Questa storia termina alla vigilia di Natale del 2009, ma la sceneggiatura non prevede un happy ending di quelli che solo la celluloide sa regalare.
Siamo a Washington, meno di due miglia da Capitol Hill, sede del congresso degli Stati Uniti. L’ambientazione è lo spogliatoio di una squadra di basket: ci sono un tavolo verde, debiti di gioco, regole di un codice non scritto infrante, animi che si scaldano, minacce verbali sempre più pesanti e, infine, pistole puntate alla tempia.
Babbo Natale si prenderà tutto il tempo necessario, quella notte. Troppo impegnato con i buoni per occuparsi di uno come Gilbert Arenas, a cui il dono verrà consegnato, non del tutto inaspettato ma comunque sgradito, un paio di settimane più tardi, ironicamente il giorno del suo 28° compleanno. La sospensione a tempo indeterminato, successivamente tramutata in squalifica fino al termine della stagione, sancisce di fatto la conclusione della sua carriera da professionista. Ed è anche la fine di un sogno rincorso con appassionata testardaggine, superando ostacoli e diffidenze. Quello che seguirà sarà invece un lento ma inesorabile scivolare tra le pieghe di una vita troppo complicata, fin dall’inizio.
In nome del padre
Le cronache di ogni periferia tracimano di vicende come quella dell’infanzia di Arenas: giovane madre single poco convinta di poter crescere un figlio, frequentazioni non proprio impeccabili, indigenza, problemi con la giustizia, droga. Normalmente questi ingredienti si concretizzano nell’assegnazione a qualche istituto oppure, nei casi migliori, a una famiglia disponibile ad accogliere lo sfortunato di turno. Quando le autorità prendono in custodia Gilbert Jr., il piccolo ha poco più di 3 anni. Prima di procedere all’affido, la legge prevede l’obbligo di contattare il padre biologico.
Di solito è un tentativo vano, una mera formalità. Nella maggior parte dei casi il soggetto risulta irrintracciabile e, ove così non fosse, l’ipotesi di prendersi cura di un altro essere umano bisognoso di attenzioni fatica a essere presa in considerazione. Quando alza la cornetta, invece, Gilbert Sr. dice sì: quello è suo figlio e lo vuole tenere con sé. Essendo cresciuto egli stesso nell’assenza di una figura paterna, non se la sente di relegare al medesimo destino quella creatura che porta i suoi cromosomi. Le buone notizie però, così come i comportamenti da genitore responsabile, finiscono qui.
Gilbert Sr. è un bell’uomo, ex atleta, la cui carriera sportiva è stata stroncata prematuramente da un pesante infortunio. Mentre lavora in un autolavaggio di Tampa, si arrabatta in cerca di provini televisivi e cinematografici. Riesce a ritagliarsi un ruolo di comparsa in due puntate della serie Miami Vice. Anche se poca cosa, è comunque un punto di partenza: Arenas padre sente che il sogno di diventare attore è realizzabile, ma i sobborghi della Florida presentano ben poche possibilità, e quindi si parte. Gilbert Jr. ha appena compiuto 7 anni quando il padre racimola i pochi dollari risparmiati, carica la sua Mazda RX-7, sistema il figlio sul sedile posteriore e via: destinazione California.
California Dreamin’
I sogni di gloria si scontrano immediatamente con le difficoltà economiche. Hollywood esige un prezzo alto per tutto, affitti compresi. Dopo qualche notte trascorsa dormendo sui sedili della Mazda parcheggiata dietro a un supermercato, i due Arenas si sistemano in un appartamento nel complesso Brookstree a Van Nuys. Non è proprio Beverly Hills, ma viste le premesse va più che bene.
Gilbert Sr. trova il modo di far combaciare l’irrinunciabile necessità di portare a casa uno stipendio con l’ambizione di una carriera da attore. Accetta un lavoro come corriere notturno per la UPS e di giorno si dedica ai provini. Grazie all’aiuto di un agente ottiene ingaggi in diverse campagne pubblicitarie, qualche comparsata in soap opera dell’epoca e infine cameo in film di culto come Lionheart, protagonista Jean Claude Van Damme.
Se non avete visto Lionheart, potete continuare a ignorarlo
Il contraltare è che la presenza tra le mura domestiche è quantomeno saltuaria. Il piccolo Gilbert ha un carattere che definire irrequieto è un eufemismo, non ama restare a casa da solo e diviene presto noto nel circondario per atti di vandalismo e scherzi molesti — un vizio, quello degli scherzi, gli resterà anche in età adulta.
