
Nando De Colo ha giocato un’infinità di partite con la maglia della Francia. È stato il simbolo della pallacanestro francese a cavallo tra il 2010 e il 2020 e l’appuntamento casalingo delle Olimpiadi di Parigi, a 37 anni, dovevano essere il suo passo d’addio, un torneo da vivere come veterano di una squadra già lanciata nel futuro. Vincent Collet l’aveva messo in campo appena 26 minuti complessivi durante la fase a gironi, per poi non schierarlo affatto nel quarto di finale contro il Canada e riservargli appena tre minuti nella semifinale contro la Germania campione del mondo in carica.
Non ci si aspettava niente di diverso alla vigilia della finale, ma il basket olimpico come la storia non è certo lineare o facile da prevedere. Con il terzo quarto arrivato agli ultimi secondi, Anthony Edwards cerca un passaggio troppo morbido a Kevin Durant in punta. Nando De Colo è lì, pronto a scippare il possesso, partire in contropiede e appoggiare al vetro il canestro che riporta i padroni di casa a -6, evitando il ritorno di Durant.
Guardando alla finale di pallacanestro maschile dei Giochi Olimpici di Parigi 2024 con una visione d’insieme, quel recupero vale poco o niente. Allora perché cominciare da qui? Perché è stato il segno che la Francia c'era e che il quarto quarto sarebbe stato vivo e da giocare, e così è stato, trasformandosi nel regno di un fenomeno che per più di quindici anni ha riscritto il paradigma di questo gioco. 2:12 minuti di letteratura sportiva. Questa, infatti, è stata la porzione di tempo necessaria al miglior tiratore che la storia della pallacanestro abbia mai visto, al secolo Stephen Curry, per chiudere la pratica francese e mettersi al collo il suo primo oro olimpico.
Una finale ricca dal primo all’ultimo minuto.
Ammirare la grandezza
Steph Curry aveva iniziato la sua primissima Olimpiade col freno a mano tirato: 7.3 punti di media con 5/20 dalla lunga distanza in quattro partite (contro Serbia, Porto Rico, Sud Sudan e Brasile) sono numeri a cui non si è abituati accanto al suo nome. Con la squadra di Steve Kerr sull’orlo del precipizio contro la Serbia di Nikola Jokic, invece, aveva tirato fuori una prestazione for the ages, la sua migliore (fino a sabato sera, forse) di sempre con la nazionale.
36 punti di cui 17 a fine primo quarto per l’unica fonte di irriverenza offensiva in una serata stortissima per Team USA, salvato in zona cesarini dallo stesso Curry e dalle altre due leggende di questa squadra, LeBron James e Kevin Durant. Non ci si poteva immaginare che avrebbe nuovamente preso per mano i suoi, e invece il tempo si è fermato a 2:47 sul cronometro dell’Accor Arena di Bercy, sul -3 francese (82-79).
Il numero 4 cerca di smarcarsi in un territorio usualmente non suo, quasi a portare un blocco per il palleggio insistito di LeBron James. Nicolas Batum lo marca stretto, non vuole lasciarselo scappare, ma alla fine cambia e non c’è comunicazione ideale con Guerschon Yabusele, che a sua volta arriva in ritardo sull’uscita di Curry. Gli basta uno step laterale e farla uscire dalle mani: solo rete e sospiro di sollievo per gli americani (di nuovo +6).
Passano un perfetto giro in lunetta di Kevin Durant e un canestro in allontanamento dal palleggio di Nando De Colo in uscita dal timeout, e i riflettori puntano ancora su di lui. È trascorso meno di un minuto dalla tripla precedente. Steph la porta nell’altra metà campo e va verso sinistra mentre attorno a lui si muove poco. Una finta in step-back fa volare un naturalmente incolpevole Batum, e la lascia partire. Swish, ancora.
Semplicemente il più grande tiratore della storia.
«No more, baby», sembra leggersi dal labiale. Niente più attesa, perché la distanza con la sua prima medaglia d’oro a cinque cerchi si sta assotigliando sempre di più. Poi, quella che sembra l’azione fotocopia fino al cambio dei francesi, con Yabusele questa volta su Curry. Even Fournier va in raddoppio e l’attacco americano gira come dovrebbe per trovarlo ancora sull’arco. 1:19 sul cronometro, meno di un secondo per tirare. Si tratta della terza di fila, quella che manda in visibilio tutto il mondo collegato per la finale.
