Lo scorso 30 aprile, in occasione del trentesimo anniversario della sua scomparsa, tanti canali TV hanno riproposto la memorabile filmografia di Sergio Leone. Opere lunghe, carrellate sconfinate, ore e ore marcate dall'ostentata dilatazione dei tempi e degli spazi che è poi l'essenza suprema del genere western: da Robert De Niro e James Woods che spendono infiniti minuti a girare il cucchiaino nella tazzina di caffè al trionfo di effetti sonori senza una riga di dialogo nella sequenza d'apertura di C'era una volta il West.
Negli stessi giorni, in un universo parallelo ma neanche poi tanto, Vincent Kompany regalava al Manchester City una vittoria decisiva per la Premier League con il primo gol da fuori area in carriera e Pep Guardiola commentava così quest'estemporaneo coniglio dal cilindro pescato dal suo capitano: «In questo spettacolo, gli artisti sono i calciatori».
Nello sport di altissimo livello il confine tra arte e agonismo è sempre più sottile: Messi e Ronaldo sono atleti o performer? E quello di Federer, è tennis o balletto contemporaneo? E sotto che categoria classificare i momenti VAR che in questa stagione hanno debuttato anche su scala internazionale, in cui un individuo vestito in modo vistoso e immediatamente riconoscibile (l'arbitro) si relaziona con un'entità virtuale manovrata da suggeritori invisibili, di fronte a un pubblico a volte dieci o quindici volte più folto di quello di un tutto esaurito alla Royal Albert Hall di Londra? E se poi – Dio non voglia – la tecnologia si ribellasse, non ne scaturirebbe un dilemma di portata kubrickiana simile a quello dell'astronauta Bowman al cospetto di HAL 9000 che non rispondeva più ai comandi?
Queste e altre sono le meditazioni celestiali che abbiamo avuto tempo e modo di formulare, davanti agli intervalli VAR più suggestivi della stagione.
Torino-Udinese 1-0, 10 febbraio 2019 – 5 minuti e 17 secondi (arbitro Guida, VAR Aureliano)
All'89° minuto l'Udinese sta perdendo 1-0 e si sta disperatamente rovesciando in attacco, dopo aver anche sbagliato un rigore con De Paul. Aina perde palla sull’attacco di D’Alessandro, poi Okaka guida un 3 contro 4 che culmina in un tiro da fuori che tocca la base del palo e finisce in rete, con Sirigu preso alla sprovvista: lo ha disturbato qualcosa, qualcuno?
Lo stadio ammutolisce, l’Udinese esulta e nessun torinista protesta. Dal primo replay si nota che Lasagna è nettamente oltre l'ultimo difensore granata, ma dal secondo si capisce che la situazione è un po’ più complicata: il tiro di Okaka è un gran bel tiro, forte e angolato, e non è semplice dimostrare che lo smilzo KL15 ostruisca il campo visivo di Sirigu. Guida istruisce i friulani: «Stiamo controllando la posizione».
Notando che il gioco non riprende, Okaka si dimena e non si dà pace, perché forse pensa che stiano dando la colpa a lui, ennesima vittima dell'intollerabile clima di odio che si respira da tempo nel Paese. Il dibattito tra Guida e Aureliano prosegue: si cerca di capire se Sirigu avesse comunque il tempo necessario per intervenire su un tiro da lunga distanza. Terminato il colloquio, si passa alla on-field review: contrariamente a quanto avviene di solito coi fuorigioco, qui è richiesto l'intervento diretto del primo arbitro perché solo a lui sta decidere se Lasagna è d'intralcio oppure no.
Ecco gli effetti di una prolungata esposizione alla VAR su un comune tifoso.
