Alfredo Di Stefano, nel riassumere cosa significava giocare nel Real Madrid e che responsabilità ne veniva, diceva: “Per meritarsi questo stemma, prima bisogna sudare la maglietta”. Nonostante fossero gli anni d’oro del Grande Real, quello dei galacticos ante litteram, di una squadra strepitosa che riuscì a vincere cinque Coppe dei Campioni consecutive, c’era un senso di umiltà profondo nell’identità merengue, ben espresso dalle parole del più grande giocatore della storia del Real Madrid.
Questo senso di umiltà si è andato lentamente nascondendo, fino al fallimento della politica “Zidanes y Pavones” (cioè campioni affermati e giocatori delle giovanili), quando Florentino Pérez ha capito che per i giocatori della cantera non poteva esserci spazio in una grande squadra globale: il Real Madrid ha semplicemente bisogno dei migliori giocatori al mondo in ogni ruolo.
Allo stesso modo, però, questo senso di appartenenza sembra poter ritornare in superficie, proprio come ritornano alla Casa Blanca i giovani mandati a fare esperienza in tutta Europa. Quelle parole di Di Stefano potrebbero, ad esempio, rappresentare una sintesi delle caratteristiche di Dani Carvajal, la cui storia è profondamente legata a quella della Saeta Rubia.
Il 12 maggio 2004, a 12 anni, Carvajal venne scelto per rappresentare le giovanili alla posa della prima pietra del nuovo centro sportivo del Real a Valdebebas: fu lui, con un caschetto biondo, ad accompagnare Don Alfredo durante la cerimonia.
Si può dire, quindi, che Carvajal abbia costruito la Casa Blanca dalle fondamenta, ma che per tornarci ha dovuto affrontare scelte difficili, e provare il suo valore da lontano: perché scalare il settore giovanile del Real Madrid, uno dei più competitivi al mondo, in cui il livello di pressione è altissimo anche da bambini, non è sufficiente per giocare in prima squadra.
La storia di Carvajal è in qualche modo l’essenza del madridismo storico, quello di “Selvaggi e sentimentali” di Javier Marías, quello della maglia sudata di Di Stefano: superare i propri limiti per uno stemma che è qualcosa di più grande di un fatturato, e raggiungere la nobiltà solo attraverso le proprie prestazioni in campo.
Distanza
Carvajal è nato a 11 chilometri da Madrid, a Leganés, nel 1992, e i racconti della sua infanzia lo descrivono in un modo piuttosto comune: con il pensiero fisso del calcio, tanto da presentarsi a scuola mezz’ora prima delle lezioni per poter giocare con alcuni amici. Il suo tecnico di allora (giocava nel Lemans) però lo definisce come un bambino già estremamente competitivo (anche troppo, uno che non accettava le sconfitte) e con un forte senso del posizionamento: caratteristiche che gli rimarranno attaccate sulla pelle, come l’affetto per la sua città d’origine.
Il giorno della sua prima comunione gli regalano la maglia del Real edizione Centenario e gli dicono che proprio la Casa Blanca lo ha invitato a un provino: 4 partite da giocare in un mese. Dopo la prima, Carvajal firma il contratto per entrare nella Fábrica: a 10 anni è già un giocatore del Real Madrid. Non ci sono storie sui ruoli diversi in cui giocava da bambino: nasce terzino, nasce merengue, nasce competitivo ma umile (grazie ai suoi genitori che, da non appassionati di calcio, gli ricorderanno sempre l’importanza di tutto il resto, cioè la vita).
Quando due anni dopo deve accompagnare Di Stefano nella posa della prima pietra, quasi non si capacita: “Ero solo il terzo capitano della squadra giovanile, poteva toccare a chiunque. Pensavo dovesse andarci qualcuno del Castilla (la squadra B), o un capitano delle giovanili, non io. Ero molto nervoso, non sapevo che fare”.
