«È stata una trasferta». Sono passati una ventina d’anni abbondanti, ma Kostas se la ricorda ancora bene la prima volta che ha visto una partita dell’Union. «Un amico italiano era un po’ che mi diceva di andare e una domenica ho deciso di ascoltarlo». All’epoca la squadra militava nella terza serie belga e il gruppo degli Union Bhoys si era da poco formato, nel 2001. «Ci ritroviamo in una piazza di Bruxelles, saliamo su un pulmino da venti posti e, siccome la cittadina in cui c’era la partita era molto vicina, circa un quarto d’ora, chiediamo all’autista di farsi tutta la tangenziale della capitale, che è un anello. Volevamo che il viaggio durasse di più», ricorda ridendo «Quella voglia di stare insieme e divertirsi è rimasta ancora oggi».
L’Union di cui parla Kostas è l’Union Saint Gilloise.
Oggi la squadra è tornata nel massimo campionato belga e lui è diventato il capo degli Union Bhoys, il gruppo più numeroso della tifoseria di questo storico club di Bruxelles.
La sua barba folta e la sua testa pelata lo rendono molto riconoscibile e, infatti, anche se non è a petto nudo e col megafono in mano come capita praticamente ogni domenica, un ragazzino che sta passando per la piazza capisce chi è e lo saluta. Lui, con timidezza, ricambia e continua a raccontare.
«La trasferta mi era piaciuta e così la settimana seguente vado a una partita in casa». Lo stadio Joseph Marien, in cui gioca ancora oggi l’Union, è antico, piccolo, affascinante. Spunta tra le case di una zona residenziale e gli alberi di un parco, che sta proprio alle spalle dell’impianto. Dettagli che riportano Kostas alle sue origini greche. Cresciuto tra Parigi e Bruxelles, da giovane per anni ha seguito in giro per l’Europa l’AEK Atene, la squadra di famiglia, sostenuta da suo padre e ancora prima da suo nonno. Poi l’università finisce e la vita da ultras diventa più difficile da conciliare con il lavoro. È in quel momento che arriva al Marien per la prima volta. «Mi ha ricordato l’impianto dell’AEK e poi entrambe le squadre hanno il giallo come colore», spiega, indicando la sciarpa che tiene in mano e la t-shirt coi colori dell’Union che indossa sopra un paio di jeans e delle sneaker nere.
«Andare allo stadio cominciava a mancarmi e l’ho preso come un segno». Poco importa che l’Union sia giallo-blu mentre l’AEK giallo-nero e, soprattutto, che l’impianto di Atene faccia più di 30mila posti a fronte dei neanche diecimila di quello di Bruxelles. Per Kostas il Marien diventa la sua casa e l’Union la sua passione, per citare uno dei cori più cantati dai Bhoys oggi.
Saint Gilles
La storia di Kostas e la sua identità composita, anche a livello sportivo, non sono così eccezionali da trovare sugli spalti del Marien. Anzi, dicono molto dell’Union, di Bruxelles e, in particolare, di Saint Gilles.
Nella complicata architettura istituzionale del Belgio, quello di Saint Gilles è uno dei 19 comuni che compongono la regione di Bruxelles Capitale. Anticamente, era autonomo dalla città, oggi ne è parte integrante, con un territorio piccolo e densamente abitato. Nell’arco di un paio di chilometri, si passa dalla zona più povera e complessa intorno alla Gare du Midi, una delle principali stazioni cittadine, fino a quella più ricca e residenziale chiamata Saint Gilles “alta”.
Il Comune, che ha circa 50mila abitanti, è da sempre terra di emigrazione, come testimoniano i tanti bar e negozi portoghesi, spagnoli, italiani, polacchi e arabi che punteggiano le sue strade principali. Ma Saint Gilles, negli ultimi decenni, è diventata anche una zona di gentrification, complici i flussi migratori più recenti legati soprattutto alle istituzioni europee. Il fenomeno è evidente, lo testimoniano i tanti locali spuntati come funghi o l’aumento dei prezzi delle case, ma non ha ancora completamente cancellato l’anima storica del quartiere, con i suoi abitanti e luoghi.
