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Makhachev non suda neanche
20 gen 2025
UFC 311 è stata anche la grande serata di Merab Dvalishvili.
(articolo)
9 min
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Press Wire
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Cambiamenti dell’ultimo minuto, record storici, incontri di altissima qualità. UFC 311, andato in scena sabato notte all’Intuit Dome di Inglewood in California, ha mantenuto le promesse, offrendo uno spettacolo incredibile. Questo, nonostante Islam Makhachev abbia visto sostituito il suo rivale Arman Tsarukyan giusto la notte prima dell’incontro, per problemi alla schiena probabilmente dovuti a un taglio del peso estremo. L’allievo di Khabib Nurmagomedov ha difeso per la quarta volta la sua cintura, record assoluto nella divisione dei pesi leggeri UFC (superando così proprio Khabib, oltre a campioni come Benson Henderson).

Tsarukyan ha lasciato il posto a un redivivo Renato “Moicano” Carneiro, che aveva ritrovato un buonissimo stato di forma nelle ultime uscite, nelle quali aveva collezionato 4 vittorie. Con poco più di un giorno di preavviso e una spalla infortunata non completamente guarita, il brasiliano ha accettato la sfida più grande della sua carriera. È finita presto, come altamente prevedibile, anche se ha comunque regalato qualche brivido.

Makhachev ha accettato quel rimpiazzo dell’ultimo minuto dicendo che un campione non sceglie i propri avversari, come i gladiatori nell’antica Roma non sceglievano. Anche alla fine del match lo ha ribadito: chiunque sia in grado di fare le 155 libbre e affrontarlo è il benvenuto (aggiungendo anche che «qualcuno è stato fortunato» a non essersi trovato nella gabbia con lui sabato, riferendosi ovviamente a Tsarukyan). D’altra parte, oggi come oggi è difficile immaginare qualcuno che possa farlo davvero preoccupare.

Il match è partito a ritmo non elevato, dalla distanza. Nei primi scambi "Moicano" è parso capace di poter reggere, grazie a una guardia ortodossa composta e buone distanze. Makhachev, dal canto suo, in guardia mancina, è come un alligatore che attende la preda. Sa farla esporre, sa scegliere come nessun altro i momenti giusti, pensa molto prima di agire. Il fatto di aver dovuto difendere per due volte la cintura dall’assalto di Volkanovski lo ha penalizzato agli occhi di un certo tipo di pubblico - perché Volkanovski è salito dalla divisione dei pesi piuma per affrontarlo, prendendo il posto ad un eventuale fighter in ranking - ma non si può veramente dire niente di negativo su Makhachev.

Anche stavolta ci ha messo poco a chiudere l’incontro. Dopo aver preso un colpo secco in uno scambio iniziale, che gli aveva per un attimo fatto perdere la bussola, ha accorciato le distanze e messo a segno un single-leg takedown con l’aiuto del braccio di richiamo, squilibrando il suo avversario in un modo che ha fatto sembrare semplice ma che in realtà non lo era. "Moicano" è un grande grappler, ma Makhachev lo ha sottomesso in maniera feroce con una D’Arce choke. Il tutto in meno di cinque minuti; quattro minuti e cinque secondi, per l’esattezza.

Dopo aver mostrato una solidità senza precedenti, Makhachev ha detto che la cintura significa essere pronti a tutto. “Moicano”, dal canto suo, ha detto di essere ben conscio che l’opportunità avuta probabilmente potrebbe non presentarsi mai più, e ha detto una cosa che fa capire subito la mentalità che lo contraddistingue: «Non era un match con un giorno di preavviso, era un match con una vita di preavviso». Senza rimorso di sorta, con qualche rimpianto sicuramente.

