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Unai Emery è sempre una mossa avanti
26 apr 2022
Un fenomeno delle partite secche.
(articolo)
14 min
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Vila-real deve il suo nome al re Giacomo d’Aragona, che la fondò nel 1274 come fortezza per consolidare il territorio strappato al califfato durante la riconquista cristiana. La posizione è strategica perché si trova lungo l’antica via Augusta, proprio al confine col territorio ancora in mano nemica. Nel corso dei secoli, però, la città perde importanza, schiacciata dalla presenza contigua di Castellón de la Plana, che diventa il principale centro dell’area. Fino al ‘900 Vila-real è un posto dove si coltivano le arance, sotto il franchismo, tuttavia, l’economia pianificata porta alla nascita di un polo industriale della ceramica, dove sviluppare la tradizione della ceramica locale per rivestimenti, ovvero le piastrelle.

Negli anni, insomma, Vila-real diventa la capitale spagnola delle piastrelle. Nel 1997 Fernando Roig, proprietario della Pamesa, la principale fabbrica di piastrelle dell’area, decide di comprare la squadra della cittadina, stabile a metà della Segunda, la seconda serie del calcio spagnolo. È lui a investire per trasformare un’anonima squadra nella realtà che conosciamo oggi, con investimenti non solo nella rosa, ma anche la costruzione di un nuovo centro sportivo e il rifacimento dello stadio, non a caso chiamato Stadio della Ceramica. Una storia per certi versi simile a quella del Sassuolo - altro centro famoso per le fabbriche di ceramica - ma con più ambizioni e traguardi, basta guardare gli ultimi 20 anni del Villarreal, con diversi piazzamenti tra le prime quattro in Liga, più grandi risultati in Europa, come la semifinale di Champions del 2006, con l’iconica squadra allenata da Manuel Pellegrini e con in campo tra gli altri Juan Román Riquelme e Diego Forlán.

Per una squadra come il Villarreal la comunione d’intenti tra ambizioni della società, idee dell’allenatore e valore della rosa è fondamentale per avere successo senza poter contare su grandi investimenti. Se nei primi anni del 2000 la squadra ha creato la sua fama grazie a vittorie e a giocatori di culto, l’ultimo biennio è sicuramente il picco della sua storia, grazie alla vittoria del suo primo trofeo, l’Europa League 2021 conquistata battendo in finale il Manchester United, e alla semifinale di Champions League raggiunta in questa stagione, che la vedrà affrontare il Liverpool.

Il Villarreal vive un momento di splendore grazie a una rosa ben calibrata tra elementi di livello, come Dani Parejo e Gerard Moreno e giovani promesse (cresciute in casa o prese a poco da fuori), come Danjuma e Pau Torres. Ma chi ha reso possibile il successo di questa squadra è senza dubbio l’allenatore Unai Emery, in grado di replicare in maniera simile il percorso che lo aveva portato a vincere per tre volte consecutive l’Europa League con il Siviglia, potendo contare su una squadra simile, per costruzione della rosa e possibilità di investire.

Emery è arrivato al Villarreal nell’estate del 2020, dopo essere stato esonerato dall’Arsenal nel novembre del 2019. Qualche mese prima con i Gunners aveva perso la finale dell’Europa League (che è praticamente il suo trofeo) contro il Chelsea di Sarri, la prima finale europea dell’Arsenal dopo ben 12 anni. Ha passato quindi senza squadra tutto il primo lockdown, chiuso nella sua casa di Valencia (a meno di un’ora di macchina da Vila-Real), prima di cedere alla corte del Villarreal, che voleva un allenatore in grado di rilanciare le ambizioni della squadra. Così ricorda la cosa Roig: «Abbiamo pensato che ci avrebbe dato un qualcosa in più. Non era lo stesso profilo che avevamo avuto prima. Era disoccupato e voleva tornare ad allenare in Spagna. Abbiamo visto una possibilità ed eravamo felici di avere un allenatore con il suo cachet, un curriculum come il suo. Ora siamo ancora più felici».

Il Villarreal gli offriva tutto quello che Emery non aveva avuto al PSG e all’Arsenal, ovvero un ambiente tranquillo dove potersi dedicare solo al campo, senza pensare troppo alla politica o alla gestione dell’ambiente. E se in Liga il suo approccio non ha portato i risultati sperati - la scorsa stagione il Villarreal l’ha chiusa al settimo posto e in questa è sempre al settimo posto - come abbiamo detto il salto di qualità a livello europeo è arrivato, a conferma di come l’Europa e il confronto diretto è l’habitat naturale dell’allenatore spagnolo. Certo, rimarrà sempre la macchia della sconfitta per 6-1 contro il Barcellona quando allenava il PSG, dopo aver vinto all’andata per 4-0, ma col passare del tempo quella sembra più una maledizione del PSG che un problema di metodi di Emery.