Uno di questi è sicuramente la macelleria Gaston, su una delle arterie principali di Saint Gilles, che collega la piazza dell’omonima chiesa al maestoso edificio del Comune. Sotto l’insegna rossa, da ormai molti decenni, si apre un negozio lungo e stretto. Sulla sinistra il bancone con ogni tipo di taglio di carne. Sulla destra, appese al muro, una serie di immagini storiche dell’Union. Dalla locandina della partita contro il Milan che ha inaugurato il Marien fino alle foto degli anni più recenti.
Foto di Diego Ravier
«In famiglia siamo tifosi da generazioni e sponsor da molto tempo», dice il proprietario Didier, da dietro il bancone. Uno striscione col nome della macelleria è da anni presenza fissa al Marien. In negozio, invece, ci sono dei volantini gialli e blu che annunciano il 10 per cento di sconto a tutti gli abbonati, ma si dice che a beneficiarne siano anche i tifosi più occasionali.
Da Gaston, l’atmosfera è conviviale, calda, scherzosa.
«A te niente sconto, che sei dell’Anderlecht», dice Didier a un cliente abituale. Con altri unioniste, invece, si commentano gli ultimi risultati. La clientela del negozio è mista, ma sono molti gli abitanti storici, gli stessi che si trovano sulle tribune dello stadio o nei locali del quartiere a vedere le partite dell’Union in TV. Tra questi, nonostante la gentrification in corso, ve ne sono alcuni in cui la diversità colpisce: per esempio, il Bocage accanto al comune, o Le Louvre, sulla piazza della chiesa. I gestori di entrambi sono belga di origine portoghese e italiana, ed entrambi i café ospitano saint gilloise vecchi e nuovi, seduti uno accanto all’altro, bicchiere in mano, a tifare Union. Da un lato, figure storiche come Didier. Dall’altro, abitanti più recenti come Grégoire.
Grégoire Bruno è arrivato dal sud della Francia qualche anno fa. «Cercavo una squadra da sostenere, non amo i grandi club, abitavo a Saint Gilles e l’Union era in seconda divisione», racconta «Sono andato a vederla e mi son sentito bene». Da quella volta, si è abbonato. «Vado allo stadio con amici da tre anni ormai, ma per gli ultimi playoff [in Belgio, il campionato si decide ai playoff, ndr] loro non hanno trovato i biglietti. Io son rimasto solo, ma sempre allo stesso posto», dice.
Musicista e cantante, Grégoire ora porta la sua passione per l’Union persino sul palco. Anche quando un vero e proprio palco non c’è. In una serata di maggio improvvisa un concerto in uno di quei piccoli negozi che restano aperti praticamente tutta notte. È da poco passata l’una e lui, microfono in mano, canta di fronte a una ventina di persone tra amici e passanti. «Dovevo partire in tour e volevo fare un’ultima prova. Così ho organizzato un concerto insolito», racconta qualche giorno dopo. «Il night shop», dice «l’ho scelto per caso». L’abbigliamento con cui si è esibito, invece, no: una maglia bianca dell’USG con il numero 7 di Boniface, l’attaccante nigeriano che, durante la stagione 2022/23, ha fatto sognare i tifosi, prima di trasferirsi al Bayer Leverkusen.
L’Union, quindi, unisce abitanti di Saint Gilles molto diversi tra loro. Ma questo non significa che il Comune non abbia dei problemi e la gentrification non prosegua con effetti negativi, soprattutto sulla popolazione più fragile.
Nel 2019, il Centre Vidéo de Bruxelles ha realizzato il documentario collettivo Places Nettes in cui "sette abitanti di Saint-Gilles indagano il loro rapporto con gli spazi pubblici". Le loro riflessioni sono ancora molto attuali e, nel 2023, una recensione spiegava che, nell’opera, "il comune appare anche come un'area di attrito, dove tutti sono lontani dal conoscere la vita quotidiana, ordinaria e a volte difficile, dei loro vicini".
"Alcuni dei giovani intervistati - prosegue la recensione - sono persino molto consapevoli del paradosso in cui si trovano: il loro arrivo sta contribuendo a far salire gli affitti e a cambiare il volto del quartiere, ma devono ancora trovare un posto dove vivere a Bruxelles che non sia troppo costoso, ma comunque piacevole".
