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Il derby più atteso dell'anno
13 ago 2019
Storia della seconda squadra di Berlino, l'Union, e del suo approdo in Bundesliga.
(articolo)
11 min
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I giocatori del BSG Chemie Guben rimasero stupiti quando videro scendere in campo i calciatori dell’Union Berlin e, tutt’attorno, i 700 tifosi presenti allo stadio An der Alten Försterei si stropicciarono gli occhi dall’incredulità: «Cosa sono queste maglie con al collo stelle bianche su un triangolo rosso?», domandavano alcuni. Mentre altri: «E questa scritta Brauer? E poi Puma?».

Era una partita di DDRLiga, la seconda divisione del campionato calcistico della Repubblica Democratica Tedesca, del 14 dicembre 1989: il Muro di Berlino era caduto da poco più di cinque settimane. La società berlinese, da sempre dissidente nei confini ristretti ideologici della DDR, decise di sorprendere tutti con un provocatorio gesto di liberazione: fu la prima squadra della Germania Est a indossare uno sponsor sulla maglia, Brauer per l’appunto, 30mila marchi per indossare il logo di una ditta di pulizie della Germania Ovest, cosa ancora più significativa.

Pioneristica su certi aspetti, la società berlinese che ha sede a Köpenick, distretto a sud-est di Berlino, ha impiegato però esattamente 30 anni per approdare per la prima volta nella sua storia in Bundesliga, torneo che vide la luce proprio dopo la fusione delle due Germanie, agli albori degli anni ‘90. Nella stagione 2018-2019 della 2.Bundesliga, la squadra allenata dallo svizzero Urs Fischer, alla prima panchina tedesca, è arrivata al terzo posto, chiudendo dietro Colonia e Paderborn e lasciandosi alle spalle l’Amburgo, con sole cinque sconfitte e la miglior difesa (34 gol subiti nella regular season).

Il terzo piazzamento ha consentito all’Union di disputare la Relegationsspiel in un doppio spareggio contro lo Stoccarda, finito 2-2 all’andata e 0-0 in casa, all’Alte Försterei.

Vento dell’est

Negli ultimi dieci anni l’Union Berlin è rimasto fissa in Zweite e non si era avvicinato alla promozione, una chance sfruttata al primo colpo. Se escludiamo il RasenBall Lipsia, fondato nel 2009 e che di orientale ha solo il codice d’avviamento postale, sono solamente altri quattro i club provenienti da Est che hanno avuto la possibilità di disputare almeno una stagione in Bundesliga: l’Hansa Rostock, la Dynamo Dresda, la Lokomotive Lipsia e l’Energie Cottbus.

Del resto, evaporata la cortina, il Fußball orientale tedesco si svegliò dal torpore e fu sin da subito chiaro il dislivello tra le due aree: a Est il calcio, come lo sport in generale, era di fatto dilettantistico, molti atleti dopo la riunificazione vennero acquistati dai club occidentali e le società a levante arrancavano per preparazione e stabilità economica. E poi si veniva da decenni di soprusi, fughe, morti sospette: la squadra rossa e bianca berlinese ha dovuto subire anni e anni di torti e di ingiustizie da parte della BFC Dynamo, più conosciuta come Dynamo Berlin, che era la squadra della Stasi, l’organizzazione di sicurezza e di spionaggio della Germania Est.

Da un lato, quindi, c’era il club che rappresentava il dominio e la manipolazione dello Stato, la squadra per cui Erich Mielke, fondatore della Stasi, faceva il tifo; dall’altro, una squadra che anno dopo anno è diventata sempre più simbolo di dissenso civile, una roccaforte di indipendenza e di rigetto del potere. Qui nacque quel soprannome “Eisern Union” (unione di ferro) che con fierezza viene ancora urlato allo stadio. Una scelta non facile: sportivamente parlando, coincise con anni di buio pesto e profondo, oscillando nelle leghe inferiori.

Pochi sussulti, uno nel 1968, con la vittoria della FDGB Pokal (“Freier Deutscher Gewerkschaftsbund Pokal”, la Coppa della Federazione della Libera Unione Sindacale Tedesca) per 2-1 contro il Carl Zeiss Jena, con il capitano Ulrich Prüfke che ha avuto l’onore di alzare uno dei pochissimi trofei nella bacheca del club.

L’anno dopo, in virtù di questa vittoria, il club avrebbe dovuto disputare la Coppa delle Coppe, ma i carri russi e la Primavera di Praga cambiarono il corso della storia.

Hertha gegen union: derby tra amici

Il corso della storia è cambiato anche in termini di rivalità. L’Union è la quinta società con sede a Berlino a disputare la Bundesliga, dopo il Tennis Borussia Berlin, il SV Blau Weiss Berlin, il Tasmania 1900 Berlin e, ovviamente, l’Hertha BSC contro cui, nella stagione 2019-2020, giocherà il primo derby nella massima serie.

