C’è stato un tempo in cui parlare di “striker contro grappler” nel mondo delle MMA era piuttosto normale. Oggi, però, per competere al livello più alto nelle MMA, la completezza è un requisito necessario e fondamentale. Ci sono delle eccezioni, certo, esistono dei fighter che sono così abili nello sfruttare i propri punti di forza da non aver bisogno del “pacchetto completo”, riuscendo a sopperire a determinate mancanze eccellendo in un aspetto specifico. Un esempio illustre è quello di Khabib Nurmagomedov, imbattuto ex campione dei pesi leggeri in UFC che ha dimostrato coi fatti di essere il più grande peso leggero della sua generazione, e forse di sempre, con una sproporzione molto pronunciata tra le abilità lottatorie e quella nel tirare pugni e calci (comunque piuttosto efficaci, come Conor McGregor si è reso conto). Un esempio più recente, non troppo diverso, è offerto da Khamzat Chimaev, probabile prossimo sfidante al titolo dei pesi medi, dotato di uno striking significativo che, però, al cospetto della sua qualità stellare nel grappling, sfigura.
Le MMA hanno sempre vissuto una ciclicità secondo la quale per ogni campione più o meno dominante prima o poi arriva un atleta che trova la formula per batterlo (questo tranne che per campioni come Jon Jones o, appunto, Khabib, che si è ritirato prematuramente da imbattuto), e questo è dipeso, fino a un certo punto, soprattutto dall’opposizione degli stili. Dai primi tempi in cui la UFC organizzava incontri presentando i fighter come rappresentanti di una scuola ben precisa - pugile contro wrestler, karateka contro esperto di brazilian jiu jitsu - sembrano però passate intere ere geologiche.
Quando Chris Weidman ha combattuto (nel 2013) contro la leggenda Anderson Silva, arrivava all’incontro con una reputazione ben precisa: era considerato un wrestler solido. Anderson Silva probabilmente credeva di doversi preoccupare solo delle sue capacità lottatorie, visto che sul piano dello stand-up era considerato da tutti pressoché imbattibile. Dopo un gancio andato a vuoto, però, Weidman ha centrato la mandibola di Silva con un vero e proprio manrovescio chiuso, un backfist che ha messo KO il suo avversario. Insomma: non era solo delle qualità lottatorie di Weidman che Silva avrebbe dovuto preoccuparsi. Già quella non era più l’epoca delle divisioni di stile rigide.
Poi è stato il turno di Weidman, di assaggiare la sua kryptonite. Dopo tre difese contro degli ormai attempati brasiliani (Lyoto Machida e Vitor Belfort, e prima di loro ancora Silva, stavolta vittima di un brutto infortunio alla gamba) Weidman ha perso il suo titolo contro Luke Rockhold. Anche qui: Rockhold era uno considerato uno striker straordinario dalla distanza, con ottime basi nel jiu-jitsu ma un wrestling non irresistibile. Weidman lo ha preso troppo alla leggera e dopo essere andato a vuoto con uno spinning back kick è stato travolto da Rockhold, che gli ha preso la schiena e lo ha finalizzato con un ground and pound cruento.
Da quel periodo, negli ultimi dieci anni, è diventato sempre più evidente che la dicotomia “striker contro grappler” non aveva più senso. Lo stile di base, oggi, deve essere esteso, completo, se un contender vuole essere competitivo nelle sfere più alte dei ranking. L’assottigliamento di differenza psicofisica e atletica tra i campioni e i contendenti - o detto in un altro modo: la “professionalizzazione” dei fighter di alto livello, derivante da allenamenti specifici, strategie e da tutto ciò che si studia nelle palestre e nelle accademie oggi che questo sport inizia ad avere più di trent’anni di età - ha contribuito a formare e ridefinire il concetto stesso di combattente nelle MMA.
In origine si trattava di atleti formati in una disciplina specifica che, studiandone ed approfondendone anche delle altre, raggiungevano una completezza tale da poter competere in gabbia contro atleti specializzati magari in discipline diverse. Gli atleti, comprensibilmente, si sono evoluti al passo con la crescita dello sport, oggi consolidato in tutto il mondo.