Foto di Diego Ravier
Con Grégoire si è parlato di musica e calcio, ma anche da lui sarebbero potute arrivare risposte simili. Come da tante altre persone che hanno cominciato a seguire l’Union negli ultimi anni, di pari passo con i cambiamenti che stanno toccando il Comune.
Stade Marien
In realtà, l’Union Saint Gilloise non gioca a Saint Gilles.
Lo stadio è sul territorio di Forest, comune confinante, meno gentrificato del suo vicino, ma altrettanto diverso al suo interno. A sud-ovest dell’impianto c’è una parte della città industriale e post-industriale, nella quale spicca una grande fabbrica dell’Audi, di cui è appena stata annunciata la chiusura, con 3mila posti di lavoro a rischio. Più a est, invece, oltre il parco, c’è una zona molto più residenziale e ricca, situata nella parte più alta di Bruxelles che prende appunto il nome di Altitude Cent (Altitudine cento). Dalle case di questo quartiere, quando il meteo concede di tenere le finestre aperte, si possono sentire i boati dei tifosi che esultano per i goal dell’Union.
Da Saint Gilles, allo stadio si può arrivare tranquillamente a piedi grazie a una breve camminata, magari passando per il Parc Duden. Anche le biciclette riscuotono successo tra i tifosi e, poco fuori dall’impianto, ce ne sono decine e decine parcheggiate. Diverse sono bici elettriche cargo, quelle che si usano per portare i bambini, che in effetti all’interno del Marien non mancano. Ci sono, per esempio, i due figli maschi di David Carretta, la cui storia dice molto dell’ambiente che si respira alle partite dell’Union.
Il 29 maggio 1985 David, allora bambino, era allo stadio Heysel di Bruxelles. «Ero tifoso juventino e, siccome metà della mia famiglia è belga, ricevetti il biglietto per la finale di Coppa Campioni tra Juventus e Liverpool come regalo per la promozione di quinta elementare», ricorda. Va allo stadio con un amico di famiglia, è proprio nel settore Z dove avviene il disastro che porta a 39 morti e oltre 600 feriti, ma esce illeso da una delle più gravi stragi del calcio europeo. «Da allora, ho continuato ad amare lo sport, ma non ho più seguito il calcio e non sono più andato allo stadio», spiega oggi, con al collo la sciarpa giallo e blu dell’USG.
David, che vive a Saint Gilles da circa 20 anni, è tornato allo stadio proprio grazie ai figli e quello stadio è il Marien.
Abitando in quartiere, i bambini insistevano con il papà perché li portasse a vedere una partita della squadra locale e nel 2019, quando l’Union era ancora nella seconda serie belga, David li ha accontentati, seppur un po’ titubante. «Ho preso i biglietti non per la curva, ma per la tribuna coperta perché volevo vedere com'era la situazione», dice.
Come per il capo ultrà Kostas, la prima volta conquista David e i figli, che presto decidono di abbonarsi. Dai distinti, però, si spostano in curva, che poi una vera e propria curva nemmeno lo è.
La casa dei gruppi organizzati del tifo USG è la tribuna est, sul lato lungo dello stadio che ha alle spalle il parco. È una terrace all’inglese, con gradoni, senza posti a sedere e con le crash barriers. Ma con alti alberi che spuntano dietro la tribuna.
