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Tutti gli occhi sull'Under-21
14 giu 2019
Un'intervista a Di Biagio e ad altri membri dello staff.
(articolo)
18 min
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Domenica comincia l’avventura dell’Under 21 nell’Europeo ospitato in Italia. Il CT Di Biagio ha convocato una delle rose più competitive ma all’esordio troverà subito un’avversaria di altissimo livello, la Spagna, per testare la fondatezza delle proprie ambizioni. Con quali sensazioni si arriva a un torneo prestigioso da padroni di casa? Come si lavora ad una Nazionale che per definizione ha una data di scadenza e ogni due anni si rinnova profondamente? Con questo tipo di domande in testa ho incontrato Di Biagio e il suo staff, a Roma, pochi giorni prima dell’inizio delle danze.

Dopo una carriera di Serie A valorizzata dalle stagioni con Palermo e Lazio, da qualche anno Massimo Mutarelli è diventato allenatore. Ha seguito gli Allievi e la Primavera dell'Empoli, prima di essere chiamato in azzurro al fianco di Di Biagio, come vice, all'inizio del biennio che si concluderà con questo Europeo. Con lui, dietro le quinte, lavorano all’Under anche Mauro Sandreani (Responsabile dell'Area Scouting) e Maurizio Viscidi (Coordinatore delle Nazionali Giovanili): «Durante l'anno, nei periodi lontani dai nostri ritiri e dalle nostre partite, abbiamo un piano di lavoro fatto di riunioni e analisi», dice. Tutto l'anno, al lavoro sul monitoraggio dei giocatori, ci sono quattro osservatori a cui si aggiungono il CT, il vice e il match analyst: «Ogni settimana ognuno di noi guarda almeno tre partite, dal vivo o in video. In video si colgono molti meno particolari, ma per poter visionare molti incontri è inevitabile ricorrere anche a quel mezzo». Poi, ognuno individualmente produce relazioni sui giocatori visionati e se ne parla in riunioni settimanali: «Ci troviamo qui in FIGC oppure davanti a un caffè dato che viviamo tutti a Roma. Ci aggiorniamo sui ragazzi e sulle idee da proporre al gruppo alla convocazione successiva».

Esistono anche riunioni plenarie, con gli staff e gli osservatori di tutte le Nazionali giovanili dall'Under 16 all'Under 21. Quelle si tengono rigorosamente a Coverciano, due volte al mese. «Nell'ultima, ad esempio, Viscidi ha preparato un approfondimento su una soluzione tattica molto interessante adottata da una squadra della Serie B tedesca. Ci aggiorniamo sulle novità che arrivano anche dall'estero e facciamo il punto su tutte le nostre nazionali. Un momento per condividere tutti assieme lo stato della crescita di tutti i nostri ragazzi. Se necessario anche affrontando questioni extra campo».

Mutarelli parla di una visione a tutto tondo, che abbraccia ogni elemento della crescita degli atleti. Alcune età sono terre di mezzo verso l'età adulta, la maturazione umana e sportiva può incepparsi oppure accelerare, seguendo percorsi non sempre lineari. Un discorso che però non vale più molto per l'Under 21: «Il nostro è l'ultimo stadio del settore giovanile. Da noi abbiamo calciatori che hanno talvolta anche esperienza internazionale, sono più pronti a livello caratteriale ed evoluti calcisticamente. Il loro bagaglio di conoscenze tattiche gli permette, nel giro di uno o al massimo due allenamenti con noi, di azzerare le richieste che ricevono nel loro club e calarsi alla perfezione nelle nostre».

Foto di Paolo Bruno / Getty Images.

«Abbiamo un modello in cui credo ciecamente»

Ma il torneo è alle porte e i ragionamenti si fanno per forza di cose più pratici, più vicini al campo. La sua squadra di Di Biagio non gioca una partita che valga i 3 punti dal giugno del 2017 e ora si deve calare dentro un torneo che molti si aspettano possa vincere. In questo senso, dico a Di Biagio, non è così scontato che essere qualificati di diritto sia un vantaggio. «Come al solito ci sono aspetti postivi e negativi. Certamente ho potuto sperimentare molto con i ragazzi».

