Il 2019 lo ricorderemo come quell'anno in cui, dopo ogni partita importante dell’Ajax, ci troviamo a scrivere un pezzo celebrativo su un suo calciatore. Potreste prenderlo come un tic giornalistico, o come il naturale desiderio di sottolineare una squadra così ricca di eccezionalità che è diventato difficile capire dove finisce il loro talento e iniziano i vantaggi del sistema.
Quest’ambiguità è particolarmente presente per Donny van de Beek, migliore in campo nella partita d’andata contro il Tottenham, fra i migliori in generale dell’incredibile Champions League dell’Ajax, ma quasi sempre meno celebrato di molti suoi compagni. A Londra ha mostrato di nuovo le sue migliori qualità, che se da una parte non lo rendono un calciatore dal talento appariscente, dall’altra lo elevano a miglior rappresentante dello stile di gioco dell’Ajax.
Un calciatore perfettamente sciolto del sistema, che sembra conoscere l’algoritmo che governa il gioco della squadra di Ten Hag.
Ajax boy
Prima della partita contro il Real Madrid, nel famoso video social pubblicato sugli account del club, van de Beek compare fin dalla prima immagine: guarda in camera con un’espressione commossa, persino un po’ triste, mentre in sottofondo sentiamo al telefono la voce del padre. «Stavo ripensando alla prima volta che abbiamo visto l’Ajax insieme. Ajax-Celtic all’arena. Non potevi credere i tuoi occhi. Da quel momento avevi solo un sogno: giocare con quella maglia».
Può sembrare una forzatura narrativa, ma scavando nella storia di Van de Beek il suo senso d’appartenenza all’Ajax risulta assolutamente autentico. Non è difficile trovare su internet foto di van de Beek giovanissimo già con la maglia biancorossa, di tutte le selezioni giovanili, oppure posare con vecchi campioni dell’Ajax. Si trovano anche altre interviste insieme al padre, ex giocatore e ultras dell’Ajax: «La prima volta che siamo andati allo stadio Donny già diceva ai giocatori dove e quando passare la palla. Si capiva già molto del suo talento».
Van de Beek parla della sua formazione all’Ajax come una specie di sogno: «Ho avuto Dennis Bergkamp come allenatore. Siccome ero il numero 10, veniva spesso da me e mi insegnava molto su quel ruolo. Non troverai mai un insegnante migliore di Bergkamp per quelle cose, no?». Il tipo di dichiarazioni che alimenta la narrazione dell’Ajax come club che tramanda il proprio corredo genetico di generazione in generazione.
I racconti che circondano quel periodo sono di pura mitologia Ajax. Frank de Boer, ad esempio: «Quando ho promosso Bergkamp mio assistente mi ha iniziato subito a parlare di van Beek. Di questo giocatore fortissimo che allenava nelle giovanili che gli ricordava sé stesso alla sua età: “Non c’è nessun motivo per cui non diventi un grande calciatore” disse». Il padre ha raccontato anche di un incontro con Johann Cruyff allo stadio: «“Conosco tuo figlio, è Donny van de Beek. È bravo a far questo e quello”, e ha cominciato a parlare del gioco di Donny nel dettaglio. Puoi immaginare quanto sia strano che il tuo idolo conosca tutto di tuo figlio, fin nei più piccoli dettagli».
Van de Beek viene da Nijerk, un’area agricola d’Olanda, «dove le persone tengono la testa e i piedi per terra», come dice lui, che viveva in una fattoria. Il suo allenatore delle giovanili ricorda: «C’è gente tosta nelle fattorie, ma dovevamo migliorarlo fisicamente, e così gli abbiamo applicato un programma fisico rigoroso, che comprendeva anche Judo e Football americano».
Giocare senza la palla
Oggi van de Beek ha 22 anni e già quasi 100 presenze con la prima squadra, e gioca come quel tipo di persone che sembrano essere nate con una conoscenza profonda del calcio. Ha senso parlare di van de Beek come di un talento naturale, ma la sua naturalezza non si esprime più di tanto col pallone ma soprattutto senza: nei tagli dietro la difesa, nella sua capacità di smarcamento per offrire sempre una linea di passaggio, nelle sue letture difensive, quando capisce prima degli altri la traiettoria che prenderà un passaggio avversario.
Del resto in una squadra piena zeppa di giocatori tecnici che amano ricevere il pallone sui piedi, era necessario che qualcuno mettesse a disposizione della collettività qualcosa di diverso. Che fosse in grado di dialogare palla a terra con i compagni, ma che al contempo aiutasse la squadra a trovare respiro in profondità, che capisca quando c’è più bisogno di “scappare” che di aggiungere un altro uomo in zona palla.
Nonostante giochi trequartista, nel cuore della squadra, van de Beek tocca meno pallone di quasi tutti i suoi compagni. Prendendo i suoi numeri stagionali, ad esempio, è appena il decimo giocatore dell’Ajax per numero di palloni toccati ogni 90 minuti. Il che però non significa che van de Beek sia un giocatore grezzo dal punto di vista tecnico, basta guardare qualche azione della partita di ieri, l'andata con il Tottenham (vinta dall'Ajax 1-0, a Londra) per accorgersene.
