La Gila River Arena, a Glendale (Arizona), è gremita di spettatori che hanno lo sguardo fisso sull’ottagono al centro della scena. Nel minuto di pausa tra il quarto e il quinto round, il cutman (cioè la persona incaricata di tamponare le ferite di un fighter per permettergli di concludere l’incontro) all’angolo di Nate Diaz è parecchio indaffarato. Cerca di fermare il sanguinamento abbondante dell’arcata sopraccigliare di Diaz, lacerata (come spesso gli accade quando combatte) da una precisa gomitata del suo avversario Leon Edwards. Ma l’atleta che sta dando battaglia nella gabbia UFC ha anche una vistosa ferita altrettanto sanguinante in testa, nel cuoio capelluto. Segni di un combattimento che Diaz sta perdendo nettamente e in maniera inesorabile, colpo su colpo, round dopo round.
Al suono della campana, che inaugura l’ultima ripresa, Edwards sorprende Diaz con un destro e poi lo fa cadere a terra grazie ad un calcio in linea bassa. Sembra l’epilogo di uno scontro senza storia tra un 29enne inglese terzo al mondo nei ranking UFC dei pesi welter, proiettato verso la sfida titolata, Edwards, e un veterano americano di 36 anni, Diaz, che a poco più di un minuto dalla fine delle ostilità è ridotto ancora una volta ad una maschera di sangue. Ma ecco il colpo di scena, quel guizzo che ha reso Nate Diaz un fighter popolarissimo, amato dai fan e rispettato dai colleghi proprio perché autore di «prestazioni iconiche», come ricorda Alex Dandi in telecronaca.
Il fighter americano infatti pizzica sul mento Edwards con un sinistro chirurgico, potente e preciso. L’atleta fino a quel momento in largo vantaggio barcolla incredulo, mentre Diaz lo indica, come a voler dire: «Ti ho beccato, eh? », e gli si fa sotto alla ricerca del TKO. A questo punto Edwards comincia a correre lungo il perimetro della gabbia, incassando i colpi sferrati dall’avversario e cercando disperatamente il clinch, mentre Diaz lo incalza. Il pubblico è in visibilio, tutta l’arena si alza in piedi. Ma ormai mancano pochissimi secondi, Edwards sopravvive alla sfuriata di Diaz e porta a casa la vittoria.
Dana White ha commentato così la prestazione del fighter americano dopo l’incontro, con parole piuttosto eloquenti nel definire lo status di cui gode Diaz: «La sua gamba era fuori gioco già dopo il primo round (a causa dei calci sferrati da Edwards, nda), e lui è andato avanti per cinque riprese sanguinando da entrambi i lati della testa. Ha continuato a fare quello a cui ci ha abituato quando combatte. Ha cercato per tutto il match di entrare nella mente del suo avversario per indurlo in errore, e ci stava riuscendo nel quinto round (durante la sfida Diaz ha dato più volte le spalle ad Edwards, si è accovacciato sulle ginocchia mettendosi di lato rispetto all’avversario, e ha compiuto ulteriori strani, inusuali movimenti per cercare di distrarre e sorprendere l’inglese, nda). È incredibile. Non so cosa accadrà nel suo futuro, le persone lo amano a prescindere, che vinca, perda o pareggi». Un risultato non banale per uno sportivo, solitamente appeso al filo dei risultati e giudicato dal pubblico esclusivamente in base alle performance.
Peraltro il rientro in gabbia di Diaz (20-13 in carriera, 15-11 in UFC), che dopo tre anni di assenza dal 2016 ha combattuto due volte nel 2019 per poi tornare in azione sabato notte, è avvenuto nella stessa card in cui il nostro Marvin Vettori ha perso contro Israel Adesanya, il campione in carica dei pesi medi UFC. Una coincidenza che è quasi un segno del destino, dato che l'atleta americano e Vettori si conoscono e frequentano da diverso tempo: svariate foto sui social li ritraggono insieme. Inoltre Diaz era presente anche nella card d’esordio in UFC di Vettori, per il secondo match contro McGregor, nell’agosto del 2016.
E infatti Diaz, nato 36 anni fa a Stockton, in California, è diventato famoso soprattutto dopo i due combattutissimi match contro Conor McGregor, ma anche per i suoi atteggiamenti provocatori dentro e fuori dalla gabbia: ad esempio, durante la conferenza stampa aperta al pubblico prima di affrontare Edwards, ha rubato la scena a tutti i colleghi fumando sul palco quello che sembrava essere a tutti gli effetti uno spinello di marjuana. Ma il fighter californiano è molto più di questo: basti pensare che è il terzo atleta di sempre ad aver vinto più bonus post-fight nella storia di UFC (ben 15), dietro a Charles Oliveira e a Donald Cerrone, primo in questa particolare classifica.