Anche se la carriera di "Moicano" non è a rischio - era numero 10 di categoria e sicuramente il suo posto in classifica non verrà alterato - il suo ego e la sua psiche probabilmente risentiranno di questa sconfitta, a 35 anni non sarà facile tornare a chiedere una chance titolata. Ma il brasiliano ci ha abituato a come-back in scena in grande stile e di qualità, darlo per finito sarebbe comunque un errore. Intanto Makhachev, già in cima alla classifica pound for pound, ha convinto persino Dana White, che ancora qualche mese fa diceva di preferirgli Jon Jones, non senza qualche fastidio: «Tutti contenti adesso?». Islam Makhachev è a una sola vittoria dall’eguagliare il record di vittorie di 16 vittorie consecutive di Anderson Silva, un record che, per quanto aneddotico, cementerebbe il suo nome nella storia di questo sport.

QUALCUNO DUBITAVA DI MERAB DVALISHVILI?

La portata più gustosa e ricca della serata, però, è stato il co-main event. Prima di tutto perché la qualità del match è stata delle più alte; secondo poi per l’andamento del match, per il modo incredibile con cui sono cambiate in corsa le quote del favorito. Erano stati in molti ad imputare ad un campione indiscutibile come Merab Dvalishvili la mancanza di volontà di affrontare Umar Nurmagomedov, per varie ragioni.

Umar è un fighter daghestano, cugino di Khabib. Merab e Umar avevano avuto dissapori personali già dalla costruzione del match - anche se Merab aveva detto che tutto sarebbero stato dimenticato non appena avessero combattuto, sotterrando così l’ascia di guerra - in particolare Dvalishvili aveva chiesto al suo avversario di “essere uomo”, di non cadere preda di un facile trash talking e di chiedere rispettosamente la chance titolata. Si sa, quando un match è di dimensioni epocali è difficile mantenere la calma e i due si sono scaldati, dando fondo alle risorse del loro “broken english”, rendendo un match già di per sé molto interessante, imperdibile.

La partenza del match aveva favorito Nurmagomedov, più rapido e convinto negli scambi, con una stance larga e pronta a scambiare uno-due, ma soprattutto ad inserire nelle combinazioni quel pericolosissimo question-mark kick che spezza ritmo e concentrazione dei suoi avversari. Usato alle volte come un jab d’apertura, il question-mark kick (conosciuto anche come “calcio brasiliano”) ha consentito a Umar di guadagnare distanze preziose all’interno dei primi due round, entrambi, sui miei cartellini, portati a casa proprio dal russo. Il che rende ancora più straordinaria la rimonta del campione iniziata nel terzo, conquistando le ultime due riprese in maniera netta e convincente.

Ma nei primi due round Nurmagomedov ha gestito benissimo gli spazi, mettendo a segno un colpo pesante al mento, inserendo colpi di rientro e ferendo Merab all’arcata sopraccigliare. Nurmagomedov si è imposto negli scambi, contenendo i takedown dell'avversario e, cosa più impressionante, costringendolo a subire un takedown, il primo in ben sette match. Quando Nurmagomedov è riuscito a prendere la schiena, Dvalishvili ha accennato un sorriso alla telecamera, ha raccolto le energie e si è rimesso in piedi.

Un dato curioso: con il suo penultimo takedown a segno, Dvalishvili ha superato il record di takedown di Georges St-Pierre (che era di 90, Merab adesso ne ha 92 all’attivo). L’uomo con la serie più lunga di vittorie nella storia dei pesi gallo UFC era dato sfavorito fino all’inizio del quarto round, quando le quote sono improvvisamente cambiate. Complice il calo d’intensità di Nurmagomedov, improvvisamente spentosi dopo aver difeso con successo diversi tentativi di atterramento, l’inerzia del match è passata tutta dal lato del campione.

