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Una partita molto "tattica"
27 nov 2023
Juventus e Inter si sono equivalse nel bene e nel male.
(articolo)
9 min
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IMAGO / AFLOSPORT
(copertina) IMAGO / AFLOSPORT
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Quest’anno il “derby d’Italia” era anche la sfida tra le prime due squadre in classifica, nonché quella tra le difese del campionato che concedono meno gol e meno probabilità di farli agli avversari. Coerentemente con queste premesse Juventus e Inter hanno concluso la loro partita con 12 tiri in totale (4 della Juventus e 8 dell’Inter) senza mai calciare in porta negli ultimi 39 minuti, lasciando che la conclusione di Thuram al 49’ fosse l’unica del secondo tempo.

Se la penuria di conclusioni a rete era forse prevedibile, meno scontato è stato l’atteggiamento difensivo di entrambe le squadre che – specie i bianconeri – hanno variato le loro abitudini in tema di recupero del pallone, provando a sorprendere gli avversari e a trarre vantaggi da un diverso approccio alla fase di non possesso.

Toh, la Juventus pressa

In netta controtendenza con le proprie consolidate abitudini la Juventus ha giocato frequenti fasi di pressing offensivo, provando a contrastare il possesso palla dell’Inter anche in zone molto profonde all’interno della metà campo nerazzurra. L’approccio al pressing sulla prima linea di costruzione dell’Inter è stato fortemente orientato sull’uomo: Allegri ha deciso di pareggiare numericamente i tre difensori dell’Inter alzando McKennie (mezzala destra) sul centrale sinistro avversario, Acerbi, con Vlahovic in posizione centrale con il doppio compito di contrastare De Vrij e di schermare alle sue spalle Çalhanoğlu, mentre Chiesa si orientava sul centrale di destra, Darmian.

Il fatto che le due squadre avessero schieramenti speculari ha creato naturalmente i duelli sulle fasce tra Dimarco e Cambiaso (schierato esterno destro) e, dal lato opposto, tra Dumfries e Kostic.

McKennie si alza su Acerbi e la Juventus pressa con tre uomini i tre difensori dell’Inter.

Di conseguenza, la Juventus ha scelto di affrontare in parità numerica le situazioni di gioco che potevano svilupparsi alle spalle della prima pressione, contrastando i tre centrocampisti e le due punte dell’Inter con i due interni di centrocampo (Nicolussi Caviglia e Rabiot) e i tre difensori.

Se le assegnazioni in pressing sulla prima linea erano piuttosto rigide e definite, subito dietro Allegri ha chiesto ai suoi giocatori di leggere le singole situazioni tattiche e reagire di conseguenza. Ottenendo quasi sempre ottime risposte. Le variabili in gioco erano sia la qualità della pressione avanzata che, chiaramente, i movimenti e la disposizione dei giocatori avversari: la costante, però, è stata la volontà e il coraggio di andare in pressione in avanti anche in situazioni di parità numerica.

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Nell’Inter, a spostarsi dalla propria posizione originaria con maggiore varietà di movimenti e frequenza erano Mkhitaryan e Lautaro, e i giocatori più arretrati del sistema di pressing della Juventus dovevano adattarsi ai loro movimenti. L’armeno poteva muoversi in appoggio a Çalhanoğlu, per aiutare nella costruzione bassa, o alzarsi sul centrosinistra per fornire una ricezione più profonda alle spalle della prima pressione. Lautaro, invece, tra le due punte nerazzurre era quella deputata maggiormente a venire incontro al pallone e a muoversi per non dare riferimenti agli avversari, lasciando a Thuram i compiti di presidio e attacco della profondità.

In risposta ai movimenti dei giocatori offensivi dell’Inter, la Juventus poteva rispondere in pressing in diverse maniere. Il controllo di Çalhanoğlu, come detto, era lasciato essenzialmente al lavoro di schermatura di Vlahovic: da questo dipendeva in qualche maniera il compito di Nicolussi Caviglia, che galleggiando tra lo stesso Çalhanoğlu e Mkhitaryan doveva interpretare la situazione intorno a sé e scegliere se alzarsi sul mediano o rimanere più coperto nella zona dell’armeno che, partendo dal centrosinistra, era spesso preso da Gatti, anche in zone piuttosto avanzate.