Di Biagio dice che in ogni biennio in cui ha allenato l’Under 21 (dal 2013, con un buco in cui ha allenato la Nazionale maggiore post-Ventura, una primavera fa) ha colto dei momenti in cui le sue Nazionali sono diventate davvero squadra: partite della svolta dopo le quali la fisionomia e il carattere del gruppo raggiungevano un'evoluzione palpabile. «Quel momento è una delle cose che la qualificazione di diritto ci ha tolto. Senza i punti in palio è difficile raggiungere i livelli di tensione mentale e di enfasi del risultato che ti portano alle vere svolte lungo il tuo cammino. In questo caso la crescita è stata più graduale, senza gli strappi che può darti la vittoria importante, nella partita delicata».

L'Italia Under 21 è la nazionale di categoria più titolata d’Europa: dal 1992 al 2004, poco più di un decennio, ha vinto 5 titoli; ora però non vince nulla da 15 anni e l'Europeo in casa sembra l'occasione perfetta. «Tutti ci chiedono di vincere e credo che anche la delusione successiva allo spareggio con la Svezia stia facendo da volano. Un nostro successo rimarginerebbe almeno in parte la ferita per i Mondiali di Russia persi. Tutto il movimento non vede l'ora di metterla alle spalle». Rispetto alle ultime edizioni degli Europei, la distanza con le altre Under 21 si è ridotta e dunque le aspettative sono lievitate. Dopo due anni senza alcuna ansia da risultato, il gruppo dovrà sostenere da un giorno all'altro il carico delle pressioni. «Nella mia carriera ho sempre gestito grandi responsabilità e non sono preoccupato. I ragazzi sono giovani, ma molti di loro hanno anche già diverse partite internazionali. Siamo attrezzati, non ho nessun dubbio». Che cosa si dice a ragazzi giovani già sotto pressione? «Gli dirò che dovremo trasformare le aspettative in forza. Che saranno la nostra benzina».

Per Di Biagio avevo alcune domande che di fronte ai suoi discorsi sono presto apparse inutili. Riguardavano la difficoltà di lavorare ad una nazionale che ha fisiologicamente una vita breve. Vedere il proprio lavoro quasi completamente azzerato ogni ventiquattro mesi. Sapere che i migliori possono anche esserti “scippati” dalla nazionale maggiore. Domande logiche se si guarda al suo lavoro da fuori. Domande campate per aria non appena si inizia a cogliere come lavorano il suo staff e quelli di tutte le Under azzurre.

«La rivoluzione l'hanno pensata e scritta Sacchi e Viscidi, nel 2010. Hanno gettato le basi per l'integrazione totale di tutte le nazionali». L'obiettivo condiviso è quello di produrre generazioni di giocatori all'altezza degli standard internazionali e del blasone di una federazione che ha quattro stelle dentro al proprio stemma. «Molti dei ragazzi che potrei portare all'Europeo li conosco da quando avevano quindici anni. Kean è un buon esempio, di lui da anni leggo le relazioni dei miei colleghi delle Under. Tutti seguiamo i gruppi di tutti, vediamo gli allenamenti, vediamo le partite. Siamo costantemente aggiornati sui progressi di tutti i ragazzi e compiamo insieme ogni scelta in funzione del loro passo successivo. Pensa anche a Tonali: a settembre faceva le qualificazione con l'Under 19 e a novembre era in Nazionale A. Tutte le squadre sono interconnesse».

Gli chiedo se non siano scontati il dialogo e la collaborazione orizzontale tra le varie nazionali, mi fa capire di no: «Le persone fanno sempre la differenza». Di Biagio racconta ad esempio di come Mancini si sia calato dentro a quel sistema: «Roberto ci ha ascoltati. Ha voluto capire come lavoriamo e ci ha fatto mille domande. Ha capito il patrimonio di dati e informazioni che abbiamo a disposizione sui giocatori e ne ha subito colto i vantaggi. Le convocazioni di Tonali e Zaniolo, quando quest'ultimo doveva ancora affermarsi come titolare della Roma, ne sono state la dimostrazione. Due attestati per il nostro lavoro».

Foto di Paolo Bruno / Getty Images.

