Perché il calcio è lo sport più seguito del pianeta? Esistono molte risposte possibili, la mia è che non esiste sport di squadra più imprevedibile. Secondo le statistiche, le squadre favorite vincono solo il 50% delle loro partite: nel football americano, ad esempio, questa percentuale sale al 75% per le franchigie più forti. In una partita di calcio il numero di eventi, di episodi e, infine, di gol è così esiguo che ogni confronto può girare a favore dell’una o dell’altra squadra.
Oggi celebriamo la qualificazione ai preliminari di Champions League della Lazio di Pioli. Una squadra bella, sfrontata, persino cocciuta nel voler mettere in pratica la propria idea di calcio. Ma avremmo potuto parlare di un’altra rimonta e di un’altra Istanbul per Rafa Benítez, se solo poche cose fossero andate diversamente.
Nel primo tempo la Lazio ha riproposto, pur in un modulo differente, gli stessi concetti e lo stesso atteggiamento che nel girone di ritorno le hanno concesso un long run di otto vittorie consecutive. Il Napoli invece è sembrato contratto: la scarsa prestazione di alcuni singoli e i suoi difetti congeniti lo hanno portato al riposo con due gol di svantaggio. L’Indice di Pericolosità di SICS fotografa l’andamento della partita: dopo i primi venti minuti di matrice biancoceleste, il Napoli crea qualche occasione in più nella parte centrale. Il computo dei pericoli però alla fine del primo tempo è sostanzialmente in parità (20 e 17 l’IPO delle due squadre).
A inizio ripresa, però, le energie della Lazio hanno cominciato a scemare e dal doppio giallo di Parolo (dal sessantesimo in poi, quindi) in campo s’è vista una sola squadra: il Napoli. L’IPO della Lazio è rimasto piatto fino al gol qualificazione di Onazi, e in generale la squadra Pioli è rimasta fuori dalla partita fino a quando il rigore sbagliato da Higuaín, e il rosso a Ghoulam, l'hanno riportata mentalmente sopra la linea di galleggiamento. L’Indice di Pericolosità delle due squadre al fischio finale è di 74 a 38 a favore dei partenopei.
La Lazio in assetto da finale
Pioli ha dovuto fare a meno di Lucas Biglia, uno dei pochi insostituibili. L’argentino è il metronomo della manovra biancoceleste ed è l’uomo che ha maggiore capacità di lettura della partita, in grado di non far mai mancare coperture e raddoppi ai compagni. Per sopperire alle carenze in fase d’impostazione e per ridurre i rischi davanti alla propria difesa, Pioli ha scelto di schierare la sua Lazio con lo stesso modulo utilizzato nella finale di Coppa Italia.
I tre centrali difensivi (Mauricio, de Vrij e Gentiletti) hanno interpretato la partita in modo aggressivo: restando alti sulla trequarti per mettere in fuorigioco gli attaccanti avversari, con licenza di uscire dalla linea per andare sull'avversario che tra le linee provava a ricevere palla. Questa marcatura aggressiva sui trequartisti avversari era possibile anche per la copertura data dagli altri due centrali, che restavano vicini, stretti in marcatura sull’unica punta del Napoli, Higuaín. Alla fine della partita saranno Mauricio e de Vrij i due laziali con più palloni recuperati: 9 e 8 rispettivamente.
I due esterni a tutta fascia, Basta e Lulic, si sono occupati dei trequartisti napoletani quando erano molto in alto sul campo e sull'esterno, per poi seguirli nella propria metà campo fino ad abbassarsi sulla linea dei tre difensori centrali. Quello laziale era un 3-4-3 che in fase di non possesso diventava 5-4-1: con Candreva e Felipe Anderson che si abbassavano e restavano stretti accanto a Parolo e Cataldi per proteggere il centro del campo. Ghoulam e Maggio potevano ricevere inizialmente palla ma poi venivano pressati dagli esterni della Lazio, con il resto della squadra che saliva per stringere gli avversari intorno al fallo laterale.
In mezzo al campo, Parolo e Cataldi marcavano a uomo i due costruttori di gioco, David López e Inler, riuscendo comunque a fornire copertura reciproca: quando uno dei due usciva alto, l’altro indietreggiava e stringeva verso il compagno. Un sistema di gioco, con marcature a uomo a centrocampo e difensori aggressivi in uscita, che ricordava da vicino il 5-2-3 dell’Olanda di Louis van Gaal allo scorso Mondiale.
