategia tanto minuziosa in termini di calcolo delle distanze quanto semplice (sebbene solo all’apparenza). Anche una volta compreso il range d’attacco di Rodriguez, Volkanovski ha corso comunque qualche rischio su dei question-mark kick, su dei calci girati e su alcuni uno-due, spesso chiusi da Rodriguez con un terzo colpo di braccia e magari con un quarto di gambe (una delle peculiarità di Rodriguez è quella di saper alternare il tempo dei colpi nelle combo). Oltre agli angoli e alla varietà dei colpi, Rodriguez si è confermato un fighter eccezionale per il tempismo scelto, mai regolare, che variava grazie a dei piccoli passi tra un colpo e l’altro.

 

L’incontro è cambiato già a metà del primo round, quando Volkanovski ha cominciato ad avere successo con i takedown. Rodriguez non è particolarmente abile nel contenimento dei takedown: certo, è migliorato enormemente dalla sua prima sconfitta (quella per mano di Frankie Edgar) ed è passato per momenti complicati contro Emmett (prima di colpirlo e finalizzarlo), ma la solidità e il controllo di Volkanovski a terra erano troppo oltre le sue possibilità. Al termine della prima ripresa, con una gomitata da sotto, Rodriguez è riuscito ad aprire un taglio sulla fronte di Volkanovski, che però a parte questo ha subito poco. 

 

Il secondo round è parso una fotocopia del primo: Rodriguez ha cercato di mettere a segno degli spinning-back kick e dei calci alla testa, ma Volkanovski li ha evitati tutti al momento giusto, subendo al massimo lo schiaffo col piede sul lato della testa. Quando ha provato a scambiare, Volkanovski si è reso conto che Rodriguez era ancora troppo fresco per essere dominato in piedi e così ha cercato nuovamente il takedown e ha alzato l’asticella nel ground and pound.  

 

Il terzo è stato un round particolare, perché inizialmente pareva essere il migliore per lo sfidante messicano. Volkanovski ha accettato lo scambio in piedi (forse anche per riposarsi, considerando che due riprese le aveva già portate a casa) leggendo bene le intenzioni di Rodriguez, che ha spesso chiuso le sue combinazioni alternando calci alle gambe e alla testa, prontamente schivati o difesi dal campione. All’ennesimo tentativo di calcio, stavolta al corpo, Volkanovski ha incrociato Rodriguez con un gancio, disconnettendolo per un attimo dalla realtà. Rodriguez ha provato a rimanere nel match, ha sorriso e indietreggiato, ma l’istinto predatorio di Volkanovski gli ha fatto comprendere subito che era il momento di affondare: ancora gancio alla testa, affondo al colpo e ginocchiata, poi un takedown che ha tolto il pavimento da sotto i piedi al suo avversario. 

 

Il successivo ground and pound a seguito di una perfetta stabilizzazione gli ha dato la certezza della vittoria, all’interruzione dell’arbitro Herb Dean. Un round strano, si diceva, perché nel momento più importante per Rodriguez, proprio quando sembra si stesse sciogliendo, Volkanovski ha messo la marcia superiore dimostrando ancora una volta che in questo sport ci sono dei livelli e che lui fa parte di quello più alto. E la sua grandezza risiede soprattutto nel normalizzare dei fighter straordinari, come appunto Rodriguez o persino una leggenda come Max Holloway: veri e propri fenomeni che si sono trovati davanti il dominatore più grande del nostro tempo. 

 

La sequenza finale dell’incontro è un capolavoro, perché ha tutto ciò che un’azione finale in un match di MMA possa offrire: combinazione, cambio di livello, takedown, finalizzazione in ground and pound.

