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L'ultimo Liverpool-Atalanta
11 apr 2024
Stasera le due squadre si rincontrano dopo quasi quattro anni.
(articolo)
9 min
(copertina)
IMAGO / Colorsport
(copertina) IMAGO / Colorsport
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Ils sont les meilleurs è di solito seguito da boati, saltelli sul posto per sfogare l’eccitazione. L’inno della Champions League risuona invece in un Anfield vuoto. Si sente l’incedere del cameraman, il microfono capta l’arrotolarsi del cavo nelle mani dell’assistente che lo segue a distanza di pochi passi. Nessun The Chaaaaaaaampioooooooons a squarciagola. Giusto qualche applauso abbozzato dalle panchine sparpagliate come briciole di una colazione pulita approssimativamente. Liverpool e Atalanta si schierano davanti agli sparuti fotografi. Non è diffuso dalle casse dello stadio nessun You’ll never walk alone. Mai come il 25 novembre 2020 si ha la sensazione di essere soli, ad Anfield.

Carlos Del Cerro Grande fischia, non l’inizio della gara ma il protrarsi di un silenzio che deve sentirsi il più a lungo possibile. Alle 13 argentine - le 17 a Bergamo, le 16 di Liverpool – è morto Diego Armando Maradona, l’autopsia determinerà ufficialmente un arresto cardiorespiratorio di lì a pochi giorni. In quei 23 secondi (dovrebbero essere 60, ma il momento ha la meglio sulla convenzione) ognuno è autorizzato a metterci ciò che vuole. Ci si mette il pensiero dei 722 morti delle ultime 24 ore in Italia a causa della pandemia, o i 1510 nuovi casi accertati nella provincia di Bergamo nella settimana precedente. Non si sta ancora utilizzando scientificamente il termine "pandemia", i bollettini ufficiali usano ancora "epidemia", ma il reparto di terapia intensiva del Papa Giovanni XXIII di Bergamo è tornato a ospitare i 69 casi più gravi. In Italia si registra il primo calo dall’inizio della seconda ondata di ricoveri, ma a Bergamo no. Non ancora. Non sono bastati quelli che il New York Times, 4 giorni dopo Liverpool-Atalanta, definirà i “giorni persi che hanno reso Bergamo una tragedia”.

Da una ventina di giorni buona parte dell’Italia, quasi tutta la Lombardia e, ovviamente, l’intera provincia di Bergamo torna a familiarizzare col termine coprifuoco. Liverpool-Atalanta non è esigenza lavorativa né comprovato motivo di salute o necessità tale da giustificare uno spostamento dopo le 22. Molti corrono il rischio di una sanzione, molti altri si trovano senza lo Sky del bar o dell’amico e si inginocchiano all’altare del pezzotto, connessioni ballerine e blasfemie tra quattro mura incluse.

È la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della violenza sulle donne, della pronuncia della Corte di Cassazione italiana alle voci imposte sui redditi, indeducibilità di costi riferiti ad operazioni oggettivamente inesistenti e onere di prova contraria del contribuente. Ma anche del binge eating del nuovo disco di Sfera Ebbasta e, come sempre, di una nuova puntata di Uomini e Donne, dove lo studio è parzialmente riempito da un pubblico in mascherina. Dove sta Liverpool-Atalanta nelle gerarchie? In cima, in quanto palliativo al dolore che sta portando tutto ciò che conta per davvero? In fondo, perché sono ben altre le cose importanti?

Da agosto il Liverpool ha perso già tre volte. Due volte con l’Arsenal, una a Wembley in Community Shield e una all'Emirates in Carabao Cup; una volta con l'Aston Villa, che però è come un'esplosione. Un duro 7-2 a Villa Park con tripletta di Ollie Watkins e doppietta di Jack Grealish. Ad Anfield i "Reds" non perdono nei 90 minuti dal settembre del 2018 (1-2 contro il Chelsea, nel terzo turno di Coppa di Lega). E solo una doppietta di Marcos Llorente tra il 97’ e il 106’, e un contropiede al 121’ finalizzato da Morata hanno permesso a una squadra di uscire vincitrice da Anfield Road in una sfida europea contro il Liverpool di Klopp (il famigerato 2-3 in Champions League che alla sua maniera "contribuì" alla diffusione della pandemia). Meno di un mese prima il Liverpool ha disposto della marcatura a uomo di Gasperini a proprio piacimento, trovando moltitudini alle spalle della difesa nerazzurra e vincendo 0-5 al Gewiss Stadium.