Di Biagio ha ricevuto diverse offerte in questi anni, da squadre di club, ma ha sempre rifiutato, nonostante per qualcuno un allenatore per sentirsi davvero tale debba poter lavorare quotidianamente con la propria squadra: «Certo che è così, anche a me piacerebbe. Ma lo stimolo che ti dà dover trasferire dei concetti in pochissimo tempo, e razionalizzare ogni minuto utile, è enorme. La tua metodologia diventa ancor più decisiva. Credo troppo nel lavoro che stiamo facendo qui. Abbiamo creato un modello e vado orgoglioso di prenderne parte». Ci si sente in un certo senso meno allenatore e più manager? «Se vuoi, in un certo senso sì. Devo pensare a molte più cose oltre al lavoro sul campo della mia squadra».

I risultati sono comunque importanti. Specie alla vigilia di un torneo che potrebbe nobilitare questi nove anni di vita del “modello”. «Purtroppo è sempre mancata la ciliegina di un trofeo. I riscontri sull'importanza del nostro lavoro, sono tuttavia oggettivi. Per la prima volta nella storia della FIGC, U17 U18 U19 U20 e U21 arrivano nello stesso anno alle fasi finali dei tornei internazionali. Stiamo ormai arrivando sempre e il consolidamento dei risultati su alti livelli è la controprova più grande del buon lavoro svolto. Puoi vincere un Europeo Under 21 ma se poi per otto anni sparisci significa che il lavoro non è stato corretto. Che ci sei arrivato per l'annata buona e poco altro. Noi invece ci stiamo confermando, stiamo costruendo un percorso. Il merito è di tutto il lavoro quotidiano che viene impostato tra Roma e Coverciano. Quando lascerò, chi arriverà qui dopo di me troverà competenze e informazioni di valore inestimabile».

Per Di Biagio questa è una squadra più completa rispetto a quelle del 2015 e del 2017. «La più completa e anche la più giovane. Abbiamo in rosa cinque annate, dai '96 ai 2000. Una raccolta dei più bravi di ognuna di quelle annate, a differenza delle altre due nazionali precedenti che erano più sbilanciate sulle annate più “vecchie”».

Prima di salutare Di Biagio ho il tempo per chiedergli come vede l'eterno dilemma dello spazio concesso ai giovani. Giocano poco perché non sono così bravi, oppure non sono così bravi perché giocano troppo poco? «In Italia la nostra mentalità è sempre stata più prudente. Perdi un paio di partite e ti affidi ai vecchi. Con i giovani devi avere pazienza. Devi sapere che sbaglieranno e sbaglieranno molto. E quando sbagliano devi rimetterli. Guarda l'Ajax come esempio su tutti. Ma spesso manca il coraggio e la pazienza di aspettarli e di insegnarli. Se ci pensi quelli che li fanno giocare sono sempre gli stessi, indipendentemente dalla società in cui lavorano: Di Francesco, De Zerbi, Mihajlovic, Gasperini e pochi altri. Questo significa che lo spazio ai giovani è una scelta prima di tutto nelle mani dell'allenatore. E all'estero è più facile trovare allenatori predisposti al lavoro sui giovani».

Ma una parte di responsabilità ce l'hanno gli atleti: «Dico sempre ai ragazzi che devono imporsi di più, tenersi stretto il posto, lottare. La verità sta nel mezzo. Anzi no, dai. Diciamo un 70-30 come peso delle due componenti».

Gestire la pressione

Vito Azzone, il preparatore atletico dello staff di Di Biagio, deve integrare il suo lavoro con quello che già altri suoi colleghi hanno impostato durante l'anno. Con la difficoltà di doverlo svolgere con atleti che sulle gambe hanno già una stagione intera. Come si allena un atleta già allenato da altri? «La prima cosa da valutare è comprendere chi hai di fronte. In un gruppo come il nostro abbiamo chi ha giocato tutto l'anno, chi invece ha giocato poco e chi non ha quasi mai visto il campo».