Nel mezzo della gradinata campeggia lo striscione degli Union Bhoys, con in mezzo un ritratto di Arsenio Lupin. Subito sopra, vengono bandiere e stendardi, come quelli dei gruppi Apache, bEUnion e Irish Brigade o come il sempre presente "Against Sober Football" (contro il calcio sobrio), che non ha bisogno di molte spiegazioni dopo aver visto la quantità di birre che vengono servite nelle minuscole casette di legno che, alle spalle della tribuna est, fungono da bar e sono sempre prese d’assalto da lunghe file di tifosi. C’è spazio anche per messaggi più impegnati, a volte politici. Uno degli stendardi più amati è quello che giallo blu e il logo dei movimenti antifascisti con le bandiere: il motto è "Toute ma vie unioniste antifasciste" (Tutta la vita unionista e antifascista). Da qualche anno si nota in tribuna anche una bandiera gialla con la scritta in fiammingo "Niemand is illegaal", cioè "nessuno è illegale", mentre è più recente una grande bandiera "Toute ma vie unioniste antisexiste", sventolata da un’energica signora coi capelli bianchi che pare aver ampiamente passato i sessant’anni. Infine c’è il bandierone del fan club Union X 21 che recita "Against hateful football". Sembra sdolcinato, e in effetti lo è, ma è anche una buona sintesi di quello che accade realmente sugli spalti. Uno stile di tifo in aperta contraddizione con quello ultras contemporaneo, senza linguaggio militare, senza ricerca esasperata di conflittualità, ma mantenendo invece lo spirito goliardico che è in effetti un tratto importante della cultura del tifo organizzato.
Tribune Est
I Bhoys cantano solo a favore dell’Union. Mai contro gli avversari. «È storicamente così, da sempre», ricorda Kostas, che è diventato leader del gruppo da qualche anno. «Quando siamo nati, la squadra sportivamente era a un livello molto basso, non c’era arroganza, ma una filosofia positiva», continua. È così anche oggi, che le cose sono cambiate.
Nel marzo 2021, in piena pandemia e grazie alla vittoria in un derby contro i rivali cittadini del Racing White Daring Molenbeek, l’Union ha vinto il campionato di seconda divisione, tornando nella massima serie belga dopo 48 anni nelle serie minori. Il successo venne celebrato al Marien, ma date le restrizioni, con mascherine e senza tifosi. Senza tifosi paganti, perché alcuni intrepidi assistettero alla partita dal parco, sbirciando il campo da dietro la cancellata. John (nome di fantasia) era tra loro e ricorda quel momento come uno dei migliori da quando ha iniziato a seguire l’Union qualche anno prima.
«Di questo club mi piace l’atmosfera, gli spalti a misura di bambino, l'assenza di cori cattivi. Un'esperienza molto positiva, anche quando perdiamo», commenta. In realtà, di partite l’USG ne ha perse poche negli ultimi anni. Dal ritorno in Jupiler Pro League (la Serie A belga, sponsorizzata dalla più famosa birra nazionale), ha inanellato una stagione sorprendente dopo l’altra, andando ben oltre i limiti apparenti del suo budget e del suo organico.
«Con la squadra che inizia a vincere, arrivano nuovi tifosi, con uno stile diverso. Sta a noi Bhoys, ai tifosi più anziani far capire a queste persone, soprattutto ai più giovani e caldi, quale è la nostra specificità, cosa ci rende unici. Se no diventiamo una tifoseria tra tante», riflette Kostas. Alcuni episodi spiegano ancora meglio le sue parole. Dopo una vittoria in casa contro il forte Club Brugge, i pullman con i tifosi ospiti sfilano accanto a un bar vicino al Marien pieno di unioniste in festa che bevono e cantano, mandando saluti e baci ironici alla volta degli avversari. Praticamente, nessuno li insulta. Solo un uomo di mezza età alza il medio all’indirizzo degli ospiti, ma viene prontamente ripreso da un’altra tifosa, la quale gli ricorda che certe cose all’Union non si fanno. Pare una pagina da libro cuore, ma è cronaca. In un’altra occasione, invece, alcuni giovani membri dei Bhoys sono più carichi del solito. Lasciano il centro della Tribuna est e corrono minacciosi e sbraitanti verso la confinante curva sud, dove sono ospitati i tifosi avversari. Passano pochi secondi e altri tifosi, più anziani, vanno a recuperarli, senza fare troppi complimenti. Questa volta non lo dicono, ma lo fanno capire: certe cose all’Union non si fanno.
