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Il gatto Usyk ha sconfitto l'orso Fury
20 mag 2024
I Pesi Massimi hanno un nuovo re.
(articolo)
9 min
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Il serpente all’ombra dell’aquila è un film con Jackie Chan, uno di quelli con la trama più semplice: un giovane orfano viene vessato dai bulli di una palestra della quale è ospite: un maestro lo allenerà per affrontarli e sbarazzarsene. Lo stile di combattimento del suo personaggio, quello “del serpente”, viene allenato in segreto, per prepararsi a spezzare il dominio dello stile “dell’aquila”, il più forte e spietato. Se il serpente si allena, appunto, all’ombra dell’aquila, prima di affrontarla, nel caso di Usyk e Fury potremmo parlare di un gatto che deve combattere degli orsi. Il gatto, l’ucraino, si è allenato all’ombra degli orsi, in sordina, scalando le gerarchie di una divisione di peso inferiore e prendendosi con la forza tutto (ma proprio tutto) in quella più alta, quella dei giganti di giada, in modo rumoroso e contro il suo miglior rappresentante.

Tyson Fury ha uno stile educato, creativo e aggraziato, che contrasta col suo fisico da sagra. Guardandolo a torso nudo settimane prima di un combattimento importante come quello che è andato in scena sabato notte a Riad - dopo il vincitore avrebbe riunito le cinture WBC, WBA (Super), IBF, WBO e IBO - mai si penserebbe al pugile più forte in circolazione nei pesi massimi, o a uno dei due migliori massimi. Fury è l’Ecce Homo del pugilato contemporaneo, risorto più e più volte da colpi che sembravano doverlo mettere definitivamente KO (quello subìto da Deontay Wilder nel loro primo match è fuori da ogni umana comprensione). A parte la sua ultima uscita contro Francis Ngannou, Fury ha sempre dato l’impressione che se ben preparato e ben concentrato aveva ragione d’essere considerato il dominatore dei pesi massimi.

Tyson Fury ha già provato a se stesso e agli altri di essere capace di grandissimi come-back, come quando nel 2018 riemerse da una prolungata assenza - durante la quale era diventato dipendente dalla cocaina per “curare” la depressione, un periodo terribile in cui era arrivato a perdere 70kg - e dopo appena due vittorie fu capace di pareggiare con l’allora campione WBC, Deontay Wilder, resuscitando, come si diceva sopra, dopo un macigno che sembrava averlo mandato KO.

Per questo la vittoria di Oleksandr Usyk, ex campione cruiserweight, è a suo modo sorprendente. Che tutte le cinture più prestigiose fossero riunite da un solo campione non avveniva dal lontano 1999, quando Lennox Lewis (un fenomeno sottovalutato perché cresciuto nella stessa epoca di uno dei migliori pugili di sempre, Mike Tyson) sconfisse Evander Holyfield. Allora le cinture erano tre, e dopo Lewis, fino appunto a Usyk, nessun peso massimo era riuscito a riunificarle.

Lo scrittore Marco Nicolini, una delle massime autorità quando si parla di storia della boxe in Italia, aveva definito il match come “uno dei più attesi della storia”. Usyk si è presentato il giorno prima dell’incontro pesando 105.9 chili (suo peso più alto registrato in carriera), in 191 centimetri di altezza e con 198 centimetri di allungo; mentre Fury ne pesava 118.8, con 206 centimetri di altezza e 216 di allungo. La differenza fisica che intercorre tra i due è stratosferica.

Tyson Fury, sebbene non nel suo periodo di massima ispirazione, teneva stretta ancora la sua imbattibilità, a fronte di una vittoria risicata contro Francis Ngannou (che è stato poco dopo esposto nella sua inesperienza dal colossale Anthony Joshua). Nonostante questo, veniva dato dai più (compreso il sottoscritto) considerato come il favorito per il match con Usyk. Anche Usyk aveva fatto discutere per il suo ultimo match, combattuto contro Daniel Dubois con in palio tutte le cinture ad esclusione della WBC, allora in mano a Fury. Nel quinto round Dubois aveva colpito Usyk nella zona che va tra l’inguine e lo stomaco: sebbene in molti avessero giudicato il colpo come regolare, l’arbitro lo segnalò come irregolare. Usyk si riprese e tornò alla carica vincendo per TKO al nono round e portando il proprio record pro a 21 vittorie e nessuna sconfitta.