Tanta esuberanza necessita di trovare uno sfogo, e il colpo di fulmine arriva nella forma di una palla a spicchi arancione. Gilbert comincia a passare i pomeriggi — spesso anche quelli in cui dovrebbe essere in classe — sui campetti del quartiere. Il rendimento scolastico è discontinuo, ma il ragazzo ha una sorprendente capacità di ammaliare gli insegnanti con il suo sorriso e se la cava senza grossi intoppi. Il basket si trasforma quasi inevitabilmente in un’ossessione. Quando il padre esce per il turno di notte, Gilbert si infila le sneakers e affronta le partite serali; gli avversari sono tutti più grandi e grossi, ma per lui non è un problema: il piccolo Arenas non ne fa una questione di stazza, anzi, proprio non la considera. Anche questo è un vizio che manterrà.
È sui campetti del quartiere che Arenas comincia a scalare la montagna di pregiudizi relativi alla sua taglia fisica. Gli avversari, anche i suoi coetanei, sono mediamente più alti e robusti di lui. Inoltre la fauna che si raduna sotto i canestri arrugginiti non è esattamente una enclave di gentiluomini. Il padre, preoccupato per i comportamenti e le frequentazioni del figlio, improvvisa una sorta di rete di sorveglianza composta da amici e vicini di casa.
Quando può, Arenas Sr. partecipa alle partitelle, mostrando al figlio uno spirito competitivo che ne forgerà il carattere per gli anni a venire. Gilbert ha 10 anni quando, durante un torneo estivo, il padre allena una squadra e lascia il figlio in panchina perché troppo più giovane e meno dotato rispetto ai suoi compagni. Di fronte ai malumori, la risposta di Arenas Sr. è più o meno: “Il mio obiettivo è vincere le partite, non far divertire mio figlio”. In tutta risposta Gilbert cambia squadra e, una volta incrociata quella allenata dal padre, segna 15 punti decisivi per la vittoria. Anche quello della vendetta è un vizio che manterrà (pure troppo).
Dal campetto alla squadra della scuola il passo è breve. Gilbert se la gode non poco indossando la casacca della Birmingham HS. Non prende l’impegno troppo sul serio, fino a quando il coach gli fa notare che, per come stanno le cose, non ha alcuna possibilità di diventare un giocatore di basket. L’estate successiva Gilbert la trascorre allenandosi come un forsennato, dall’alba e ben oltre il tramonto è costantemente sul campo da gioco. L’obiettivo è uno solo: dimostrare a quel coach, a suo padre e al mondo intero che si sbagliano. Decide anche di cambiare scuola e opta per la Ulysses Grant HS, non proprio vicinissima a casa ma con un buon programma cestistico. A 14 anni, però, è poco più di 1.70 e il primo anno lo passa tra la panchina e la palestra. Il duro lavoro, coadiuvato da uno sviluppo fisico evidente, lo porta ad avere un ruolo importante già al secondo anno. I movimenti uno contro uno diventano letali e Gilbert comincia a maltrattare i difensori avversari con continuità.
Il terzo anno alla Ulysses, quello da junior, lo chiude con una media punti appena sotto i 30, collezionando premi individuali. Ormai cresciuto oltre l’1.90, irrobustitosi in sala pesi e forte delle cifre messe a referto durante la stagione, Gilbert, accompagnato dal papà, fa visita al campus di UCLA. Il sogno condiviso da padre e figlio è quello di divenire un Bruin. L’impressione che i tecnici di UCLA hanno del ragazzo, però, non è un granché. La sua attitudine — e il percorso accademico non proprio impeccabile — destano parecchie perplessità. Inoltre, le energie dello staff tecnico di UCLA in quel momento sono quasi interamente dedicate a blandire Carlos Boozer, considerato il vero pezzo pregiato in uscita dal mondo delle high school. Le cose non andranno troppo bene per i Bruins, snobbati da Boozer (che andrà a Duke) e tentennanti fino all’eccesso su Arenas. Ray Tention, assistente ad Arizona, invece, di dubbi non ne ha e offre al 16enne Arenas la maglia dei Wildcats. La scelta si rivelerà azzeccata: prima di partire per il sud Arenas chiude la sua ultima stagione alla Ulysses con 33.4 punti, 7.9 rimbalzi, 3 assist e 4.6 palle rubate di media.
Sotto la guida di coach Lute Olson e accompagnato da futuri giocatori NBA come Richard Jefferson e Luke Walton, Arenas mette insieme cifre di tutto rispetto e nel 2001 arriva fino alle Final Four, cedendo all’ultimo atto di fronte al gigante Duke guidato da Mike Krzyzewsky in panchina e dalla triade Battier-Dunleavy Jr.-Boozer (of course) in campo.
I 21 punti che mandano Arizona alle Final Four
Per Gilbert non ci sono dubbi: è il momento di fare il grande salto.