Nel corso della sua carriera in UFC Diaz si è infatti aggiudicato una Performance of the Night, 8 Fight of the Night, un Knockout of the Night, 5 Submission of the Night, ma anche una Submission of the Year (nel 2016, ai danni di McGregor).
Una storia in tre tappe
Il fighter americano ha disputato ben 26 incontri nella promotion di Dana White, in cui milita dal lontano 2007. Riavvolgendo il nastro, Nate esordisce da professionista nelle MMA a 19 anni. Combatte diversi incontri nel World Extreme Cagefighter (WEC, salvo due apparizioni in Pancrase e Strikeforce) per poi entrare nel cast di The Ultimate Fighter 5, il reality show di UFC, come membro del team di Jens Pulver. Arriva in finale e vince l’edizione, e così conquista l’accesso proprio in UFC.
Si possono individuare tre “turning point” fondamentali nella carriera di Diaz, che lo hanno portato a consolidare il suo status nell’organizzazione e a sfidare per ben due volte McGregor, generando (e incassando) cifre da capogiro. Inoltre, i riflettori puntati addosso per i suoi comportamenti sopra le righe lo hanno reso un personaggio mediatico, e l’hype che si scatena ogni volta che torna in azione lo dimostra ampiamente.
La prima svolta della sua carriera risale a tredici anni fa. In quel momento Nate è 2-0 in UFC, dopo aver sconfitto agevolmente Assunção e Robinson. Pellegrino è un wrestler temibile, oltre che cintura nera di Brazilian Jiu Jitsu (BJJ). Si presenta al match con uno score di 3-1 nella promotion di Dana White.
E infatti nel primo round Diaz subisce l’avversario, che lo costringe al suolo per tutti e cinque i minuti, andando vicino alla finalizzazione per ground and pound. Ma nella seconda ripresa Nate appare sin da subito più agguerrito, cerca di imporre il suo striking e, quando viene nuovamente portato a terra da Pellegrino con uno slam, sfrutta l’occasione per chiudere l’avversario in una memorabile triangle choke. Appena si rende conto di aver intrappolato Pellegrino, Diaz inizia ad esultare mostrando i bicipiti, con tanto di dito medio (censurato in video), ancor prima del “tap-out” di resa finale.
Un frame che mostra l’esultanza di Diaz, con tanto di dito medio, quando si rende conto di aver chiuso Pellegrino nella triangle choke (Foto Sherdog).
Con questa vittoria in un match difficile e in cui partiva da sfavorito, il fighter di Stockton dimostra il suo valore: in quel momento è allo stesso livello degli atleti più competitivi del roster. Ma non solo: Diaz mostra anche l’atteggiamento sprezzante e provocatorio che inizia a suscitare attenzione e curiosità nel pubblico. E vince la Submission of the Night.
Nel 2010, in seguito a tre sconfitte negli ultimi quattro incontri, Diaz decide di passare dai 70 ai 77 kg, cimentandosi nella categoria dei welter. Vince i primi due match, per poi perdere i successivi due (uno di questi contro Rory MacDonald). Sceglie perciò di tornare nei leggeri, dove riassapora la vittoria sconfiggendo Takanori Gomi. A questo punto, la promotion gli offre di combattere contro Donald “Cowboy” Cerrone, ai tempi reduce da quattro successi consecutivi.
Se contro Pellegrino Diaz aveva dimostrato la sua abilità nel grappling (oggi è cintura nera di BJJ), contro Cerrone l’atleta californiano sfodera le sue skill migliori nel pugilato. In tutti e tre i round Diaz domina l’avversario con un calcolo della distanza perfetto, un ottimo tempismo e un preciso ricorso al counterstriking.
Inoltre Diaz porta combinazioni puntualmente a segno, spesso concluse con montanti al corpo del malcapitato Cerrone, che colpisce a vuoto per tutto il match, dopo aver concluso il primo round con la mascella rotta. Una prestazione straordinaria di Diaz, che vince per decisione unanime e si aggiudica anche il Fight of the Night.
Dopo un periodo difficile, in cui discute con UFC per motivi contrattuali e perde ancora tre incontri su quattro, Diaz rientra, l’anno successivo alla sua ultima apparizione in gabbia, contro Michael Johnson. Non si tratta di un avversario facile: dopo quattro vittorie nette, Johnson era incappato in una contestata sconfitta contro Dariush, e perciò si presentava all’incontro in cerca di riscatto. Il primo round vede Diaz in difficoltà, colpito ripetutamente dai low kick (storicamente suo punto debole) di Johnson, e poco lucido nel trovare la giusta distanza. Ma nella seconda ripresa la situazione cambia: Nate inizia a parare i calci dell’avversario e ad andare a segno con i jab, evitando i contrattacchi e mandando fuori misura Johnson.
Il fighter di Stockton acquista fiducia in sé stesso e mostra delle schivate di tronco notevoli, sfoggiando un timing invidiabile e iniziando a sfidare l’avversario con gesti provocatori. Nel terzo e ultimo round la battaglia continua, ma entrambi gli atleti appaiono stanchi e il copione non cambia. Diaz torna a mostrare la versione migliore di sé e vince il match per decisione unanime, conquistando anche il Fight of the Night.
