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Non avere rimpianti, intervista a Vanessa Ferrari
30 lug 2021
Abbiamo parlato con la ginnasta che sogna una medaglia olimpica.
(articolo)
4 min
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Il 10 aprile 2021 Vanessa Ferrari abbraccia di nuovo l’all-around: non succedeva dalle Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016. L’occasione è stata la terza tappa della Serie A1 2021 di ginnastica artistica, durante la quale si è esibita in tutti e quattro gli attrezzi: trave, corpo libero, volteggio e parallele.

L’obiettivo era misurarsi con una competizione in vista dei Campionarti europei di ginnastica di Basilea e l’unica incertezza è stata la caduta sulla terza diagonale.

Si chiama «Ferrari» e il 25 aprile torna in scena anche lui: è un tour jeté ad anello con mezzo giro, porta il suo nome e chiude l’esercizio che vale a Vanessa Ferrari la medaglia di bronzo nel Corpo libero ai Campionati europei di ginnastica di Basilea, dietro la britannica Jessica Gadirova e la russa Angelina Melnikova.

La ginnasta italiana ha eseguito l’esercizio ancora sulle note del canto partigiano «Bella ciao», scelto come brano per la stagione agonistica e ottiene la quinta medaglia a una competizione europea e l’ottava in assoluto in carriera.

Vanessa Ferrari si conferma una delle atlete italiane più appassionate. Alla World Cup di Doha si è qualificata per la sua quarta Olimpiade, prima ginnasta italiana a riuscirci. A Tokyo si è qualificata alle finali del corpo libero col primo punteggio, davanti Simone Biles. L'abbiamo intervistata prima che arrivasse questo incredibile traguardo.

Qual è la paura più grande o il pensiero felice che ti accompagna nei periodi fra un campionato e l’altro o fra una gara e l’altra?

Penso che le paure più grandi siano due. Sicuramente la prima è la paura degli infortuni, la mia carriera è stata davvero ricca di infortuni che mi hanno messa in ginocchio più volte. La seconda è quella di avere rimpianti in un futuro, di non averci provato fino in fondo; io vorrei arrivare ad un domani soddisfatta del mio percorso perché saprò di aver dato sempre il massimo in ogni occasione.

Hai trascorso le settimane prima delle ultime gare agli Europei di Basilea tra gli allenamenti e la quarantena perché positiva al COVID-19. La pressione del ritorno ha pesato sull’approccio alla gara?

Diciamo che il ritorno in gara agli Europei di Basilea era tutt’altro che semplice e scontato. Sono dovuta stare due settimane in quarantena a casa, di cui 10 giorni ferma completamente per via dei sintomi del COVID. Quando sono risultata negativa mancavano solo 3 settimane agli Europei. Inoltre, era la prima gara internazionale dopo un anno, la prima gara internazionale nella quale tornavo sui 4 attrezzi dopo Rio 2016 quindi 5 anni. Dopo essere risultata positiva pensavo che non sarei riuscita a partire.

Durante la mia positività, però, sono riuscita a mantenere una buona forma fisica grazie al lavoro fatto a casa, tra il salotto e garage, quando i sintomi lo permettevano e la febbre calava mi allenavo e poi verso sera tornavano immancabilmente. Però è stato fondamentale per raggiungere il mio obiettivo e partire per Basilea.

Mi racconti quali sono state le tue paure e come le hai affrontate durante la pandemia dell’ultimo anno?

In merito alla pandemia la mia paura era che avrebbe compromesso il mio percorso di qualificazione per Tokyo. Infatti tra gare posticipate e sospese sono stata fortemente penalizzata. Ma sono ancora in corsa, anzi più che mai!

Con l’arrivo della pandemia e lo spostamento delle Olimpiadi, il mio primo pensiero fu quello di far tesoro del tempo aggiuntivo e quindi durante il lockdown dell’anno scorso mi sono allenata davvero tanto in casa e al mio ritorno in palestra ero talmente in forma che decisi di tornare a gareggiare sui 4 attrezzi, che avevo abbandonato dopo Rio.

C’è stato un momento della tua carriera in cui ti sei sentita intrappolata nel suo sport che è diventato solo una pratica costrittiva?

Sì, diciamo soprattutto dopo le delusioni, quando tutto ti crolla addosso pensi tra te e te «Ma chi me lo fa fare?» Poi, però, con il giusto tempo riesco a metabolizzare il boccone amaro e a pormi nuovi obiettivi.

Durante le interviste sei spesso autocritica: la ricerca della vittoria e del risultato migliore sembra sempre la priorità quando analizzi le tue gare. Mi sbaglio?

Assolutamente! Sono molto autocritica e cerco sempre di migliorarmi per raggiungere il massimo. Non mi accontento di partecipare o di un risultato che non sia all’altezza delle aspettative che mi sono preposta.

Il 2006 è stato un anno fondamentale per la storia della ginnastica italiana e ne hai fatto parte da protagonista. Molti atleti sostengono che la parte più difficile di vincere tanto è confermarsi. Sei d’accordo?