L’offesa del Draft
La sera del 27 giugno, Arenas è sprofondato in una poltroncina del Madison Square Garden. È un Draft caratterizzato dalla preferenza verso i lunghi e l’attesa si fa via via sempre più snervante. Nei giorni precedenti aveva effettuato diversi provini, le franchigie interessate a mettere le mani sul talento da Arizona sembravano parecchie. I Knicks erano apparsi tra i più convinti, ma dopo averlo visto da vicino coach Jeff Van Gundy aveva deciso di orientarsi altrove. Le chiamate passano, il compagno ad Arizona Richard Jefferson viene chiamato con la scelta numero 13 e Gilbert si vede passare davanti gente come Joe Forte e Omar Cook — il cui futuro non sarà esattamente da campione NBA — così come quello di molti dei protagonisti in quel nefasto Draft del 2001. Il primo giro di scelte si esaurisce senza che David Stern abbia pronunciato il suo nome. Arenas comincia a mostrare i primi segnali di insofferenza, quando finalmente i Golden State Warriors, con la seconda chiamata del secondo giro, la 31° assoluta, lo selezionano. Gilbert prende la scarsa considerazione come un offesa personale, e sarà questo risentimento a fargli da propellente nella corsa verso l’unico obiettivo possibile: diventare un All-Star.
La squadra in cui approda Arenas è una versione agli antipodi degli attuali Warriors (o meglio, sono gli attuali guerrieri a essere agli antipodi rispetto ai precedenti vent’anni della franchigia). Reduci da un’annata disastrosa conclusa con 17 vittorie totali, gli Warriors hanno tre scelte al Draft: la 5, la 14 e la 31. Prima di Arenas vengono scelti Jason Richardson e Troy Murphy. I tre dovrebbero apportare nuova linfa in un organico che ha in Larry Hughes a Antawn Jamison i propri capisaldi. La partenza non è delle più brillanti e costa il posto a coach Dave Cowens, a cui subentra il vice Brian Winters, ma poco cambia: gli Warriors vincono 4 partite in più rispetto all’anno precedente ma non riescono a evitare l’ultimo posto nella Western Conference. Arenas gioca poco ma riesce comunque a chiudere la sua prima annata da professionista appena sotto gli 11 punti di media, mettendo in evidenza potenzialità e carattere anche in un contesto tecnico non favorevole.
La stagione successiva vede in panchina Eric Musselman. Il coach, esordiente come capo allenatore, affida ad Arenas le chiavi della squadra. Lui migliora sensibilmente le voci statistiche, si aggiudica il premio di giocatore più migliorato dell’anno e, insieme a J-Rich e Jamison riporta Golden State a livello di dignità. Ad aprile le vittorie sono 38, ma non bastano per andare ai playoff. I 18 punti di media e la leadership dimostrata sul campo dal 20enne Arenas, invece, bastano e avanzano per sedersi ad ascoltare le offerte di altre squadre.
La Gilbert Arenas Rule
Arenas, tecnicamente, è un “restricted free agent”. Le regole in vigore all’epoca, però, non permettono a Golden State di pareggiare la miglior offerta ricevuta dal giocatore in quanto il monte stipendi complessivo eccede già il salary cap. L’inghippo, ironia della sorte, è che Arenas è stato scelto al secondo giro del Draft. Proprio a seguito di questa vicenda la lega introdurrà quella che ancora oggi viene ufficiosamente chiamata ‘Gilbert Arenas rule’, sanando un’anomalia che costa cara agli Warriors. Le offerte per Gilbert, infatti, non mancano: alla fine le due più allettanti provengono da Los Angeles (sponda Clippers) e Washington Wizards. Entrambe le squadre sono reduci da una stagione a dir poco deludente e hanno margine salariale per investire su nuovi giocatori: a Washington ci sarebbe da raccogliere l’eredità di sua maestà MJ, ma Los Angeles è praticamente casa. Gilbert è indeciso fino all’ultimo e decide di demandare la scelta all’esito del più classico dei testa o croce (seriously). La monetina volteggia nell’aria e quando tocca terra il fato dice Wizards.
Nell’estate 2003, a Washington la parola d’ordine è ricominciare. Il proprietario di maggioranza Abe Pollin ha optato per un repulisti pressoché totale, accollandosi anche scelte impopolari. Michael Jordan viene silurato e rimosso dal ruolo di presidente della squadra, posto che aveva tutte le intenzioni di occupare con maggiore presenza dopo il ritiro definitivo dall’attività agonistica. Anche a Doug Collins viene dato il benservito, sostituito in panchina da Eddie Jordan. Arenas riabbraccia il compagno di reparto Larry Hughes, con cui si trova quasi a occhi chiusi. Uno stiramento addominale limita le prestazioni del numero 0 che salta 27 partite; tuttavia, la sua prima annata in maglia Wizards si chiude con una media punti che sfiora i 20. La squadra è quel che è, attorno alla coppia Arenas-Hughes c’è ben poco e il record in primavera dice 25-57 e terzultimo posto nella Eastern Conference.