Qui si vede che Guida è abituato bene, oppure potrebbe avere il VAR con i comandi vocali tipo Alexa: il monitor è già sintonizzato sul doppio fermo immagine del fuorigioco di Lasagna, in linea e da dietro la porta, da dove si evince che il buon Kevin è proprio in mezzo alla linea immaginaria che collega Sirigu al pallone calciato da Okaka. Perfettamente nella sua comfort-zone, con misuratissima gestualità da maschio Alpha, Guida ripassa le immagini con fermezza alla Tom Cruise in Minority Report, per capire se ci sono davvero tutti gli estremi per impedire quest’efferato crimine federale. Si va avanti e indietro un po’ di volte, poi si torna al punto di partenza, come il tenente Colombo quando sta per abbandonare la scena del crimine a mani vuote ma poi si volta e dice: «Un'ultima domanda».
È un momento di scientifica applicato al calcio, la vivisezione di due secondi, 48 fotogrammi di calcio. Guida riguarda le carte l’ultima volta e poi decide: è fuorigioco. Poi, seguendo un cerimoniale impeccabile, va a dare spiegazioni persino a quel signore di Sirigu, probabilmente scusandosi per il disturbo e per avergli fatto prendere freddo. E mentre le proteste dei giocatori dell'Udinese si prolungano più del dovuto viste le due sostituzioni operate da Mazzarri e Nicola, il povero Lasagna recita l'ingrato ruolo dell'uomo semplice che si è smarrito nei sentieri della legge: chiede un paio di volte a Guida “Cosa faccio? Cosa faccio?”, nel senso di “Non posso mica sparire?”, non capendo che lui lì non doveva neanche esserci. E la legge non ammette ignoranza: si riparte da sette minuti di recupero, peraltro già iniziati. Il Bene ha trionfato.
La situazione rappresentata in grafica in questa schermata presa dal blog dell'ex arbitro Luca Marelli.
Fiorentina-Inter 3-3, 24 febbraio 2019 - 4 minuti e 48 secondi (arbitro Abisso, VAR Fabbri)
È appena iniziato il sesto minuto di recupero del complicatissimo secondo tempo di Fiorentina-Inter: forse ne avrete sentito parlare. L'arbitro palermitano Rosario Abisso – un nome e cognome di portata kafkiana per un tutore della legge - è stato “salvato” per due volte dal VAR Fabbri, che gli ha segnalato il fallo di mano (quasi invisibile) di Edimilson da punire con un rigore per l'Inter e un netto calcione di Muriel a D'Ambrosio che ha reso irregolare il gol del 2-3 di Biraghi.
La Fiorentina è rientrata in partita grazie a una splendida punizione di Muriel e ora sta organizzando l'offensiva finale. Lafont lancia lungo e la palla raggiunge Chiesa, che vince un contrasto con D'Ambrosio e si prepara a crossare di destro. L'imbucata verso Pjaca viene intercettata dallo stesso D'Ambrosio, prontamente rialzatosi, con una parte del corpo di difficile definizione. Per Abisso è braccio, e dunque è calcio di rigore: ci pensa un secondo e poi indica il dischetto, con il Franchi che ruggisce di felicità.
D'Ambrosio, Candreva, Skriniar e Vecino si avvicinano per protestare e Abisso li rimanda al giudizio del VAR, voltando la testa dall'altra parte quando sente sul fianco l'educata mano di D'Ambrosio. Gli interisti mantengono la calma anche perché già il primo replay sembra chiarissimo: petto pieno, con D'Ambrosio che ha anche la non banale prudenza di ritrarre il braccio sinistro quasi dietro la schiena, per impedire che “faccia volume”.
Ma il secondo replay, in cui D'Ambrosio è preso di profilo, insinua il sospetto che dal petto la palla sia carambolata sul braccio, comunque quasi aderente al corpo; si intravede Pjaca protestare e Chiesa, a palla ormai persa, voltarsi speranzoso verso l'arbitro. Finalmente arriva anche Handanovic, che dev'essersi ricordato di essere recentemente diventato capitano, mentre in panchina Nainggolan guarda direttamente in camera: «È petto, eh!». Inizia la sarabanda delle comunicazioni tra Fabbri e Abisso, che si preme l'indice sull'auricolare come gli inviati di guerra a Islamabad.
