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Usain Bolt è più scarso di me
17 ott 2018
Quale messaggio vuole darci la storia di Bolt calciatore?
(articolo)
9 min
(copertina)
Foto di Peter Parks / Getty Images
(copertina) Foto di Peter Parks / Getty Images
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Quindi alla fine è successo: Usain Bolt è diventato un calciatore. Dopo averlo ripetuto in mille interviste, aver fatto gli occhi dolci al Manchester United, aver approfittato dello sponsor in comune per un provino con il Borussia Dortmund e di un evento di beneficenza per portare avanti la sua causa personale, finalmente c’è riuscito. O almeno, c’è riuscito se diventare calciatore vuol dire segnare due gol in amichevole al Macarthur South West United, una squadra di cui non sono riuscito neanche a capire il livello, che non c’è neanche su siti come Transfermarkt e che sembra la svogliata selezione di commessi di un centro commerciale alla periferia di Sydney.

L’evento ci è stato raccontato come la realizzazione del sogno di Usain Bolt, ormai in pensione, che nonostante abbia avuto in dono un talento che gli ha permesso di battere il record mondiale sui 100 metri, quello sui 200 metri e quello nella staffetta 4x100 insieme ai suoi compagni di squadra jamaicani, in realtà sotto sotto avrebbe sempre voluto fare il calciatore.

L’amara realtà, però, è che Bolt non solo non ha il talento per fare il calciatore, ma probabilmente è persino più scarso di me, che anche se mi piacerebbe, non sono un calciatore.

Non c’è modo per non farla sembrare la provocazione di uno che ha passato troppe ore nel traffico con Cruciani, ma a forza di guardare video e vedere le sue difficoltà a coordinarsi per assecondare le richieste del gioco del calcio, mi sono fatto l’idea che il talento di cui è stato dotato Usain Bolt sia probabilmente inferiore al mio (che a differenza sua so stoppare la palla) e sicuramente inferiore a quello di molti di voi che mi leggete.

Bolt dice che i sogni diventano realtà tramite il duro lavoro, anche se forse sarebbe meglio dire: «se siete i migliori al mondo in uno sport, poi con un po’ di aiuto da parte dello sponsor forse potete togliervi la soddisfazione di rendervi ridicoli in un altro sport».

Prendiamo l’ultima amichevole, per la quale, immagino, si sia allenato duramente come solo un’atleta d’élite sa fare. In quella partita, partendo titolare, Bolt ha segnato due gol e completato in tutto solo due passaggi. Cosa ti identifica di più come calciatore: l’abilità di mettere due volte il pallone dentro una rete o quella di connetterti con i tuoi compagni di squadra?

Quale calciatore può permettersi di fare 2 passaggi in settantacinque minuti pur giocando nella squadra più forte tra le due in campo? Io faccio più di due passaggi nell’ora a settimana in cui gioco con i miei amici, ad esempio.

Se le statistiche non sempre rispondono alle domande che gli facciamo, in questo caso la risposta appare lampante: Bolt non è un giocatore perché non partecipa in nessun modo al gioco. E non partecipa, perché non può partecipare.

Risultato casuale, prestazione no.

Su YouTube si trova tutta la partita contro il Macarthur South West United e, pur non invitandovi a guardarla per puro piacere, può essere utile dare un’occhiata giusto per capire di cosa sto parlando. In Usain Bolt, calciatore, non c’è nulla di naturale. Tanto sembra fatto per correre il più veloce possibile, tanto sembra una tortura per il suo fisico e le sue capacità coordinative relazionarsi con una palla da calcio. Non c’è un movimento istintivo, una lettura efficace, una giocata superiore a quelle che fate voi - e sono sicuro che alcuni di voi giocano ad un livello tale che gli avversari non sono inferiori a quelli di Bolt.

Anche il gol che segna, il primo, sembra più la conseguenza dello scontro tra un atleta professionista e una persona messa lì a fare da sparring partner. Quel gol, per dire, l’avrebbero potuto segnare, magari in altro modo, anche Kevin Durant o Conor McGregor. Ma non sarebbe riproducibile in un campionato vero, con persone allenate al solo scopo di non farsi saltare come birilli in autostrada.

Che Usain Bolt non possa veramente fare il calciatore lo si capisce anche dallo sforzo che sta compiendo Mike Mulvey, l’allenatore dei Central Costal Mariners: se nella prima amichevole disputata il giamaicano era entrato a venti minuti dalla fine andando a ricoprire la posizione di attaccante esterno a sinistra, probabilmente per assecondare l’idea secondo cui i giocatori veloci giocano sulla fascia, nell’ultima Bolt ha occupato il ruolo di centravanti. Questo perché, per quanto paradossale possa sembrare, quando gioca a calcio, Bolt è così scarso che sembra lento.

In questa azione l’uomo più veloce del mondo non è più veloce del numero 13 del Macarthur South West United. Vi sembra normale?

Probabilmente Bolt potrebbe esprimere la sua velocità in alcune situazioni limite, come delle transizioni di 80-90 metri, ma con 195 centimetri e 94 chili di peso non può avere la rapidità necessaria per giocare normalmente a calcio, uno sport dove lo sprint raramente supera i 10-15 metri - quei metri in cui, dovreste ricordarlo se avete visto almeno una volta il giamaicano distruggere i suoi avversari, Bolt raramente è in testa.

Mulvey ha pensato quindi di sfruttare l’altro grande vantaggio di Bolt: la stazza. Ma il ruolo di centravanti richiede una quantità di movimenti e letture che non possono essere improvvisate. Giocare spalle alla porta è un’arte, tanto quanto il dribbling o l’assist.

Quante domeniche mattina ha passato Bolt a prendere calci da difensori stronzi per affinare la velocità di pensiero necessaria per fare il centravanti con profitto nella serie A australiana? Io dico nessuna .