Circondato da giocatori con una tecnica da calcetto, van de Beek rispetto a loro tocca la palla in modo essenziale, ma mai sporco. Brilla soprattutto nel primo controllo e nel gioco di prima, dove raramente sbaglia un’esecuzione nonostante non esprima una grande naturalezza.
Qui ad esempio effettua una sponda di petto affatto banale dal punto di vista tecnico.
Col pallone quindi van de Beek si appoggia soprattutto all’acume della sue letture per rendere più efficace una tecnica sobria ma funzionale. Ma come faceva già Davy Klaassen - ex trequartista dell’Ajax dal 2011 al 2017, oggi al Werder Brema, per molti aspetti simili a lui - van de Beek brilla soprattutto nell’altro emisfero del calcio, non quello della palla bensì quello dello spazio.
L’Ajax ama giocare con i vuoti e i pieni del campo. Sciama attorno alla palla per attirare la pressione, poi la rompe con un dribbling o una traccia diagonale improvvisa. Come detto, Van de Beek parte nominalmente trequartista, ma con Tadic lasciato libero di trovare la posizione dove la sua sensibilità gli suggerisce, deve occupare spesso la sua posizione, quella di centravanti, giocando con la linea difensiva. Ed è bravo sia ad addensare i pieni - offrendo una linea di passaggio vicino al pallone - che, soprattutto, a sfruttare i vuoti.
L’azione più rappresentativa di ieri in questo senso non è quella del gol, ma quella arrivata qualche minuto dopo.
Prima scatta in profondità per offrire una traccia per il lancio di Ziyech - di questi movimenti in profondità non premiati è piena la partita di VDB ieri - e in quel modo manipola la difesa avversaria abbassandola e creando lo spazio dove Tagliafico può ricevere in uno contro uno. A quel punto offre al terzino una linea di passaggio, per poi togliersi all’improvviso per lasciare scorrere il pallone verso Tadic, che gliela restituisce. Poi, invece di metterla in mezzo per Neres da solo, si fa ingolosire dal tiro in porta, prendendo il portiere.
Un errore anomalo, per un calciatore che fa delle sue decisioni in campo la sua maggiore forza, ma in ogni caso un’azione che simboleggia la capacità di van de Beek di manipolare gli avversari senza toccare la palla, ma sfruttando una cognizione dello spazio superiore.
Anche l’azione del gol, in questo senso, mette in mostra la sua raffinatezza. L’uso del corpo per predisporsi a ricevere il pallone, il senso dello spazio e la tecnica nel primo controllo di tacco, con cui si toglie dai due giocatori del Tottenham accanto a lui. Poi l’inserimento in area di rigore, dove si muove alzando il braccio (e van de Beek vive la partita chiamando sempre palla e indicando i movimenti, un altro tratto che accomuna i migliori giocatori della scuola Ajax), infine la corsa all’indietro per rimanere in linea e offrire un passaggio, mettendosi col corpo già in posizione di ricevere e puntare la porta davanti a sé.
Van de Beek avanza, guarda il portiere, sta per tirare, poi si ferma, rialza la testa, Lloris è ancora bravo a non andare a terra, allora incrocia il tiro il più possibile.
Nelle pagelle post-partita van de Beek è stato ovviamente elogiato, ma sempre in qualche modo definendone i limiti.
Tuttomercato scrive “solo straordinario”, in tono minore rispetto ai suoi compagni; il Daily Mail dice che “ha poco di tutto”. Esiste una percezione più o meno diffusa che van de Beek sia meno reclamizzato di altri talenti dell’Ajax, da quelli più tecnici come Ziyech e Tadic a quelli più completi come de Ligt e de Jong. Se questo succede però non è per una scarsa raffinatezza d’occhio ma perché il talento di van de Beek è quello che più di tutti si confonde nel sistema dell’Ajax, e quindi quello forse meno autosufficiente al di fuori di esso.
Non ha la sensibilità e la creatività col pallone di Tadic e Ziyech; non ha l’onniscienza calcistica e la tecnica di de Jong; non ha l’esplosività fisica e l’attenzione di de Ligt. Il talento di van de Beek si esprime proprio nella capacità di far girare il sistema dell’Ajax, come fosse una casella vuota che offre alle altre lo spazio per girare come vogliono. Van de Beek è un calciatore che in campo sa fare tutto e aiuta la squadra in modo magari poco visibile, ma facendo tutto come deve essere fatto. È il primo della classe.
Il sottotesto è che non è detto che van de Beek sia in grado di esprimersi a questi livelli anche in un sistema diverso, che sia meno in grado di far brillare i suoi pregi, la sua conoscenza del gioco. E in una cultura (non solo italiana) che quando parla di calcio lo fa spesso finendo sul calciomercato, dando valutazioni assolute sui giocatori, questo può essere un problema.
Van de Beek, in questo senso, dovrebbe ricordarci che in fondo il calcio è un linguaggio meno universale di quanto si voglia credere.