L’ultima volta che ti ho incontrato era di domenica ed è stato per caso. Frequentavamo la stessa classe al liceo ma, nonostante avessimo legato, d’estate ognuno se ne stava per conto suo. Sarà perché a me non piace poi tanto il mare, pensavo, mentre tu non perdevi un’occasione per andare in spiaggia. Ci andavi quando era troppo caldo per giocare a tennis. Il tennis era l’unica cosa che ti piaceva più del mare.
Mi hai chiesto se mi andava di venire da te la domenica successiva, ci sarebbe stata la finale di Wimbledon, l’avrebbero data in televisione. In fondo era il nostro torneo preferito, perché non vedere la finale insieme?
–Guarda che lo vince Courier.–
L'ho detto per provocarti. Per quanto facessi il tifo per "Big Jim", che arrivasse in fondo a un Wimbledon non ci speravo neanche io. Sapevi di quella mia passione, eppure hai letto il mio bluff. Mi hai dato un buffetto sulla spalla e mi hai detto:
–Se Courier vince Wimbledon viene la fine del mondo, lo sai?–
Il mondo non ha aspettato la domenica successiva, è finito tre giorni prima.
Courier in finale ci arriva davvero, alla seconda domenica del torneo si ritrova sul prato del Centre Court con un altro americano, Pete Sampras. Courier ha già vinto quattro titoli del Grande Slam, due Australian Open e due Roland Garros, e appena due mesi prima di Wimbledon ha perso una terza finale a Parigi contro Sergi Bruguera. Sampras ha vinto uno US Open tre anni prima, ma è una vittoria che sembra appartenere a un’epoca lontana. Capisco perché Courier è stato soprannominato "Big Jim": ha l’aspetto di un cyborg, non sembra neanche fatto di carne. I quadricipiti guizzano nei pantaloncini troppo corti, mentre si inchina rigido davanti al Royal Box all’ingresso in campo. Sampras lì accanto ha la faccia pulita e il corpo minuto. Sembra un ragazzino, non ha ancora niente dell’uomo irsuto e dallo sguardo triste che diventerà.
A me piaceva lo stesso tipo di giocatore: Jim Courier, Thomas Muster, André Agassi.
–Pallettari! Solo pallettari!– gridavi, con il ribrezzo in viso che si scioglieva in una risata, –Prendo Boris, sempre Boris. Se non posso avere lui, scelgo Sampras o Krajicek.–
Preferivi l’estro in un giocatore di tennis, e se all’estro si accompagnava l’eleganza del gesto allora per te era la perfezione. Tu eri elegante, sui tuoi maglioni bianchi a collo alto le labbra violacee, le efelidi a segnarti il viso, i capelli rossi. Rossi proprio come quelli di Boris. Sembravi già fuori dal tempo, negli anni in cui per gli altri era arrivata l’ondata di piena del grunge con le sue brutte camicie sformate. Io a quindici anni ero un bozzolo d’uomo e noi due eravamo diversi in tutto, erano diverse le nostre famiglie. Perché siamo diventati amici?
Il tennis di Courier è in realtà molto più adatto all’erba di quanto si possa credere. Ha un’apertura brevissima sia sul diritto che sul rovescio. È un formidabile servitore, così come lo è Sampras. Il primo set finisce al tie-break senza che nessuno dei due conceda all’altro una sola palla break. Il canovaccio tattico di tutta la partita è stato servito fin dai primi giochi: Sampras verticalizza verso la rete appena può, gli basta un back di rovescio profondo o un diritto con un angolo insperato; Courier tiene i piedi incollati alla linea di fondo, ma un paio di sortite a rete finiscono per sorprendere Sampras. È però una discesa a rete a essere fatale a Courier, nel primo punto del tie-break. Va a prendersi il punto con una volée facile, tenta di giocare il contropiede nonostante abbia tutto il campo aperto dall’altra parte. Solo che Sampras non si era mosso dal suo angolo, e fredda Courier con un magnifico rovescio lungolinea. Sampras si tiene stretto il vantaggio fino alla fine del tie-break e si aggiudica il primo set.
Non abbiamo mai davvero litigato. Ricordo una volta al calcetto, perdevamo già all’intervallo, ti ho sgridato e mi hai dato una spinta, per poco non sono finito a terra. Abbiamo perso, ma a fine partita eravamo di nuovo riuniti, soli noi due al centro del campo a calciare verso la porta vuota.
–Cosa vuoi fare, sei troppo lontano,– mi dicevi ridendo mentre prendevo la rincorsa. Dopo che avevi visto la palla finire in rete facevi una smorfia, diventavi serio prima di calciare a tua volta. A qualunque cosa giocassimo non volevi mai perdere, a me invece di vincere o perdere non fregava niente. Perché stavamo sempre insieme?
