La carriera di Vanessa Ferrari sarebbe potuta finire tanti anni fa. Ad esempio, nel 2017, ai Mondiali di Montreal, quando a 27 anni si ruppe il tendine d’Achille. Un dolore lancinante fermò la diagonale, lei disse di aver «sentito un crack». Ferrari però è andata avanti allora, come è andata avanti tante altre volte. «Io ce la posso fare ogni volta che decido di farlo», ha detto una volta. «Sarò io a decidere quando sarò abbastanza soddisfatta da potermi ritirare, nessun infortunio lo farà al posto mio».
È stata quindi lei a decidere, due settimane fa, che quello fosse il momento migliore per annunciare il suo ritiro. «È arrivato il momento di fermarmi», ha spiegato in un’intervista rilasciata a Bresciaoggi. «L’avevo già deciso prima di Parigi: questa Olimpiade sarebbe stata l’ultimo atto della mia vicenda agonistica. Desideravo fosse il finale della mia carriera. Mi spiace non sia stato così. Ma è arrivato il momento di dire basta e, credetemi, sono serena. Fisicamente gli infortuni si stanno facendo sentire. Sono sicuramente orgogliosissima della mia carriera, di quello che sono riuscita a fare in tempi in cui in Italia era tutto molto difficile per la ginnastica e non si pensava affatto di arrivare fino a quel punto. Si capirà col tempo cosa accadrà, cosa potrò fare, servirà tempo per capirlo ma di certo ci sarà sempre la ginnastica nella mia vita».
Pochi mesi prima dei Giochi di Parigi, aveva comunicato via Instagram che la sua quinta edizione delle Olimpiadi sarebbe stata l'ultima. Purtroppo, a qualche settimana dal loro inizio, un problema al polpaccio le ha impedito di lottare per le convocazioni. D'altra parte, non si può certo definire un ritiro prematuro: a 34 anni Vanessa Ferrari lotta già da tempo con un corpo che è stato spremuto fino all’osso, quasi letteralmente.
L'inizio della sua carriera, quello sì, era arrivato presto e all’insegna della caparbietà e delle idee chiare. A 7 anni ancora da compiere guarda alla tv un’atleta fare un esercizio alla trave. Non ci pensa due volte, è la sua strada. Inizia a Castelleone, vicino Cremona, ma la mamma bulgara, ex ginnasta, si rende conto che la struttura non è adeguata. A Brescia invece c’è una società che può offrire ben altre prospettive: la Brixia del presidente Folco Donati e di Enrico Casella, che poi diventerà il suo storico allenatore. La strada da Genivolta, dove vive con la famiglia, fino a Brescia, è lunga, ma i genitori decidono di sostenerla.
Presto la città lombarda diventa casa, rifugio di tanti momenti no, covo dove allenarsi, e luogo di lacrime e sudore. Per Brescia, Vanessa Ferrari ci metterà la faccia dopo il titolo All – Around al Mondiale, chiedendo all’allora Presidente del Consiglio, Romano Prodi, una struttura idonea dove allenarsi. Un anno dopo la storica vittoria viene costruito il PalAlgeco, oggi Accademia Internazionale di Brescia.
Non sarà l'unica occasione. Quando i temi diventano più seri, come durante lo scandalo che ha colpito il mondo della ginnastica, in particolar modo della ritmica, non esita a condividere la sua esperienza. "Quando sono comparse le prime notizie, non sono rimasta sorpresa", ha scritto sui suoi canali social, "Ho vissuto tante esperienze positive ma anche tante negative. Conosco perfettamente questi aspetti. Ho vissuto sulla mia pelle problemi alimentari: all'età di 19 anni mi mandarono in una clinica e solo dopo un paio di anni sono guarita. Durante la mia carriera fortunatamente però ho vissuto qualche cambiamento nel mio ambiente".
Ogni volta che c’è stato bisogno ha alzato la voce, senza mai urlare, con quella riservatezza con cui si è fatta conoscere al mondo. Non ha mai interpretato il ruolo della vittima, anche se avrebbe potuto farlo.
Già da allieva deve affrontare i primi problemi con i tendini d’Achille, suo vero punto debole. Il 2005 è l’anno della svolta, come ha scritto lei stessa nel suo blog. A cambiare le cose è la convocazione ai Giochi del Mediterraneo di Almería, in Spagna: "Conclusi la competizione vincendo una medaglia per ogni gara! Pensate che ci sono state sei competizioni ed ho portato a casa 5 ori ed un argento, fin qui penserete: caspita chissà che felicità, invece no! Perché non mi andava giù di non essere riuscita a fare 6 ori su 6 e se fino ad allora il mio soprannome era la farfalla di Orzinuovi, da quel momento venni definita LA CANNIBALE DI ORZINUOVI, certo che sportivamente è un soprannome forte, ma avevo solo 15 anni ero una ragazzina graziosa dopotutto".