Foto di Diego Ravier
«È per questo che molte persone vengono al Marien e ci restano. Molti sono tifosi di altre squadre nel loro paese, arrivano qui e dicono “wow!”. C’è chi viene dal sud Europa, per esempio, ed è abituato a tifoserie più dure e qui trova un ambiente più riposante, ma comunque appassionato», spiega Kostas. «Oppure chi è stato portato dagli amici, ma non è manco troppo appassionato di calcio. Ho diverse persone in mente. O, ancora, persone che erano disgustate dal calcio e qui ritrovano il piacere di andare allo stadio». È esattamente ciò che è accaduto a David, che dal 2019 è diventato un abbonato fedele, sempre presente al Marien, in una zona alla destra dello striscione dei Bhoys. I suoi bambini non sono gli unici, anzi. I più piccoli creano un affollato cordone per l’intera lunghezza della Tribuna Est, tutti seduti sulla bassa recinzione che divide gli spalti dal campo, indecisi se guardare i giocatori in campo o gli ultras alle loro spalle.
«Siamo una tifoseria molto aperta. Sono tutti benvenuti. Non ho mai visto nessuno rifiutato per quello che è o quello che pensa», continua Kostas. «Solo se ci sono persone negative o razziste, queste persone non possono restare. Non vale solo per i Bhoys ma in tutta la Tribuna Est: c’è una coscienza collettiva su questo. Mi piace molto e mi batterò per mantenerlo», aggiunge.
«Per me, questo è un calcio popolare sano. Ho riscoperto la gioia di andare allo stadio senza nessuna dimensione negativa», gli fa eco David. «E mi piace che sia una tifoseria molto eterogenea, con tifosi vecchi e nuovi». Georges è uno dei primi. La partita è finita ormai da un paio d’ore, l’Union ha perso, ma qui «ce la spassiamo», dice in francese. È seduto contornato da amici a un tavolo dell’Union’s Tavern, posizionata proprio accanto allo stadio. Fuori arrostiscono salsicce, dentro scorrono fiumi di birra. «Siamo una famiglia», aggiunge, riferendosi alla tifoseria. Maglia gialla addosso e bicchiere in mano, Georges è nato e cresciuto a Bruxelles e ora abita a meno di un chilometro dallo stadio. «Già mio papà era unioniste», dice e, facendo due rapidi calcoli, viene da pensare che il padre andasse allo stadio già ai tempi in cui è stato composto l’inno ormai centenario della squadra, quel C'est l'Union qui sourit composto nel 1912 e la cui versione interpretata dal cantante belga Jean Narcy è ancora oggi diffusa al Marien prima di ogni match.
Georges e i suoi amici rappresentano la vecchia guardia, che garantisce continuità tra la storia dell’USG, fondata nel 1897 e vincitrice di 11 titoli nazionali ormai molti decenni fa, e la sua versione attuale, globalizzata e ambiziosa. Sono abbonati da decenni e lo sono stati anche negli anni bui delle serie minori. Ora sono orgogliosi che lo stadio sia tornato ad essere pieno e che ad affollarlo siano persone provenienti da ogni parte d’Europa, e a volte non solo quella. Sono accoglienti e sembrano quasi positivamente sorpresi da tutto questo ritrovato interesse.
«Anni fa, nessuno conosceva l’Union in città e chi la conosceva se ne prendeva gioco. Prima era una vergogna avere una sciarpa o una maglia dell’USG», ricorda Kostas. «Ora, invece, c’è fierezza», aggiunge, facendo implicitamente riferimento al coro De Bruxelles la fiertè (Di Bruxelles l’orgoglio), sempre molto cantato dai Bhoys.
Bruxelles
Il coro è stato ripreso anche in un video che ha celebrato il ritorno della squadra in prima divisione. In un minuto e mezzo di contenuto per i social ci sono molti elementi dell’identità dell’USG oggi. Da un lato, giocatori e tifosi si muovono per le strade di Saint Gilles (con la chicca del portiere Moris che si fa trovare alla fermata del tram che porta il suo stesso nome) a ribadire il legame tra squadra e quartiere. Dall’altro, è chiara l’ambizione a voler rappresentare, sempre più, l’intera città di Bruxelles. De Bruxelles la fiertè, per esempio, è stato lo slogan scelto dalla società per l’intera stagione 2021/2022 e quest’anno sulle maglie di allenamento, sotto il baffo dello sponsor tecnico Nike, campeggia la scritta: Bruxelles.