A casa, sugli spalti, o a bordocampo, dove ci sono tutti: Carmelo Anthony - da quest’estate secondo per ori olimpici (3) nel basket maschile alle spalle di Kevin Durant (4) -, Scottie Pippen, il passato e presente della pallacanestro femminile americana con Lisa Leslie e A’Ja Wilson - che domenica ha contribuito all’ennesimo (ma faticoso) oro per Team USA, ancora una volta contro la Francia -, la centometrista Sha’Carri Richardson, leggende FIBA come Pau Gasol, Dirk Nowitzki o Tony Parker, forse il meno contento.
Icone dello sport che di solito la grandezza la creano e che invece sabato sera l'hanno vista passare davanti ai propri occhi, telefono in mano e bocca spalancata. Perché è questo quello che Steph Curry fa: tira fuori a tutti coloro che lo ammirano una gioia primordiale. Quella che riporta all’infanzia, pura e genuina.
Viene richiamato in panchina per Jrue Holiday, utile con la sua naturale intensità per quelli che saranno possessi difensivi cruciali. Si pensa che la terza delle sue triple in questo finale sarà anche l’ultima, considerando anche quanto le telecamere indugino sul suo stato post-adrenalinico in panchina, quando la trance agonistica sembra svanire. E invece si è riservato un finale a sorpresa per i titoli di coda. Come nei film degli Avengers, torna tutto.
Andrea Meneghin, al commento, immagina che Steve Kerr lo stesse rimettendo in campo per i tiri liberi del rush finale. Mario Castelli, al suo fianco, comprensibilmente commenta: «Steph Curry saggiamente inizia a giocare col cronometro». Eppure nel giro di un paio di secondi, dipinge un’altra Gioconda.
Nonostante Evan Fournier e Nicolas Batum ad asfissiarlo, con 35 secondi sul cronometro, KD e LBJ completamente abbandonati dalla difesa francese, Curry dà sfogo a una pazzia propria solo dei fuoriclasse. Quella che potrebbe essere una preghiera cestistica, un tiro impossibile anche solo da pensare, entra con una facilità disarmante. E bonne nuit Paris.
Un'esultanza ormai iconica.
«Mi sono detto tipo: ma che cazzo fa?», ha detto nel post partita Bam Adebayo su quella tripla. «Poi mi sono ricordato chi la stava tirando», ha aggiunto. Dopo la vittoria del suo primo oro olimpico da allenatore della spedizione americana, hanno chiesto a Steve Kerr cos’abbia fatto la differenza nel finale, mantenendo la Francia a debita distanza. «Steph Curry ha fatto la differenza», ha detto.
«Sto imparando»
L’ultimo giocatore francese a segnare prima di quel tiro era stato Victor Wembanyama. Una tripla, la sua, presa direttamente in ricezione da una rimessa da fondo per cercare di rimanere a galla, evitando di affondare sotto i colpi di Curry. Non è bastato, ma la finale di Parigi 2024 per il talento dei San Antonio Spurs sa di una di quelle prime volte speciali per davvero.
A 20 anni, il numero 32 - già iconico, ovunque per le strade della capitale francese - è stato il secondo giocatore per minuti giocati contro Team USA (29:32, alle spalle del solo Guerschon Yabusele con 31:00), durante i quali ha raccolto 26 punti con 11/19 dal campo e 7 rimbalzi. Ma la sua importanza per questa squadra risiede in molto più che nei numeri.
La possibilità di cambiare pressoché in qualsiasi situazione difensiva dà una dimensione universale ai possessi nella propria metà campo, così com’è catalizzante l’attenzione che le difese avversarie devono riservargli. Nel suo arsenale ci sono talmente tante soluzioni che l’ex Nanterre, ASVEL e Metropolitans 92 finisce quasi sempre per essere un rebus irrisolvibile.
Per una buona parte della gara, Vincent Collet si è affidato a Wemby da 5, ma la frazione in cui hanno maggiormente ridotto lo scarto lo ha visto giocare al fianco di Rudy Gobert e Guerschon Yabusele - protagonista di una finale straordinaria da 20 punti, di cui due arrivati con un poster da sogno su LeBron James -, da esterno mascherato nel corpo di un gigante.
Alla fine, nella sua prima apparizione ai Giochi Olimpici di casa, torneo inaugurale della sua carriera internazionale con i transalpini, Victor Wembanyama chiude con 15.8 punti (17º in tutto il torneo), 9.7 rimbalzi (2º della competizione dietro al solo Nikola Jokic e a pari merito con il giapponese Josh Hawkinson), 3.3 assist, 2.0 rubate e 1.7 stoppate in 29.8 minuti (2º dei suoi alle spalle di capitan Nicolas Batum con 30.3) di media a gara.
Prima Olimpiade, primo All-Star Five per Wemby.