La storia di Usyk è particolare: nei massimi è stato praticamente sempre dato sfavorito, ma ha superato in maniera brillante un pugile del calibro di Derek Chisora, per poi certificare il proprio status leggendario nei due match vinti contro Anthony Joshua, ex campione WBA, IBF, IBO e WBO. Usyk è entrato come un incomodo nella contesa tra Fury, Joshua e Wilder su chi fosse il miglior massimo in circolazione (Joshua e Wilder non si sono mai incontrati, e neanche ultimamente il match pare programmabile, a seguito della sconfitta di Wilder per mano di Joseph Parker) ed è passato da netto underdog a dominatore, accettando anche borse di molto inferiori rispetto a quelle dei suoi avversari, pur di avere la possibilità di affrontarli. Per imporsi. Per la storia, più che per il denaro. Per l’eredità sportiva, davvero.

Ad esclusione di Wilder, Usyk può dire di aver affrontato e battuto i due massimi (i due orsi) più dominanti degli ultimi anni.

E lo ha fatto in maniera convincente.

L’incontro

Vederlo risalire la china dopo una partenza ingolfata contro un miglior Fury, almeno per la prima metà del match, è stata un’esperienza quasi metafisica. La ricerca continua del colpo perfetto, dopo aver subito sei riprese di martellamenti, dopo aver sacrificato l’occhio del lato avanzato per incassare e arrivare alla giusta distanza, dopo aver “mangiato” alcuni pugni che avrebbero messo a terra un bisonte. Se era ovvio che uno stratega fine del calibro di Fury avrebbe puntato al corpo di Usyk, la cui non irresistibile durezza era stata esposta da Dubois, e che si sarebbe fatto rincorrere canzonandolo, non era altrettanto pronosticabile, e in un certo senso ha sorpreso, vedere Usyk cambiare l’inerzia del match prima di portarlo in maniera definitiva dalla sua parte.

Fury sa come addormentare i match, ha dato prova di poterli gestire a piacimento. Stavolta, invece, si è dovuto arrendere a ciò che sembrava impossibile a chi aveva fino a quel momento guardato l’incontro. Dopo il knockdown nel nono round, il match è stato a senso unico ed è sembrato un incontro diverso rispetto a quello svoltosi nella prima fase, se si pensa che Fury già alla prima ripresa si era messo spalle all’angolo danzando e sbeffeggiando un concentrato Usyk (che in falsa guardia con il braccio avanzato ad altezza media cercava di trovare la via del corpo anche lui, riuscendoci a tratti).

Il primo round è stato un capolavoro di uscite dalle diagonali, di jab e diretti con cui Fury lasciava sì l’avanzamento a Usyk, ma decidendo ritmo e distanze. Sia chiaro: a livello di punteggio il round è discutibile (e infatti è discusso), ma Fury ha mostrato delle meraviglie di cui oggi, probabilmente, solo lui tra i giganti è capace. Sebbene Usyk abbia provato a ripartire in maniera forte nelle battute iniziali della prima metà del match, è stato Fury il pugile che ha messo i colpi migliori: l’ucraino è parso a tratti disorientato, vacuo, davanti ad un Fury mobile, che spesso arretrava all’angolo, ma che usciva magistralmente dalla pressione del suo avversario.

Usyk ha cominciato a mettere dei buoni colpi tra bersaglio grosso e l’irraggiungibile testa di Fury, che nel frattempo non ha nemmeno lesinato i colpi alle braccia: come insegna lo stile messicano, la demolizione degli arti rallenta e compromette l’esecuzione delle combinazioni avversarie. Fury ha continuato a farsi inseguire finché ha potuto, continuando a colpire il corpo, la testa e soprattutto le braccia di Usyk, riuscendo a tratti nel tentativo di frustrarlo.