Anche nel secondo set i game sfilano via veloci quasi senza sobbalzi. Courier sembra disposto a prendere qualche rischio in più, soprattutto quando si presenta a rete dopo aver caricato il kick sul servizio. Sul 3-2 Courier si esibisce in un tuffo alla Boris, sorrido quando lo vedo. Arrivano le prime palle break della partita e sono tutte per Sampras, ci sono anche dei set point. Sul 5-4 Courier annulla il primo dei set point tirando una seconda al corpo e giocando un successivo diritto a sventaglio. Quando sono di nuovo 40 pari sul 6-5, Sampras costringe Courier sulla diagonale di rovescio, martellandolo con il diritto. Courier prova a uscirne con un rovescio lungolinea che cade nell’ultimo centimetro di campo. Sampras s’ingobbisce e aggancia la palla giocando un diritto vincente in corsa che è il suo marchio di fabbrica. È di nuovo set point, ma Courier lo annulla con un pallonetto che definire fortunato è poco. Si arriva a un altro tie-break, si gira sul 3-3 e poi di nuovo sul 6-6. L’equilibrio della partita è sottile come una lamina di ghiaccio su cui i tennisti pattinano sotto il sole di luglio. Sampras tiene il servizio e va a set point. Courier gioca una serie di inside-out micidiali, sui quali Sampras resiste come un pugile alle corde alzando la palla. È di nuovo Courier a cambiare gioco per primo andando in lungolinea, Sampras arriva ancora in corsa e spara un diritto identico al primo che Courier non riesce ad alzare dall’erba. "Pistol Pete" è davanti due set a zero e sembra che più niente possa fermarlo.
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Venni a vederti giocare a tennis. Non eri leggero sui piedi, eri già più alto degli altri ragazzi della nostra età. Però portavi sempre il peso in avanti ed eri veloce di braccio, avevi un tempo naturale sulla palla. Potevi sfondare, lo pensavo, anche se non te l’ho mai detto. Tu avevi le idee chiare. Il tennis non ti avrebbe portato da nessuna parte, dopo il liceo ti saresti iscritto a ingegneria. Io invece non sapevo cosa avrei fatto, era il 1993 e mi sembravano lontani l’estate del 1996 e l’esame di maturità. Era iniziato da poco il mio amore per la letteratura, ma era una passione effimera, estiva, di quelle che tu sognavi di avere quando andavi in spiaggia.
Durante il suo primo turno di servizio nel terzo set, qualcosa in Sampras, fino a quel momento perfetto come una macchina, si rompe. Sarà per distrazione o per la maledetta paura di vincere, fatto sta che Sampras perde il suo centro. Commette due doppi falli e perde la battuta per la prima volta nella partita. Courier però non ha il tempo di rendersi conto di essere in vantaggio che la prima di servizio lo abbandona. Sampras va avanti 15-40 e si riprende il break alla prima occasione. Mentre va verso la panchina, Sampras ciondola la testa a destra e a sinistra e tira fuori la lingua, per il caldo, certo, ma anche per lo scampato pericolo. Il suo sollievo dura poco, a Sampras basta sbagliare una volée sul 3-4 per andare di nuovo sott’acqua. Attacca a testa bassa, più per dimostrare qualcosa a sé stesso che per convinzione tattica. Courier lo passa a rete due volte e fa il break, ha un turno di servizio semplice e vince il terzo set. Il piano della partita è di nuovo in equilibrio e il mondo fa ancora in tempo a finire.
Tre giorni prima della finale di Wimbledon sei morto. C’è stato un incidente, tornando un pomeriggio dal mare. Ho alzato il telefono, un nostro amico comune mi ha dato la notizia e non riuscivo a crederci. Ho pensato a uno scherzo finché dall'altra parte dell’apparecchio non è giunta la voce di un adulto. Per arrivare al funerale abbiamo fatto tutta la litoranea, siamo passati anche dall’incrocio dove avevi avuto l’incidente.
–È qui? Certo che è brutta, come strada,– i miei bisbigliavano tra loro dai sedili anteriori. Mamma guardava fuori dal finestrino, pensava alla tua di mamma, mio padre invece mi teneva d’occhio dal retrovisore. La camera mortuaria era al piano terra di un ospedale, un’apertura laterale come quella di un garage, la tua bara sollevata da terra al centro della camera imbiancata. Non ti ho mentito quando prima ti ho detto dell’ultima volta che ti ho visto. Non ho guardato dentro la bara aperta. Potrei dirti che preferivo ricordarti com’eri, ma sarebbe una bugia, ho solo avuto paura. A quindici anni si può aver paura. Ho camminato intorno alla bara con gli occhi chiusi e quando li ho riaperti ero di nuovo fuori, nel parcheggio.