L’anno successivo Gilbert sta meglio e si vede. Il mercato fa registrare un altro ricongiungimento, quello con Antawn Jamison e Arenas ne mette 25 a sera, con i due sodali già incontrati sulla baia rispettivamente 22 e 19. Per Arenas arriva la chiamata all’All-Star Game, la prima di tre consecutive. Le 45 vittorie regalano il 5° posto a est e ritorno ai playoff, i primi dal 1997. Al primo turno ci sono i Bulls: è una serie tirata, molto fisica. Si è sul due pari quando, in gara-5 allo United Center, Arenas risolve così la contesa che segnerà la serie:
Agent Zero zittisce il pubblico dello United Center
Al turno successivo, gli Heat di Wade&Shaq, abbozzo della squadra che diverrà campione dodici mesi più tardi, risultano troppo per Arenas e compagni. Finisce 4-0, ma l’impressione dalle parti del Capitolium è che finalmente ci sia una base su cui costruire.
Durante l’estate gli Wizards si liberano del fardello Kwame Brown, disastrosa prima scelta decisa da MJ al Draft del 2001, portandosi a casa un pezzo importante come Caron Butler. La chimica di squadra è approssimativa, ma Arenas trascina i suoi registrando il massimo in carriera per punti, sfiorando i 30 a sera (29.3). Viene nominato giocatore della settimana della Eastern Conference per ben tre volte e arriva la chiamata all’All-Star Game, seppur come sostituto dell’infortunato Jermaine O’Neal. Arenas non si formalizza e anzi accetta di partecipare, senza alcuna preparazione specifica, alla gara del tiro da tre. Finisce battuto in finale da Dirk Nowitzki, somatizzando la frustrazione durante l’ultimo carrello.
Gilbert conclude alla sua maniera la sfida con WunderDirk
A primavera il 42-40 vuol dire nuovamente 5° posto e primo turno contro i Cleveland Cavaliers. Da una parte c’è un LeBron James in rapida ascesa verso il ruolo di padrone assoluto della lega, dall’altra un Arenas galvanizzato dalla sfida e dalle attenzioni mediatiche. È una battaglia senza esclusione di colpi, tiratissima nei punteggi. Le ultime sfide vanno entrambe al supplementare e sorridono a Cleveland. LBJ chiude la sua prima, sensazionale serie di playoff alla sbalorditiva media di 36 a partita. Il numero 0 ne fa segnare 34, ma non bastano per passare il turno. Nessuno però ha più dubbi sulla reale consistenza di Arenas: Gilbert ormai è nell’olimpo dell’NBA. Il suo stile di gioco poco convenzionale, da point guard che guarda il canestro ancor prima di pensare a mettere in ritmo i compagni, attira consensi sempre più ampi. Arenas percorre il sentiero tracciato da Allen Iverson e insieme a “The Answer" rivela al mondo un modo diverso, ma ugualmente efficace, di interpretare il ruolo. I due rimangono comunque dei pionieri in un momento storico in cui il giocatore simbolo, due volte MVP, è Steve Nash. Le statistiche registrate dal canadese parlano chiaro: poco meno di 1.4 punti messi a segno per ogni assist smazzato a favore altrui. Arenas, al pari di Iverson, si assesta intorno ai 5 punti di media per ogni passaggio vincente.
La costruzione della squadra per l’anno successivo ruota intorno a lui, e Arenas è sempre più padrone dello spogliatoio. A modo suo, però. La gamma di scherzi è tanto varia quanto greve: si va dagli escrementi depositati nelle scarpe dei compagni, alla simulazione di furto delle auto parcheggiate al campo d’allenamento, durante le trasferte. La sua popolarità tra i compagni di squadra è intermittente, ma visto quanto combina con la palla in mano le intemperanze vengono sopportate. Non bastasse l’irruenza con i compagni, la vita privata di Arenas finisce con lo sconfinare, letteralmente, nel campo da gioco. La turbolenta relazione con Laura Govan, iniziata ai tempi in cui Gilbert vestiva la maglia di Golden State e proseguita tra alti e bassi, degenera quando entra in scena la piccola Izela Semaya. Arenas assiste la compagna in sala parto ma poi, per motivi mai del tutto chiariti, non accetta il riconoscimento formale della paternità. Il rifiuto mette in moto una vera e propria faida legale: incaricati dello studio assoldato dalla Govan inseguono Arenas per tutto il paese nel tentativo di notificargli la causa intentatagli dalla compagna. Arenas, coadiuvato dai compagni e dall’intera franchigia, le prova tutte per sfuggire alla notifica, registrandosi sotto falso nome negli alberghi in cui i Wizards soggiornano durante le trasferte (pratica normale nei circoli NBA, diventata però una necessità). Prima della partita di Sacramento contro i Kings, l’avvocato della compagna arriva addirittura a minacciare la notifica tra un tiro e libero e l’altro. È il punto più basso di una diatriba che si conclude dopo diverse settimane grazie all’accordo economico extragiudiziale tra le parti.