Come si diceva sopra, Dvalishvili aveva subito un takedown con presa di schiena nelle prime battute del match, una sliding door interessante che ha fatto capire come il campione dovesse cambiare atteggiamento per portare dalla sua l’incontro. Dvalishvili ha quindi accorciato le distanze, seguendo i consigli di Ray Longo al suo angolo. Lasciando poco spazio a Nurmagomedov per pensare, ha iniziato ad asfissiarlo colpendo a testa bassa in avanzamento, una tattica che ha funzionato contro uno striker tecnico quale è Umar, sfiancandolo e facendogli perdere il ritmo. Da segnalare un uno-due pesantissimo al volto dello sfidante nelle ultimissime battute del match: il mento di Nurmagomedov ha retto bene, ma non ha fatto altrettanto il suo spirito, provato dal ritmo incessante del campione.

Merab pareva telecomandato dal suo angolo e alle prime correzioni, ai primi aggiustamenti, ha subito risposto bene, mettendo in atto delle contromisure perfette. Non sempre a segno coi takedown, la strategia del campione ha pagato: quando Umar si abbassava per coprirsi, molte volte è incappato nel diretto di Merab, spesso a segno alla testa (non sempre al volto, ma comunque al bersaglio piccolo tra fronte, tempie, scalpo). Nurmagomedov non ha risposto male, semplicemente non si era mai trovato davanti un fighter col ritmo del campione georgiano. Ha retto bene il confronto, almeno fino ai championship round, dove l’inerzia è finita completamente dall’altro lato.

Tra il quarto e il quinto round, Dvalishvili ha portato in giro per la gabbia Nurmagomedov, costringendolo a subire il suo rientro, a difendere i takedown, a tenersi impegnato insomma con azioni difensive, senza avere il tempo di pensare al contrattacco. L’ultimo takedown dell’incontro è un capolavoro tecnico-tattico: dopo aver invitato con delle provocazioni (il solito mimare del colpo a vuoto, già visto contro O’Malley) Nurmagomedov è entrato nel range d’azione di Dvalishvili, che lo ha portato a parete prima e a terra poi con un back trip mirabolante ed esteticamente prezioso, che ha infiammato l’arena.

Alla fine due giudici su tre (come me) hanno dato 48-47 in favore di Dvalishvili, l’ultimo ha dato 49-46, sempre per il campione. Decisione unanime, con la quale Umar Nurmagomedov non si è trovato d’accordo, esprimendo tutto il proprio rammarico. Merab invece, col suo solito inglese un po’ raffazzonato ma con vocabolario vasto e un’energia davvero unica, ha ringraziato tutti, invitando a non arrendersi mai, neanche quando, come lui, si invecchia.

«Ho creduto molto in me stesso», ha detto, nella maniera forse non più originale, ma senza dubbio vitale. Merab Dvalishvili non è un fuffa-guru che vende delle idee a buon prezzo, è un fighter che - pur alle volte cadendo in banalità - sottolinea quanto di buono fatto negli anni, in una carriera in UFC iniziata dopo una prestazione pazzesca durante un match a Ring of Combat 59, nel giugno 2017, trasmesso dall’allora reality Dana White: Lookin’ for a fight, l’antenato delle Contender’s series. Quella sera Dvalishvili vinse in 15 secondi con uno spinning back fist, guadagnandosi la possibilità di entrare nella promotion. Appena tre anni prima, dopo aver perso 2 dei suoi primi 3 incontri da professionista, Dvalishvili ha abbandonato le MMA per un anno e mezzo. Solo durante la pandemia ha deciso di dedicarsi a pieno allo sport lasciando il lavoro da muratore.

Sembra assurdo a pensarci oggi, dopo che è salito in cima al mondo battendo diversi ex campioni e, nel caso di Umar Nurmagomedov, forse addirittura un futuro campione. Dvalishvili non ha mai accampato scuse, accettando tutto pur di arrivare in cima, anche di combattere, come da lui rivelato in questo caso, con un’infezione alla gamba e un mal di schiena. Tutto gli si può dire - tipo che è noioso, secondo alcuni - ma non che non sia un vero campione.

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