La rimessa laterale è una situazione di gioco nella quale la Lazio porta Candreva e Felipe Anderson a giocare sullo stesso lato. I due contestano la spizzata di Djordjevic per puntare poi i difensori napoletani. Sul lato opposto Lulic prova a prendere lo spazio lasciato da Anderson.
In fase di possesso la Lazio ha cercato spesso la verticalizzazione verso la testa di Filip Djordjevic, per saltare il centrocampo avversario e contestare al Napoli le seconde palle. Lo ha fatto sia dal rinvio lungo del portiere sia tramite i lanci dalla fascia di Mauricio e Gentiletti.
Finché ha tenuto fisicamente, la Lazio è riuscita a effettuare queste transizioni in maniera rapida e organica, portando sistematicamente sette uomini sopra la linea della palla a transizione completata; in debito d’ossigeno i reparti si sono allungati e questo tipo di azione non ha fatto altro che concedere spazi al Napoli.
Uno schema tipico della Lazio da quando ha recuperato Gentiletti: il difensore si allarga sulla sinistra e cerca uno degli attaccanti con un passaggio in verticale. Il movimento di Felipe Anderson, a venire in mezzo al campo, trascina Maggio fuori posizione. Lo spazio che si è venuto a creare viene attaccato dal terzino Lulic, che nel frattempo si è avvantaggiato su Callejón. Sugli sviluppi di quest’azione, Parolo porta in vantaggio la Lazio.
All'inizio dell'azione i tre centrali biancocelesti si allargavano su tutto il campo, assumendosi l’onere dell’impostazione. Senza il suo principale costruttore di gioco al centro del campo, Pioli ha pensato di fare gioco partendo dalle fasce, dividendo questa responsabilità tra Mauricio e Gentiletti. Proprio dai piedi dell’argentino ex San Lorenzo è partita l’azione che ha portato al primo gol, quello di Parolo (Gentiletti ha realizzato 5 passaggi chiave, il migliore tra i laziali).
Nei dieci minuti iniziali del secondo tempo, la Lazio ha mantenuto la stessa impostazione e il pallino del gioco. Poi un cambio tattico di Benítez e, soprattutto, l’espulsione di Parolo hanno costretto Pioli alla prima sostituzione. La Lazio è passata ad un 5-3-1, con l’inserimento di Ledesma davanti alla difesa nel tentativo di controllare il gioco.
Napoli troppo leggero
L’organizzazione della fase di non possesso per il Napoli è cambiata di molto rispetto alla partita d’andata. In quel confronto furono fondamentali le marcature a tutto campo dei trequartisti esterni (Mertens e Callejón anche in quella partita) sugli interni del centrocampo laziale. Con il cambio di sistema operato da Pioli, invece, le due ali hanno formato delle coppie naturali con i due terzini laziali. La loro marcatura però è stata piuttosto blanda, come se preferissero restare alti per creare occasioni in ripartenza.
Nel corso della partita non si sono mai viste le due linee da quattro chieste da Benítez in fase di non possesso e il primo gol laziale è nato proprio a causa di una marcatura pigra di Callejón su Lulic. Il secondo gol, invece, è scaturito da uno dei problemi che Benítez non è mai riuscito a risolvere, un punto nodale della tattica del Napoli: la mancanza di coperture preventive.
L’anticipo di Lulic sorprende Inler fuori posizione. Lo svizzero avrebbe dovuto coprire venti metri più indietro l’uscita di Koulibaly, che tentava di impostare l’azione. Candreva può invece involarsi in campo aperto per siglare il gol dello 0-2.
Troppo semplicisticamente si punta il dito verso Albiol e Koulibaly. I due difensori centrali hanno grandi responsabilità in fase di impostazione e la loro azione li porta spesso in zone avanzate del campo e, di conseguenza, ad accettare un livello di rischio maggiore. SICS ci dice che Albiol ha realizzato il maggior numero di passaggi chiave tra i suoi compagni (8) e che insieme a Koulibaly hanno recuperato 35 palloni. Inoltre Albiol ha vinto 10 dei 13 duelli ingaggiati, 11 su 14 la statistica del compagno di reparto Koulibaly. Il Napoli ha recuperato, anche grazie al posizionamento dei suoi centrali, 67 palloni con un’altezza media di 39 metri. È una tattica aggressiva che a volte paga i propri dividendi; a volte, in assenza delle coperture, costa la partita.