Le differenze sostanziali all'interno della rosa dei 23 sono anche nei differenti approcci mentali mantenuti durante la stagione. «Arrivano da squadre che hanno fatto campionati diversi con obiettivi differenti. In squadre con livelli fisici e tecnici in alcuni casi parecchio distanti. Il nostro lavoro parte da qui. Dalla valutazione di ogni singolo giocatore e della storia dei suoi ultimi mesi». Mi chiedevo se lui e i suoi collaboratori ricevessero ad inizio ritiro i programmi di lavoro svolti durante l’anno: «Negli ultimi anni il flusso delle informazioni tra nazionale e club è diventato costante e profondo ad ogni livello. Molto più di quanto non lo fosse prima. Nel nostro ambito specifico, l'area performance guidata da Valter Di Salvo (in passato preparatore negli staff di Real Madrid e Manchester United ndr), siamo aggiornati settimanalmente su ogni dettaglio del lavoro che svolgono i nostri ragazzi nei club, così come lo sono gli staff dei club quando i giocatori vengono da noi. È una garanzia fondamentale per tutti: società d'appartenenza, nazionale e atleta».

E non è difficile doversi interfacciare agli stili di lavoro di molti preparatori? «Sì, ogni preparatore ha il suo metodo ma la preparazione fisica è sempre studiata come supporto all'obiettivo tecnico e tattico. Dunque è fisiologico che chi arriva da noi abbia lavorato in modo differente, ma non tanto per la differente mano del preparatore, quanto per la differente idea di gioco del singolo allenatore. È quella che influenza più di tutto il lavoro fisico».

Negli ultimi anni si è parlato spesso del differente ritmo tra calcio italiano e calcio internazionale. Che le ragioni siano anche fisiche? Anche legate al lavoro dei preparatori? «Credo che non ci sia una risposta perché in realtà ce ne sono molte. Confermo che anch'io non ho alcun dubbio riguardo alla velocità maggiore delle partite internazionali. Sarebbe riduttivo però parlare di una questione prettamente fisica».

Gli viene in mente un esempio pratico, legato a Juve-Bayern, ottavi di Champions del 2016. «Il Bayern era in vantaggio 2-0 a mezzora dalla fine, poi era stato rimontato 2 a 2. Guardiola nel post partita l'aveva spiegato bene. Gli chiedevano se fosse stato un calo fisico e lui aveva risposto parlando di una questione emozionale. Ad influire sulla velocità e sui ritmi del gioco concorrono molti fattori. Le pressioni, la fiducia, la giocata riuscita, il gol sbagliato, le scelte dell'allenatore. Ecco perché penso che attorno alla velocità superiore giocata all'estero, le valutazioni non possono essere solo sul piano della condizione fisica».

Foto di Alessandro Sabbatini / Getty Images.

Massimo Ambrosini è diventato il capo delegazione dell'Under 21 ad agosto del 2018. Poco meno di un anno dopo, con l'Europeo alle porte, che tipo di esperienza è stata? «Volevo conoscere questa parte del mondo del calcio. Ho potuto vedere con i miei occhi come lavora uno staff preparato come quello di Gigi. Ho potuto scoprire lo straordinario progetto impostato da Viscidi per tutto il settore giovanile della Federazione, e capire come si muove la macchina organizzativa di un evento importante come l'Europeo in casa nostra. È stato molto interessante».

Gli chiedo come si affronti un torneo con aspettative così alte. «Il valore dei singoli in rosa è molto alto. Ma i tornei non si vincono solo così. Serve coesione e appartenenza. E in questo gruppo vedo anche quelle. Il gruppo è sano». Sento che stanno per arrivare anche dei però. «Come sempre nel calcio uno più uno non fa sempre due. La mia opinione è che nel nostro caso le incognite possano essere legate principalmente alla gestione della pressione. Più si andrà avanti e più aumenterà. Credo dovranno essere bravi soprattutto in quella chiave».

Ma siamo molto più vicini alle altre nazionali rispetto alle ultime edizioni. «Ci sono anche alcuni ragazzi ormai da mesi nel giro della Nazionale A. Le altre restano comunque squadre molto forti. La Germania l'abbiamo affrontata ed è solidissima. La Francia ha una quantità di talenti infinita. Ma se devo dirtene una penso all’Inghilterra, mi ha impressionato. Hanno un grande bacino e individualità notevoli come Phil Foden del City».

E come la vivono i giocatori?

