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Un altro punto di vista sul doping meccanico
21 lug 2016
Dietro allo scandalo del doping meccanico ci sono troppe mezze verità.
(articolo)
8 min
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La presunzione d’innocenza è un principio giuridico secondo il quale un imputato non può essere considerato colpevole fino a che non sia provato il contrario. Un principio derivante direttamente dalla Dichiarazione dei Diritti Umani e che trova applicazione quasi ovunque. Tuttavia, nei “processi sportivi” che si consumano fra televisioni e riviste, troppo spesso ce se ne dimentica e anche i più piccoli sospetti possono trasformarsi in certezze di colpevolezza.

Ne sapranno qualcosa gli appassionati di ciclismo. Sono state innumerevoli le occasioni in cui gli atleti di questa disciplina hanno subito un trattamento iniquo da parte di molte testate giornalistiche, che non hanno esitato a considerare come dopati alcuni corridori prima che la giustizia sportiva facesse il proprio corso.

Un atteggiamento che suona particolarmente ingiusto se consideriamo la fermezza con cui il ciclismo sta provando a essere trasparente, anche molto più rispetto ad altri sport. I ciclisti sono gli atleti che effettuano più test antidoping al mondo, sono stati i primi ad adottare il passaporto biologico e sono gli unici con obbligo di reperibilità in ogni momento della giornata. Nel mero confronto quantitativo di casi di positività fra ciclismo ed altri sport, sarebbe allora opportuno sottolineare il differente impegno con cui il doping viene combattuto.

Negli ultimi anni la credibilità del ciclismo ha subito un ulteriore botta, da quando cioè ha iniziato a diffondersi la voce secondo cui i corridori utilizzerebbero degli “aiuti meccanici”, ovvero motorini da inserire all’interno della bicicletta, oppure particolari ruote che sfruttano il principio dell’induzione magnetica. Il tema è stato anche trattato su questa rivista, nell’articolo di Gianluca Ciucci “Che cos’è il doping meccanico”, e questo pezzo è in un certo senso una risposta a quell’articolo. Inutile dire quanto sarebbe grave se queste accuse fossero vere. Vincenzo Nibali ha paragonato il doping meccanico al “rubare”, senza mezzi termini, considerandolo più grave rispetto a quello farmaceutico.

Ma questi sospetti poggiano su un fondo di verità? Le fonti da cui hanno avuto origine hanno credibilità?

Cancellara, il sistema di cuscinetti e il caso Hesjedal

Fabian Cancellara è stato uno fra i primi ciclisti a finire sotto accusa, per le sue prestazioni alle Classiche del Nord del 2010. Cancellara distrusse i suoi rivali con due incredibili accelerazioni al Giro delle Fiandre e alla Parigi-Roubaix.

L’accusa è stata mossa tramite un video pubblicato su YouTube in cui sembrava che Cancellara premesse un pulsante prima dei suoi allunghi. Prima di sviluppare un’accusa di questo tipo però, sarebbe opportuno analizzare tecnicamente quegli scatti.

Cancellara infatti non era nuovo a simili allunghi. Basti pensare a come vinse la Milano-Sanremo del 2008, o la tappa di Compiegne al Tour de France 2007. In entrambi i casi gli si presentarono due situazioni favorevoli: Boonen colpito da crampi sul Muur e un momento di generale disattenzione dell’intero gruppetto alla Parigi-Roubaix. In quegli anni era opinione diffusa che lasciare un metro di troppo a Cancellara significasse consegnarli di fatto la vittoria, viste le sue incredibili doti da passista.

Da un punto di vista più tecnico, Cancellara in effetti custodiva un segreto, ma non legato a motorini nel telaio. Lo svizzero utilizzava infatti un innovativo sistema di cuscinetti, il cosiddetto “Gold Race”, assolutamente regolare ma poco diffuso nel gruppo. Denis Migani, un meccanico romagnolo, ha spiegato come quel sistema sfruttasse sfere di grafite, un particolare olio ed altre sostanze per ridurre drasticamente gli attriti (fino al 95%) e di conseguenza la formazione di acido lattico nei muscoli (con un decremento del 27% per ogni kilometro).

I cuscinetti riescono a creare un moto che dura oltre un minuto con un piccolo impulso alla pedivella. Considerando che Cancellara fu anche convocato dall’U.C.I. e la sua vicenda si risolse in un nulla di fatto, è lecito ipotizzare che si era avvalso solo di una tecnica di ingegneria meccanica, nel pieno rispetto delle regole. Per concludere, sarebbe opportuno riportare anche le parole di Ivan Basso, ex compagno di squadra dello svizzero. In un’intervista rilasciata alla rivista Bicisport, il varesino ricordava come durante gli allenamenti per le cronometro a squadre, lui, il capitano delle Csc, a volte perdeva la ruota di Cancellara in pianura, per quanto quest’ultimo fosse fenomenale sul passo. Basso descrisse senza troppi problemi che spesso la cosa per lui fu imbarazzante.

I cuscinetti Gold Race.

Ryder Hesjedal, canadese che vanta un Giro d’Italia nel proprio palmares, condivide con Cancellara un sospetto sul proprio conto nato sul web. Ma se il video prima citato, seppur approssimativamente, poteva creare i presupposti per un’accusa, quello su Hesjedal è un filmato confuso da cui trarre conclusioni oggettive risulta essere davvero difficile.