Oggi sembra un ossimoro mettere nella stessa frase le parole “derby” e “amici”, eppure tra le due squadre berlinesi fino agli inizi degli anni ’90 non c’è rivalità. Anzi, il sentimento predominante era la simpatia, ed è facile credere che molto sia dipeso dall’ingombrante presenza del Muro, che per 30 anni ha tenuto lontano le due realtà calcistiche. Le due tifoserie, dagli anni ’70 fino al crollo, avevano un reciproco rapporto di stima: nelle case delle famiglie a Est venivano trasmesse le partite del club occidentale e divenne quasi naturale avere un debole per “gli altri”. Reciprocamente le tifoserie indossavano anche sciarpe, berretti e giubbotti con i colori dell’altro club, con delle patch fatte in casa con scritte del tipo “Amici dietro il filo spinato” o “Hertha e Union - una nazione”.

Due giorni dopo la caduta del Muro, l’11 novembre 1989, l’Hertha giocava un match in casa contro il Wattenscheid 09: gli appassionati di calcio orientali colsero la palla al balzo, approfittando della libertà di circolazione, per assistere all’incontro. Lo stadio era stracolmo di 55.000 spettatori invece della solita affluenza di circa 10.000 tifosi. L’Hertha ottenne con difficoltà il pareggio per 1-1, ma venne celebrata tra gli spalti come una grande vittoria e in futuro si dirà che l'allenatore del Wattenscheid, Hannes Bongartz, non avesse voluto vincere la partita per non rovinare l’atmosfera che si respirava quel giorno.

Sulla scia di questa positività ed euforia, il 27 gennaio 1990, nell’imponente cornice dell’Olympiastadion, si disputò il “Wiedervereinigungsspiel” ovvero la “partita della riunificazione”.

La Germania Ovest e la Germania Est si ritrovarono da un momento all’altro senza una barriera, erano “nude” e impreparate dinanzi al futuro e, in quel clima di incertezza, l’incontro tra Hertha e Union senza dubbio facilitò e alleggerì il dialogo tra le due nazioni. Fu il primo, vero tentativo di cucitura: il match fu organizzato dalle Poste tedesche, il biglietto costava cinque marchi (non importava se fossero della Repubblica federale o quella democratica) ed era stata data libera possibilità di raggiungere lo stadio usando mezzi pubblici o privati, così per la prima volta si videro le Trabant (automobili tipiche dell’est) parcheggiate fuori.

Ben 51.720 tifosi si presentarono alle 14.30 per il fischio di inizio, sul campo, l’Hertha vinse 2-1 e l’ironia e il destino anche quel pomeriggio si divertirono a incrociare storie e coincidenze. Ad aprire le marcature, infatti, fu Axel Kruse, ex attaccante dell’Hansa Rostock, che l’8 luglio 1989, approfittando di un’amichevole della sua squadra a Copenaghen, scappò dalla DDR per rifugiarsi in Germania Ovest e si accasò proprio nell’Hertha.

Nel tripudio generale delle tifoserie, il gol del pareggio dell’Union fu un momento toccante e da pelle d’oca: al gol di André Sirocks, la prima storica marcatura della squadra dell’est su un campo fuori dai confini della Repubblica Democratica tedesca, anche i calciatori della squadra rivale si fermarono ad applaudire. Per finire, la rete del definitivo 2-1 fu segnata da René Unglaube, nato a Berlino Est, un ex-eisern con gli abiti blau-weiß.

Ben presto, però, l’atmosfera speranzosa e amichevole tra le due tifoserie andò scemando. Già nella seconda partita che si giocò all’Alte Försterei, il 12 agosto 1990, si presentarono poco meno di 4.000 spettatori. L’esigua capienza dello stadio e la data in pieno periodo estivo possono solo in parte motivare questa debacle: quello, forse, fu probabilmente il primo segno di reciproca indifferenza.

Sangue, cultura calcistica e carriole

Nel corso del tempo, la vecchia “amicizia dietro il filo spinato” è rimasto un piacevole ricordo sbiadito per i tifosi di entrambe le squadre, che oggi hanno sviluppato nuove antipatie comuni, come quella contro il RB Lipsia (che i bussolotti del sorteggio della stagione 2019-2020 di Bundesliga hanno deciso di far scontrare proprio contro l’Union, nella prima partita storica di debutto), accusato dai tifosi Unioner di essere una società di plastica, senza storia e creata in provetta.

Nel 2014, durante la prima apparizione del neonato club di Lipsia in 2.Bundesliga, allo stadio Alte Försterei, i padroni di casa hanno accolto gli ospiti con un lungo striscione con scritta bianca su sfondo nero che recitava: “in Leipzig stirbt die Fußballkultur” (a Lipsia è morta la cultura del calcio). Non solo: tutti i tifosi dell’Union hanno indossato una pettorina nera in segno di lutto, ma anche per dare l’idea l’idea dell’omologazione indossando tutti quella maglietta di plastica improvvisata.

Poi, al calcio d’inizio della sfida, è calato un silenzio irreale: per quindici minuti i tifosi rossi e bianchi non hanno fiatato e, quando qualcuno sobbalzava per qualche occasione da gol, si sentiva all’unisono un “shhhhh”. Rispetto per la tradizione defunta, prima di tornare a gridare, più forte che mai, il proprio nome, la propria identità. Una lezione sugli spalti rivolta ai nuovi tifosi.

