La missione Rosetta, definitivamente terminata, ci ha aiutato e ci aiuterà a capire molto della superficie e della composizione delle comete e dei fenomeni che su di esse si sviluppano.
Le due comete del nostro campionato, Roma e Inter, continuano invece a fornire segnali incomprensibili sulla loro evoluzione. Nella Roma si verificano spesso fenomeni di liquefazione: una squadra di talento e con giocatori all'altezza si scioglie in alcuni frangenti di partita.
Nell'Inter invece si alternano bizzarri fenomeni di sublimazione (in Europa League ad esempio) a momenti opposti di brinamento, come contro la Juve: una squadra gassosa si trasforma in corpo solido.
Nel campionato di Serie A non abbiamo a disposizione il lander Philae né la sonda Rosetta per esaminare la composizione delle squadre di calcio: in questa settima giornata abbiamo avuto almeno lo scontro diretto per provare a capire meglio chi sono davvero Roma e Inter, e quanto dobbiamo prenderle sul serio. Non hanno deluso dal punto di vista dello spettacolo, con 90 minuti di battere e levare, con continue occasioni da gol, perfino negli ultimi secondi di gioco, con Handanovic in versione centravanti. Più che sui passaggi di stato, la partita si è decisa sulle linee di movimento e copertura, verticale vs orizzontale.
Spalletti verticale
Dopo la pesante sconfitta di Torino e la vittoria lenitiva in Europa League, la Roma aveva bisogno di risposte soprattutto dal punto di vista tattico e della personalità. Nella conferenza stampa precedente alla partita, Spalletti aveva già fatto capire che la Roma preferisce giocare contro una squadra che attacca e lascia spazi dietro la difesa.
Proprio per aumentare la capacità di attaccare la linea difensiva avversaria in velocità, Nainggolan si è accomodato in panchina per far posto a Florenzi, finalmente utilizzato nel ruolo di trequartista incursore.
È stata una mossa decisiva nel contesto dei 90 minuti: Florenzi ha interpretato il ruolo in modo diverso da Nainggolan, garantendo un maggior sostegno a Dzeko, una maggior pericolosità offensiva e compattezza alla squadra. È anche la mossa che ha garantito l’indirizzo tattico della Roma, finalmente verticale come si era visto forse solo nel primo tempo di Porto: il jolly giallorosso si affiancava a Dzeko sia per ostacolare l’inizio azione avversario, che per garantire un appoggio continuo e innescare Salah.
Salah vs Santon: Bruno Peres ne approfitta e attacca l’half-space, con Murillo incerto sul da farsi. L’assist del brasiliano viene trasformato in gol da Dzeko.
La partita della Roma è in fondo già tutta nell’azione che porta al gol del vantaggio dopo 4 minuti: il rinvio dal fondo di Szczesny è ostacolato da Icardi e Banega, che lo costringono al lancio lungo direttamente per Dzeko. Il bosniaco vince il duello di posizionamento con Miranda e appena dopo il centrocampo appoggia il pallone di petto per un Florenzi che gli si muove sempre accanto come un pesce pilota con uno squalo. Il “nuovo” trequartista giallorosso stoppa e serve subito il movimento di Salah in verticale, allargando però troppo: l’egiziano, costretto sulla linea laterale, serve Bruno Peres che nel frattempo attacca l’half-space con la velocità di un treno, mentre Perisic non gli sta dietro e Medel non riesce a scalare in tempo. Sul cross dal fondo, finalmente Dzeko fa un movimento ad attaccare sul primo palo e segna con un tocco in area piccola, mentre Murillo si dimentica di seguirlo.
Le linee di passaggio della Roma: le distanze tra i giocatori sono ampie, la squadra è abbastanza lunga. Da notare la linea di passaggio da portiere a centravanti, il ruolo di Florenzi da satellite di Dzeko, i servizi in profondità per Salah e la capacità di Strootman di salire sul campo.
Tutto quello che seguirà fino al novantesimo sarà un’evoluzione di questo copione. La combinazione di passaggio più eseguita dalla Roma risulta infatti quella da Szczesny a Dzeko, ben 12 volte; il centravanti giallorosso riesce a trasformare in oro questi lanci lunghi vincendo ben 8 duelli aerei. Questo meccanismo era usato spesso anche dalla Roma di Garcia nella seconda metà del 2015, ma la differenza sta nella gestione della seconda palla: all’epoca Dzeko non aveva supporto, mentre contro l’Inter si è trovato sempre un uomo vicino o aveva pronta la linea di passaggio per Salah, che nel frattempo come una molla attaccava la profondità.