Eppure siamo allo zenith dell’Atalanta gasperiniana. Manca solo Pasalic all’appello. Il ballottaggio Palomino-Djimsiti come terzo centrale a sinistra è vinto dall’albanese, ma è soprattutto in attacco che Gasperini ha l’imbarazzo della scelta. «L'inserimento di Pessina ha aiutato molto. È una soluzione. Per altre partite abbiamo pronte altre soluzioni»: così giustifica Gasperini a fine gara l’esclusione dall’undici iniziale di Muriel e Zapata, complice anche l’ennesimo ritorno tra i titolari di Ilicic.

Van Dijk, Thiago Alcantara e Alexander-Arnold sono esclusi dalla lista dei convocati; Robertson, Fabinho, Firmino, capitan Henderson e il triplettista dell’andata Diogo Jota partono dalla panchina; Salah è al rientro dal primo minuto dopo esser risultato positivo a un test molecolare dopo il matrimonio del fratello in Egitto. Ma Alisson, Wijnaldum, Mané e il peso della storia di Anfield ci sono. Almeno paiono esserci, in un momento in cui ogni contorno definito di vita e calcio perde la sua parvenza.

Del Cerro Grande fischia l’avvio. Tutti si inginocchiano tranne Papu Gomez, nel cerchio di centrocampo col pallone sotto la suola destra. Piega la gamba sinistra un paio di secondi dopo tutti gli altri, a comandare tempi e ritmi già prima di muovere la sfera. Il 4-3-3 dal pressing a zona orientato sulla palla del Liverpool è canonico, a prescindere dai ragazzi dell’Academy e dalle riserve schierate, così come il 3-4-1-2 gasperiniano in assenza di centravanti di ruolo.

Gli 11 in rosso e gli 11 in bianco, però, sembrano immediatamente pervasi da un’energia diversa. È il momento storico in cui “Toloi a tutto campo su Sadio Mané” e “Djimsiti ovunque su Mohamed Salah” sono frasi di senso compiuto. Così come lo è lo strapotere di Gosens e Hateboer nel confronto fisico con Neco Williams e Tsimikas. Liverpool-Atalanta è però anche la disponibilità disperata di De Roon, Freuler e Pessina a coprire, avanzando e arretrando, ogni buco lasciato dalle marcature a uomo. Un gruppo di uomini che gode del contatto fisico, del contrasto, della pelle altrui sulla propria e viceversa. Tutto ciò che si sta cercando di evitare da mesi ovunque nel mondo e in particolare a Bergamo, contemplato solo sotto e attraverso il calcio.

Per i primi 31 minuti e 51 secondi il Liverpool non tocca il pallone nell’area dell'Atalanta. Lo fa per la prima volta con un inserimento di Milner, capitano di serata, che rimbalza sulla diagonale di De Roon. Bisogna aspettare altri 11 minuti e 45 secondi per il secondo, un destro alto di Salah su respinta di una punizione dalla sinistra, l’unico tiro dei "Reds" nella prima frazione. Il resto è l’incedere ipnotico, in possesso come senza palla, dell’Atalanta. Ilicic e Gomez danzano sulla trequarti, con Matip e Williams attratti come i compagni di Ulisse dalle sirene. Toloi e Djimsiti non bucano un anticipo, Romero maltratta Origi a ogni scatto in profondità.

Di occasioni da rete ce ne sono poche – ognuna seguita dal disturbante Ooooooooh di meraviglia, trasmesso dalle casse di Anfield con qualche secondo di ritardo e non negli istanti immediatamente successivi alle parate di Alisson. Il mutismo di Anfield fa impressione. Gollini restituisce palla al Liverpool dopo un’interruzione di gioco e non c’è nessun applauso dalle tribune, neanche un finto apprezzamento di facciata; i telecronisti di CBS Sport paragonano il primo controllo di Gomez a quello di Maradona, cosa un po’ retorica e un po’ blasfema, ma con un fondo di verità. Liverpool-Atalanta è però pieno di dicotomie: la furia di Klopp a bordo campo e la schiera di panchinari, ognuno imbacuccato nel proprio giaccone e separato dal più vicino da almeno un paio di metri, imperturbabili alle sue spalle.