Nella prima immagine Nicolussi Caviglia rimane su Çalhanoğlu, mentre Gatti esce forte su Mkhitaryan. Nella seconda, con l’armeno più basso, è Nicolussi Caviglia ad occuparsi del controllo della mezzala nerazzurra.

A destra, i movimenti di Barella erano in genere più lineari e disegnavano un confronto diretto con Rabiot. Con Lautaro più mobile, ad occupare la profondità era Thuram, al cui controllo era quasi sempre deputato Bremer, in isolamento contro l’attaccante francese.

Bremer ha vinto quasi tutti i duelli contro Thuram, concedendogli, praticamente, solo il cross che ha innescato lo splendido movimento offensivo di Lautaro che ha regalato il gol del pareggio all’Inter.

La Juventus pressa forte, Gatti esce alto su Mkhitaryan. Acerbi sceglie di lanciare in profondità Thuram che attacca proprio lo spazio liberato da Gatti. La Juve accetta di gestire questa situazione lasciando Bremer solo contro Thuram.

La Juventus ha bene interpretato il pressing ed, in effetti, è stata una strategia efficace nel limitare i pericoli per la porta di Szczȩsny, tenendo la squadra di Inzaghi lontana dall’area di rigore bianconera. Paradossalmente, il gol del pareggio dell’Inter è nato da un eccesso di foga nel pressing, che ha disordinato la struttura difensiva della Juventus consentendo ai nerazzurri di servire per una volta con una palla pulita l’attacco alla profondità di Thuram.

Vlahovic attacca Sommer, una situazione di gioco singolare all’interno di un match in cui la Juve non ha mai pressato il portiere avversario scegliendo invece di marcare gli appoggi. La struttura di pressing si sbilancia, con Rabiot che si alza su Darmian, abbandonando il solito controllo di Barella. La Juve si allunga, Sommer raggiunge Dumfries che può servire Barella per una volta libero alle spalle di Rabiot. Rugani è in ritardo e Barella può finalmente servire un pallone di qualità sul movimento profondo di Thuram. L’Inter pareggia.

Provando però a leggere le intenzioni di Allegri, la scelta di pressare alto il possesso palla dell’Inter potrebbe essere nata, oltre che a fini difensivi, anche dalla volontà di generare ripartenze corte con cui attaccare.

Conscio della difficoltà ad attaccare la difesa schierata di Inzaghi, l’allenatore bianconero ha forse provato ad utilizzare il pressing come arma offensiva, riducendo il campo da risalire recuperando alto il pallone e attaccando una difesa non perfettamente bilanciata. Questo secondo obiettivo del pressing bianconero non ha però avuto grande successo.

La Juventus non ha creato pericoli anche perché l’Inter, giocando in maniera piuttosto conservativa, è stata abile a non perdere palloni nella propria zona più arretrata, lasciando alla Juventus il recupero palla nella zona dei propri difensori. In uno dei pochissimi palloni recuperati in alto, con la difesa nerazzurra sbilanciata, la Juventus ha trovato il gol attivando un’ottima ripartenza corta. Non è un caso.

In realtà in quella situazione specifica la Juventus non stava pressando, piuttosto è nato tutto da una palla conquistata con caparbietà da Vlahovic, su un errato controllo di petto di Dumfries su un lancio lungo in direzione dello stesso centravanti serbo.

Contro la difesa schierata dell’Inter, che a differenza della Juventus ha aspettato bassa gli attacchi bianconeri, gli uomini di Allegri hanno mostrato di avere poche idee su come riuscire a penetrare profondamente. In fase di possesso consolidato la Juventus ha provato a mescolare le carte schierandosi di fatto un 4-3-3 con Kostic in posizione arretrata, Chiesa largo a sinistra e McKennie esterno destro, con Cambiaso dentro il campo in posizione di mezzala destra.

Il 4-3-3 offensivo della Juventus con lo scambio di posizione interno-esterno tra McKennie e Cambiaso.