Già dieci o più anni fa c’erano atleti di questo tipo. Come Fedor Emelianenko, maestro di combat sambo, o anche a Frank Shamrock, che grazie al suo continuo peregrinare aveva finito per dare vita a un proprio stile personale, e che oggi è ricordato come uno dei primi fighter di questa nuova generazione. Sempre più fighter arrivano in UFC o anche in promotion minori con una formazione di alto livello in diverse discipline, cercando di avere meno “buchi” possibile nel proprio stile. Lo stile di un fighter moderno è più completo, bilanciato, totale. Detto questo, negli ultimi tempi sembra esserci un’area più importante delle altre, senza la quale è semplicemente impossibile arrivare nell’élite di questo sport.
COME IMPATTA LO STILE DEI GRAPPLER IN UFC
Le MMA oggi sono considerate uno sport “wrestling-based”, ovvero che fa del wrestling, e più in generale del grappling, la base da cui partire. Il che significa che se non si hanno basi lottatorie diventa tutto molto più difficile (so che state pensando ad Alex Pereira come contraltare di questa affermazione, ma ci arriveremo più avanti).
In particolare in questi ultimi anno sono stati combattenti con basi nel sambo (arte marziale nata in Unione Sovietica come tecnica di difesa per le forze armate russe) a mostrare un dominio schiacciante, impensierito alle volte, stilisticamente parlando, da striker con buona difesa dai takedown. Anche grappler volti al controllo, o wrestler classici spesso statunitensi, o jiujiteiri, hanno le basi per contrapporsi allo stile completo e straripante di questi fighter. Parliamo di atleti che di solito provengono dalla Russia orientale o dal Medio Oriente (Belal Muhammad, attuale campione dei pesi welter, è statunitense ma combatte con la bandiera della Palestina, e nell’ultimo periodo si è allenato proprio con il team di Khabib Nurmagomedov) che hanno costretto la UFC a un cambio di direzione mediatico piuttosto forte.
Fighter di questo tipo sono considerati “noiosi” dal pubblico meno esperto, poco spettacolari. Questo è dovuto principalmente al fatto che, nelle fasi di grappling tra due fighter che sostanzialmente si equivalgono, si crea spesso uno stallo. L’UFC non teme niente di peggio di un calo degli ascolti, delle visualizzazioni e degli acquisti di PPV e merchandising - tutti fattori di cui tiene conto più dei ranking: una federazione nazionale o internazionale ha l’obbligo morale di seguire le classifiche per organizzare i match, una promotion privata no, può anche fregarsene di mandare avanti i combattenti che più “meritano” preferendo quelli più amati e seguiti dal pubblico - anche per questo è molto attenta a promuovere fighter che si discostano da questo stile.
Durante lo svolgersi della card numerata UFC 308, ad esempio, abbiamo visto emergere Shara Magomedov, un fighter sì russo ma che è l’esatto opposto della descrizione fatta sopra: si tratta di uno striker selvaggio, preciso, elegante e spettacolare, che offre quindi un’alternativa allo standard stilistico di quell’area geografica. La promotion si è mossa in maniera molto furba per promuovere un combattente che rappresenta una fetta importante della fanbase, permettendogli di combattere nonostante i limiti imposti dal fatto che, per via di un infortunio, ci vede da un solo occhio (l’altro gli è stato rimosso). Magomedov è dovuto rimanere fermo tre anni (dal 2018 al 2021) e oggi può combattere solo in quei Paesi in cui la commissione atletica glielo permette, pur avendo uno svantaggio enorme sul piano della visione, rispetto ai suoi avversari (cosa che per ora non sembra sufficiente a fermarlo, ma questa è un’altra storia).
