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Giovanni Bongiorno

Justin Gaethje ha messo a segno il KO dell’anno?

UFC 291 non ha deluso le aspettative.

Era stata proprio la prima sconfitta contro Dustin Poirier (14 aprile 2018) a dare a Justin Gaethje il carburante necessario per reinventarsi e migliorare. Sia chiaro, nessuna delle sue caratteristiche è davvero cambiata, semplicemente Gaethje ha iniziato a gestire meglio i suoi match e a sfruttare al massimo i suoi punti di forza. Dopo quella la sconfitta Gaethje aveva detto che degli aggiustamenti erano necessari, se non per competere ad alto livello (cosa che avrebbe potuto continuare a fare anche dall’alto del suo stile spregiudicato ed aggressivo), sicuramente per arrivare al titolo.

 

Dopo quella sconfitta del 2018 con Poirier, Gaethje ha perso solo contro Khabib Nurmagomedov e Charles Oliveira, imponendo la propria potenza su tutti gli altri. Oliveira aveva sottolineato come ogni singolo colpo di Gaethje era stata una mazzata che gli aveva fatto perdere quasi il contatto con la realtà. Justin Gaethje colpisce forte, questo lo sanno tutti, ma dopo aver collezionato scalpi importanti del calibro di Edson Barboza, Tony Ferguson, Michael Chandler, e dopo una guerra contro Rafael Fiziev, sarebbe stato pronto ad un re-match contro Poirier? 

 

Adesso conosciamo la risposta: sì. L’incontro combattuto da Gaethje ha messo in mostra tutti i suoi miglioramenti, è stata una prestazione limpida, quasi perfetta, in cui ha persino subito poco. Dustin Poirier lo conosciamo tutti, ex campione ad interim (così come Gaethje), un fighter completo, coriaceo, dalle combinazioni mortifere e incessanti e dalle scelte oculate nell’ottagono: era normale per i bookmaker, dopo la vittoria per TKO nel 2018, darlo favorito. Ma già da inizio match, chiunque avesse assistito al primo confronto fra i due, si sarà sicuramente accorto che il piglio sarebbe stato diverso. Gaethje non ha lasciato spazio all’aggressività di un tempo, preferendo lasciare l’iniziativa a Poirier per poi tentare di spaccare la sua guardia col counterstriking. 

 

La guardia di Poirier è molto particolare: alza i gomiti e gli avambracci per parare o cambiare la direzione dei colpi avversari, mandandoli a vuoto e favorendo il rientro col guadagno di un tempo d’azione. Gaethje ha scelto spesso la traiettoria interna proprio per evitare la guardia di Poirier e sfondarla al centro.

 

 

La scelta di Gaethje ha pagato; Poirier ha provato ad intrecciare delle combinazioni solide e precise ma il mento di Gaethje ha retto bene e le risposte successive sono andate, per quanto possibile, sempre in crescendo.

 

Poirier ha avuto i suoi momenti e ha centrato più volte Gaethje, che però non ha mai perso la bussola.

 

Al termine del primo round, peraltro molto equilibrato, i due sono tornati ad ascoltare i consigli dei rispettivi angoli. Trevor Wittman ha detto a Gaethje che stava andando molto bene, che il round era stato brillante. Gaethje, rientrato, non ha avuto fretta di affondare, nonostante gli ultimi colpi buoni del round precedente fossero stati i suoi. Con la stessa pazienza mostrata in precedenza, ha mostrato la grande crescita nella capacità di scelta dei colpi, attendendo l’assalto di Poirier. 

 

A un minuto dall’inizio del secondo round, Gaethje ha mascherato un headkick dietro una finta di diretto, inducendo Poirier a parare quello che credeva essere un colpo di braccia: la guardia di Poirier si è ricomposta quasi subito, ma ciò non è bastato a evitare un KO plastico e devastante, che va ad aggiungersi alla lunga lista di perle regalate da Justin Gaethje.

 

 

Un colpo a martello in ground and pound ha chiuso i conti per il secondo atto tra due dei fighter più eccitanti dell’intero roster UFC. Gaethje si è complimentato con Poirier, dicendo che è il suo fighter preferito e che è anche grazie a lui se è migliorato. Rispetto smisurato tra i due ex campioni ad interim, che hanno poi parlato e si sono abbracciati. Justin Gaethje, alla fine, non ha fatto mistero di quale sia il suo obiettivo principe: il titolo dei Pesi Leggeri, al momento nelle salde mani di Islam Makhachev (che a ottobre combatterà di nuovo con Oliveira).