Per David Carretta «Saint Gilles è un microcosmo che ben rappresenta Bruxelles, che è un melting pot culturale accogliente». L’Union, a sua volta, con il suo miscuglio di tifosi di ogni provenienza, non è che la plastica rappresentazione sia del quartiere sia della città. Del resto, tra le metropoli più grandi al mondo, Bruxelles è la seconda, dopo Dubai, con il maggior numero di residenti di origine straniera. Dei suoi 1,2 milioni di abitanti (dati 2018), ben sei su dieci sono nati con una cittadinanza che non è quella belga. Diventa, quindi, naturale, logico, scontato, trovare tra i tifosi dell’Union anche Giovanni che tifa Foggia, James che è per il Manchester United, Thomas e Pale che sono juventini, il cantante Grégoire che segue il Nizza o il capo ultrà Kostas che ha l’AEK Atene nel cuore.
La diversità è la norma, sugli spalti e in città. Ma questo, di nuovo, non significa che non esistano problemi. Bruxelles è anche molto disuguale e segregata, le persone provenienti dal Nord Africa, dalla Turchia e dai paesi europei più ricchi, per esempio, vivono in zone opposte della città. E questi ultimi sono molto più rappresentati tra i tifosi dell’USG. Una categoria, in particolare, sembra essere molto cresciuta negli ultimi anni sugli spalti del Marien: quella dei funzionari delle istituzioni dell'Unione Europea.
A contribuire al successo dei gialloblù tra chi lavora nel quartiere europeo ha probabilmente contribuito anche lo stesso David Carretta che, prima di essere un tifoso gialloblu, è un navigato giornalista, corrispondente di Radio Radicale dalle istituzioni europee. David, che su X ha oltre 50mila follower (più della stessa USG), ha l’abitudine di rilanciare tutti i risultati del club e, di tanto in tanto, si lancia in lunghi thread d’amore nei confronti della sua nuova squadra.
Anche alcune testate della cosiddetta eurobubble se ne sono occupate più volte. The Parliament Magazine, per esempio, ha intervistato i membri del fan club bEUnion. «Tutti i fondatori lavoravano - o lavorano tuttora - nelle istituzioni dell’UE», ha spiegato alla testata il cofondatore Daniel Perez, assistente al Parlamento europeo. «L'idea era quella di creare un punto di riferimento per le persone nella bolla dell'Unione Europea che vogliono andare a una partita di calcio ma non sanno quale club scegliere o come ottenere i biglietti. Tutti coloro che la pensano allo stesso modo possono partecipare, indipendentemente dal background culturale o professionale», ha aggiunto.
L’influente POLITICO Europe, in una guida per i nuovi arrivati in città pubblicata nel settembre 2023, ha dedicato un articolo allo sport da seguire e citava l’USG in questi termini: "Mentre l'Anderlecht è stata la squadra di calcio storicamente dominante a Bruxelles, negli ultimi anni l'Union Saint-Gilloise è emersa come il club preferito dagli hipster, usurpando l'Anderlecht anche sul campo".
Alexander, storico tifoso fiammingo proprio dell’Anderlecht, non la vede molto diversamente. A suo giudizio, l’Union è «un bellissimo club» che «sta facendo grandi cose», ma ha un aspetto negativo: «i suoi nuovi tifosi», o almeno una certa tipologia. «Sono persone che vedo un paio di volte all'anno o che incontro a una festa, che non ho mai sentito parlare di calcio prima d'ora, ma che all'improvviso sono lì con una maglia gialla nuova di zecca, che si definiscono il più grande tifoso dell'Union e mi prendono in giro per il fatto che sono un tifoso dell’Anderlecht e che stiamo andando male. Li odio», dice ridendo e forse ripensando alle numerose sconfitte degli ultimi anni.
Alexander scherza ma descrive un fenomeno reale, che qui a Bruxelles sembra andare un po’ oltre la classica dicotomia tra tifosi fedeli e occasionali. Il fatto che l’Union raccolga consensi sempre più ampi anche al di fuori dei confini di Saint Gilles, infatti, potrebbe mettere in discussione il mix sociale che caratterizza la sua tifoseria, a maggior ragione quando una consistente fetta dei nuovi ha mezzi economici buoni o molto buoni.