«Tra un mese vorrei poterti dire che il merito è stato tutto del gruppo». Rolando Mandragora non si lascia scappare il merito di che cosa, ma la scaramanzia non può nascondere l'obiettivo palese. Prosegue: «Per ora non abbiamo ancora studiato gli avversari con video e riunioni nel dettaglio. Lo faremo nei prossimi giorni. Siamo comunque già molto preparati, conoscerli è il nostro lavoro». Anche lui parla dell’Inghilterra e di Phil Foden, ma aggiunge la Spagna, la prima avversaria: «Sempre grande squadra e belle individualità. Fabian Ruiz e Dani Ceballos, per citarne due».

Ci siamo sentiti prima che iniziasse il ritiro di Bologna, Mandragora stava per andare in vacanza: «Vado a rilassarmi per qualche ora con la mia ragazza, ricarico le batterie. Prima però c'è Italia-Mali. Ci stiamo preparando per guardarla tutti insieme e fare il tifo». Parla dei quarti di finale del Mondiale Under 20. Né io né lui sapevamo che sarebbe finita 4-2 per gli azzurri, né che Pinamonti avrebbe segnato una doppietta. L’Italia sarebbe poi uscita in semifinale, sconfitta dall’Ucraina, e Pinamonti si sarebbe infortunato, dovendo rinunciare alla convocazione di Di Biagio per l’Europeo U 21. Al precedente mondiale U-20 il capitano era proprio lui, Mandragora, anche in quel caso l’Italia arrivò in semifinale. Mi tornano alla mente le parole del CT e di Mutarelli, con il concetto dei vasi comunicanti tra un Under e l'altra. «Ci conosciamo un po' tutti. Molti di noi hanno condiviso convocazioni con molti di loro».

Mandragora è molto disponibile, eppure la sostanza delle risposte è abbottonata. Si sente la pressione del torneo che sta per iniziare, non vuole lasciarsi scappare proclami o frasi interpretabili, così spesso usa le formule rodate di «importanza del gruppo», di «non possiamo sbagliare l'approccio alle partite». Non è il momento di fare analisi o dare impressioni dalle troppe sfaccettature. Gli chiedo se come si gestisce un carico enorme di aspettative e di pressioni come quello che c’è oggi sulla Under 21. «Le pressioni diciamo che non le calcolo nemmeno. Se fai questo lavoro devi darle per scontate. Ha anche poco senso considerarle un fattore da gestire per quanto sono inevitabili. Non siamo più i ragazzini delle Under come eravamo negli scorsi anni. Le pressioni siamo pronti ad affrontarle. Le aspettative invece è normale che ci siano e se sono alte è solo un bene».

Non ha dubbi nemmeno sulla concentrazione in un periodo in cui i bagliori lividi che escono dalle tv, a tarda sera, sputano bombe di mercato che possono riguardare anche i suoi compagni. Ad esempio Chiesa, conteso tra nuove proprietà americane e accordi di massima per un trasferimento che farebbe rumore. «Non esistono tecniche per isolarsi dal calciomercato. Sta all'intelligenza e al carattere di ognuno. Ciascuno le affronta in maniera diversa. Però metto la mano sul fuoco sulla totale concentrazione di tutti. Abbiamo un solo pensiero nelle prossime settimane».

Cosa vuol dire mettere la maglia dell’Italia, come lo spiegherebbe ad un suo amico, senza frasi fatte? «Se giochi per il club sai che hai un gruppo di persone a sostenerti. Condividono una fede. Ti spingono tutta la settimana e durate la partita. Se giochi per l'Italia è diverso. La spinta ti arriva da te stesso invece che da una tifoseria. Sai che stai giocando per tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli. Non so se te l'ho spiegato. Non saprei dirtelo diversamente».

Foto di Alessandro Sabbatini / Getty Images.

Maurizio Viscidi inizia così: «Hai parlato con Mandragora? Allora ti racconto un aneddoto su di lui. Aiuta capire come abbiamo cambiato il modo di lavorare di tutte le Under».