Se sui social sta spopolando uno scatto che lo vede tentare di contestare una delle otto triple targate Curry, in un intrigante rappresentazione dello scontro generazionale (e fisico) venuto a crearsi sul parquet della Accor Arena, quello che rimane di questa spedizione argentata è il suo orgoglio che sprizza maturità da ogni poro. Alla sirena finale, l’alieno è sceso dalla navicella scoppiando in un pianto a dirotto, dimostrando di tenere a quest’oro come pochi altri.
Ciò che viene lasciato in eredità non solo da quest’atto conclusivo ma da tutto il torneo giocato da Victor Wembanyama - che ha forse steccato dal punto di vista prestazionale solamente l’appuntamento ai gironi con la Germania - è la sensazione che il futuro appartenga a lui e ai suoi compagni di squadra, con una nuova ondata di talento francese.
Poco dopo aver intonato con orgoglio la marsigliese insieme al suo pubblico durante la premiazione che ha visto Serbia e Team USA raccogliere bronzo e oro, ha rilasciato parole profetiche in zona mista. «Sto imparando, e sono preoccupato per i miei avversari già nei prossimi due anni», ha detto a Mike Ringer con la medaglia d’argento al collo. Alla domanda che è immediatamente seguita («In NBA o FIBA?»), non ha esitato: «Ovunque».
Cinque di fila - e ora?
In quello che è stato il torneo cestistico più competitivo di sempre alle Olimpiadi, culminato con le conclusioni chilometriche di Steph Curry, Team USA si è messo al collo la quinta medaglia d’oro consecutiva da Pechino 2008. Ma se c’è un insegnamento che va oltre il risultato nel breve termine, gli Stati Uniti dovranno imparare a cambiare le carte in tavola se vogliono continuare a calare l’asso piglia tutto.
Il contesto internazionale, a 32 anni dall’apertura statunitense ai professionisti anche nella pallacanestro olimpica, con un Dream Team che macinava uno scarto medio di +43.8 punti sugli avversari, è ormai competitivo tanto quanto una squadra assemblata con 12 All-Star. Lo ha dimostrato in particolar modo la partita con la Serbia, capace di condurre anche di 17 punti prima di arrendersi al fotofinish alla rimonta della squadra allenata da Steve Kerr.
Nikola Jokic ha chiuso la sua seconda Olimpiade con statistiche insensate: tra quelli che hanno giocato tutte e sei le partite a disposizione, è 1º per punti (18.8), rimbalzi (10.7) e assist (8.7), trascinatore dei vincitori del bronzo. Nella rivincita con la Germania, campione del mondo in carica ma fuori dal podio a Parigi 2024, la Serbia ha dimostrato di essere in prima linea per un ruolo da protagonista già a partire da EuroBasket 2025.
Guardando alla prossima Olimpiade, in casa a Los Angeles nel 2028, lo scenario non è idilliaco per Team USA, che senza i suoi giocatori più vecchi - Kevin Durant, un LeBron James che chiude da MVP olimpico a 39 anni e il miglior tiratore della storia e Steph Curry - sicuramente non si sarebbe messa l'oro al collo.
Certe cose non cambiano mai.
Con ogni probabilità, nessuno dei tre ci sarà tra quattro anni, e mentre il resto del mondo cresce, serve una nuova generazione capace di raccogliere un testimone dominante per Team USA. Un futuro che passa sicuramente dalle mani di Anthony Edwards, che ai suoi primi Giochi Olimpici ha dimostrato di valere un’investitura dalle leggende. Si sono sprecati i meme sul mancato impiego di Jayson Tatum e Tyrese Haliburton, ma il futuro è anche loro.
A Parigi, è stato fondamentale l’apporto di Jrue Holiday - che ha raggiunto la moglie e giocatrice di calcio Lauren Cheney per medaglie d’oro olimpiche (due, a Tokyo 2020 e quest’anno) - e Devin Booker, estremamente lodato da Steve Kerr. «Un cestista meraviglioso. Il nostro secondo MVP», ha detto di quel ragazzo che si era candidato fin da subito per un ruolo da role-player. «Lo farò io», aveva risposto ad un tweet di Kyle Kuzma in cui si sottolineava l’importanza di un gregario da 3&D in un eventuale Team USA pieno di stelle.
Un’Olimpiade, dunque, che ha rispettato i pronostici della vigilia. Era lecito aspettarsi una doppietta d’oro da Team USA tanto nel maschile quanto nel femminile, ma il vento ha iniziato a soffiare in direzione opposta a un dominio incontrastato, da oggi in poi. Parigi 2024 potrebbe aver scritto la prima pagina di romanzo tutto da scoprire sul futuro della pallacanestro su scala globale. Uno sport che è diventato di tanti.