 

Passatemi il paragone ex tempore, ma Alexander Volkanovski è quello che Frank Shamrock è stato nei primi anni ‘90: un innovatore in termini strategici, un fighter dotato di molti punti di forza, ma soprattutto della capacità di leggere avversario e di scegliere i momenti nell’ottagono per applicare la propria strategia senza mai perdere il filo, cogliendo ogni opportunità. Il trasformista capace di ottenere il vantaggio da quasi ogni situazione, e di ribaltare anche i momenti meno positivi in situazioni di vantaggio. 

 

Volkanovski, oltre ad essere dotato di indubbie qualità psicofisiche, è un genio dentro la gabbia perché riesce a comprendere i punti deboli dei suoi avversari, a metterli a nudo e a sfruttarli a proprio vantaggio. Oggi, se le MMA avessero un volto solo, sarebbe quello di Alex Volkanovski.

 

Adesso dovremo aspettare un po’ di tempo per rivederlo in azione, per via di un intervento che deve subire al braccio, ma considerando la sua condizione atletica e la sua intelligenza in gabbia potrebbe regalarci ancora un paio d’anni di qualità ineccepibile e forti emozioni.

 

And new…. Alexandre Pantoja

Il rematch tra Brandon Moreno e Alexandre Pantoja è già un classico. La divisione Pesi Mosca è stata abituata al dominio assoluto di Demetrious Johnson, prima, e al breve ma intenso dominio di Cejudo, poi. Dana White credeva che dopo Johnson la divisione avesse vita breve ma non sapeva quanto lontano fosse dalla realtà: i match che hanno coinvolto Brandon Moreno, con Deiveson Figueiredo e con Pantoja, hanno dimostrato che i Pesi Mosca sono una delle categorie più interessanti nel panorama UFC e che, nonostante non ci sia un vero e proprio dominatore assoluto al momento (e forse proprio grazie a questo), la divisione è più viva che mai e regala perle da incastonare nella storia dello sport. 

 

Si può dire che Brandon Moreno sia cresciuto grazie soprattutto a Pantoja: questa infatti era la terza volta in assoluto che i due si incontravano, la seconda da pro, se si considera il TUF (The Ultime Fighter: il reality show della UFC) come esibizione o match amatoriale. La prima volta i due si sono scontrati nella stagione numero 25 del reality, quella che cercava tra i campioni di promotion minori l’ideale sfidante per Demetrious Johnson: ne uscì vincitore Tim Elliot. Era il 2016 e Moreno, appena 23enne, aveva perso con Pantoja per rear-naked choke al secondo round. 

 

Dopo il rientro in UFC e una bella scalata, i due si sono affrontati di nuovo nel 2018 e Pantoja superò per decisione unanime il ragazzo prodigio. A UFC 290, la bestia nera di Moreno ha colpito ancora, in un incontro fantastico, duro, spigoloso, eccitante, fatto di colpi su colpi e di botta e risposta infiniti. 

 

Nel primo sanguinoso round si è vista la superiorità di Pantoja, in perpetuo avanzamento grazie alla sua capacità da incassatore e al footwork verticale, che ha letteralmente mangiato tutti i colpi di Moreno per restituirgli un gancio quasi fantasma, a un certo punto, che lo ha mandato knockdown, consegnandogli di fatto il round. Pantoja ha forzato ganci e clinch ed è partito subito forte, tanto che i telecronisti in breve tempo credevano fosse già spompato, ma così non è stato.

 

La sequenza col gancio a segno di Pantoja, che lo ha portato a vincere il primo round.

 

Tra prima e seconda ripresa Pantoja è stato consigliato intelligentemente dal suo angolo, che gli ha suggerito di non portare troppi colpi a parabola e di puntare più sui colpi dritti. Inutile dire che comunque il meglio Pantoja lo ha dato nel grappling: stabilizzazione, controllo, presa della schiena e tentativi di sottomissione. Ma il secondo round se lo è portato a casa Moreno, che ha puntato sul jab per spezzare il timing di Pantoja, alternando il tempo del diretto, quasi sempre a segno. Ancora una volta, è stata sorprendente la capacità di Pantoja di assorbire tutti i colpi di Moreno: non gli sono mai tremate davvero le gambe, un dato impressionante se pensiamo alla potenza di Moreno per la categoria, ma nemmeno troppo se invece si va a vedere il record di Pantoja, mai andato KO in carriera.