Porta la mano davanti alla bocca per occultare il labiale, poi si avvia verso il bordocampo per la terza volta nella serata con l'entusiasmo di Georges Danton il 5 luglio 1794. Il primo replay esclude qualsiasi tocco di braccio, ed è quello che Fabbri gli manda in loop da vero amico per cercare di convincerlo dell'errore; un altro replay, frontale, è del tutto inutile perché il braccio di D'Ambrosio è coperto da Vecino. Ma evidentemente Abisso cerca un appiglio per convincersi di averci azzeccato almeno una volta su tre, che questa è finalmente quella giusta, sì!, la on-field review della sua vita! Così si aggrappa al replay del Dubbio, quello di profilo. In questi attimi concitati in cui gli uomini rivelano la loro fallacia, Nainggolan si ritaglia un ruolo da consumato caratterista, gettandosi in pasto alle telecamere mentre si batte sul petto la mano destra, quella con i dadi tatuati sul dorso, con aria da predicatore e gestualità da rapper.
È il momento di badare al Giro Della Palla: ma essa non sembra cambiare direzione né rotazione, a meno che il braccio di D'Ambrosio sia solo un'entità ideale senza massa né consistenza. E dai e dai, a rivedere sempre lo stesso replay in stile Cura Ludovico, anche lo spettatore da casa si fa pervadere dalla sensazione che un po' D'Ambrosio se la sia andata a cercare. Questa sequenza ipnotica è spezzata dall'improvvisa apparizione di un'altra ripresa lontana e ben poco chiara, che però ha l'effetto di convincere Abisso: che torna indietro, porta il fischietto alle labbra, ritrova smalto e vigore e dice sì!, è calcio di rigore! D'Ambrosio non ci crede: «Ma cosa hai visto? Ma come fai a dare il rigore? L'ho presa di petto!». Ma nessuno, neanche il numero 33 nerazzurro, ha la prontezza di rinfacciare all'arbitro l'altro frammento irregolare dell'azione viola: la spallata piuttosto energica, chiamiamola pure carica, con cui Chiesa ha anticipato D'Ambrosio prima di controllare il pallone.
Mentre Veretout prende la rincorsa, Muriel – come spossato da tanta tensione fisica e morale – si volta di scatto dall'altra parte, incapace di guardare. Come tutti i registi francesi, Veretout fa la storia con grazia e leggerezza: è il minuto 100'07” della partita, è il primo gol segnato oltre il centesimo minuto nella storia della Serie A.
Chievo-Fiorentina 3-4, 27 gennaio 2019 – 4 minuti e 5 secondi (arbitro Chiffi, VAR Serra)
Non è una delle VAR più lunghe dell'anno ma certamente una delle più lunari, all'interno di una partita costellata di follie, rigori, espulsioni, pali, traverse, sette gol e un diluvio universale che rende tutto più biblico e definitivo.
Al 14' del primo tempo l'esuberante Alban-Marc Lafont, esponente della nouvelle vague di portieri a cui sono caldamente richieste capacità nella costruzione dal basso, scarica il pallone a sinistra verso Vitor Hugo, che vistosi pressato da Pellissier gliela restituisce precipitosamente. Il pressing organizzato del Chievo funziona, eccome! Lafont va in tilt e colpisce sghembo di destro regalando la palla a Giaccherini, che stoppa e tira centrando l'angolino: da parte della squadra più vecchia del campionato, uno schiaffone alla spensieratezza di quelli con l'età media più bassa. Lafont borbotta qualcosa in francese (si distingue un “putain”). A occhio nudo non si vede alcuna irregolarità, tant'è che nessuno fa troppo caso all'attardarsi dell'arbitro Chiffi a riprendere il gioco.
Invece c'è puzza di bruciato, Giaccherini inizia a gesticolare come un posteggiatore abusivo e difatti Chiffi indica la on-field review. “È del poeta il fin la meraviglia”, scriveva nel Seicento Giambattista Marino, invitando i suoi colleghi a liberare la fantasia per affascinare lo spettatore; allo stesso modo, la coppia Chiffi-Serra firma una revisione a suo modo spettacolare, che è anche un modo per ripassare i meandri più reconditi del regolamento del giuoco del calcio: sapevate che, almeno fino allo scorso anno, se sulla rimessa dal fondo il pallone non è ancora uscito dall'area, nessun giocatore può calpestarne la superficie?