Può darsi, anche perché nel mio caso la ricerca di riconfermarmi è stato molto complicato visto che sono iniziati innumerevoli problemi fisici. Anche se nonostante i problemi sono comunque riuscita a raggiungere molti altri risultati.

I tuoi soprannomi più conosciuti sono «la Farfalla» e «la Cannibale»: da cosa arrivano?

Il primo soprannome fu la farfalla, perché esprimevo tutto con molta leggerezza. Poi arrivò il soprannome di Cannibale, perché ai Giochi del Mediterraneo nel 2005 c’erano 6 medaglie in palio e io presi cinque ori e un argento: ero infuriata perché avrei voluto prendere tutte le medaglie d’oro disponibili.

Negli ultimi anni, per la mia capacità di rinascere dopo le difficoltà sono stata soprannominata più volte l’araba fenice. Adesso invece sono spesso soprannominata leonessa per la mia fame di vittorie dopo tutto ciò che ho passato.

Quali sono le tre vittorie (o le tre gare) che ricordi con più felicità e soddisfazione?

Direi i giochi del mediterraneo nel 2005, la vittoria del mondiale nel 2006 e la vittoria in coppa del mondo nel 2019 dopo 503 giorni di riabilitazione dalla rottura del tendine.

Come approcci mentalmente il fallimento? È una possibilità o è una eventualità che cerchi di tenere più lontana possibile?

Ma diciamo che il fallimento è per chi non prova, io lavoro ogni giorno da 24 anni per non fallire. Sicuramente ci sono momenti difficili e deludenti ma non sono certo fallimenti perché comunque ho sempre dato il massimo disponibile in ogni occasione, anzi anche più del massimo perché i miei infortuni sono quasi sempre stati da sovraccarico e logorio.

Come si sviluppa la tua routine di allenamento? È cambiata negli anni?

Sicuramente è cambiata: ora punto più alla qualità che alla quantità. Una volta provavo mille volte un elemento per cercare di perfezionarlo, adesso invece cerco di fare meno ripetizioni possibili e di raggiungere l’obiettivo con uno studio più qualitativo.

La ginnastica è uno sport molto duro, che prova il fisico in modo ostinato e severo. Ti sei mai sentita in debito con il tuo corpo, per il fatto stesso di aver abbracciato la ginnastica?

Il mio corpo è il mio strumento per vincere le sfide che mi pongo. Sicuramente l’ho sottoposto a forte stress, l’ho usurato, si è rotto più volte. Però non mi sento in debito.

Una volta hai dichiarato di aver visto da bambina una ginnasta alla trave e di esserti innamorata di questo sport: mi racconti quel momento?

Ho iniziato a fare ginnastica perché vidi una ginnasta in TV, mentre eseguiva un esercizio alla trave. Non ricordo né il nome né la gara in questione, ricordo solo che dissi a mia mamma che avrei voluto fare ginnastica e fu come amore a prima vista.

Se dovessi indicare una tua collega di cui hai apprezzato particolarmente la carriera, a chi faresti riferimento? Per quale motivo?

Non ho mai avuto un idolo, un modello, ci sono state tante ginnaste che mi sono piaciute e dalle quali traevo spunto per migliorarmi, principalmente dell’Europa dell’Est. Poi se c’è una che è davvero un’icona di grinta è Oksana Čusovitina, uzbeka classe ‘75, che si appresta a partecipare alla sua ottava olimpiade.

C’è mai stata un’alternativa alla ginnastica artistica?

No, ho iniziato a circa 6 anni e non ho mai cambiato, mi sono sempre dedicata solo a questo.

La ginnastica è quasi sempre considerata solo nella sua compagine femminile: c’è un cambio di prospettiva quando uno sport “nasce” femminile rispetto alla maggior parte delle volte in cui una disciplina è prima di tutto maschile nella rappresentazione e nello spazio che le si riserva?

Se non erro la ginnastica nasce come maschile, poi comunque ha preso molto piede anche la femminile. Sicuramente non è uno sport con molta visibilità, anzi! Io per farmi “il nome” ne ho dovute fare di gare e di risultati.

Negli ultimi mesi in Italia e anni nel Mondo lo sport femminile sta facendo parlare di sé, affermando una presenza e uscendo da una sorta di invisibilità. Cosa ne pensa?

Diciamo che a livello di sacrifici la ginnastica è davvero uno sport complicato, gli allenamenti sono intensi e tutto questo meriterebbe maggiore riconoscimento. Attualmente purtroppo non siamo neanche lontanamente paragonabili a nessuno sport con maggiore visibilità. Io dal 2009 faccio orgogliosamente parte dell’Esercito Italiano che mi supporta e mi sostiene negli allenamenti e nell’attività sportiva.

Se potesse tornare indietro rifarebbe qualcosa in modo diverso nella sua carriera?

Cercherei di gestirmi diversamente per evitare i troppi infortuni dati dal logorio e dal sovraccarico.

Qual è il consiglio principale che può dare a una giovane ginnasta?

Il consiglio principale è sempre quello di credere nei propri sogni e non arrendersi davanti alle avversità, sembra scontato ma non lo è ci ho basato tutta la mia vita fino ad oggi e di difficoltà ne ho dovute affrontare davvero tante.

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