Arenas l’icona
Al di là delle difficoltà familiari, Arenas è ormai un’icona. Gli vengono dedicati ben due soprannomi: Gilbert ama il primo, Agent Zero, al punto da utilizzarlo per parlare di se stesso in terza persona. L’altro, Hibachi, mutuato dalla tradizionale griglia giapponese in grado di prendere fuoco in una frazione di secondo, lo lascia gridare alla folla del Verizon Center galvanizzata dalle sue imprese.
Per tutta la stagione 2006/07, l’NBA gli affida addirittura un blog sul sito ufficiale. Gli argomenti trattati da Arenas non potrebbero essere più vari: si va da questioni sostanzialmente tecniche a un cartone animato creato dallo stesso Gilbert a propria immagine e somiglianza, dal complicato rapporto coi tifosi al racconto di storie risalenti alla sua infanzia, dalle tante iniziative benefiche portate avanti in prima persona all’irresistibile passione per gli squali. Compagni di squadra, avversari, arbitri, celebrità del mondo dello spettacolo, dirigenti della lega: a nessuno viene risparmiata un’osservazione, un consiglio, una critica o una presa in giro. In questa baraonda schizoide, l’unico tratto comune è la spontaneità. Entrare nella testa di Agent Zero è una missione davvero impossibile, quel flusso ininterrotto di pensieri e intuizioni rimane quanto di più simile a una radiografia della sua contorta personalità.
Gilbert diventa testimonial Adidas, protagonista di uno spot molto bello quanto personale.
Gilbert rivela al mondo il perché del numero zero sulla maglia
La stagione è una fotocopia della precedente, per Arenas e per la squadra. Prima di infortunarsi gravemente al ginocchio, Agent Zero fa in tempo a regalare un paio di soddisfazioni ai suoi tifosi. Ad esempio:
60 punti in casa Kobe Bryant
Vendetta tremenda vendetta su coach D’Antoni, colpevole — secondo Arenas — di averlo escluso dalla selezione di Team USA l’estate precedente (e contro coach Krzyzewski dice: “Salterei un anno di NBA se potessi tornare al college a segnarne 84 o 85 contro Duke”)
Se notate affinità con l’arte di prendere e segnare triple da distanze insensate o andare al ferro utilizzando il contatto con il difensore per un 2+1, non è un caso. Curry e Harden ringrazieranno per l’ispirazione.
L’infortunio patito contro Charlotte a inizio aprile 2007, però, lo terrà fermo per un anno intero. Gli Wizards, già privi di Caron Butler, faticano non poco e chiudono la regular season al settimo posto. Al primo turno ci sono ancora i Cavs, ma questa volta non c’è storia: 4-0 e fine sogni di gloria. LeBron arriverà fino alle Finals, mentre per Arenas il recupero dall’infortunio si rivelerà un ostacolo insormontabile.
Mai più lo stesso
Il rientro è a dir poco tormentato: Arenas gioca una manciata di partite in apertura di stagione, ma il ginocchio non risponde come dovrebbe. Le tempistiche della riabilitazione si dilatano e il rapporto con lo staff medico degli Wizards non è dei migliori. Quando arriva la primavera, Arenas decide di forzare e gioca, partendo dalla panchina, le ultime partite della regular season. La squadra chiude comunque con un record di 43-39 e il 5° posto nella Eastern. Come auspicato dallo stesso Arenas, al primo turno ci sono, per il terzo anno consecutivo, i Cavs. Le condizioni di Agent Zero però non sono ottimali, la tanto agognata rivincita su LBJ si rivela una chimera. Dopo aver giocato poco e male le prime tre gare della serie, Arenas è costretto a dare forfait e gli Wizards soccombono ancora una volta per 4-2.
A mitigare la frustrazione per l’ennesima ricaduta, che costerà ad Arenas l’intera stagione successiva, arriva un sontuoso rinnovo contrattuale. Washington, nonostante gli evidenti problemi fisici, gli propone un accordo da 111 milioni di dollari per 6 anni. Il contratto finirà per gravare sul prosieguo della carriera di Arenas in misura diametralmente opposta a quanto originariamente si sarebbe potuto immaginare. Gli infortuni, in compenso, non influiscono sullo status ormai acquisito di stella tra le più riconoscibili della lega, tanto che Agent Zero finisce sulla copertina di NBA Live 08.