Praticamente con gli stessi protagonisti la Roma è andata vicina al raddoppio un quarto d’ora dopo: Joao Mario, molto in ombra, sbaglia un appoggio, alzando un pallone su cui si fionda Florenzi, che di testa serve Dzeko vicino. Stop e passaggio tottiano in profondità per lo scatto di Salah, che brucia Santon e la scalata di Murillo ma colpisce il palo esterno da solo davanti ad Handanovic. Appena pochi secondi dopo, De Rossi (4 passaggi chiave in tutto) quasi alla cieca serve una palla in profondità sulla fascia destra, mostrando di nuovo tutti i limiti dei movimenti difensivi dell’Inter: Santon si blocca a copertura di Bruno Peres, mentre Murillo scala di nuovo male su Salah, che sposta il pallone, supera l’avversario e da solo tira addosso al portiere (c’era anche Dzeko libero da servire).
La Roma è lunga sul campo ma ci pensano i pilastri della verticalità: Florenzi recupera un pallone per Dzeko che serve l’attacco alla profondità di Salah.
Il concetto di verticalità della Roma è presente anche in fase difensiva: i giallorossi non hanno attaccato quasi mai il portatore di palla né l’inizio azione avversario (ad eccezione dei rinvii dal fondo). Così Medel si è trovato spesso libero di impostare, ma in quel momento iniziavano i primi problemi: Banega e Joao Mario erano schermati da De Rossi e Strootman. Il vero obiettivo della Roma era la copertura completa della zona centrale e l’isolamento di Icardi, obiettivi effettivamente raggiunti: il capitano dell’Inter ha toccato il pallone solo 16 volte (persino il portiere e i tre cambi hanno fatto di più), riuscendo ad effettuare un solo tiro, un colpo di testa dopo 50 secondi dall’avvio. Da quel momento in poi, la strategia difensiva della Roma ha completamente eliminato Icardi dalla partita: nell’unico momento in cui ci è rientrato, i nerazzurri hanno trovato il pareggio.
Per raggiungere questo obiettivo c’è stato ovviamente bisogno di un doble pivote ai massimi livelli: sia De Rossi (5 palle recuperate, 3 tackle, 1 anticipo) che Strootman (3 palle recuperate, 1 tackle, 3 anticipi) sono riusciti a chiudere tutte le linee di passaggio di Banega, che spesso riusciva a ritagliarsi uno spazio sulla trequarti ma aveva a disposizione linee di passaggio solo verso le fasce.
L’obiettivo della Roma era quello di spingere l’Inter in avanti: è così che la squadra di Spalletti ha rinunciato alla gestione del pallone (a fine partita solo il 36% di possesso) per controllare lo spazio. Nei dubbi di questo inizio di stagione, l’allenatore della Roma ha deciso di puntare sulle sue idee storicamente più funzionanti.
Una strategia ovviamente non priva di rischi, che ha costretto la squadra a un baricentro basso (45 metri) e ad allungarsi molto, oltre a mettere in mostra una serie di movimenti poco efficaci in fase difensiva: è così che l’Inter è riuscita a rendersi pericolosa.
De Boer orizzontale
Anche l’Inter veniva da una settimana non esaltante: dopo la brutta sconfitta di Praga c’era bisogno di un passo in avanti a livello collettivo ma anche di attenzione individuale. De Boer si è affidato a Banega e Joao Mario, al rientro dall’infortunio: la prestazione dell’argentino è stata ancora una volta eccezionale, mentre il portoghese non è riuscito a trovare la posizione ideale e si è eclissato dal gioco fino alla sostituzione al 60’.
Il piano gara del tecnico olandese è apparso chiaro sin dall’inizio: dominare la partita con il pallone, cercando la superiorità numerica sulle fasce e bloccando alla fonte lo svolgimento della manovra avversaria. Non tutto è riuscito bene, ma l’Inter ha mantenuto un baricentro alto, ben 54 metri, ha controllato il pallone (66% di possesso), realizzando quasi il doppio dei passaggi della Roma, ma senza riuscire a coinvolgere il suo unico terminale offensivo.
La matrice dei passaggi dell’Inter: Icardi totalmente isolato, la special relationship tra Medel e Banega, le sovrapposizioni di Ansaldi e Joao Mario poco coinvolto.
L’Inter riusciva a muoversi in verticale sul tandem Medel-Banega (linea di passaggio più eseguita, ben 20 volte), ma poi sublimava sulle fasce. Banega (2 passaggi chiave, ben 5 tiri verso la porta e 5 dribbling), abilissimo a ritagliarsi la sua posizione intorno a De Rossi, in poche occasioni è riuscito a servire una palla in zona centrale: molto più spesso ha servito filtranti sulle fasce, non sempre ben capitalizzati.
Il tentativo di generare superiorità numerica sulle fasce ha comunque sortito i suoi effetti: nel primo tempo, la sovrapposizione dei terzini (Ansaldi a destra e Santon a sinistra), ha messo in grande difficoltà il sistema difensivo giallorosso. Le ali dell’Inter, infatti, entravano dentro il campo, costringendo i terzini avversari a seguirli; ma nel frattempo l’esterno alto giallorosso non seguiva il terzino nerazzurro, che si ritrovava così libero di attaccare lo spazio o chiedere una triangolazione.
