
In un mondo moderno in cui la fotografia come arte della verità sta sparendo definitivamente, cancellata dalle possibilità generative dell’intelligenza artificiale, sono rimasti pochi appigli di vita reale, analogica. L’unica cosa che sembra poter certificare la nostra esistenza sta diventando l’incontro dal vivo, e al tempo stesso anche quello sta iniziando a sgretolarsi di fronte alla distruzione della nostra attenzione. In fondo come Vitangelo Moscarda in Uno, nessuno e centomila di Luigi Pirandello non esistiamo se non come tante versioni spezzettate dal punto di vista degli altri.

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Questo discorso oggi è sempre più vero mano a mano che l'intelligenza artificiale rende più semplice incollare una faccia su un corpo che non è il suo. In questo senso, Gian Piero Gasperini, allenatore della Roma, il cui viso è così distintamente Uno - ovvero la percezione che Gasperini ha di sé stesso, un semplice allenatore di una squadra di calcio del campionato italiano - al tempo stesso è anche Centomila, perché il suo volto per qualche ragione sembra essere perfetto per essere applicato su ogni corpo.
Gasperini è quindi anche Nessuno, una non-persona che sembra sfuggire sia al suo Io che alle emanazioni prodotte da chi lo vede. In ogni volto gasperinizzato esiste una dimensione diversa per cui Gasperini presta la sua identità a qualcun altro, al contempo creandone una nuova. Un universo alternativo dove Gasperini è davvero uno, nessuno e centomila.
È un universo che noi conosciamo per immagini grazie alla geniale immaginazione di "Paolo Condom" (cioè di @paolodurex su X), che è la nostra finestra su un mondo in cui per davvero Gasperini è Centomila. Al suo lavoro, senza il quale questo pezzo non esisterebbe, sentivo però che mancava qualcosa. Ogni gasperinizzazione, infatti, non è solo un meme ma anche una persona a sé stante, con la sua storia e il suo universo alternativo, diverso ma uguale al nostro. Un universo in cui Gasperini è Gasperini ma al contempo non lo è.
GASPTRUFFA ‘25

Sono le nove del mattino a Buenos Aires. Sei arrivato in ritardo di due minuti alla riunione redazionale, ti sei seduto di fretta al tavolo. Per quindici minuti scrolli distrattamente il telefono mentre gli altri parlano. Scorri X, che ancora chiami Twitter, vedi distrattamente il fotomontaggio di un uomo vestito da donna. Il tweet è in italiano, ma di cognome fai Gasparri, qualche rudimento ce l’hai. Un uomo a Grugliasco si è travestito da donna per prendere i soldi della pensione della madre, fingendo di essere lei. Alzi la mano, la racconti al tuo capo. La notizia gli piace, il pezzo si farà. Guardi fuori dalla finestra e vedi il sole che taglia i tetti di Buenos Aires, sei felice.
GASPENHEIMER

L’amicizia con Enrico Fermi in quegli anni di Via Panisperna, belli, eh? Un peccato sia dovuta finire così, a tentare di spiegare davanti al Senato Italiano perché usare la bomba atomica contro l’Albania sarebbe sbagliato. Forse avresti dovuto seguire la vita di tuo padre, Julius Gaspenheimer, arrivato dalla Prussia in Piemonte per importare tessuti. Si era innamorato di Antonietta ed era rimasto lì, a Grugliasco. Una vita normale, tranquilla, a gestire l’azienda di famiglia e guardare il Grande Torino al Fila la domenica. Ne è davvero valsa la pena?
FRANCO 352

Sei con i tuoi amici di sempre al posto di sempre, la Scalea del Tamburino, a Roma, Monteverde. Avete deciso di fare il passo, finalmente, di creare un collettivo musicale. Il tuo amico Piero propone qualcosa a base di droga, un gioco di parole con il tuo cognome, così simile a Gasperino Er Carbonaro del Marchese del Grillo, eredità di una famiglia emigrata dal Piemonte. Giri nervosamente per i 126 scalini della scalinata, alla ricerca di un nome. Dopo la seconda volta hai l’illuminazione: ci chiameremo i 352. Ti guardano increduli, ma tu hai tutto chiaro. La salita e la discesa degli scalini a cui vi ritrovate sempre, il modulo dell’allenatore della vostra Roma, Ivan Juric.
PETER J. GASPJAW

Sei dovuto andare fino alla fine della California. Un convento di suore che producono marijuana. L'intero reparto SWAT del Piemonte mobilitato in una caccia all'uomo senza fine. Con te c'è il kit per capire se veramente quel ragazzo ammanettato accanto a te è tuo figlio. Il frutto di una sbandata tra le campagne di Grugliasco tanti anni fa. Passa un'ora, provi a stabilire una comunicazione senza successo. E alla fine esce il risultato: Ademola Lookman è davvero tuo figlio. Non andrà a finire bene.
GAIUS CURRELIUS CAESAR