Il bourgmestre (il sindaco) di Saint Gilles, il socialista Jean Spinette, si dice consapevole di questo rischio. «L’Union non è solo sport: è famiglia, è folklore», dice. «C’è un’enorme pressione per avere i biglietti e quindi c’è il rischio che i prezzi aumentino. Dobbiamo mantenere l’attaccamento che c’è oggi alla squadra in quartiere», aggiunge, riconoscendo che la nuova proprietà «ha capito il DNA della società».
Dal 2018, il presidente è l’inglese Alex Muzio, azionista di maggioranza dell’USG e socio di Tony Bloom, proprietario del Brighton ma anche azionista di minoranza dell’Union stessa. Per Muzio, non far diventare il club un’esperienza esclusiva ed escludente per molti abitanti di Saint Gilles è «di enorme importanza». Per questo lo scorso maggio ha promesso «di mantenere i prezzi dei biglietti molto democratici» e in effetti, il costo dell’abbonamento annuale in Tribuna Est è rimasto invariato tra la scorsa stagione e quella appena partita, fermo a 205 euro, con tariffe bambini a 50 euro (fino a 11 anni) e studenti a 110 euro (fino a 23).
Forse anche per questa ragione e come era già successo la scorsa estate, i tagliandi sono andati esauriti in pochi minuti, lasciando molti tifosi delusi. Si dovranno accontentare delle poche centinaia di biglietti che vengono riservati alla vendita libera partita per partita, con prelazione ai detentori della Membership, che costa 40 euro all’anno e consente l’acquisto in anticipo. Oppure dovranno aspettare che venga costruito il nuovo stadio, per il quale la società ha presentato un progetto al comune di Forest, da realizzare un paio di chilometri più a sud dell’impianto attuale.
Stade Roi Baudouin
In realtà, la scorsa stagione, uno stadio che è stato in grado di accogliere tutti i tifosi dell’Union c’è stato: lo Stade Roi Baudouin, più conosciuto come Heysel. E l’occasione è stata di quelle storiche, sia per la squadra sia per alcuni dei suoi tifosi.
Dopo 110 anni, infatti, l’USG è tornata a disputare una finale di Coppa del Belgio. E dopo 39 anni David Carretta ha rimesso piede all’Heysel, dove da bambino era sfuggito alla strage del 1985. «Ero emozionato», ammette. Anche perché con lui c’erano, ovviamente, i figli che oggi hanno più o meno la stessa età che aveva lui all’epoca.
Questa volta, però, tutto è andato bene. Anzi, benissimo.
Grazie a un gol del difensore giapponese Koki Machida, l’Union ha battuto l’Anversa, che l’anno prima l’aveva eliminata in semifinale ai rigori dalla stessa competizione. I circa 35mila tifosi gialloblù presenti sulle tribune hanno gioito insieme ai giocatori, i tanti alla prima stagione a Saint Gilles e quelli più storici, come il difensore inglese Burgess, il nazionale del Madagascar Lapoussin o il portiere e capitano Moris, che c’erano anche ai tempi della seconda divisione. Poi, la festa è proseguita in quartiere, sulla piazza della maison communale di Saint Gilles, dove sono arrivati la dirigenza e alcuni dei giocatori, e dove i tifosi si sono ritrovati a bere e ballare, grazie a un dj-set improvvisato.
«Già così questa stagione è un successo», dice un tifoso mentre ordina da bere al bancone del Bocage, posto accanto al municipio e ancora pieno alle dieci di sera, nonostante la Finale si fosse disputata nel pomeriggio. In realtà, il trionfo in coppa è arrivato in un momento delicato della stagione dell’Union e, più in generale, della sua storia recente.