Perotti si fa attrarre da Banega e l’Inter si trova in superiorità numerica sulla fascia, costringendo Juan Jesus a scegliere tra Candreva e Ansaldi.
Con la solita disposizione molto ampia, ad allargare la difesa avversaria, l’Inter è riuscita a mettere in difficoltà la Roma, ma non a sufficienza: il simbolo di questi sforzi vani è l’elevatissimo numero di cross effettuati, ben 33, di cui solo 7 riusciti (0 su 5 per Candreva). Non l’idea migliore contro una difesa composta da due colpitori come Manolas e Fazio. È mancata la capacità di Joao Mario di conduzione con il pallone e di creazione di nuove linee di passaggio, oltre a una generale mancanza di attacchi negli half-space: una squadra che vuole giocare in ampiezza deve sapere occupare tutti i corridoi di passaggio, per non costringersi ad estenuanti cross.
Con le tre sostituzioni di De Boer, nel secondo tempo l’Inter ha provato a dotarsi di maggiore qualità offensiva rinunciando ai cross di Candreva per inserire Jovetic. Pochi minuti dopo, al 72’, i nerazzurri hanno trovato il pareggio con una splendida combinazione Banega-Icardi. Appena fuori area, circondato da tre avversari, Banega ha chiamato il movimento di Icardi ad uscire (con Manolas in ritardo), che di prima ha servito il movimento ad attaccare lo spazio del compagno. I giocatori della Roma, posizionati in modo quasi casuale, hanno seguito tutti il movimento di Icardi, con Juan Jesus (terzino sinistro) fermo. De Rossi ha poi recuperato sul pallone, ma è crollato sulla finta di Banega che di sinistro ha bucato Szczesny sul primo palo.
L’Inter riesce a servire solo le fasce, mentre la Roma verticalizza anche in zona centrale.
Il sistema di pressione sull’inizio azione avversaria si basava sulla parità numerica con i due difensori centrali avversari: Icardi e Banega andavano in pressione su Manolas e Fazio, costringendoli spesso a ripiegare sul portiere, o all’errore. Proprio da una situazione di questo tipo, Manolas ha praticamente regalato il pallone a Banega, che da fuori area con uno splendido tiro ha colpito il palo alla destra di Szczesny (posizionato male).
Anche a pochi minuti dalla fine, l’Inter rimane ampia sul campo (in media 33 metri, di 3 metri più larga della Roma) con Santon alto a destra: ma Icardi è isolato e nessuno sembra avere l’intenzione di attaccare lo spazio di mezzo.
Quando l’Inter riusciva ad applicare questa strategia, costringeva la Roma a fasi di stazionamento nella propria metà campo. Il problema dell’Inter era la capacità dei giallorossi di scavalcare la pressione con i lanci lunghi a servire Dzeko praticamente sul centrocampo, costringendo ogni volta Miranda a salire sul bosniaco, quasi sempre con risultati negativi.
La Roma ha problemi nell’inizio azione e De Boer ne è consapevole.
La partita si è conclusa sul 2-1 grazie al colpo di testa di Manolas a quindici minuti dalla fine, sul calcio di punizione di Florenzi, e secondo gli expected goals il risultato rispecchia perfettamente le occasioni delle due squadre. Entrambe hanno messo in mostra grandi limiti, soprattutto nella capacità di muoversi in modo armonico e con i movimenti della linea difensiva ancora in rodaggio. La Roma può forse dire di aver trovato una sua strada, quella della verticalità: ma non tutte le squadre lasciano tanto campo per attaccare negli spazi, e la linea difensiva sembra ancora un po’ improvvisata, anche negli uomini (tra poco dovrebbero tornare Ruediger e Vermaelen). Inoltre, la squadra continua a liquefarsi in alcuni momenti di partita, anche se è riuscita a tirar fuori il carattere per vincere la partita subito dopo il pareggio dell’Inter. Una vittoria importantissima per poter lavorare meglio sui meccanismi ancora non funzionanti.
I nerazzurri sono ancora nella fase iniziale di un progetto di gioco che richiede inevitabilmente tempo per essere assimilato: nel frattempo possono comunque fare affidamento su individualità di primo livello, che riescono a mascherare le difficoltà. È difficile sapere quanto ancora manchi per l’attuazione della proposta di gioco di De Boer, ma non è la sconfitta di Roma a dover preoccupare più di tanto: l’Inter è una squadra che ha iniziato un percorso, inevitabilmente accidentato, che porterà nel lungo periodo a una riconoscibilità e a una godibilità anche estetica. Nel frattempo, però, sarà meglio evitare il continuo passaggio da solido a gassoso, e magari questa partita servirà a De Boer per capire l’importanza della verticalità in Serie A.