La foto iconica di quell’evento, in cui è insieme alla leggenda del Real Madrid, è incorniciata nella sua casa di Leganés. La madre dice: “Come hai fatto a presentarti così, sembrava stessi andando in cantiere”. In un momento storico della sua vita, in effetti, Carvajal è già uncool: altra caratteristica che lo accompagnerà sempre, e che nel Real Madrid può anche costare cara.
A spezzare il suo sogno di giocare in prima squadra è il legame con gli amici di sempre: nell’estate del 2010, pochi giorni prima della tournée estiva, Carvajal si taglia un piede in una piscina naturale. Per Mourinho è un motivo sufficiente per un ostracismo perenne, tanto che Carvajal non ne conserva un buon ricordo, arrivando a definire il portoghese un opportunista. Continua nella squadra B, fino a ottenere la promozione in Segunda, ma senza essere più considerato per la prima squadra.
Due stagioni dopo, a 20 anni, senza mai aver giocato una partita ufficiale in prima squadra, a Carvajal non viene proposto il rinnovo, bensì l’addio: pensate alle tonnellate di sacrifici per arrivare fin lì per poi sentirsi dire che no, non sei sufficientemente bravo per giocare nella tua squadra del cuore.
Qui emerge il vero animus pugnandi dell’uomo Carvajal: “Preferisco una vita piena di ostacoli”. Sceglie un percorso molto difficile: dalla terza divisione spagnola alla Bundesliga. Con un’intuizione che rasenta la genialità, il Bayer Leverkusen lo acquista per 5 milioni di euro. Per un ventenne spagnolo che ha sempre vissuto negli 11 km che separano Leganés da Madrid, abituarsi a un ambiente così diverso può essere complicato.
Preferisce vivere a Dusseldorf, 30 km da Leverkusen, perché lì già c’era un suo ex compagno delle giovanili. Non voleva rimanere solo. Il livello di nostalgia è talmente grande, che quando gli amici di Leganés vengono a trovarlo, lui decide di portarli a mangiare la paella. A Dusseldorf.
Recupera palla sulla propria trequarti, fa una ruleta, avvia l’azione, scatta per tutto il campo, chiama l’inserimento in profondità, finta il cross col destro per sdraiare l’avversario, guarda in area e con il sinistro mette la palla sulla testa del compagno. L’immagine della completezza calcistica.
Diventa subito titolare nel Bayer di Sami Hyypiä e gioca una stagione strepitosa, conclusa con ben 8 assist: come Kroos, e uno in meno di De Bruyne. La Bild a fine stagione lo inserisce nel migliore 11 della Bundesliga, gioca anche l’Europa League: ma prima di allora era solo un ragazzino del Castilla, che per Mourinho non era adatto alla prima squadra.
Volver
In Germania ha imparato ad adattarsi all’ambiente ma anche ad usare di più il fisico, a migliorare negli anticipi ed essere più preciso nei cross. Nel 2013 vince l’Europeo Under 21 come riserva di Montoya (incredibile ma vero), ma nel frattempo il Real Madrid è passato ad Ancelotti: senza l’ostracismo di Mou, Carvajal può tornare alla Casa Blanca. I dirigenti merengue avevano inserito un’opzione di riacquisto per tre anni, ma la esercitano subito. Secondo lui, quell’esperienza tedesca è stata fondamentale per tornare al Real da giocatore vero, e non da ragazzo delle giovanili: per proporlo sotto una nuova veste, anche se si sentiva forte come prima.
Carvajal torna a casa, ma sul serio: per tutta la stagione vivrà a Leganés con i genitori, nell’appartamento che aveva comprato con i primi soldi guadagnati. Questo ritorno di umiltà madridista desta stupore anche a livello mediatico, e così nascono i video sull’umiltà di Carvajal che si fa accompagnare a Valdebebas con una vecchia Citroen Xsara guidata dal padre (mentre Cristiano Ronaldo e gli altri arrivano in Ferrari).