La facilità con cui l’Atalanta recupera palla e gestisce la transizione, a partire da qualsiasi zona del campo, e il fatto che a riempire l’area siano principalmente Hateboer, Gosens e Pessina; il tuffo patetico di Ilicic dopo la carezza sulla spalla destra di Wijnaldum in area Liverpool e le mani giunte dello sloveno, come un penitente nel confessionale, di fronte a Del Cerro Grande nel rientrare negli spogliatoi; il dominio dell’Atalanta e lo 0-0 all’intervallo.

La ripresa esegue lo stesso spartito. Sembra incutere timore, l'Atalanta. Un gruppo che si aziona come una fionda non appena vede un avversario pronto per ricevere spalle alla porta, chiamato dagli "andiamo" di Gasperini. E così, dopo che Klopp ha mandato a scaldare i mammasantissima sotto una Kop ricoperta di striscioni, la "Dea" passa.

Dal vertice dell’area avversaria, Gomez crossa. È una parabola arcuata che si spegne alle spalle di Rhys Williams, in un punto indefinito tra Alisson e il difensore inglese. Dopo un’intera gara impostata sul costruire a destra per concludere con Gosens a sinistra, l’Atalanta trova il gol con un cross da sinistra verso destra. La dicotomia è colmata dall’estirada stanca e triste di Ilicic, che anticipa il rimbalzo e l’uscita di Alisson con un tocco bruttino. È Ilicic, è Liverpool-Atalanta, ma a questo momento non appartiene la piena gioia. È un’esultanza che contiene il Bentornato che si dirà al talento sloveno, al 50° gol con l’Atalanta e con la speranza di “ritrovare la convinzione di tornare in area” per bocca del suo allenatore. Contiene la pena del non poter cristallizzare questo istante, sentendo che sta già sfuggendo dalle mani. La malinconia che ogni attimo di lucentezza di Gomez e Ilicic porta con sé, illudendosi che possa essere per sempre ma rendendosi conto che ha una data di scadenza sempre più vicina.

A little bit Maradonian.

Nemmeno il tempo per Robertson, Fabinho e Firmino di acclimatarsi e l’Atalanta raddoppia. È ancora un cross dallo spigolo sinistro di Gomez a centrare il bersaglio nella metà opposta dell’area. Stavolta il mirino è puntato qualche decina di centimetri sopra la testa di Robertson, dove Hateboer può arrivarci di testa e lo scozzese no. Nel silenzio, “Vai Robin” ripetuto due volte dalla panchina, a ricordare l’artigianalità e la semplicità del calcio, dove un gol ad Anfield può essere magari scatenato da un "vai" di Tullio Gritti. Matip stringe su Ilicic, Williams dovrebbe fare altrettanto su taglio di Gosens ma se lo perde. La sponda aerea dell’olandese e la scivolata del tedesco, la quintessenza del “da quinto a quinto” gasperiniano.

Nel giro di 5 minuti, si è conclusa una gara mai realmente in discussione. Usciranno di lì a poco sia Ilicic che Gosens, un contrappasso di non poter godersi in campo i cognomi e i volti che rimarranno negli annali, come se costasse troppo tenerli dentro. Klopp parlerà di sconfitta meritata, Milner di squadra povera, la BBC di Liverpool opaco. Nessuna diminutio della gara del Liverpool può però inficiare la prestazione fuori dalla grazia di dio del trio Toloi-Romero-Djimsiti, i 23 contrasti vinti a 18, i 22 intercetti a 11, i 16 duelli aerei vinti contro i soli 9 del Liverpool.

Liverpool-Atalanta 0-2 non ebbe l'epica che forse avrebbe meritato, ma un peso per il successivo incredibile cammino della "Dea", quello sì. Era la partita del "giro di boa" del girone D, e quella vittoria iniziò la discesa (che si completò con il pareggio Midjtylland e la vittoria contro l'Ajax) che portò la squadra di Gasperini al secondo posto, e quindi alla qualificazione agli ottavi di finale. Lì, poi, i nerazzurri furono costretti a fermarsi di fronte al Real Madrid.

Era la solita Atalanta, un’Atalanta normale, che di normale aveva oggettivamente poco. Una squadra che conquista «forse il successo migliore di sempre come prestigio» nel momento in cui il suo tessuto comunitario è ridotto a una slegata rete di atomi.

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