Forse non lo sa Pellissier, che d'altra parte è nato nel 1979 e ha ancora precisi ricordi di uno sport con le maglie dall'1 all'11 e Tutto il Calcio Minuto per Minuto, in cui il portiere poteva intervenire con le mani su un retropassaggio. Ma Sergione ha tagliato la chicane come un Ralf Schumacher qualsiasi, mettendo i piedi sullo spigolo destro dell'area. Chiffi se ne sta chino per quasi un minuto sotto la pioggia, forse cercando dentro di sé il coraggio per motivare la scure della Legge al derelitto Chievo.
Il replay dall'alto serve a togliere gli ultimi dubbi che Pellissier disturbi davvero l'azione di Vitor Hugo (e la disturba). Chiffi ripassa tutti e tre i replay, volta le spalle al monitor, poi torna indietro!, il Bentegodi esplode in un boato di scherno, riguarda ancora e poi agita l'indice, no no, non è gol. Capitan Pellissier manda via l'inviperito Giaccherini e chiede spiegazioni; quando le riceve, non riesce a far altro che sorridere amaramente e agitare le braccia, per la serie “tanto ormai...”. Beffa su beffa: dal primo luglio questo reato sarà depenalizzato, per la gioia dei gegen-presser di tutto il mondo. Ma per il povero Chievo sarà già troppo tardi.
Frosinone-Parma 3-2, 3 aprile 2019 – 8 minuti e 43 secondi (arbitro Manganiello, VAR Di Paolo)
A pochi secondi dallo scadere il Frosinone è lì che insegue la prima (!) vittoria in casa della stagione. Dal sinistro di Ciano parte una palla velenosa che la difesa del Parma allontana con affanno; Chibsah va giù al limite dell’area piccola come colpito da Joe Frazier, lo stadio e i giocatori protestano ma l’arbitro fa cenno di proseguire. Si prosegue. La palla s’impenna e Gobbi, senz’alcun motivo apparente, sgambetta Paganini che sta correndo verso la linea laterale per tenere vivo il pallone.
È un fallo di lampante stupidità, ancora più incomprensibile perché commesso da uno dei difensori più esperti del campionato. Questa volta Manganiello interviene e fischia il rigore. Il primo giocatore del Parma inquadrato è Barillà che si porta istintivamente le mani sulla testa, non proprio l’atteggiamento di chi ha dubbi. Gagliolo va a protestare e dal labiale dall’arbitro (“per me è dentro”, “per me no”) si intuisce che le proteste parmigiane riguardano il punto in cui è stato commesso il fallo. Ma questo non è in discussione: lo sgambetto di Gobbi è dentro l'area di quasi un metro. Nessun dubbio allora! Non proprio.
Ciofani ha già sistemato la palla sul dischetto ed è pronto a calciare un rigore di importanza pantagruelica per il Frosinone, ma Manganiello prende tempo: va a dire ai giocatori di stare fuori area, spegne qualche focolaio estemporaneo, sembra che stia aspettando un via libera che non arriva. Scoppia una rissa scatenata da tale Sierralta, nell’evidente tentativo del Parma di innervosire Ciofani.
Manganiello di mestiere fa l'analista finanziario e dunque i rapporti umani non dovrebbero essere il suo forte, ma se la cava egregiamente riportando l'ordine in pochi secondi, senza neanche dover estrarre un cartellino giallo, fino a ricevere la comunicazione fatale. “Il rigore c’è, stanno rivedendo un fuorigioco”. Ma quanto tempo ci vorrà? Manganiello si adegua al suo nuovo ruolo da vigile urbano, fa ampi gesti di stare dietro la linea bianca, minaccia i difensori del Parma pronti a scattare in avanti: “se lo sbaglia, lo faccio ripetere!”.