Mi hanno sempre chiamato il “piccolo Cesare” per via della mia somiglianza con... Lui. Un piacere, considerando che conservo ancora la pergamena di congedo firmata da Cesare stesso, quando è arrivato il momento di diventare un veterano. Con la pergamena ci ha assegnato un appezzamento di terra, e ci sono arrivato con un carro, mia moglie e mio figlio al seguito. C’è solo terra brulla, ma da lontano, a Sud, vedo i fuochi di Augusta Taurinorum che rischiarano il nero della notte. Credo sarà un buon posto per ritirarmi, ora che ho 40 anni, e costruire una fattoria. Poi chissà, alla fine Augusta è vicina.
PIER GIAN GASPERONI

Il Lingotto è vicino a Grugliasco, e Torino è un buon posto per fare affari. Ero arrivato con questo spirito a lavorare in FIAT, lo stesso che poi mi ha portato a licenziarmi. Un impiego fisso, un po’ di gruzzolo messo da parte per inseguire il mio sogno: allenare. Avevo fatto qualche anno di carriera da calciatore dilettante, tra Tortona e Alessandria, e mi era rimasto qualche contatto. Inizio con le squadre dell’hinterland di Torino e alla fine arriva la chiamata della squadra che ho sempre tifato sin da bambino, la Juventus, per allenare una delle sue squadre giovanili. Nel mentre però mio padre, morendo, mi ha lasciato qualche soldo di eredità e un mio amico insiste per entrare in società con lui alla Edilnord. Io vorrei, mia moglie no, e le donne vincono sempre. Non mi va male, faccio un po’ di soldi, divento milionario. Faccio amicizia con l’Avvocato, e addirittura riesco a comprarmi La Stampa e Tuttosport, ma quando mi capita di vedere giocare la Juventus il magone mi torna sempre. È proprio Gianni a venire a dirmi che il Torino cerca un compratore dopo l’addio di Rossi, e che sarebbe un onore per lui avermi come compagno in Serie A. Dicono pure che dovrei buttarmi in politica, ma per ora non mi interessa. Accetto, la voglia di calcio è troppa, e so già che il Torino giocherà come voglio io: una squadra corta e aggressiva che si schiera con il 3-4-3.
GIAN PIERO GASPEROSKI (di padre polacco)

Mio padre è uno di quei polacchi che dentro hanno la neve, e forse è per quello che è finito dalla Polonia a Grugliasco, gli ricordava casa. Che poi non vuol dire che sia una cosa positiva o negativa. Alla fine le persone parlano anche troppo. Lo so bene, io, che per lavoro non faccio altro che ascoltare tutto il giorno i loro problemi. L’altro giorno mia moglie, Giulia, è sparita, per poi tornare qualche giorno dopo per chiedere il divorzio. Ho scoperto che se la fa con un mio paziente, Edoardo. A forza di sentire quelli degli altri forse mi sono dimenticato i miei.
JEFFREY GASPSTEIN

Il rumore della matita che si infrange sul muro regola la tua giornata. Erano belli i tempi in cui mandavi email dal tuo tablet, dalla tua isola, nella tua ricca solitudine. Alla fine cos’è che volevi fare? Un paradiso del pressing alto tra i corpi, una Valhalla per chi crede che la vita non sia niente più che, hobbesianamente, un uomo contro uomo continuo. E poi era così bello ritrovarsi dopo una giornata di fatiche con "Bubba" e "Donnie" a guardare il Pescara di Giovanni Galeone. Erano davvero meglio le donne o i passaggi filtranti di Blaz Sliskovic?
JEP GASPARDELLA

Quando ero giovane avevo portato una squadra in Serie B con un calcio iperaggressivo e spettacolare. Poi il presidente, dopo aver perso le prime tre partite, mi ha esonerato e ha preso Davide Ballardini. Ho ricevuto varie offerte, alcuni mi hanno premiato per quanto avevo fatto fino a quel momento. Un altro addirittura voleva darmi la panchina dell’Under 21, ma non sono più riuscito a trovare piacere nel gioco del calcio. Sono stato qualche mese a casa dei miei genitori, a Grugliasco. Mi ha chiamato poi il Corriere dello Sport e sono andato a Roma, un editoriale ogni domenica sui mali del nostro calcio. Lo stipendio è buono, le polemiche sono tante. Mi sono preso una casa con terrazza su vista Colosseo, la vita mondana è bella ma mi annoia. La Roma continua a non vincere niente, sarebbe stato bello, in un'altra vita, allenarla, ma in questa davvero, non mi va.
JOSÈ GASPINHO

La Champions League con lo Sporting Braga e poi la Premier League vinta con il Tottenham. Tutto ti ha consacrato come il miglior allenatore del mondo grazie al tuo calcio molto aggressivo e il tuo 3-4-3, marchio di fabbrica. Ti chiama Massimo Moratti, per risollevare una Inter che non vince lo Scudetto dal 1989 e per spezzare il dominio della Roma, che ha vinto tutti i campionati del post-Calciopoli. Non sai perché ma hai una sensazione di déjà vu. Ti senti tranquillo però, i calciatori ci metteranno poco per credere nei tuoi metodi, alla fine sei lo "Special One", no?
JOHN PETER MCGASPEE