Il suo grande ritorno al Real capita nel momento perfetto: il titolare Arbeloa è ormai in declino e Ancelotti preferisce affidarsi a Carvajal. Dal fisico compatto, grande velocità nei primi metri e ottima progressione, è in grado di svolgere compiti difensivi e offensivi con la stessa facilità. Mentre Arbeloa è un difensore centrale adattatosi alla fascia, Carvajal è un terzino puro di spinta, capace di coprire tutto il campo. Viste le sue qualità offensive, sembrava difficile che il Real decidesse di schierarlo titolare insieme a Marcelo: c’era il rischio di esporre eccessivamente la coppia di centrali a transizioni in campo aperto.
Così sotto il biennio Ancelotti, Carvajal ha imparato a gestire meglio le letture difensive, per concedere maggiore libertà alla catena di fascia sinistra, con diagonali profonde per coprire la leggerezza difensiva di Marcelo.
Imparare a difendere con Ancelotti: la difesa del Real prende un’imbarcata totale, ma il soldato Carvajal rimane l’unico lucido e con una diagonale copre la mollezza di Marcelo, evitando un gol che sembrava fatto.
Superare Carvajal palla al piede in movimento è molto difficile, perché posiziona bene il corpo, lasciando spazio solo sull’esterno, quasi invitando l’avversario ad allungarsi il pallone per poi sfidarlo in velocità. La sua capacità di ripiegare velocemente (anche dopo essere stato dribblato), rende quasi impossibile saltarlo in corsa: ecco perché nei quarti di Champions League Alaba preferiva non attaccarlo, mentre Ribery si spostava sempre in mezzo al campo (due soli dribbling riusciti sulla fascia tra andata e ritorno; addirittura zero in totale per Alaba). Meglio provare a colpirlo alle spalle, approfittando di un cattivo posizionamento generale della squadra.
Quando viene puntato in situazione statica, Carvajal preferisce mettere il corpo molto vicino all’avversario, per non lasciargli spazio. Alcune sue scivolate ne evidenziano le capacità fisiche (a volte sembra rimbalzare) ma anche il tempismo. Le sue diagonali sono manna dal cielo per Marcelo, ma anche per i difensori centrali, altrimenti troppo esposti. Carvajal non nasce difensore puro, e in alcune occasioni in area di rigore emergono le sue difficoltà sia nella marcatura che nella lettura delle giocate. Di solito rimedia con un dinamismo e un’aggressività fuori dal comune, fino a quando arriva Messi a metterlo quasi in ridicolo, come nel primo gol del recente Clasico (in cui però Carvajal aveva fatto il movimento giusto a seguire Paco Alcacer).
In fase offensiva, Carvajal presenta un ampio bagaglio di qualità. Ha un ottimo primo controllo, che gli permette di scegliere con attenzione se attaccare la fascia o entrare in campo. La sua specialità è arrivare sul fondo e crossare o servire una palla dietro a centro area: nessuno nella Liga riesce a reggere la sua intensità e continuità. In particolare, lo spagnolo è un attivatore di triangolazioni: preferisce sempre cercare l’uno-due con la mezzala di riferimento, per attaccare lo spazio senza palla.
Nel corso del tempo, il suo gioco è diventato meno lineare e robotico, concedendosi più libertà creativa, sia in fase di definizione che di conduzione palla al piede. E proprio in conduzione Carvajal è in grado di rompere linee e disordinare gli avversari, fino addirittura al gol: come quello al 119’ della Supercoppa Europea, il gol della vittoria, nel giorno in cui il gregario si è trasformato in eroe.
Konoplyanka prova a superarlo lanciando il pallone in avanti, ma è impossibile. Poi il Siviglia non chiude e lui passa sereno ma deciso come un trattore, calciando con l’esterno piede - che utilizza spesso anche per passare il pallone.
La piccola pietra
Secondo Zidane “i terzini nel calcio moderno devono fare la differenza”, e il suo Real sembra un manifesto vivente di questa visione. Mentre sulla sinistra Marcelo è un regista occulto, sulla destra Carvajal garantisce ampiezza e percussioni, oltre che i cross per Cristiano Ronaldo (che attacca spesso l’area da sinistra in diagonale). L’eliminatoria di Champions contro il Bayern Monaco ha dimostrato la correttezza della frase di Zidane: Marcelo è stato fenomenale, ma troppo poco si è parlato della prestazione di Carvajal.