 

Alex Pereira è partito benissimo

Partire con una vittoria, seppur per decisione non unanime al primo match nella divisione superiore, per giunta contro un ex campione del mondo, non è da tutti. Ma Alex Pereira è qualcosa di speciale. È salito di categoria per per battere Jan Blachowicz, ovvero l’unico fighter (a parte lo stesso Pereira) che aveva battuto la sua nemesi, il suo arcinemico, Israel Adesanya, riuscendo così in qualcosa in cui Adesanya non era riuscito. 

 

Anche per Blachowicz però questo match aveva i tratti della questione personale: il polacco ha perso il titolo contro Glover Teixeira, che sabato notte era all’angolo di Pereira, e voleva riscattare il suo status di campione battendo appunto il suo assistito. Ma Alex Pereira, dopo un prima round di piena sofferenza passato a difendere il ground and pound prima e i tentativi di sottomissione poi, è tornato fresco come una rosa. 

 

Il primo round è andato da subito sui binari del fighter polacco, che ha azzeccato l’atterramento, controllando e prendendo la schiena al brasiliano. Pochi i danni subiti da Pereira, ma sicuramente in termini di cardio un leggero calo era prevedibile. Invece, come suggerito anche da Teixeira al termine della prima ripresa, era stato il polacco a stancarsi di più.

 

Una fase nella quale Blachowicz tenta di imporre il ground and pound.

 

Nella seconda ripresa Pereira è entrato più convinto: ha iniziato a pizzicare la gamba avanzata del polacco con calci al livello della caviglia, mozzando il footwork di Blachowicz. Che a sua volta rispondeva con altri leg kick, ma dall’efficacia minore, e ha dovuto difendersi dai cambi di livello col pugilato da parte di Pereira, che si è reso pericoloso più di una volta, misurando anche degli headkick, mai completamente a segno.

 

Tentativo di headkick di Pereira.

 

Al limite delle 205 libbre, Pereira è parso se possibile più a suo agio che nella divisione inferiore, cosa che ha poi confermato nell’intervista post match. Limitando il lavoro di aggressione di Blachowicz, stancandolo, il brasiliano ha iniziato a danzare lateralmente, a colpire e disporre a piacimento di uno stanco Blachowicz, che ormai pareva conservare le energie per l’ultima ripresa. 

 

Il terzo round è partito come il precedente, con un Pereira danzante che ha colpito dalla distanza il polacco, costringendolo più volte con le spalle a parete ed evitando i suoi colpi migliori, per rientrare successivamente. L’ultimo, è stato un round di controllo, Blachowicz ha provato a bloccare il match, ma compresa l’efficienza dell’underhook, Pereira è riuscito ad uscire più e più volte. Anche la solita capacità di aggressione di Blachowicz non ha funzionato come al solito, perché il counterstriking di Pereira è letale e basta un colpo a segno ed ai suoi avversari si spengono le luci. 

 

Ora, Blachowicz ha subito dei colpi pesanti tra corpo e volto e ha preferito gestire e tentare di avere la meglio col colpo risolutore, che è stato un vero e proprio Godot: non è mai arrivato. Nelle fasi finali, stremato, il polacco è riuscito a mettere a segno l’ultimo takedown del match, controllando da terra, ma non causando alcun danno, ragion per cui, probabilmente, due giudici su tre hanno dato la vittoria a Pereira. Anche sui miei personali cartellini Pereira aveva portato a casa i round 2 e 3, in maniera magistrale e attenta, combattendo da vero veterano dell’ottagono. Se consideriamo che questo era il suo decimo match tra i professionisti, questo fatto ha dell’incredibile. 

 

Nel corso dell’intervista post-match, Pereira si è detto pronto per tentare l’assalto al titolo dei Massimi-Leggeri, lasciando per adesso la divisione inferiore dei Medi. Al netto di tutte le considerazioni possibili, ciò che Pereira ha dimostrato è che può ribaltare un match in corsa anche con un veterano levigato, ottenendo l’inerzia in un match da tre round che pareva essersi messo molto male. Ma con Pereira, non si sa mai, ce lo ha dimostrato più volte. 