In carriera Unai Emery ha disputato 33 confronti eliminatori nelle coppe europee, vincendone 28 e perdendone 5. Dal 2013-14 ha vinto 22 volte su 24: uscito solo con il PSG agli ottavi contro il Barcellona e contro il Real Madrid, poi campione, la stagione successiva. In carriera ha raggiunto cinque volte la finale dell’Europa League, con tre squadre diverse, e l’ha vinta quattro volte, l’ultima l’anno scorso con il Villarreal. Quest’anno ha eliminato la Juventus agli ottavi e il Bayern Monaco ai quarti. Grazie a queste vittorie Emery si sta ritagliando una fama da mago delle partite ad eliminazione diretta in Europa difficile anche da spiegare. In questo tipo di sfide, soprattutto nella parte finale della stagione, quando basta un dettaglio per mandare all’aria tutto il lavoro fatto, Emery riesce sempre a trovare la soluzione giusta. Il suo Villarreal, ma è successo anche nelle altre esperienze, si muove nei 180’ dell’andata e ritorno come un pugile scafato, tirando fuori il colpo decisivo nel momento decisivo, quello necessario a mandare al tappeto l'avversario.

Nonostante gli appena 50 anni, Emery ha alle spalle già una carriera lunga più di tre lustri, che dopo la gavetta iniziale ha avuto sicuramente più successo di quella come giocatore - dove ha giocato per larga parte in Segunda. È partito dalla terza divisione col Lorca e ha scalato subito la piramide del calcio spagnolo. È passato da una promozione nella Liga con l’Almeria e a soli 37 anni ha avuto la grande occasione di allenare il Valencia. All’epoca il club manteneva uno status da terza forza, alle spalle del Barcellona di Guardiola e del Real Madrid di Mourinho, nonostante una crisi economica che lo costringeva a vendere pezzo per pezzo i migliori giocatori ogni estate. Lo era quindi soprattutto grazie a Emery, che ha cominciato a guadagnarsi l’aura da allenatore in grado di fare il massimo col materiale a disposizione. Il suo massimo splendore, però, lo ha raggiunto successivamente col Siviglia delle tre Europa League consecutive.

È una fase in cui si costruisce una strana reputazione. In campionato si limita al minimo indispensabile, in coppa però si esalta negli scontri diretti. Tutto il suo lavoro pare poter culminare solo nelle sfide contro le singole squadre tra andata e ritorno. Questa sua peculiarità, se così vogliamo chiamarla, lo rende più adatto a una squadra con relative ambizioni in campionato, ma con una rosa abbastanza competitiva per giocare le coppe europee. Emery sembra funzionare quando può studiare e trovare le contromisure adeguate all’avversario, preparare la propria squadra nei minimi dettagli per poter sfruttare poi i momenti delle partite a eliminazione in Europa, un mondo a parte, fatto di partite dentro altre partite. A oggi solo Pep Guardiola (31) e Rafa Benitez (13) sono gli allenatori spagnoli in attività ad aver vinto più trofei di lui.

Il Villarreal quest’anno è riuscito a uscire indenne da veri e propri assedi di squadre più quotate, prima la Juventus e poi il Bayern. La mano di Emery si è vista nell’aver creato un piano gara resistente, certo, ma soprattutto nel talento di individuare le mosse giuste per cambiare la partita in corso e sconfiggere gli assedianti. Emery è un paradosso: è un allenatore proattivo nel suo essere reattivo, nel senso che si esalta nel trovare il modo di rendere la vita più complicata possibile all’avversario, ma poi è molto ambizioso nelle mosse a partita in corso. Negli scontri diretti di 180’ questo paradosso offre qualcosa in più alle sue squadre, che invece nella quotidianità del campionato si banalizzano. Facciamo un paio di esempi da questa stagione: nella partita di ritorno degli ottavi contro la Juventus, al minuto 74, c’è l’ingresso decisivo di Gerard Moreno; mentre ai quarti contro il Bayern al minuto 84 quello di Samuel Chukwueze, due attaccanti dalle caratteristiche diverse, che parteciperanno ai due gol qualificazione decisivi dopo pochi minuti. Sono mosse decise per incidere nei momenti chiave della partita, e hanno funzionato.