L’idea era di attirare fuori Dumfries con la posizione arretrata di Kostic, per isolare Chiesa contro Darmian stirando la difesa a 3 nerazzurra, ma non ha funzionato e l’attacco posizionale della Juventus si è esaurito nella ricerca di Vlahovic spalle alla porta, peraltro molto bravo nel ripulire palloni e far risalire la squadra. Troppo poco, comunque, per impensierire la solida difesa dell’Inter.

E l’Inter?

Sebbene non esattamente prevedibile, il pressing della Juventus non è stata però una novità assoluta. Pur senza la costanza e la determinazione mostrata in questa occasione, la squadra di Allegri aveva già messo in mostra alcune fasi di pressing contro quella di Inzaghi, nelle passate stagioni. Anche per questo forse Inzaghi non dovrebbe essere stato colto di sorpresa.

L’impressione è che, in effetti, l’Inter sapesse cosa fare contro il pressing degli uomini di Allegri: la scelta del tecnico nerazzurro è stata quella, prudente, di accettare il pressing bianconero, immaginando di sfruttarlo a proprio vantaggio per attaccare in campo aperto. Tuttavia, Inzaghi ha optato per un possesso palla piuttosto sicuro, che abbassasse il più possibile il rischio di perderla in zone pericolose.

L’Inter ha evitato giocate ambiziose e rischiose - che sono nel bagaglio tecnico-tattico della squadra - come ad esempio gli smarcamenti in avanti dei due difensori esterni della difesa a 3 durante le fasi di costruzione, o i tagli interni di Dimarco, preferendo una circolazione più conservativa che mantenesse stabile e rigida la struttura della squadra. In effetti, in questo modo l’Inter non ha concesso alla Juventus recuperi alti del pallone, ma dall’altra parte, risalendo il campo in maniera troppo prevedibile e lineare, non ha di fatto utilizzato a proprio vantaggio il pressing dei bianconeri, fatta eccezione nel caso del gol del pareggio di Lautaro.

Per avanzare lungo il campo l’Inter si è affidata all’attacco della profondità di Thuram, ben controllato da Bremer, oppure è avanzata lentamente senza provare a generare superiorità con movimenti ambiziosi. Così, pur sfuggendo al pressing avversario, l’Inter ha comunque sempre dato alla Juventus il tempo di riposizionarsi nella propria metà campo, dove è riuscita a controllare con estrema facilità gli attacchi nerazzurri.

Anche la scelta di aspettare bassa la Juventus e di rinunciare al pressing, confidando a ragione nelle difficoltà bianconere ad attaccare la difesa schierata, va letta nell’ottica di prudenza con cui Inzaghi ha affrontato il match.

In un bilancio tra rischi – lasciare campo aperto alle ripartenze della Juventus – e benefici del pressing – recuperare il pallone in zona avanzata sfruttando le difficoltà in costruzione bassa della Juventus, specie con l’assenza di Locatelli – Inzaghi ha pesato maggiormente i rischi e ha preferito minimizzarli, schierando nella propria metà campo il 3-5-2 nerazzurro.

Il derby d’Italia, lo scontro tra le prime due squadre del campionato, è stato un confronto dominato dalla tattica. Allegri ha provato con coraggio a sfruttare il pressing come base di partenza dei sui attacchi, ma a conti fatti il risultato è stato modesto.

Fallito il tentativo di generare ripartenze corte con la strategia senza palla, la fase di possesso della Juventus è stata troppo poco qualitativa per generare pericoli per la porta avversaria.

Dall’altro lato del campo l’Inter ha risposto al pressing della Juventus con una circolazione palla estremamente prudente e un atteggiamento generale votato più alla minimizzazione dei rischi che alla ricerca di benefici offensivi.

Più che il gioco espresso dalle due squadre, al termine della partita rimangono alla mente solo alcune giocate individuali dei calciatori in campo: i movimenti di finalizzazione da grandissimi attaccanti di Lautaro e Vlahovic, un colpo di tacco di Barella che ha liberato Mkhitaryan in area bianconera, la prestazione di Bremer in controllo solitario della profondità della difesa bianconera. Poco altro.

Forse troppo poco per il match tra le due migliori squadre della Serie A.

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