Gilbert la spiega ad un giovanissimo Kevin Durant.
Arenas, smanioso di dimostrarsi all’altezza dell’importante investitura, torna in piena forma per l’inizio della stagione 2009/10. Certo, l’esplosività che ne aveva caratterizzato le stagioni precedenti sembra svanita, ma Arenas rimane il miglior giocatore della squadra. Washington però, anche a causa dei numerosi infortuni che funestano la prima parte di stagione, naviga nella mediocrità. Il 22 e 23 dicembre infilano due rarissime vittorie consecutive, rispettivamente con Philadelphia e sul campo dei Bucks, eppure il record dice 10-17. Dalle parti di Capitol Hill l’atmosfera non è tra le più positive, ma il peggio deve ancora arrivare.
Vigilia di fuoco
Come spesso succede in questi casi, le versioni dell’accaduto differiscono a seconda dei testimoni. Ad ogni modo, gli ingredienti della scena sembrano presi a prestito dallo stereotipo del gangster movie: un tavolo da poker, un debito di gioco protrattosi oltre il dovuto, il tasso alcolico che sale e la ghetto attitude che ottenebra le facoltà mentali, pistole sfoderate e puntate alla tempia dell’avversario. I protagonisti sono Arenas e il compagno di squadra Javaris Crittenton, l’avvenuto è troppo grave per non trapelare dalle mura dello spogliatoio — peraltro non proprio ermetico di suo. La notizia si diffonde rapidamente, gettando nell’assoluto imbarazzo la lega e la franchigia d’appartenenza. Si boccheggia nel tentativo di capire quali possano essere i risvolti, anche penali. Gli Wizards emettono un comunicato in cui si dissociano pesantemente dal comportamento dei loro due giocatori. Il commissioner David Stern, noto per la maniacale attenzione all’immagine della lega, prende tempo. Fino a quando la soluzione a tutti i dubbi la fornisce lo stesso Agent Zero.
Nel pre-partita della gara coi Sixers, Arenas intrattiene i compagni nell’huddle e il web scatena il sarcasmo sul suo status di “shooting guard” (da notare la presenza in squadra di JaVale McGee e Nick Young, che ne porteranno avanti la torcia della pazzia).
Quanto Arenas comprenda la gravità della situazione è intuibile dalla leggerezza con cui si abbandona a un gesto del genere. L’eccentrica imprudenza finisce per accelerare, e probabilmente inasprire, il processo sanzionatorio da parte dell’NBA. Il 6 gennaio, giorno del suo 28° compleanno, Arenas viene sospeso a tempo indeterminato insieme al compagno/rivale Crittenton, in attesa che le indagini in corso chiariscano la natura dei fatti. Tre settimane più tardi, dopo un lungo colloquio nella sede della lega, i due vengono squalificati fino al termine della stagione. Nonostante un mea culpa vergato sulle pagine del Washington Post, il tribunale commina ad Arenas una pena severa: due anni di libertà vigilata e 30 giorni da trascorrere in un centro di recupero. Curiosamente il compagno coinvolto se la cava con un anno di libertà vigilata, ma le vicende legali per lui non finiranno qui: nell’aprile 2015, dopo diverse vicissitudini, Critterton verrà condannato a 23 anni di reclusione per omicidio aggravato per aver sparato per strada e ucciso un’incolpevole passante.
I legali di Arenas non presentano appello e Gilbert entra nella struttura preposta il 9 aprile. È il momento più buio per il numero 0: Adidas rescinde il contratto e cancella la campagna pubblicitaria, mentre tutti gli altri piccoli e grandi sponsor lo rifuggono come un appestato. Anche i suoi Wizards non se la passano bene e chiudono la stagione con sole 26 vittorie e il penultimo posto nella Eastern.
Da zero a nove
Quando inizia la stagione 2010/11, Arenas non vede l’ora di rientrare. Decide di cambiare il numero di maglia, abbandonando l’iconico 0 che lo accompagna dall’inizio della carriera professionistica, optando per la casacca numero 9. Ha davanti ancora quattro anni del sontuoso contratto sottoscritto nell’estate 2008. Eppure, nonostante siano passati solo due anni, sembra tutto cambiato: la pessima stagione precedente ha finito per regalare a Washington la prima scelta al Draft con cui gli Wizards si portano a casa John Wall da Kentucky. La scelta è quella che gli americani definiscono no-brainer: Wall è considerato da tutti gli addetti ai lavori un potenziale giocatore franchigia, e così la pensano anche gli Wizards che, nonostante la giovanissima età, lo eleggono capitano. Wall diventa quindi il presente e il futuro della squadra, ma c’è un particolare non di poco conto: il ruolo in cui gioca è lo stesso di Arenas.