 

Alcuni dei colpi migliori di Moreno. Impressionante la mole di colpi incassata da Pantoja.

 

Dal terzo in poi, Pantoja ha lentamente incrementato la propria superiorità. Nonostante il timing e l’avanzamento che non sembravano dei più sicuri, è stato disposto ad incassare colpi pesanti pur di rispondere violentemente e direttamente agli incroci di Moreno, che si trova a suo agio nel counterstriking. Quella capacità però di cui si parlava da parte di Pantoja, ovvero l’abilità di fagocitare colpi in avanzamento e restituire il tutto con gli interessi, gli ha dato la possibilità di sovrastare fisicamente l’ex campione, che si è visto costretto spesso a rinunciare alla bagarre. I colpi di Moreno sono potenti, ma quelli di Pantoja, seppur in minor volume, parevano addirittura più potenti ed efficaci. 

 

Moreno ha puntato sul footwork, specie nella quarta ripresa, ma Pantoja è riuscito ancora ad imporre il clinch ed eventualmente i takedown. Nell’ultima ripresa, nonostante il vantaggio dell’esperienza datogli dal fatto che Pantoja non aveva mai affrontato un incontro sui cinque round in tutta la sua lunga carriera, Moreno ha faticato non poco a contenere gli assalti in clinch di Pantoja, che era sicuramente l’uomo più stanco, ma è parso anche quello più determinato ad ottenere la posizione di vantaggio. 

 

Un commento play-by-play risolverebbe molte domande sugli scramble che si sono visti, ma risulterebbe pure noioso. Pantoja, in sostanza, ha calcolato meglio le distanze rispetto al campione ed è riuscito ad imporre più spesso quella più breve, portando il match nella sua area preferita, quella del grappling, ad ogni occasione utile. Moreno non è riuscito a contenere gli assalti chiave e, nonostante il match si sia mantenuto praticamente sempre sui binari dell’equilibrio, senza un vincitore netto, a mio avviso la decisione finale di due giudici su tre, che quindi ha visto la vittoria per split decision in favore di Pantoja, è stata giusta. 

 

La storia di Pantoja fino alla settimana scorsa era quella dell’uomo a cui manca la lira per fare il milione, ma alla fine quella lira è riuscita a guadagnarsela con sangue e sudore, raggiungendo la cima e ripagando tutti i sacrifici. Ora la situazione della divisione si complica: Non si è capito con certezza se Figueiredo salirà di categoria, (con tutta probabilità sì: il taglio del peso si stava rivelando troppo duro ed il brasiliano non può continuare così per molto) mentre Amir Albazi e Brandon Royval sembrano i contendenti più quotati. Moreno non si arrenderà facilmente e sicuramente tenterà di riconquistare ciò che è stato suo. La sola cosa certa è che la divisione pesi mosca è momentaneamente una delle più eccitanti in UFC.

 

Dricus Du Plessis è il prossimo in fila

Nella divisione pesi medi solo Israel Adesanya era riuscito ad ottenere una vittoria per KO/TKO contro Robert Whittaker. Eppure Dricus Du Plessis, con il suo stile macchinoso ma concreto, è riuscito a fare l’impresa. Du Plessis aveva detto che avrebbe finalizzato Whittaker entro due riprese scatenando l’ilarità dei fan. Ma il risultato finale gli ha dato ragione su tutti i fronti: Dricus Du Plessis è una minaccia per il titolo di Israel Adesanya, senza se né ma. 