L'Under 17 era in ritiro a Chiavari per preparare un'amichevole e il CT Zoratto s'era messo a fare la conta dei superstiti. La rosa era falcidiata dagli infortuni. Faticava anche a mettere in campo due squadre sufficientemente numerose per provare schemi nelle partitelle. Allora aveva telefonato a Viscidi. «Maurizio ho bisogno di qualche ragazzo. Non riesco a fare nulla sennò». Viscidi allora s'era messo a cercare qualcuno che potesse raggiungere Chiavari in poco tempo. Sapeva per esempio di un ragazzo interessante degli Allievi del Genoa. Aveva chiamato la società e il ragazzo si era presentato all'allenamento azzurro con il borsone rossoblù. Il giorno dopo Zoratto aveva telefonato di nuovo. «Maurizio io questo lo voglio far giocare domani in amichevole. È più bravo dei miei».

Quella volta Zoratto s'era dovuto arrendere. Mandragora non era convocato, era solo stato chiamato per non giocare in dispari in allenamento. La burocrazia impediva di metterlo in campo. Ma dalla convocazione successiva entrò nel giro azzurro per non uscire più. «La storia di Mandragora ti fa capire quanto teniamo allo scouting. Ad avere schede e informazioni di centinaia di ragazzi convocabili. Ti fa capire anche l'importanza di avere un rapporto costante e diretto con i club».

Dopo il mondiale in Sudafrica e l'eliminazione ai gironi, ai vertici della Federcalcio - allora c’erano Abete e Albertini - era apparso evidente che ci fosse un problema di ricambio generazionale. A dirigere il nuovo corso delle giovanili federali era stato chiamato Arrigo Sacchi. Che a sua volta aveva voluto Maurizio Viscidi come vice. Dal 2016 è lui l'uomo al comando della rivoluzione impostata allora. «Quando siamo arrivati non esisteva nessuna scheda di nessun calciatore. Abbiamo impostato una metodologia unica per tutte le Under. Abbiamo chiesto e ottenuto riforme per i campionati giovanili. Abbiamo triplicato il numero delle partite internazionali giocate ogni anno».

Con Viscidi parlo lunedì 10 giugno, il giorno che precede la semifinale mondiale dell’Under 20. Gli dico che tutti quelli con cui ho parlato mi hanno fatto il suo nome come uomo simbolo della qualità di lavoro che si respira in Under 21 e del modello di cui parlava Di Biagio. «Mi fa molto piacere. Forse ti hanno parlato tutti di me perché interpreto il mio ruolo essendo sempre molto presente. Mi vedono molto spesso».

Gli chiedo se anche lui sia dell'idea di Di Biagio, cioè che tutto questo lavoro non sia ancora stato legittimato da un trofeo. «Da quando sono arrivato abbiamo perso quattro finali. Tutte agli Europei. Due con l'U-17 e due con l'U-19. Darei il mio stipendio per vincere un oro. L'oro dà una certa visibilità, un certo appagamento. Ma dentro di me so che la continuità vale più di un oro». La valutazione va fatta sul percorso intrapreso, sull'evoluzione di tutto il movimento. «Puoi anche vincere ma se non ti ripeti a che serve. La Danimarca nel 1992 o la Grecia nel 2004 cosa hanno lasciato al loro calcio? L'altra faccia della medaglia è l'Olanda di Cruijff. Hanno perso due mondiali eppure hanno cambiato il calcio. I risultati sono importanti ma non sono tutto».

E quindi cosa possiamo aspettarci da questo Europeo giocato in casa? «Credo sia l'Under 21 più forte di questi dieci anni. Lo è per talento e per presenze in serie A. Se devo trovare una potenziale difficoltà sta nella capacità dei giocatori in orbita Nazionale A di calarsi nella squadra più giovane. Raggiungeranno il ritiro dopo due partite di qualificazione con i grandi. In quei casi c'è sempre il rischio che possa essere vissuto come un ridimensionamento. Di Biagio, loro e il resto del gruppo dovranno creare in pochi giorni uno spirito di squadra. Ma sono valutazioni che abbiamo fatto. Sono ragazzi che consideriamo pronti mentalmente anche per questo».

Agli Europei, tra pochi giorni, ci sarà anche Viscidi. E come tutti quelli intervistati, vorrebbe tornare dalla Polonia il più tardi possibile. Magari con una torta con una ciliegina sopra.

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