Shara Magomedov rappresenta, in questo senso, l’anti-Khabib. Nonostante secondo alcuni Nurmagomedov abbia costruito il proprio record con avversari non di massimo livello, una volta arrivato ai piani alti della UFC ha continuato a dominare, senza mai perdere una goccia di sangue nell’ottagono. Un dominio che, però, ha anche annoiato, prima che Khabib diventasse un personaggio popolare e diventasse il fighter col regno più lungo nei pesi leggeri UFC, da aprile 2018 a marzo 2021. E Khabib ci è riuscito contro la stessa UFC, o nonostante la UFC, che di certo non stravedeva per lui anche per ragioni, diciamo così, culturali, mal sopportando, ad esempio, la sua scelta di non combattere durante il mese di ramadan.
DOMINATORI SCOMODI: MAGOMED ANKALAEV, BELAL MUHAMMAD, ISLAM MAKHACHEV, MERAB DVALISHVILI
Oggi sta vivendo una situazione simile il già citato Belal Muhammad. Come Khabib, anche Muhammad è stato accusato di “stallare” i match, di saper vincere solo ai punti. Poi però ha offerto una prestazione dominante a Londra, a casa dell’ex campione dei welter Leon Edwards, vincendo il titolo con una prestazione schiacciante che comunque non ha fatto cambiare idea agli occhi meno abituati alle masterclass di grappling e di amalgama vera tra stand-up e ground game. È stato schiacciante. Dominante. Senza possibilità di repliche. Eppure, per molti, è stato anche noioso.
La fame del pubblico, che preferirebbe match di scambi selvaggi in piedi - a dispetto anche della salute dei fighter che dice di amare - contribuisce a rendere questi match meno appetibili anche per la UFC, che preferisce seguire i gusti degli spettatori e “pompare”, “spingere”, incontri esteticamente più appetibili.
In questo periodo si parla molto di un possibile incontro tra Alex Pereira e Magomed Ankalaev, un altro di quei fighter di cui abbiamo parlato prima. Oggi ha un record mostruoso di 20 vittorie, 1 sconfitta, 1 pareggio e 1 No Contest, è un maestro delle distanze e ha dimostrato di poter competere al livello più alto nei massimi-leggeri. È il primo contendente (il numero 2 dei ranking, subito dietro al campione) ormai da anni ed ha affrontato, pareggiando, Jan Blachowicz per il titolo. Da quell’incontro, però, non gli è più stata data la chance di combattere per la cintura. Persino Alex Pereira ha detto che l’incontro da fare sarebbe quello con Ankalaev.
La UFC però non vuole rischiare il proprio campione, maestro nell’arte del KO, contro un fighter noioso. Un campione molto forte, percepito addirittura come il più forte in assoluto in questo momento, che affronta chiunque in qualunque momento, e che salva le card dall’oblio quando altri fighter si infortunano. Pereira è spettacolare e vende come pochi ma qualora un eventuale match con Ankalaev si spostasse a terra, non avrebbe molte chance di vincere. In questo modo l’UFC si ritroverebbe con un nuovo campione che venderebbe poco o nulla, facendo perdere fascino ed ascolti ad una categoria che ha ritrovato lustro, dopo l’uscita di scena di Jon Jones, proprio grazie a Pereira.
È davvero semplice e non c’è ormai più nulla da nascondere: finché potrà, la promotion eviterà di far scontrare i due. Certo, ora che Ankalaev ha battuto in maniera netta anche Aleksandar Rakić è davvero difficile evitare ancora a lungo questo match. Il russo, a parte la sconfitta all’esordio in UFC contro Paul Craig, un pareggio nel match titolato ed un No Contest contro Johnny Walker, demolito poi nel rematch, è arrivato a quota 11 vittorie in UFC, in una divisione non ricchissima di fighter. Ricorda il percorso di Belal Muhammad, che prima di avere una chance per la cintura ha dovuto mettere a segno 9 vittorie consecutive, interrotte solo da un No Contest contro l’ex campione Leon Edwards (poi battuto, appunto, per il titolo). Oggi è arrivato a 15 vittorie e 3 sconfitte in UFC, un record che dovrebbe far paura, o quanto meno incutere rispetto, eppure la sua scalata è stata dura, lenta, di sacrificio. A differenza d’altri, poi, subito dopo essere diventato campione ha accettato il match contro l’uomo nero della divisione, Shavkat Rakhmonov, salvo poi infortunarsi in modo serio (un’infezione alle ossa del piede) e dover rimandare.