Una delle fasi del match in cui Diaz schernisce Johnson (Credits: Reddit.com).
Il resto è storia più recente. A fine aprile 2016, e con undici giorni di preavviso, Diaz accetta di sostituire l’infortunato Rafael dos Anjos contro McGregor. Dato ancora una volta per sfavorito, Diaz sorprende il mondo delle MMA sottomettendo l’irlandese (fino a quel momento ancora imbattuto in UFC) durante il secondo round, per poi pronunciare la famosa frase: «I’m not surprised motherfuckers!». Il rematch va in scena a metà agosto e, dopo una feroce battaglia durata cinque round, i giudici assegnano la vittoria per decisione maggioritaria a McGregor.
A questo punto Diaz si assenta per ben tre anni, facendo il suo rientro ad agosto 2019, quando sconfigge per decisione unanime Anthony Pettis, sfoderando una prestazione convincente. Tre mesi dopo UFC si inventa il titolo commerciale BMF (Baddest MotherFucker), mettendo in palio questa particolare cintura in onore delle buone maniere tra Nate e Jorge Masvidal. Alla fine del terzo round il medico ferma l'incontro a causa di un profondo taglio sull'arcata sopraccigliare di Diaz, apparso comunque in difficoltà durante la sfida, e Masvidal vince quindi per TKO. Infine sabato notte, un anno e mezzo più tardi dall’ultima apparizione, il fighter californiano ha perso per decisione unanime contro Leon Edwards, emozionando però il pubblico nell’ultimo minuto di un incontro che era sembrato a senso unico fino a quel momento.
Elogio di Nate Diaz
Se si parla del personaggio che appare al pubblico, esasperato o meno in alcuni tratti, Nate Diaz può essere amato oppure odiato per gli stessi motivi: i suoi comportamenti sprezzanti delle regole, l’atteggiamento da gangster, il linguaggio volgare, l’indole rissosa. Ma come atleta, Diaz è l’idealtipo del fighter duro, coriaceo, incassatore quando si difende, demolitore quando prende le misure all’avversario.
Nella sua lunga carriera ha attraversato periodi altalenanti, ma si è sempre dimostrato coraggioso, pronto alla battaglia, combattendo ogni volta senza risparmiarsi. Spesso è entrato in gabbia da sfavorito, accettando incontri difficili e avversari ostici. Il suo score in UFC lo dimostra: 15-11, tutt’altro che un record di quelli che vanno di moda oggi, limpidi, puliti, magari con uno zero alla voce sconfitte. Quelli di Diaz sono numeri che fanno intravedere tutta la fatica per arrivare fino a quel punto: trasudano sangue, sudore, polvere, amore per il proprio lavoro. Il suo motto è: «Be real», una frase che sembrerebbe retorica in bocca a qualsiasi altro fighter e che invece calza alla perfezione sulla sua storia.
Un concetto che proprio Marvin Vettori, quando l’ho videointervistato a circa un mese dal match con Kevin Holland (nel momento in cui cioè l’avversario designato era ancora Darren Till), ha ribadito, citando Nick Diaz, fratello maggiore di Nate, inattivo dal 2015 ma con un passato tra Pride, Strikerforce e UFC: «L’unico matto completo in questo gioco sono io. Tutta ‘sta gente qua (si riferiva i pesi medi UFC, nda) vive tranquilla a casa propria, circondati da moglie e figli. L’aveva detto anche il vecchio Nick Diaz, esprimendo un concetto in cui mi rivedo parecchio: “Tutto il tempo che questi fighter hanno usato per costruirsi la loro bella vita, con una famiglia che li accoglie a casa quando tornano dagli allenamenti, io l’ho dedicato alle MMA. Non me ne frega un ca**o del resto. Quindi quando entro in gabbia e li affronto, questa differenza deve spiccare”». Questa è la filosofia con cui Nate è cresciuto e si è formato, forse un po' infantile certo, ma che comunque fa trasparire un amore per quello che fa che non può lasciare indifferenti. Non solo perché Nate Diaz ha ormai 36 anni, ma anche perché quello che fa comporta una distruzione fisica imparagonabile a qualsiasi altro sport.
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Nella conferenza stampa post match dopo la sconfitta con Edwards, Diaz ha dichiarato di voler tornare a combattere nel giro di tre o quattro mesi. Se accadrà davvero, sarà una nuova occasione in cui i fan delle MMA andranno in visibilio, pronti a godersi la presenza scenica di un personaggio unico, in grado di regalare spettacolo sia dentro che fuori dall’ottagono. A nessuno interessa della vittoria e della sconfitta quando combatte Nate Diaz. E questo, oggi, dice tutto del rispetto che questo fighter si è guadagnato.