Il Lipsia, però, la prossima stagione, sarà una delle pochissime realtà ad aver già incrociato in passato la squadra berlinese: Bayern Monaco, Mönchengladbach, Wolfsburg, per citarne alcune, si ritroveranno per la prima volta a giocare in partite ufficiali nello stadio che prende il nome dalla vecchia casa del guardaboschi.

Quella tra i tifosi, il club e il loro stadio è un legame indissolubile e di sangue, letteralmente: già nel 1966 per ottenere la licenza per iscriversi al campionato fu necessario ampliare la struttura, e al grido di “Berlin hilft Union” (Berlino aiuta l’Union), si presentarono decine di tifosi-volontari che prestarono il loro servizio, quasi come investitura dogmatica, il sabato, la domenica mattina e durante la settimana, al termine del loro lavoro, dalle 17 alle 19.

Ma fu solo l’inizio perché nel corso degli anni seguirono diversi ammodernamenti, tutti supportati dall’assistenza dei tifosi, come nel 2006, quando la Federazione Calcistica tedesca negò l’ennesimo permesso e la dirigenza berlinese doveva decidere se traslocare in un nuovo stadio oppure rinnovare la struttura. Agli Eisernen, romanticamente legati alla loro casa, non piacque l’idea di fare le valigie e cambiare impianto, così, grazie al loro supporto e contributo, convinsero la società a optare per la seconda soluzione.

Una prima fase di lavori iniziò nel 2007 e si concluse nel 2009, lo stadio venne quasi totalmente ricostruito, aggiunsero una tettoia, fu rifatto il pavimento, il campo venne dotato di un sistema di riscaldamento e vennero riparate recinzioni e ringhiere. Alcuni lavori furono svolti dagli stessi tifosi, più di 2mila volontari misero il loro cuore e la loro energia per quasi 140mila ore consecutive.

L’evento segnò un legame di fede che seguiva un altro gesto altrettanto clamoroso: nel 2004, per dare la possibilità alla società di comprare la licenza per iscriversi al campionato di quarta divisione, i tifosi organizzarono una campagna per donare il proprio sangue agli ospedali di Berlino. Il ricavato fu ceduto allo stesso club e questo sodalizio fu incrementato ulteriormente dalla decisione di riservare alcune quote del club ai tifosi. Così, nel dicembre 2011 nacque l’iniziativa “Alte-Försterei-Aktie” che portò 5.473 supporter ad acquistare le azioni dell’Union Berlin per un totale di 2.736.500 euro destinati, ancora una volta, a regolarizzare l’impianto.

La seconda fase di ristrutturazione, iniziata nel 2012, si è conclusa di recente con la costruzione di una nuova tribuna e portato a 22.012 spettatori la capienza massima. La “prima pietra” fu posata dallo stesso presidente del club, Dirk Zingler, che commentando la scelta di creare una tribuna con dei posti a sedere e non in piedi disse: «È vero: stiamo davvero diventando più anziani!».

Ma l’attuale capienza, complice anche il culto sempre più in espansione anche tra curiosi e stranieri, inizia a stare già stretta: ad ottobre 2018, infatti, l'assessorato all'urbanistica di Berlino ha approvato il nuovo restyling che porterebbe lo stadio a 37.000 posti.

Fuori dallo stadio c’è un monumento con un enorme casco da lavoro rosso, una carriola e dei guanti; sui fianchi, invece, un lungo elenco con i nomi e i cognomi dei 2.000 tifosi volontari e ai quali è dedicata l’opera celebrativa. Durante i festeggiamenti per la promozione, una signora è andata alla ricerca del nome di Michael Körner, suo fratello, supporter sin da quando era bambino, prematuramente morto lo scorso marzo. Se n’è andato sognando l’Union in Bundesliga: aveva vissuto le picconate che hanno abbattuto il Muro, l’onta della retrocessione in quarta serie, la vendetta sportiva con la vittoria per 8-0 contro i resti della Dynamo Berlin, poi la risalita in Dritte Liga e la festa dei 50 anni della società (o meglio da quando il club ha deciso di adottare il nome 1.FC Union Berlin e non abbandonarlo più), celebrati il 20 gennaio 2016.

Per ringraziare i tifosi defunti che nei decenni hanno continuamente sostenuto il club e che ora non potranno essere presenti alla prima storica stagione nella massima serie, il club di Berlino Est ha lanciato la campagna "Finally there": per il primo match casalingo, al costo di 13 euro, amici e parenti hanno inviato foto dei propri cari e la società li ha stampati in banner di 70x70cm, realizzati con un tessuto in grado di resistere a strappi e intemperie, attaccandoli tra gli spalti dello stadio.

Guardandoli i loro familiari potranno pensare che da qualche parte staranno tifando ancora al grido di «U.N.V.E.U.». Und Niemals Vergessen, Eisern Union: Non ti dimenticare mai dell’Eisern Union.

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