Li avevo proprio fatti fruttare gli anni alla Olivetti. Adriano mi aveva dato in gestione l’azienda quando aveva deciso di andare in pensione, nel 1978. Per conto loro avevo girato l’America, mi ero informato sul mondo della programmazione. Nel 1986, in visita alla Lockheed, avevo visto il primo virus per computer del mondo: Computer Brain. Ne ero rimasto affascinato, e al mio ritorno in Italia avevo sviluppato il primo antivirus del mondo, che aveva reso la Olivetti una delle aziende più in vista del mondo. All’epoca mi sembrava di vedere il futuro, e forse se l’avessi visto mi sarei evitato di girare il mondo in fuga e fare quello che ho fatto, tra Belize, Guatemala e Stati Uniti. Mi bastava il sogno piccolo piccolo che avevo da bambino, quando la domenica a Grugliasco giocavo per le strade, sognando di diventare forte come Omar Sivori, e mai avrei pensato che i sassi con cui mi sbucciavo le ginocchia per strada mi sarebbero tornati in mente, anni dopo, raccogliendo una conchiglia su una spiaggia del Belize.
I FRATELLI GASPAGHER

Ce l'hai fatta. Hai aspettato un sacco di tempo davanti alla schermata di TicketOne ma finalmente ci sei riuscito: un biglietto per il concerto dei PPDA a Campovolo. Famosi per la loro musica, e soprattutto per le loro litigate in conferenza stampa con i giornalisti. Il vero dono dell'Inghilterra, di loro padre, all'Italia. E quando i fratelli Gian e Piero Gaspagher salgono sul palco per suonare Don't look Gasp in Anger tutto sembra rimettersi al proprio posto, come se il 2009 non fosse mai andato via.
RAFAEL GASPAL

Da piccolo eri molto forte a tennis e a calcio, uno di quei talenti che potrebbe fare tutto per la coordinazione che ha. Ci sono stati due problemi: una ragazza, Francesca, e soprattutto quelle maledette ginocchia. Avevi 15 anni quando sul recupero di una palla corta avevi sentito un rumore sordo provenire dal tuo ginocchio. Tornerai a giocare, ma non sarai più lo stesso. Meglio lanciarsi nell’azienda di famiglia, quella delle finestre, alla fine è tutta la vita che ci giri intorno. Gli affari vanno bene, ti sposi con Francesca e ti prendi un ranch in mezzo alle campagne della tua Grugliasco, davanti al lago grande di Avigliana. Alla fine ti è andata bene lo stesso, anche se i tuoi capelli si stanno diradando, e almeno lì non vuoi arrenderti. Eppure quando vedi il lago dal tuo balcone il tuo primo pensiero è sempre quell'amore, il calcio, che hai dovuto mettere in soffitta. Inizi ad allenare una squadra locale di ragazzini, un 3-4-3 offensivo che ti fa togliere qualche soddisfazione. A loro insegni a calcio quello che tu non hai saputo o potuto fare, affrontare tutto uomo contro uomo.
YVES GASPLEIN

Il calcio esiste solo quando non c'è il campo, nessuno lo gioca, la palla non esiste. Tutto si annulla: le marcature sono a uomo, non c'è bisogno che il pallone esista. Il Vuoto è l'unica vera essenza del calcio.
PIERO PAOLO GASPASOLINI

Bertolucci l'aveva fatto di nuovo. Si era preso due giovani della Primavera del Parma per giocare contro di noi, che eravamo impegnati a girare Salò. Era finita 5-2 l'amichevole, quelli si erano pure messi delle maglie strane per distrarci mentre giocavamo. Eppure l'avevo preparata bene, quella partita. I giovani Antonio Orlando e Franco Merli ad arare la fascia, l'attempato direttore della fotografia Tonino Delli Colli a dirigere le operazioni a centrocampo. Io? Chiaramente esterno d'attacco, pronto a servire il "Falco", Sergio Citti. Un 3-4-3 aggressivo in cui in teoria avremmo dovuto strozzare ogni iniziativa di Bertolucci, che da vero stronzo guidava dalla panchina e non in campo come me. In teoria ognuno di noi avrebbe dovuto prendersi l'uomo avversario e puntare sui duelli e sulla riconquista della seconda palla. Dopo il 2-0 iniziale però siamo crollati, vittima del blocco basso e stretto, e della troppa qualità di chi si era portato, vigliaccamente, Bertolucci. La vera distruzione dei sistemi di marcatura a uomo, il dribbling. Il calcio sarà pure l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo, ma i "cortomusisti" come Bertolucci credo avranno lunga vita.