Gli spazi per Gilbert si restringono, e anche coach Flip Saunders fa chiaramente capire di voler puntare sul nuovo arrivato. Si lavora a una trade durante la pre-season, ma non è facile trovare qualcuno disposto ad accollarsi il contrattone di Arenas. Il 18 dicembre viene trovato un accordo con Orlando: lo scambio con Rashard Lewis ha poco di tecnico e parecchio a che vedere con la sproporzionata onerosità di entrambi i contratti sul tavolo. È un passaggio obbligato per gli Wizards, impazienti di aprire l’era Wall. Per Arenas l’occasione di un salutare cambio d’aria: si va in Florida, si torna a casa.
Orlando e Memphis
Arenas diventa il sesto uomo dei Magic, dividendo minuti e palla con il titolare indiscusso Jameer Nelson. Le prestazioni di Gilbert — che nel frattempo ha optato per un ulteriore cambio di maglia indossando la numero 1 in onore del suo idolo Penny Hardaway — sono discrete, ma niente a che vedere con i numeri messi in campo prima della sospensione e dell’infortunio al ginocchio. I Magic chiudono la regular season al quarto posto, ma vengono sconfitti da Atlanta per 4-2 al primo turno dei playoff.
Quella che segue l’eliminazione è la lunga estate del lockout. Le trattative per il rinnovo del contratto collettivo proseguono fino a dicembre, quando l’accordo viene finalmente siglato e l’inizio della stagione regolare, ridotta a 66 gare, è fissato per il giorno di Natale. Nel frattempo i Magic hanno approfittato di una scappatoia contrattuale denominata amnesty clause che permette di tagliare un giocatore e “cancellarne” il contratto dal salary cap. La scelta ricade proprio su Arenas, che il 9 dicembre diventa a tutti gli effetti un free agent. In ragione delle regole previste nell’amnesty continuerà a ricevere l’oneroso salario previsto dal suo contratto, ma di fatto è un giocatore senza squadra.
A dargli fiducia, la primavera successiva, sono i Memphis Grizzlies. In vista dei playoff i Grizzlies vogliono tutelarsi con un cambio che possa aiutare Mike Conley Jr., emergente ma ancora acerbo. Il 20 marzo Arenas firma con Memphis fino al termine della stagione. Fa in tempo a giocare l’ultimo spicchio della regular season e prende parte alla battaglia persa coi Clippers al primo turno di playoff. Il minutaggio a disposizione di Arenas è modesto, il suo apporto ancora di più. I Grizzlies decidono di non procedere al rinnovo e durante l’estate non arrivano offerte concrete da altre franchigie NBA.
Missione Shanghai
In assenza di altre prospettive, Arenas decide di accettare le allettanti offerte economiche della Chinese Basketball Association e firma con gli Shangai Sharks per la stagione 2012/13. Voglioso di mettersi in mostra e scaltro a sufficienza per approfittare di un contesto tecnico decisamente abbordabile, Gilbert mette insieme numeri individuali di pregio.
Agent Zero sfida Yi Jianlian, dimenticabilissima scelta numero 6 nel Draft 2007.
La squadra però non raggiunge i playoff e lui si vede costretto a tornare in America. Nemmeno in Cina, dove hanno trovato asilo caratteri non certo tra i più accomodanti quali Stephon Marbury e Ron Artest, sembra esserci spazio per Agent Zero. La stagione in maglia Sharks è di fatto l’ultima traccia lasciata dall’Arenas giocatore. Da lì in poi il suo nome comparirà nelle cronache solamente alla voce gossip.