 

Whittaker è partito con la sua solita stance larga volta ad accogliere gli assalti di Du Plessis, southpaw attento e guardingo. Inizialmente, i movimenti di Whittaker parevano aver messo in confusione Du Plessis, che ha provato a trovare le misure non riuscendoci completamente. Il jab ed il gancio sinistro di Whittaker sono stati ottimi, ma Du Plessis ha subito ritrovato le energie e gli stimoli, tentando una ghigliottina in risposta ad un takedown dell’australiano. Agli sgoccioli del primo round, Du Plessis è riuscito ad imporre la propria fisicità e a scatenare il ground and pound su Whittaker che, forse sorpreso, lo ha contenuto a fatica. 

 

Nella seconda ripresa, Du Plessis ha riprovato ad accorciare, ma non subito. A Whittaker era stato suggerito dal suo angolo di non legare, ragion per cui Bobby Knuckles ha imposto il suo lavoro dalla distanza dominando il round in larga parte, fino all’incontro ravvicinato con un jab davvero pesante che gli ha fatto tremare le gambe. Da lì, è stato l’inizio della fine. Il jab di Du Plessis si è schiantato sul volto di Whittaker, che aveva calcolato male le distanze dell’incrocio. Il lavoro successivo del fighter sudafricano che ha costretto Whittaker a subire colpi al corpo e alla testa, convincendo l’arbitro ad interrompere l’incontro tra la sorpresa generale.

 

La sequenza finale dell’incontro. Whittaker ha provato a resistere, ma i colpi sono stati troppi e pesanti.

 

Whittaker si è complimentato con Du Plessis ed è uscito dall’ottagono prima che il sudafricano potesse pubblicamente ringraziarlo, poi si è assistito ad un teatrino imbarazzante di un nervoso Adesanya che è salito nell’ottagono sviscerando tutto il suo trash talking (usando la “n-word”, alla quale ovviamente Du Plessis non ha potuto rispondere niente), di fatto dichiarandosi più africano del suo avversario – che in Africa ci è nato e ci vive seppur, come molti sudafricani, sia di origini coloniali europee. Du Plessis ha risposto ad Adesanya chiedendo cosa avrebbe detto allora ai suoi connazionali neozelandesi, solo per sentirsi rispondere di fare un test del DNA per vedere chi dei due fosse più africano. È sorprendente con quanta facilità Adesanya sia arrivato ad abbracciare la logica secondo cui la nazionalità debba dipendere dalla propria etnia, solitamente usata da razzisti e xenofobi. 

 

Probabilmente Adesanya voleva dire qualcosa di più “semplice”: non puoi togliermi la mia appartenenza all’Africa – cosa che Du Plessis aveva fatto dicendo di voler diventare il primo campione “veramente” africano. Intanto Dricus Du Plessis si è guadagnato una title shot già infiammata, su cui l’UFC probabilmente non vede l’ora di gettare altra benzina.

 

Ci ha salutato uno dei più grandi di sempre

Non poteva esserci uscita di scena migliore per Robbie Lawler, vittorioso in maniera incredibile contro il durissimo Niko Price. Quarantuno anni d’età ed ancora fresco e scattante, Lawler ha superato Price in appena 38 secondi, mettendolo KO e chiudendo un’incredibile carriera con un record di 30 vittorie, 16 sconfitte ed un No Contest. Campione dei pesi welter con due difese all’attivo tra il 2014 ed il 2016, verrà ricordato soprattutto per il suo secondo match contro Rory MacDonald a UFC 189, incontro che è finito nella sezione combattimenti della Hall of Fame UFC. Per quanto riguarda il match di ritiro, UFC l’ha praticamente reso disponibile da subito con commento del suo protagonista:

 

 

Robbie Lawler è stato uno dei fighter più eccitanti degli ultimi anni ed anche la chiusura fiabesca della sua carriera rende UFC 290 uno degli eventi candidati a card dell’anno.

 

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Giovanni Bongiorno scrive di MMA e ne parla nel podcast di MMA Talks.