Lo stesso vale per Islam Makhachev, che domina la divisione dei pesi leggeri grazie alla sua qualità nel sambo e a un’evoluzione nello striking propria delle MMA che gli ha fornito una completezza che Khabib, suo allenatore, non possedeva. Sebbene Khabib, probabilmente, nel grappling puro fosse più forte: gira una clip di reazione di Poirier al grappling di Islam e a quello di Khabib: nel primo caso Poirier ha resistito meglio a determinati attacchi, in particolare un gancio alla gamba per prendere la schiena; contro Khabib la differenza è stata più netta. Anche Islam Makhachev - che oggi per molti è semplicemente il miglior fighter al mondo - ha dovuto costruire un record ridicolo in UFC (12 vittore e 1 sconfitta; 22 vittore e 1 sconfitta se consideriamo la sua intera carriera fin lì) e vincere 10 incontri consecutivi prima di avere la possibilità ci combattere contro Oliveira per il titolo.
L’opposto dei percorsi disegnati per fighter considerati invece degli striker spettacolari, capaci magari di unire allo stile nell’ottagono anche una spiccata riconoscibilità fuori, a diventare quello che si dice un “personaggio”. Come Sean O’Malley, campione meritevole dei pesi gallo, ma che è stato accompagnato verso il titolo e lo ha mantenuto, poi, finché non gli è stato messo contro un fighter dalle caratteristiche opposte alle sue, stilisticamente sconvenienti: il neo-campione Merab Dvalishvili. Prima dell’incontro ci si chiedeva: se O’Malley centra in pieno volto Merab, lo manderà al tappeto? Riuscirà Sean ad arginare il wrestling di Dvalishvili? Domande legittime, da fan, alle quali la promotion deve aggiungere le proprie: se Merab batte Sean, venderà più di lui, o quantomeno farà più o meno le stesse cifre?
Anche se, va detto, Sean O’Malley smentisce in parte la teoria che fighter spettacolari vendano anche di più: per qualche ragione non è mai stato un draw colossale in termini di vendite. Ed è interessante notare anche che, adesso, è Merab a preferire un rematch con O’Malley piuttosto che incontrare subito Umar Nurmagomedov, cugino di Khabib, grappler mostruoso dotato anche di buonissima qualità nei colpi e nel combattimento in piedi. In questo caso a UFC probabilmente importa poco: scambiare un grappler per un altro alla testa della categoria potrebbe persino essere una soluzione migliore rispetto a bruciare totalmente O’Malley.
IL PUBBLICO COSA NE PENSA?
Il pubblico delle MMA, in realtà, è meno omogeneo di quel che si pensa. Ci sono i feticisti dello striking, quelli del grappling, gli osservatori casuali, quelli che la vogliono cotta e quelli che la vogliono cruda. I palati da soddisfare - o se preferite: i portafogli da far aprire - sono diversi tra loro. Finora, lo sappiamo, il più grande draw nelle MMA è stato Conor McGregor, per una serie di motivi: l’abilità al microfono, quella dentro la gabbia nel suo periodo prime, e quel mancino che pesava come un macigno quando andava a segno. A seguire, Jon Jones, il dio della guerra, un wrestler atipico dotato di un timing inarrivabile e di un allungo gigantesco, capace di servirsi del suo dono nelle maniere migliori.
E poi? C’è stata Ronda Rousey, una judoka trasformatasi in dominatrice nelle MMA, scolastica (ed è un eufemismo) nello striking, assolutamente geniale quando si arrivava a terra o in fase di grappling in generale. A Ronda serviva davvero poco tempo per sottomettere le sue avversarie e Dana White gongolava in una vasca di dollari, finché è durato - nel caso di Ronda, la kryptonite si è rivelata essere delle striker di alto livello come Holly Holm e Amanda Nunes.