Tendiamo a vedere il calcio spagnolo in modo omogeneo, ma al suo interno è un ecosistema più complesso di quanto riusciamo a immaginare, soprattutto grazie alle varie scuole regionali che lo compongono. Il successo della scuola catalano-olandese da Cruyff in poi ha spinto la Federazione a impostare una scuola comune per le sue nazionali e creato quella che ora chiamiamo la “scuola spagnola”, che negli ultimi quindici anni ha conquistato diversi trofei. Eppure è proprio nell’eterogeneità dei metodi che il calcio spagnolo trova la sua forza: il fatto che una squadra deve affrontare diversi tipi di proposta avversaria finisce per rafforzare la propria. Emery è un basco cresciuto in un calcio senza molti punti di contatto con quello che ora definiremmo classicamente "spagnolo". Non significa certo che le squadre di Emery siano prive di tecnica o pausa, sono degli strumenti con cui ha a che fare e che a modo suo esalta, come nel caso di giocatori deliziosi come Dani Parejo e Lo Celso. A rendere tanto mortifere le transizioni offensive del Villarreal è il misto di pausa, tecnica e verticalità. È una squadra verticale ma non frenetica, e che sceglie sempre il momento giusto per attaccare. Quello di Emery rimane un calcio prettamente reattivo, fatto di duelli individuali e verticalità: questa è la ricetta che ha trovato per competere, ed essere così efficaci negli scontri diretti.

Emery è quello che contro il Barcellona di Guardiola schierava il Valencia con due terzini sinistri lungo la stessa fascia (uno più difensivo e uno più offensivo - Jérémy Mathieu e Jordi Alba - sempre con l’idea di vincere i duelli individuali in difesa e in attacco). Un’idea rilanciata ora al Villarreal, in cui a volte ha schierato sulla fascia sinistra entrambi i due terzini sinistri, Alberto Moreno e Alfonso Pedraza, come all’andata contro la Juventus, o Alberto Moreno e Estupiñán contro l’Atalanta a Bergamo. Emery è quello che nella partita casalinga ha giocato senza esterni di ruolo nel 4-4-1-1 - larghi partivano Francis Coquelin e Giovani Lo Celso, che potevano tagliare al centro una volta recuperata palla, mentre le due punte si allargavano per ricevere ai lati della difesa per puntarla. Un meccanismo da cui è arrivato il gol vittoria.

Il suo Villarreal è una squadra reattiva, nel senso più classico del termine: una squadra che vuole rispondere al piano gara degli avversari, che se serve si chiude con tre linee che bloccano il centro del campo e accetta di farsi anche schiacciare al limite della propria area per alcuni tratti della partita. Eppure è anche una squadra che ha più di un’azione studiata prima, preparata ad hoc, per l’avversario di turno con cui sorprenderlo. Anche nelle sue fasi di sofferenza il Villarreal riesce a trovare il pattern giusto per arrivare a costruire un’occasione. Si lascia schiacciare, ma non soffocare, lascia il controllo, ma è consapevole di cosa fare quando può attaccare. Una squadra sa unire alla perfezione i momenti di pausa di Parejo a centrocampo con la rifinitura sulla trequarti di Gerard Moreno, a cui si aggiunge la velocità nei tagli e il dinamismo di Danjuma. Emery dosa le caratteristiche di tutti per creare tanti modi diversi per attaccare una volta recuperata palla.

Per esempio nel pareggio contro il Bayern in Germania ha creato un totale di 3 occasioni, arrivate da tre situazioni diversa. La prima sul finire del primo tempo, una costruzione dal basso su una palla recuperata nella propria area. Cinque giocatori spagnoli hanno impostato una fase di attacco posizionale contro i sei del Bayern; il risultato è un un filtrante in area per il tiro di Gerard Moreno. La seconda occasione è all’ottantesimo: un rilancio lungo del portiere per la perfetta sponda di testa di Gerard Moreno e la conclusione dopo il primo controllo di Danjuma. La terza arriva con un contropiede tutto palla a terra gestito da Dani Parejo, che dopo la pausa verticalizza per Lo Celso, che a sua volta conduce prima di cederla a Gerard Moreno che fa l’assist per il gol di Chukwueze.