In questo video, il terzino spagnolo offre un repertorio completissimo: nell’andata a Monaco, cross per il gol di Cristiano Ronaldo, aiuto in impostazione bassa con passaggio taglialinee, colpi di tacco per chiudere Alaba o per sfuggire a un raddoppio, tunnel e definizione per Benzema, conduzioni fin dentro l’area, cross perfetto per la testa di CR7. Nel ritorno al Bernabeu, tiro di collo esterno da fuori area con paratona di Neuer, cross dal fondo, attacco alla profondità, recupero palla in area avversaria, anticipi e cambi di campo, chiusure su Ribery, conduzione palla al piede a tutto campo, scivolata temeraria a beffare Vidal. Praticamente impossibile chiedere un repertorio più ampio di così.
Nonostante la continuità di prestazioni (è difficile trovarlo in giornata no), Carvajal è sempre stato discusso. Dopo l’addio di Arbeloa, Florentino Pérez ha pensato bene di comprare il terzino destro ritenuto più promettente al mondo, Danilo dal Porto, per la modica cifra di 31,5 milioni. In sostanza Carvajal era destinato alla panchina: invece a causa di una serie di infortuni, si è ritrovato direttamente in tribuna.
Le prestazioni di Danilo, però, sono prive dell’intensità e della qualità richiesta: dopo una disastrosa sconfitta nell’andata dei quarti di finale a Wolfsburg, Zidane capisce che il titolare è Carvajal. Al ritorno contribuisce alla rimonta con il cross per il terzo gol di Ronaldo, e tutto torna come prima. Rimane assurdo però aver discusso un terzino capace di servire passaggi chiave come un centrocampista.
Un’altra grande dote di Carvajal: gli anticipi. Qui Neymar prova a rincorrerlo, ma Carvajal in corsa è difficile da fermare. Infatti è Jesé che gli deve rubare il pallone per allargare su Bale: poi segna CR7, ma è il terzino destro ad aver trasformato l’azione da difensiva a offensiva.
Dal suo ritorno a casa, Carvajal ha vinto tutto, tra cui due Champions League da titolare, ma non ha mai avuto la considerazione che meriterebbe. Nel 2014, Del Bosque non lo ha proprio considerato per il Mondiale brasiliano: gli preferì Juanfran e Azpilicueta. Nel 2016 fu convocato ma si infortunò proprio durante la finale di Champions vinta ai rigori contro l’Atletico Madrid, e dovette lasciare il posto a Bellerín.
Le sue sole 12 presenze con le Furie Rosse rappresentano, in fondo, la modesta stima calcistica che Carvajal raccoglie: sa fare tutto ma non eccelle in nulla; è un motorino ma non ha accelerazioni devastanti, non è un difensore puro, ma non è neppure un fantasioso terzino brasiliano. Ciò nonostante, le sue prestazioni sono statisticamente assimilabili a quelle di Marcelo: tra tutte le competizioni, il brasiliano ha fornito ben 12 assist, mentre Carvajal appena uno in meno. I due effettuano praticamente lo stesso numero di passaggi per 90 minuti (58.4 Marcelo, uno in meno Carvajal). Lo spagnolo, inoltre, è il difensore che ha effettuato più assist in questa Champions League, ben 4.
Eppure, già adesso, la presenza mediatica di Carvajal in questo ciclo di vittorie madridiste è quasi nulla: è probabile che già fra qualche anno, quando si ripenserà a questa squadra, in molti dimenticheranno il nome del terzino destro.
Un anonimo grande giocatore, al servizio solo di quello stemma sulla camiseta blanca: un normale operaio che ha messo la sua pietra - piccola ma fondamentale - nella grande e infinita costruzione della gloria madridista.