Forse l’esempio più pregnante di come i gusti del pubblico, e le decisione della UFC, possano talvolta allontanarsi dalle abilità sportive dei fighter, è Demetrious Johnson, semplicemente uno dei più grandi di sempre, con uno stile di una bellezza michelangiolesca, che però non vendeva. E in questo caso il problema non era l’abilità lottatoria, visto che Johnson riusciva ad essere anche spettacolare (ad esempio, inventandosi un armbar nel bel mezzo di una proiezione). Dana White non ci ha pensato due volte a scambiarlo, in una sorta di draft con One Championship, con Ben Askren, potenziale campione dei welter annichilito da una ginocchiata di Jorge Masvidal nei primi secondi del suo secondo match nella più importante promotion mondiale.
UN PROBLEMA ANCHE POLITICO
Per l’UFC e Dana White - da sempre vicino a Donald Trump, fino a quest'ultima recente rielezione, tanto per rimarcarne l’importanza - c’è anche un problema politico. Karim Zidan, giornalista sportivo investigativo, è stato uno dei primi giornalisti sportivi a parlare dei legami tra Ramzan Kadyrov, dittatore ceceno, persecutore di omosessuali e oppositori, e anche alcuni fighter. Sono in molti ad essersi lasciati sedurre dal suo potere, assecondando la sua passione per le MMA: esiste una foto di Fabricio Werdum e Frank Mir in posa con dei fucili automatici accanto al dittatore; oggi lo vediamo accompagnare - dove possibile, perché in molti Paesi non può andare - lottatori di primo piano come Khamzat Chimaev e Magomed Ankalaev.
Ma lo si è visto anche a Riyad, nell’angolo di Artur Beterbiev nell’incontro di boxe più bello dell’anno, che lo ha visto opposto a Dmitry Bivol. Kadyrov, da qualcuno chiamato “il macellaio di Groznyj”, dopo UFC 282, in cui Ankalaev aveva pareggiato con Blachowicz, ha usato X per accusare Dana White di aver privato il suo protégé del titolo a causa di “scelte politiche”, intimandogli di cambiare il risultato. Dana White non ha mai risposto a quel tweet.
La vicinanza di due mondi così diversi e per certi versi complementari, dà da pensare. Khabib Nurmagomedov è stato vicino a Kadyrov (non nel suo periodo dopo il ritiro, ad onor del vero, e in molti si sono chiesti cosa fosse successo tra i due) ma ha sempre glissato sulle domande circa il loro rapporto, a differenza di Chimaev che non nasconde un rapporto apparentemente fraterno, sicuramente di profonda sudditanza. Forse Khabib aveva maggiore consapevolezza di come venisse percepito dal pubblico occidentale.
Il loro rapporto ha messo in scena anche momenti grotteschi come questo.
Il legame tra il dittatore ceceno e gli sport da combattimento è anche di tipo economico. Quando nel 2011 Kadyrov ha organizzato una festa lussuosa per i suoi 35 anni, con ospiti come Hilary Swank e Seal, a chi gli chiedeva da dove venissero i soldi, lui rispondeva: «Ce li dà Allah… non lo so, da qualche parte vengono». È da tenere in considerazione il fatto che la Federazione Russa versa nelle tasche di Kadyrov parecchi soldi, attraverso la fondazione a nome della madre dello stesso Kadyrov; solo nel 2015 la Russia ha versato quasi 600 milioni di euro. Kadyrov ha un roster di atleti sotto di lui - Magomed Ankalaev è uno di questi - e dei club pugilistici che finanziano pugili e fighter a gusto, uso e consumo del dittatore.