In una pausa durante un cambio campo, la regia inquadra un termometro, segna trentotto gradi. Sampras e Courier si muovono cauti, come se al posto dei fili d’erba ci fossero ora delle braci. I game si susseguono tranquilli in un’atmosfera carica d’elettricità, ciascuno dei due giocatori prova a restare attaccato alle proprie, poche certezze. È iniziata la partita invisibile, quella che si gioca solo nelle teste e nei cuori dei tennisti. Il sesto gioco del quarto set sembra solo un altro di quei game transitori, invece Courier diventa improvvisamente falloso, in un lampo è sotto 15-40. Sampras insiste su una sola diagonale, il suo rovescio classico contro il rovescio bimane, da giocatore di baseball, di Courier. Il cambio sul lungolinea di Sampras è repentino, Courier aggancia la palla con l’ultimo pezzo di racchetta. Sampras cambia ancora angolo, accelera e Courier non può più farci niente. Al cambio campo del 5-2, Courier abbassa le spalle, guarda verso il suo angolo in cerca di una preghiera. Prima di servire per il match sul 5-3, Sampras si siede sui talloni, come fanno i mezzadri nel Furore di John Steinbeck prima di prendere una decisione importante. Si affida al suo colpo migliore, il servizio: slice da destra, piatto da sinistra. Courier conquista due punti di pura volontà ma deve arrendersi. Quando il suo ultimo rovescio finisce in rete, Sampras dall’altro lato alza le braccia al cielo meccanicamente, sembra che non si sia reso conto di cosa succede. Poi stringe gli occhi per contenere un’emozione troppo violenta.
Ti ho cercato tra gli studenti di ingegneria quando ho iniziato a frequentarla. Ho continuato a seguire il tennis per restare aggiornato, che figura avrei fatto se tu fossi tornato all’improvviso? Quando, pochi anni dopo, ho visto per la prima volta Roger Federer, mi sono detto: ecco il tennista che ci mette d’accordo. Ho riso pensando che ti avrei fatto arrabbiare se avessi scelto Rafa Nadal, solo per il gusto di alimentare il nostro falso dualismo. Stare dall’altra parte era ciò che mi faceva stare bene. Nella vita ero un rebounder, giocando di rimessa avevo bisogno di appoggiarmi alla tua velocità, al tuo gioco. Tu eri un attaccante nato. A te serviva qualcuno che tracciasse una misura, che imponesse dei limiti per spingerti a superarli. Ecco il motivo per cui eravamo amici.
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Alla fine della partita, com’è consuetudine a Wimbledon, il Duca e la Duchessa di Kent fanno gli onori di casa. Courier sembra molto più a suo agio di Sampras, è calmo e sorridente mentre gli porgono il piatto del secondo classificato. Non giocherà mai più un’altra finale di Slam nel resto della sua carriera. Sampras è elettrico, sembra un uomo braccato, è nell’occhio di un ciclone mediatico che ha provocato ma dal quale ora vorrebbe fuggire. Alza la coppa dorata di Wimbledon per la prima volta in carriera, gli capiterà per altre sei volte. Sette vittorie su sette finali giocate. Roger Federer avrà otto vittorie, l’unico uomo a oggi capace di battere il record di Sampras, le finali disputate saranno addirittura dodici. Finito il rituale della premiazione, finite le foto e gli applausi del pubblico, Sampras sembra quasi sollevato nel camminare verso gli spogliatoi con accanto una faccia amica, quella di Jim Courier.
Mi sei tornato in mente durante una delle semifinali dell’ultimo Australian Open. Ho rifatto il solito giochino e mi sono chiesto: tra Tsitsipas e Medvedev, tu per chi avresti tenuto e io invece chi avrei preso. Per la prima volta non sono riuscito a darmi una risposta chiara, era come se sentissi la tua voce ma non ne capissi più le parole. Come possono i ricordi mutare nel tempo? Solo uno di noi due è andato avanti, l’altro è rimasto com’era. Tu avrai quindici anni per sempre, io invece sono invecchiato. Ho capito che cambiamo così tanto invecchiando, che con noi finiscono per cambiare anche gli altri, quelli seduti da qualche parte ad aspettare che ci ricordiamo di loro, sul fondo delle nostre memorie. Mi sono alzato dal divano e mi sono seduto al computer, ho trovato il filmato di quella finale di Wimbledon. La finale che non avevo più visto.