Bolt, giustamente, si è allenato per correre il più velocemente possibile in linea retta per tutta la vita, una abilità che però nel gioco del calcio è tanto utile quanto quella di saper raccogliere gli oggetti da terra con le dita dei piedi. Quando è impegnato a giocare a pallone Bolt perde tutta la grazia cinestetica che ne ha caratterizzato la carriera da sprinter: se sul tartan della pista d’atletica sembrava volare come il monopattino di Ritorno al Futuro II, sull’erba australiana arranca scoordinato come il monopattino di Ritorno al Futuro I.

Adesso, veramente, come fa Bolt a dire che questo è un sogno che diventa realtà? Si può chiamare sogno l’incidente tra la nostra volontà e il muro della realtà?

Usain Bolt, che è stato uno dei più grandi atleti della storia, dovrebbe avere l’intelligenza di capire che quello che per lui è un semplice capriccio, sta finendo per sminuire il calcio australiano e anche l’idea che abbiamo di lui. «È decisiva per il mio futuro in questo sport, il club deciderà cosa fare della mia carriera», ha detto lui stesso prima dell’amichevole, intendendo che la squadra australiana stia realmente valutando il da farsi in base alle sue prestazioni. Ma possiamo davvero credere che sia così, anche solo in parte? Bolt può crederlo? Mentre si allena con i suoi compagni, non vede la differenza?

Io ho smesso di giocare quando ho capito che tutti intorno a me progredivano e io no. Anche per questo Bolt è più scarso di me: sul campo da calcio il senso della misura è importante.

Ma va detto a questo punto che non è tutta colpa di Bolt, se i Central Coast Mariners stanno valutando qualcosa di sicuro non sono le sue prestazioni. Shaun Mielekamp, il direttore generale della formazione australiana, aveva commentato così il suo arrivo in prova: «Mi dicono che a calcio ci sappia fare e se sarà così sarà davvero eccitante. Prevedo che il nostro stadio farà registrare sempre il tutto esaurito».

Ci eravate probabilmente arrivati da soli, ma devo mettere nero su bianco che ho dei dubbi sull’interesse della squadra australiana per Bolt, che di fatto è un non-calciatore. Degli ultimi venti tweet della squadra australiana, diciassette parlano di Bolt. Eppure nella stessa amichevole hanno esordito due veri nuovi acquisti: Ross McCormack, giocatore con un gol in Champions League nel curriculum, e Tommy Oar, nell’ultima stagione all’APOEL Nicosia, una squadra che partecipa stabilmente nelle coppe europee.

In campo Bolt svolge una funzione estetica. Andarlo a veder giocare è come andare allo zoo per le tigri o al Louvre per la Gioconda. E se Bolt dovesse davvero firmare per i Coast Center Mariners (in un campionato in cui l’anno scorso giocava Maccarone, tra gli altri) sarebbe una sconfitta per tutti, non una vittoria per i sognatori.

Bolt non può giocare a pallone e abbiamo il dovere morale di non far passare il messaggio posticcio che può farlo solo perché lo vuole davvero, altrimenti dovremmo credere che è possibile volare semplicemente saltando dalle finestre, o che con la buona volontà possiamo fermare un treno in corsa. È vero che viviamo in un’epoca confusa in cui è difficile riconoscere i meriti e i limiti che accompagnano ogni percorso professionale, in cui non solo Bolt sta passando il messaggio che tutti possono fare tutto, ma il bello dello sport è proprio che alla fine i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

D’accordo, le interazioni su Twitter hanno un loro valore tangibile, e questo articolo è un esempio del successo che ha già ottenuto “l’operazione Bolt”: senza di lui non avreste mai trovato i Central Coast Mariners sulle pagine dell’Ultimo Uomo, come non lo avreste trovato da nessuna altra parte. Tuttavia, esistono dei limiti che non dovrebbero essere superati: Usain Bolt è scarso e non si merita quella maglia, tanto quanto non me la merito io.

Se vogliono pubblicità gratuita che vadano a prendere Saadi Gheddafi, un uomo che ha sfruttato la sua posizione per giocare a un livello che non gli competeva, ma che almeno era un calciatore a tutti gli effetti (oggi, dopo il rovesciamento del potere del padre in Libia, dovrebbe essere in prigione, il che potrebbe rendere difficile in effetti una strategia di marketing).

Questo è quello che è stato capace di fare Usain Bolt su un cross di Robbie Keane. Se li merita i cross dei Robbie Keane di questo mondo? No, non se li merita.

Adesso pare che La Valletta gli abbia offerto un contratto e si è parlato persino di un interesse del Milan. Bolt è più scarso di me, ma vedere Bolt in campo non mi fa pensare che anche io potrei diventare, o sarei potuto diventare, un calciatore professionista. Anzi, piuttosto mi fa pensare a tutti quelli più forti di Bolt che non diventeranno professionisti e che si possono sentire, giustamente, presi per il culo dalla retorica dei sogni che diventano realtà.

Lo sport non è quel posto dove si possono raggiungere traguardi in qualsiasi modo, ma una forma d’espressione. Poter dire di aver giocato un paio di partite da professionista, o magari un campionato intero, non significa nulla se poi in campo ti esprimi come uno che lì non dovrebbe esserci.

Altrimenti anche io posso decidere di diventare un grande centometrista. È il mio sogno, anzi, e voglio fare di tutto per realizzarlo. Ho 31 anni e peso un’ottantina di chili per un metro e ottantasei, non mi sono mai allenato davvero ma da quando sono piccolo corro molto veloce dietro agli autobus. Chissà se Bolt, guardandomi correre, direbbe ancora: “Tutto è possibile non datevi limiti”.

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