Napoli troppo lento
Contro il meccanismo difensivo di Pioli, il Napoli ha avuto molte difficoltà nel creare occasioni sia per via centrale, dove predilige attaccare, sia sulle fasce. Al di là dell’occasione in contropiede sprecata da Callejón e maturata da un errore di impostazione dei biancocelesti, l’unico frangente in open play durante il quale il Napoli si è reso pericoloso sono stati i cambi di gioco.
Nelle rare occasioni nelle quali il Napoli è riuscito a fa circolare la palla rapidamente sul lato opposto, è riuscito anche a trovare scoperta la Lazio: i biancocelesti si spostano come un corpo unico per aumentare la densità nella zona della palla, per questo soffrono se vengono sorpresi sul lato debole. Per il resto la circolazione di palla del Napoli è stata molto lenta, almeno fino alla sostituzione di Inler con Gabbiadini.
La linea di difesa a cinque della Lazio è sempre molto alta, nel tentativo di accorciare il campo agli avversari. Si vede anche Cataldi uscire alto in pressione e Parolo offrirgli copertura centralmente. Il Napoli ha provato ad attaccare la linea avversaria uomo contro uomo, alzando alternativamente uno dei terzini. La circolazione di palla però è stata generalmente lenta e la Lazio non si è fatta sorprendere.
Con l’ex sampdoriano nel ruolo di trequartista centrale, Marek Hamsik è stato portato da Benitez nella linea dei mediani: questo cambio tattico, operato al cinquantatreesimo, ha spezzato in due la partita.
Hamsik finalmente poteva vedere campo, dopo che era stato costretto spalle alla porta per tutto il primo tempo dalla marcatura aggressiva dei tre centrali avversari, e lo slovacco è eccezionale quando ha spazio da prendere: se si mette in moto è in grado di saltare l’uomo, di creare superiorità numerica, di fornire l’assist. Spalle alla porta, però, e col pallone tra i piedi, è un giocatore tutto sommato normale. Il gol del momentaneo 1-2 è nato da una palla rubata dal capitano azzurro sulla trequarti e da un suo passaggio filtrante vincente. A fine partita: 3 dribbling riusciti, 6 passaggi chiave e 3 assist per il tiro di un compagno. La maggior parte di questi eventi sono avvenuti nel secondo tempo. Mi chiedo se, in questi due anni, Benítez non abbia mai pensato di schierare Hamsik stabilmente una ventina di metri più in basso, per permettergli di dare sfogo alla sua azione. Ma ormai è tardi anche per i rimpianti.
Finisce nel peggiore dei modi l’epopea al Napoli di Rafa Benítez. L’utopia di un calcio iperoffensivo (gli azzurri hanno segnato 147 gol in due campionati, praticamente 2 gol a partita) si è arenata di fronte alle troppe occasioni concesse agli avversari. Quello che stupisce è la ripetitività degli errori di questo Napoli, ai quali Benítez non è riuscito a porre rimedio. Con troppa semplicità, avversari anche di rango inferiore sono riusciti ad avvantaggiarsi delle pecche difensive di questa squadra. C'è qualcosa di autolesionista nel Napoli, negli errori dei singoli sempre nei momenti decisivi. Higuaín ha sbagliato con il Dnipro e contro la Lazio, quando il Napoli era sul punto di ribaltare il risultato a proprio favore anche grazie a lui, ha sbagliato il rigore che a conti fatti ha tagliato le gambe ai partenopei più di quanto abbia fatto il gol di Onazi.
Per quello che hanno fatto vedere nel confronto diretto (ma soprattutto nella seconda metà del campionato) gli uomini di Pioli hanno meritato il palcoscenico europeo più prestigioso. Come Icaro, la Lazio ha sfidato gli dei del campionato con un gioco dogmatico fatto di recupero alto del pallone, pressing organizzato, transizioni difesa-attacco rapidissime, difesa alta e fuorigioco. Speriamo solo che la Nemesi, la giustizia divina, non ne chieda conto ai laziali nel preliminare d’agosto.
Ringraziamo per i dati SICS (che potete anche seguire su Facebook e Twitter).