Come in molte altre parti del mondo, oggi negli Stati Uniti i fighter russi non possono combattere (finché Trump non risolverà la guerra in Ucraina come promesso o cambierà in altro modo la situazione), ma dato che i Paesi arabi sono in buoni rapporti con la Russia, la UFC ha già risolto da sé limitandosi a organizzare le card che li coinvolgono in posti come gli Emirati Arabi o l’Arabia Saudita. Il potere espresso dalle monarchie del Golfo in termini di sport da combattimento passa dalle mani dello sceicco Tahnoun Bin Zayed al Nahyan, figlio di uno degli sceicchi fondatori degli Emirati Arabi, quando si resero indipendenti dal Regno Unito. Al Nahyan, amico anche di Renzo Gracie e fondatore dell’Abu Dhabi Combat Club, rese il brazilian jiu-jitsu sport obbligatorio nel sistema educativo emiratino nel 2008.
Karim Zidan sostiene che negli Emirati gli sport da combattimento vengono utilizzati come strumento per riaffermare la propria identità iper-mascolinizzata ed escludente nei confronti di alcune minoranze. Avendo gli Emirati una popolazione composta nel suo 50% da giovani uomini tra i 15 e i 35 anni, facilmente impressionabili e manipolabili, è semplicissimo comprendere il rischio che corre il paese nella formazione futura delle prossime generazioni. Più che come sport vero e proprio, il combattimento - il jiu-jitsu nel caso degli Emirati, le MMA nel caso del Daghestan o della Cecenia - diventa un simbolo, riflesso del potere di chi è al comando.
Dana White non è in una posizione semplice. Politicamente, UFC non sembra preoccupata dalla situazione: nel corso della conferenza stampa di UFC 308 il presidente si è detto certo di tornare in Russia, solo che non sa quando. C’è, al momento, un solo campione russo, Islam Makhachev, ma i contendenti russi o comunque di Paesi ex sovietici - e che quindi fanno della lotta la propria base di combattimento - sono ben più numerosi. Un po’ in tutte le divisioni si sono fatti strada i fighter con base lottatoria e il loro pare un dominio destinato a durare. I problemi politici, quindi, si intrecciano a quelli estetici, per così dire.
In fin dei conti UFC, per quanto possa non amarli, potrà fare poco se questi fighter continueranno a vincere. Ma anche questo ciclo, prima o poi, giungerà al suo termine. Che tipologia di fighter sarà in grado di opporsi a questo stile, quale sarà la loro kryptonite? Quanti Ilia Topuria ci possono essere - un fighter fortissimo in ogni area ma che per scelte di spettacolo e certezze nei propri mezzi “sceglie” di mettere KO i propri avversari? Può venire fuori un moderno Jose Aldo, che forte della sua quasi perfetta difesa dai takedown riesce a mantenere il match in piedi, a gestirlo e poi a portarlo a casa dalla sua area preferita? O magari la risposta sta in jiujiteiri come Charles Oliveira, che pur avendo fallito nella sua difesa contro Islam Makhachev può ancora sperare in un tentativo, forte delle sue qualità nel submission game?
Magari, semplicemente, siamo davanti alla definizione dello stile base definitivo per i fighter di MMA, che devono necessariamente essere estremamente preparati nella fase difensiva per competere nelle fasi lottatorie, prima di, in caso, riportare il match su binari più congeniali. Magari, appunto, anche gli striker d’élite da oggi in poi dovranno saper resistere a grappler eccezionali come Makhachev, a wrestler tonanti come Chimaev.
La prova del nove potrebbe arrivare prima di quanto crediamo. Chissà se Topuria, dopo aver battuto Holloway a UFC 308, riuscirà davvero, salendo di una divisione, a diventare il primo in grado di sottomettere Islam Makhachev come ha promesso. Per ciò che ha mostrato, gli concediamo il beneficio del dubbio, ma rimaniamo consapevoli che lo spagnolo (anche lui di origini georgiane) non ha mai affrontato un fighter del calibro di Makhachev. La strada che vuole tracciare Topuria è sicuramente tortuosa e impervia, mentre sembra lastricata d’oro quella di fighter come Makhachev.
Forse il futuro delle MMA è già qui e non ce ne siamo ancora resi conto.