 

Blachowicz, invece, si è sentito derubato e lo ha detto anche sui social, ma la sensazione è che i match che possono essere definiti “furti” sono altri. Pereira a 36 anni ha ancora il tempo per la scalata definitiva a 205 libbre. E dovesse migliorare il suo gioco a terra in modo da mantenere il match in piedi, in pochi, con tutta probabilità, gli si potrebbero parare davanti.

 

Fermati, Tony

La caduta negli abissi di Tony Ferguson non accenna a fermarsi e nonostante abbia detto di sentirsi nel proprio “prime”, i risultati in gabbia dicono esattamente il contrario. Era partito molto bene nel suo match al limite delle 155 libbre contro Bobby Green, impegnando bene il suo avversario, riuscendo a metterlo in difficoltà e anche knockdown in un’occasione. Green però è un fighter atipico, a parte il suo buon cardio, può contare su diverse abilità che lo rendono imprevedibile nell’ottagono. La scelta degli angoli e dei colpi coi quali affondare lo rendono praticamente un unicum.

 

Nella prima ripresa contro Ferguson ha provato ad affondare in un paio di occasioni, ma a parte prendere le prime misure, è riuscito solo a cavare un occhio al suo avversario con una ditata, ottenendo un richiamo. La boxe di Green comunque, nelle battute finali, ha iniziato ad essere sul pezzo.

 

Counter di Tony, che qui ottiene un knockdown. Il suo momento migliore, forse l’unico.

 

Al principio del secondo round, Tony ha tentato un improbabile sliding takedown, finendo col subire il ground and pound di Green, molto pesante. Ferguson ha provato a trovare una soluzione attraverso triangoli e movimenti, ma senza successo, continuando a subire i colpi a martello di Green che lo ha costretto a parete inizialmente, per poi accettare di colpirlo dalla sua guardia. 

 

Quando Green si è sentito pronto, ha fatto rialzare Tony e ha ricominciato il tiro al bersaglio, con un Ferguson ormai provato nel fisico e nella mente. Arretrando, Green ha continuato a tenere l’inerzia del match, punendo spesso Ferguson col jab, mentre quest’ultimo avanzava. Nelle battute finali del secondo round, Ferguson è parso visibilmente provato e privo di un vero controllo di distanze e misure.

 

Potente gomitata a segno da parte di Green.

 

Nel terzo round, Ferguson sapeva di dover schiacciare sull’acceleratore, e così ha fatto. Per i primi minuti è riuscito a tenere botta, poi il counterstriking di Green si è fatto troppo rapido, preciso, illeggibile. Nonostante pressasse ed avanzasse, Tony pareva essere sempre più in difficoltà, mentre gli uno-due di Green ed il counter lo hanno devastato. 

 

Non si può discutere l’attitudine di Ferguson, un ex campione ad interim che ha fatto cose straordinarie nell’ottagono, ma che adesso pare arrivato al capolinea. Poco dopo un buon colpo a segno, una roll mal calcolata ha fatto ritrovare Ferguson schiena a terra e con una facilità impressionante Green, con 9 secondi sul cronometro ancora da combattere, ha messo a segno la nona sottomissione della sua carriera contro un maestro delle sottomissioni come Ferguson. 

 

Arm-triangle choke da manuale, Ferguson ha provato a resistere, ma l’arbitro ha comunque interrotto il match (forse Ferguson era svenuto, non si è capito bene). Bobby Green è così tornato alla vittoria dopo due sconfitte consecutive, una delle quali col campione di categoria Islam Makhachev, e un No Contest. È la sua trentesima vittoria in carriera. Tony Ferguson invece è sprofondato portando la sua streak di sconfitte a sei. Per ciò che abbiamo visto di Ferguson, l’augurio sarebbe il ritiro, visto che il fighter che abbiamo davanti agli occhi oggi è l’ombra di quello che ha decimato qualche anno fa la divisone dei Pesi Leggeri.

 

Dai retta a chi ti vuole bene, a chi ti ha stima e rispetta. Fermati, Tony. 

 

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Giovanni Bongiorno scrive di MMA e ne parla nel podcast di MMA Talks.