Nel quarto round l’ucraino ha subito alcuni dei colpi migliori dell’inglese, che coi jab spaccava la guardia e coi montanti lo raggiungeva al volto. La faccia di Fury, distorta dalle smorfie tipiche di chi è concentrato e soddisfatto allo stesso tempo, ha raccontato il match almeno quanto i suoi colpi, e se il Fury del quinto round pareva avere pienamente il controllo della situazione quello del sesto, pur andando a segno bene al corpo, pareva iniziare a comunicare le prime sensazioni negative. Non perché Fury avesse subito dei colpi pericolosi, quanto perché di crollare o cedere, il suo più piccolo avversario non ha voluto saperne.

Il knockdown che ha cambiato l’incontro, anche agli occhi dei giudici.

Usyk aveva subito un carico di colpi a dir poco mostruoso e almeno in parte avrebbe dovuto mostrarne gli effetti, invece ha continuato a fare ciò che gli riesce meglio: incassare, muoversi e tornare a colpire. Il suo lavoro non è stato un lavoro di demolizione, quanto un lavoro di pazienza e dedizione. Sacrificando il proprio corpo pur di ottenere le misure, Usyk ha trovato la via per la conquista della vittoria nel nono round, quando ha centrato con un sinistro mostruoso Fury, distruggendogli il naso - già danneggiato da un overhand nella ripresa precedente, una di quelle che sono sembrate pendere verso il lato dell’ucraino.

Fury è finito di peso sulle corde pur di non concedere il knockdown e l’arbitro lo ha contato, mentre il pugile inglese barcollava da un lato all’altro del ring. La caccia di Usyk è stata interrotta subito dopo dalla campana di fine round. Quell’overhand, prima ancora del pugno del conteggio, era sembrato il punto di svolta dell’incontro, il cambio d’inerzia e di direzione di qualcosa che fino a poco prima sembrava voler avere un esito diverso.

Da quel momento, Usyk ha orchestrato tutto alla perfezione, prendendo il ritmo in maniera totale, mandando a vuoto Fury, punendolo e costringendolo spesso ad indietreggiare in maniera netta. Fury ha trovato un ultimo lampo a poco meno di un minuto dalla fine, chiarendo, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che il match si è svolto sui binari dell’equilibrio, come pure confermato dalla finale decisione non unanime dei giudici: 115-112, 114-113 Usyk; 114-113 Fury.

Il pugilato dei pesi massimi ha un nuovo campione assoluto, sebbene Usyk potrebbe tenere il titolo IBF per poco, visto che per obblighi verso la federazione dovrebbe difenderlo contro lo sfidante designato Filip Hrgovic, fenomeno croato trentunenne che pare avere le carte in regola per giocare coi grandi. Usyk però ha ammesso di voler onorare la clausola di rematch nel contratto con Fury: IBF potrebbe, quindi, privare Usyk della cintura e metterla in palio per il prossimo match di Hrgovic, contro il sopra citato Daniel Dubois. Il vincitore, poi, con tutta probabilità dovrà affrontare Joshua.

Insomma la divisione dei pesi massimi, spesso chiacchierata in maniera troppo critica e negativa, sta offrendo una brillantezza che non si vedevano da tempo, con pugili di altissimo calibro e match emozionanti. E con l’incoronazione di Usyk, nuovo re incontrastato di categoria, la situazione si fa ancora più eccitante e rende possibili una serie di eventualità sportivamente incredibili per l’uomo più piccolo della categoria che si è preso di forza il posto più in alto tra i grandi.

D’altronde, come ha detto lo stesso Usyk: “Se la stazza contasse davvero, l’elefante sarebbe il re degli animali”. Senza spingerci a dire che il peso, o l’altezza, non contano nulla - e senza chiederci se in fondo non sia effettivamente l’elefante il vero re della foresta - ci limitiamo ad esaltare le parole e la filosofia del nuovo re. E quel re, adesso, è Oleksandr Usyk.

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