In un’intervista su El País è stato chiesto al difensore centrale Pau Torres se il gol contro il Bayern arrivava da una giocata preparata: «Il giorno prima Emery ha portato 11 ragazzi dalle giovanili a simulare il Bayern. Ha detto ai centrocampisti che dovevano trovare Giovani [Lo Celso] in modo che Gerard e Danjuma potessero correre. In questo caso c'era Samu [Chukwueze] e hanno sfruttato bene il vantaggio anche perché il Bayern non ha ripiegato con la linea difensiva ordinata». In vista della partita Emery aveva quindi preparato i giocatori a riconoscere il pattern con cui pensava di poter far male al Bayern. La squadra di Nagelsmann, del resto, aveva mostrato fragilità in transizione difensiva per tutta la stagione. Al Villarreal non serviva attaccare in superiorità numerica, soltanto trovare il momento giusto per un filtrante pulito per Lo Celso a centrocampo e attaccare lì la transizione difensiva del Bayern, con i due attaccanti larghi a correre ai fianchi dei centrali. E questo è successo. Non è un caso se nei minuti finali con la squadra in svantaggio, Emery ha cambiato Danjuma con Chukwueze, ovvero il suo attaccante veloce con un esterno altrettanto veloce messo in attacco, invece della punta Paco Alcácer. Un finalizzatore migliore, ma un giocatore più lento e quindi meno adatto alla tipologia di azione scelta. Quattro dopo il suo ingresso in campo, Chukwueze ha segnato.

Intervistato dal Guardian, Coquelin ha speso parole al miele per Emery proprio in relazione al livello di preparazione che offre alla sua squadra: «Ha un credito enorme qui, e se lo merita. Tutta la squadra è dietro di lui. Lavora davvero sui dettagli e il video è una grande parte di questo. Aiuta: abbiamo guardato molto attentamente come il Bayern ha giocato contro il Salisburgo e ora siamo in semifinale».

Le sue sessioni video in cui disseziona gli avversari per mostrarne i punti deboli alla sua squadra sono un punto focale, Emery sa di doversi presentare come preparatissimo e a volte è davvero estremo. Racconta Joaquín, uno con la battuta sempre pronta, che nel suo periodo a Valencia le sessioni video di Emery duravano molto più di quello a cui era abituato: «I suoi video andavano avanti così a lungo che mi andavo a prendere i popcorn».

È questa, però, forse la forza, e al contempo il suo limite: un allenatore perfetto per contesti come quello del Villarreal, di squadre che sanno di essere inferiori e devono quindi fare la partita della vita. Emery prepara minuziosamente giocatori che si fidano ciecamente delle sue parole. Coquelin riconosce che per funzionare questo approccio serve il contesto giusto, soprattutto Emery deve poter creare un canale di comunicazione con lo spogliatoio. Qualcosa che fuori dalla Spagna non gli è riuscito: «Guardate il PSG: guardate cosa stanno facendo ora e non è meglio di quando lui era lì. Purtroppo il calcio non ha pazienza. Per Unai, penso che la barriera linguistica sia stata difficile. Ha bisogno di comunicare il suo messaggio ai suoi giocatori. Qui lo fa facilmente; era più difficile al PSG e all'Arsenal».

Gli strumenti di Emery non hanno funzionato al PSG e nell’Arsenal anche e soprattutto perché i giocatori hanno perso la fiducia nei suoi metodi. Far stare ore lo spogliatoio del PSG a vedere video su come attaccare meglio gli avversari non è certo il modo migliore per non farsi rispettare. Specie se poi la squadra perde 6-1 la partita decisiva della stagione. In Premier era considerato “overthinker” e un indeciso (“thinkering”): due marchi a fuoco con per cui sono passati sia allenatori reattivi come Ranieri, che proattivi come Guardiola. L’allenatore deve sembrare sempre in perfetto controllo della situazione, ma come può sembrarlo l’allenatore che parla un inglese stentato, diventato meme per il suo “good ebening”?

A Londra Emery aveva l’aria del nevrotico, coi capelli perennemente ingelatinati all’indietro, il sorriso sempre teso, il naso storto, il gesticolare a bordocampo. Al Villarreal invece Emery trasmette metodo e preparazione. I giocatori sono in perfetta sintonia con le sue idee e con la sua capacità demiurgica. Le sue nevrosi sono diventati i tic del perfezionista. Emery ha costruito una carriera sulla capacità di ragionare una mossa in più rispetto agli avversari. Quando gli chiedono se si sente una stella dopo aver battuto il Manchester United in finale di Europa League, Emery ha potuto tirare fuori il suo manifesto davanti ai microfoni: «Stella no. Ho 17 partite del Manchester United analizzate. È un successo che arriva dal lavoro, niente di più».

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