Le immagini, risalenti alla settimana tappa della Vuelta di Spagna 2014, mostrano il corridore che cade in una curva verso sinistra, con la sua bicicletta che, una volta toccata terra, compie una mezza rotazione su sé stessa, come se la ruota posteriore - questa l’ipotesi di chi lo accusa - godesse di una trazione indipendente da quella trasmessa semplicemente pedalando.

È però possibile che la bicicletta del canadese abbia compiuto la stessa rotazione facendo perno sul pedale che tocca terra, considerando che la caduta avviene in discesa e quindi con una velocità molto elevata. Appellandoci alla logica sarebbe quantomeno curioso ipotizzare che un corridore, perfettamente conscio del rischio di essere scoperto, proprio in una discesa, dove non si avrebbe alcun beneficio, vada ad azionare il presunto motorino.

I pregiudizi atavici e il caso Froome

La situazione di Christopher Froome è a dir poco paradossale, oltre che emblematica del già citato pregiudizio contro cui il ciclismo è costretto a scontrarsi. Il corridore britannico, assoluto protagonista nelle grandi gare a tappe degli ultimi anni, a differenza di Cancellara ed Hesjedal, ha ricevuto delle accuse basate unicamente sulla particolarità della sua pedalata.

Il celebre video della sua prestazione sul Mont Ventoux 2013, correlato di dati (velocità, potenza espressa, pedalate al minuto e frequenza cardiaca) è uscito solo a tre anni di distanza e ha un’attendibilità tutta da dimostrare. Fermo restando che in molti hanno giudicato quelle prestazioni incredibili ma fisiologicamente possibili. È stata la particolarità tecnica del corridore keniano a far nascere sospetti. Froome è diventato famoso per le sue “frullate” ovvero le sue accelerazioni in salita effettuate senza alzarsi di sella e portate con un rapporto molto agile, spinto a oltre 100 pedalate al minuto.

La schiacciante superiorità sui suoi avversari, unita anche per certi versi al suo carattere schivo,lo ha reso antipatico a molti, attirandolo nel vortice dei sospetti. Froome è tra i pochi ad essersi guadagnato la doppia accusa, di doping farmaceutico e meccanico. Il primo a causa dei successi, il secondo a causa della presunta “innaturalità” della sua pedalata. I fatti dovrebbero eliminare i dubbi e i sospetti. Froome non è mai risultato positivo ad alcun controllo, né sono mai esistiti gli estremi per pensare che si avvalga di biciclette “ truccate”. Il suo stile di pedalata è semplicemente frutto di studi di biomeccanica.

L’ex corridore Roberto Petito, sulla rivista Bicisport spiegava ogni segreto della posizione in sella del britannico, sottolineando come si fosse adattato alla sua particolare fisionomia per riuscire a spingere al massimo. Se Chris Froome non si alza quasi mai sui pedali per cambiare ritmo, è soprattutto perché il suo fisico gli permette di fare più velocità in altro modo. Sempre nell’articolo di Ciucci si diceva di come le sue “frullate” fossero quasi scomparse nel tempo. In realtà proprio nel Tour de France in corso, il capitano della Sky ha portato alcuni attacchi con questo stile.

L’alternanza fra “ frullate” e scatti classici va invece ricercata nel fatto che nel 2013 nessuno era preparato a rispondere a simili accelerazioni, ma con il tempo l’effetto sorpresa è lentamente scemato. Paolo Slongo, preparatore di Vincenzo Nibali, ha rivelato che durante la preparazione al Tour 2014 il messinese effettuasse allenamenti specifici per abituare il corpo alle accelerazioni di Chris Froome. Un’ulteriore considerazione va invece fatta sul livello degli avversari. Se il britannico sembra andare così forte è anche per un effetto contrasto: i suoi principali rivali non sono poi così fenomenali. Contador sta pagando il conto agli anni, Nibali, almeno in salita, ha mostrato solo raramente di poter competere a certi livelli, mentre Quintana ha nelle letture tattiche un forte handicap, che contro una squadra organizzata come quella di Froome viene ulteriormente amplificato. Prendendo come esempio la tappa di “La Pierre Saint Martin” dello scorso anno, in cui Froome inflisse pesanti distacchi a tutti, dai dati forniti dal suo stesso team si nota come VAM e Watt/Kg fossero assolutamente nella media. La sua prestazione incredibile era quindi figlia di un livello basso dei suoi rivali.

Molto spesso nel ciclismo il sensazionalismo si preferisce alla verità, e la grande attenzione con cui si lotta contro ogni forma di doping viene in qualche modo interpretata come una certificazione della presenza del marcio.

E così, ogni prestazione superiore alla media (o anche solo alla mediocrità) viene guardata con sospetto, specie se il protagonista gode di una cattiva percezione pubblica. Alla prova dei fatti, tuttavia, l’U.C.I. conta una sola squalifica per frode tecnologica, nonostante gli scanner per individuare i motorini siano presenti dal 2010. Del resto, sarebbe buona regola prendere con le pinze le testimonianze di chi sostiene di avere informazioni importantissime, salvo poi preferire di non divulgare queste notizie agli organi di competenza, optando invece per filmati in forma anonima. Il ciclismo negli ultimi anni ha fatto moltissimo, e sta continuando a farlo, per riacquistare la credibilità minata da chi grida allo scandalo troppo in fretta, preferendo fermarsi alla superficialità dell’insinuazione del dubbio piuttosto che alla profondità della ricerca del vero.

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