Viale del tramonto
Sparito dai radar NBA e più in generale da quelli della pallacanestro mondiale, Arenas non ha certo smesso di fare notizia. Ancora nel 2013, forte del contratto sottoscritto con gli Wizards, risulta il 30° atleta più pagato degli Stati Uniti, e Yahoo Sports lo considera il peggior contratto NBA di ogni tempo. Lo stile di vita, da sempre l’antitesi della sobrietà, resta immutato. Le eccentriche spese dell’ormai ex-Agent Zero non passano inosservate: in cima alla classifica c’è la vasca per lo squalo, portata a casa al modico prezzo di un milione di dollari, più altri 10.000 al mese per il mantenimento. Ma un discreto successo lo riscuote anche il lavaggio da 675 verdoni per ogni auto (interni ed esterni, s’intende). Lui, interpellato sull’argomento, non si tira certo indietro:
Il sito di gossip TMZ comincia a dedicare spazio e attenzione ad Agent Zero, anche nei parcheggi di L.A.. La sua opinione sulla lista di Yahoo? “Beh, potrebbe essere [il peggior contratto di sempre], non dico di no…”
Non bastassero le spese pazze a tenerlo sulle pagine dei media scandalistici, Arenas non risparmia nemmeno le bravate. Appena rientrato negli States dopo l’avventura a Shanghai, vede bene di farsi fermare dalla polizia di Los Angeles per possesso di fuochi d’artificio non legali, a suo dire piccolo tributo alla imminente Festa dell’Indipendenza. In seguito ammette di aver commesso un numero impressionante di infrazioni al codice della strada, per cui non ha ricevuto alcuna sanzione grazie al trucchetto di non aver mai sostituito la targa provvisoria riconducibile all’autosalone di provenienza.
Se le sue azioni non lo rendono un eroe di civismo, a pesare davvero sulla sua reputazione mediatica è il continuo conflitto con la moglie Laura Govan. Il rapporto di coppia, già motivo d’attrito ai tempi degli Wizards, nel frattempo ha generato altri tre figli sul cui diritto di custodia non si riesce a trovare un accordo. Arenas rende pubbliche le dispute con la Govan e, in assenza di highlights dal campo, regala al pubblico queste due perle:
Qui rompe di proposito i fanali di due auto di sua proprietà, in spregio alle malefatte che, a suo dire, la compagna gli ha combinato nel corso degli ultimi mesi. La peggiore: aver scagliato in piscina il portatile su cui Gilbert aveva salvato la password d’accesso a Netflix, ora smarrita per sempre…
Divertenti e tranquilli passatempi, a 80 km/h, col figlio di 8 anni.
Ma il capolavoro comunicativo è un altro: Arenas arriva a paragonare le giocatrici della WNBA alle protagoniste di Orange Is The New Black (serie, guarda caso di Netflix, ambientata in un carcere femminile e dalle forte tinte lesbo), addebitando alla loro scarsa avvenenza il poco successo della versione femminile della lega. Le reazioni indignate non tardano ad arrivare e Arenas si ritrova sempre più nell’angolo, sempre più villain in un mondo ossessionato dal politically correct.
Arenas ha fatto terra bruciata intorno a sé, flirtando con il lato oscuro della sua personalità senza nemmeno degnarsi di provare a nasconderlo. In questo modo ha fatto dimenticare l’altro, di lato. Quello di un giocatore dal fisico normale, divenuto micidiale arma offensiva e formidabile clutch player grazie al duro lavoro in palestra, alla feroce motivazione e alla fiducia nei propri mezzi. Ha buttato via parecchio, comportamento davvero bizzarro per uno a cui la vita non ha regalato niente, costringendolo da subito a nuotare controcorrente.
Anche se il ritiro dall’attività non è mai stato ufficializzato, ad oggi la carriera di Agent Zero sembra terminata. Visto quanto combinato fuori dal campo, difficilmente lo rivedremo in azione. Eppure il suo contributo all’evoluzione del concetto di point guard è evidente, oggi più che mai. Quando Arenas ha esordito nella lega, il modello dominante nel ruolo era Jason Kidd, che all’epoca si sarebbe tagliato un braccio piuttosto che tirare. Gli Spurs, da sempre termine di paragone per l’intera lega, erano in piena fase di transizione dall’epoca ‘ordine e disciplina’ di Avery Johnson a quella ‘champagne e pick&roll’ di Tony Parker.
Gilbert ha contribuito a far passare l’idea che, oltre a coinvolgere i compagni e a servirli di tutto punto, il portatore di palla potesse e dovesse segnare, pure in abbondanza. Combo guard, termine coniato per definire l’archetipo del giocatore dalle caratteristiche indefinite, scarsamente incasellabile nei rigidi sistemi di gioco, è stato a lungo considerato quasi un insulto. Ora sembra del tutto normale che la point guard sia anche il primo terminale offensivo della squadra, ma non è sempre stato così.
Arenas non è riuscito a essere il compagno di spogliatoio ideale o il pezzo attorno a cui costruire una squadra vincente, tantomeno un cittadino modello, tuttavia la sua influenza stilistica sull’interpretazione attuale del ruolo appare innegabile. Forse non è stato il vostro giocatore preferito, ma quando saltate sulla sedia per le prodezze di Curry, Westbrook o Lillard, sappiate che parte di quella sfrontatezza, un po’ di quella creatività e parecchi di quei movimenti vengono da lontano.
E, così come il coraggio di prendersi il tiro decisivo, portano il marchio Agent Zero.