Da quando è tornata nella massima serie, nonostante un budget molto inferiore alle squadre di maggior prestigio e un ricambio molto forte di giocatori e allenatori da un anno con l’altro, l’Union ha sempre sorprendentemente chiuso la stagione regolare al primo posto. Poi, però, ha anche perso, altrettanto puntualmente, i playoff. È successo nel 2022, da neopromossa. Nel 2023 con un finale rocambolesco il cui l’Anversa le ha soffiato il titolo all’ultimissimo minuto dell’ultimo match. Ed è successo anche nel 2024, con quattro sconfitte nelle prime quattro gare di post season e un recupero finale che non è bastato. Nell’ultima partita di playoff, infatti, l’Union ha battuto in casa il Genk 2-0, ma il pareggio a reti inviolate tra Club Brugge e Cercle Brugge (la seconda squadra della città, tra l’altro gemellata con l’USG) ha consegnato il titolo ai primi, che sono finiti un punto sopra nella classifica finale.
Al Marien, nonostante l’ennesima delusione, si è comunque fatto festa, con un’invasione di campo e le celebrazioni per la coppa nazionale vinta, che ha sancito la fine di un digiuno di trofei che durava da quasi novant’anni. Mentre il sole tramonta alle spalle dello stadio, un tifoso riassume bene il clima del momento, intervistato da una TV locale. «Siamo fieri di questa squadra», dice prima che altri due amici lo interrompano cantando un coro storico dei Bhoys. «L'Union non ha bisogno di essere campione per tracannare litri di luppolo», recita riferendosi ai fiumi di birra che abitualmente si consumano allo stadio e anche questa sera scorrono copiosi.
Futuro
Due mesi dopo, l’Union si è trovata di nuovo a contendersi un trofeo con il Brugge, la Supercoppa del Belgio, disputata in casa del club fiammingo. Nonostante anche quest’anno siano partiti alcuni dei migliori giocatori e l’allenatore sia cambiato, i gialloblù hanno vinto a sorpresa 2-1 e conquistato un titolo che non avevano mai vinto prima, essendo stato creato nel 1979, quando l'USG militava nei bassifondi del calcio belga.
Oggi, invece, c’è da affrontare la terza stagione di fila in una competizione europea, tra Conference ed Europa League, con i quarti di finale di quest’ultima competizione raggiunti nel 2023. Quest’anno l’Union incontrerà anche la Roma, in una gara in programma il 7 novembre all’Heysel (il Marien è troppo piccolo per le gare internazionali).
L’USG di oggi, insomma, sembra tornata ai fasti di un tempo, quando negli anni 30 inanellò sessanta partite senza mai perdere. Continuerà così? Il pronostico è difficile, anche perché la squadra in queste stagioni ne ha già ribaltati diversi. Rimane però un dubbio, che riguarda tutto ciò che accade fuori dal campo di gioco del Marien.
Le vittorie cambieranno questa Union?
Il nuovo stadio, se e quando si farà, modificherà l’atmosfera che in tanti dicono di amare? I prezzi dei biglietti rimarranno popolari e i vecchi tifosi non verranno piano piano sostituiti dai nuovi? La magia, insomma, durerà?
Per David «non sarà facile», ma ci spera. Kostas, dall’alto della piccola pedana da cui lancia i cori nel mezzo della Tribuna Est, promette che farà del suo meglio per preservarla. Il presidente Muzio dice che la proprietà vuole «investire a livello locale» ed essere «parte della comunità».
Intanto, una nuova stagione è cominciata. Il Marien, in attesa di capire se davvero verrà lasciato in favore di un nuovo impianto, ha riaperto le sue porte ai tifosi. E i Bhoys sono pronti a intonare per l’ennesima volta il loro coro più amato, che comincia con il pugno alzato e le parole: «Bruxelles, ma ville, je t’aime…».
Tra loro, c’è Valerio, che ha rinnovato l’abbonamento anche quest’anno, per l’ennesima volta. È italiano, tifa Inter, Bruxelles è la sua città da tempo e coi Bhoys, ormai, va anche in trasferta.
È uno degli amici grazie ai quali anch’io mi sono appassionato all’Union e, sul mio telefono, il suo numero è ancora salvato come “Valerio USG”, me ne accorgo solo ora. Una volta gli ho chiesto perché è diventato un tifoso così fedele. «L’Union fa sentire tutti a casa. E tutti si sentono rappresentati. È quello che penso sempre, ogni volta che vado a vederla».