La fame di vittoria, la voglia di provarci sempre è quella che l’ha fatta andare avanti e che l’ha condotta alla consacrazione. Nel 2006 fa la storia. Ai Mondiali di Aarhus, Danimarca, diventa la prima ginnasta italiana a qualificarsi in quattro finali. Arriva al concorso individuale essendo l’unica azzurra ad eseguire lo Tsukahara avvitato “Silivas”. Al corpo libero, sulle note di “Nessun Dorma”, va in scena il capolavoro finale. A 16 anni - con la coda di cavallo e una frangia anni '90 - vince l'oro.
Sarà l'ultimo momento in cui non verrà accompagnata dal dolore. «Se non avessi avuto la determinazione che ho non sarei riuscita a andare avanti, oltre che dopo tutti questi infortuni anche dopo i due quarti posti consecutivi delle Olimpiadi», ha detto al Quotidiano Sportivo.
Dopo il Mondiale del 2006 si aprono le porte di Pechino 2008. La Cina segnerà l’inizio di un rapporto quasi conflittuale con i Giochi Olimpici e a questa sua prima edizione arriverà 11esima senza centrare nessuna finale di specialità. È la prima delusione della sua carriera, arrivata alla fine di una specie di via crucis. Prima uno stop di tre mesi per problemi al piede sinistro, poi un altro per una tendinosi al destro. Si inizia ad usare, anzi ad abusare, del termine resilienza, che però con lei è appropriato. I suoi veri avversari infatti sono stati più che altro i problemi fisici, quelli con il regolamento e qualche imprecisione. Alla fine la sua carriera sarà così modellata su questa lotta al dolore che diventerà nelle ultime settimane un esempio per "le Fate" vincitrici dell'argento a Parigi.
Ci sarà una prima operazione al calcagno nel 2009, nuovi problemi alla caviglia dopo Londra a cui si aggiungono la mononucleosi, una malattia autoimmune alla tiroide (tiroidite di Hashimoto), due operazioni alla caviglia, un fastidio al polpaccio e vari altri problemi al tendine d’Achille che alla fine si romperà. Nonostante tutto, non considererà mai chiuso il conto con le Olimpiadi.
Nel 2012 ci sono le Olimpiadi di Londra e la rassegna inizia bene, con la qualifica per le finali All Around (ottava) e al corpo libero. Alla fine ottiene il punteggio di 14.900. Sarebbe terza a pari merito con la russa Aliya Mustafina, ma le regole prevedono che, in caso di ex equo, salga sul podio l’atleta con un’esecuzione migliore (rispetto a chi porta un coefficiente di difficoltà maggiore). Vanessa Ferrari finisce quindi quarta nel modo peggiore possibile.
Deve rialzarsi un'altra volta e lo fa come se nulla fosse. L’anno successivo, infatti, conquista al Mondiale di Anversa un argento individuale incredibile. I calvari fisici continuano, con dei nuovi problemi al tendine d'Achille proprio nell’anno in cui avrebbe dovuto riscattare l’avventura olimpica di Rio 2016. Come se non bastasse si ripete lo stesso copione di Londra. Vanessa Ferrari è ancora quarta nel corpo libero, vede di nuovo la medaglia a portata di mano, ma questa volta è un passetto di troppo all’ultima diagonale a togliergliela.
È il momento in cui più intensamente pensa al ritiro. "Non so spiegare il dispiacere provato vedendo vanificare tutti i miei sacrifici costellati da dolori al tendine", ha scritto sul suo blog "E così decisi di operarmi per cercare di sistemare il problema della degenerazione tendinea, a prescindere dalla scelta di continuare o meno la mia carriera, il mio allenatore appoggiò subito la mia scelta". Quando torna, il tendine si rompe.
Ancora un pensiero al ritiro, ancora un ritorno in grande stile. Nel 2019 torna in pedana con l'obiettivo, di nuovo, dei Giochi Olimpici. A Tokyo Vanessa Ferrari può diventare la prima ginnasta ad aver preso parte a quattro edizioni diverse. Il percorso ovviamente non è semplice: Ferrari intraprende un percorso di qualifica individualista ma, oltre alla caterva di guai fisici, subentra anche il covid che compromette, fino alla fine, la qualifica. Sono due anni complessi in cui non smette nemmeno un giorno di allenarsi, con una palestra costruita ad hoc, a casa, come racconterà a Repubblica, Simone Caprioli, suo compagno di sempre: «L’idea è nata l’anno scorso, durante il primo lockdown, per consentire a Vanessa di allenarsi al meglio nonostante non potesse frequentare la palestra. Lei è un’autentica ambasciatrice della resilienza, le basta la sbarra di una ringhiera e inizia ad allenarsi. Non riesce a stare ferma. Così abbiamo recuperato qualche attrezzo da piazzare in casa». A 30 anni, con una pandemia e uno slittamento di un anno, arriva la rivincita di una vita: un argento al corpo libero che spezza la maledizione olimpica.
È una medaglia che oggi rimane a testimonianza di una carriera unica, cominciata dal sogno di una bambina di sette anni e vissuta sempre oltre il limite del dolore grazie a una determinazione che niente davvero è mai riuscito a spegnere. Vanessa Ferrari verrà ricordata come l’apripista del movimento ginnico italiano, mai come oggi al suo apice, ma solo adesso che il ricordo è ancora vivo possiamo davvero sapere che impresa mastodontica è stata questa.