È un prendere tempo commovente, pura navigazione a vista, l’arte di arrangiarsi. La regia televisiva, particolarmente ispirata, fa attenzione a non inquadrare mai alcuno spettatore, affinché la scena sia totalmente dei giocatori, pesci in un acquario, una versione allargata di Carnage di Polanski. Manganiello si sforza di mostrarsi padrone della situazione, sorride a una battuta di Barillà (!), proclama calmissimo “Il rigore c’è, stanno controllando l’azione!”, mima un incrocio con le braccia. Poi inizia a rendersi conto dell’assurdità della situazione, forse sospetta di essere pure lui una pedina negli ingranaggi della Legge, si gratta la nuca mentre il pubblico dello Stirpe interrompe la sospesa magia del momento con un greve “Ci avete rotto il cazzo!”.
Ora l’espressione dell'arbitro si fa più seria, forse obnubilata, ascolta ma non sembra capire, e neanche un replay arriva in nostro soccorso (dacché i fuorigioco vengono mostrati solo dopo che è stata presa la decisione). “Stanno controllando TUTTO!”. Ma tutto cosa? Il più agitato è Paganini, che sta gesticolando da tre minuti camminando per il campo, mandando a stendere qualcuno o qualcosa (il destino?) un paio di volte.
C’è la sensazione che si tratti di un grande esperimento sociale che qualcuno ha deciso di far svolgere al Benito Stirpe di Frosinone un mercoledì sera di aprile. Manganiello, ormai sempre più somigliante al premier Giuseppe Conte, continua a rassicurare le masse: “Forse c’è fuorigioco, aspettiamo”. Barillà e Ciofani cercano di interpretare il futuro: “Non è che l’ha presa con la mano?”. “Potrebbe essere”, gli risponde Daniel. Ma nessuno l'ha presa con la mano.
Manganiello guarda il cronometro e vede che siamo già oltre il centesimo minuto, proprio in corrispondenza dell’immortale coro “Buffoni! Buffoni!” che interpreta da sempre lo sdegno del popolo italiano verso il potente. E poi: “A mezzanotte, usciamo a mezzanotte”. Ma ecco una mano dall'amica VAR e segnatamente da Aleandro Di Paolo. La comunicazione è urgente, perché Manganiello si allontana dal capannello con cui si era intrattenuto amichevolmente e si porta la mano alla bocca. “Vi allontanate, per favore? È rigore!”. E indica il dischetto. “Non c’è fuorigioco!”. Oh, è finita. Finalmente Ciofani tira, ed è un monumento vivente al sangue freddo: gran rigore nell'angolo a sinistra e 3-2 Frosinone. È stata la VAR review più lunga della Serie A 2018/19.
SPAL-Sampdoria 1-2, 3 marzo 2019 – 5 minuti e 19 secondi (arbitro Pasqua, VAR Manganiello)
Siamo al quarto d'ora della ripresa e la SPAL sta perdendo 2-0 contro la Sampdoria, a causa di un Quagliarella formato Steph Curry 2015/16 che nella prima mezz'ora ha segnato due gol e ha colpito un palo da 30 metri; ma ora i biancocelesti attaccano sotto la loro amata Curva Ovest e sembrano in grado di riaprire la partita. Kurtic batte di destro una punizione laterale e trova al centro il colpo di testa vincente di Floccari. Alcuni giocatori della Sampdoria allargano le braccia, qualcuno batte le mani per incoraggiare i compagni, nessuno protesta. Valoti è il più lesto a raccogliere il pallone e lo riporta subito a centrocampo, aizzando la folla, mentre Floccari manda baci in tribuna VIP e lo speaker accende ulteriormente l'atmosfera del Mazza. Un bel clima, ma ecco che inizia il rosario dei replay: il primo scorre via innocuo, e sembra che Floccari parta molto più dietro rispetto all'ultimo difensore doriano. La Samp è già a centrocampo, pronta a riprendere il gioco, ma il VAR Manganiello riferisce all'arbitro Pasqua che c'è qualcosa da controllare.
Pasqua – che, nonostante la perniciosa somiglianza con Alessandro Di Battista, è uno dei giovani arbitri migliori della serie A – ferma il tempo, mentre il pubblico, tragicamente ignaro di tutto, seguita a cantare e saltare di gioia. Ma c'è un uomo che tutto capisce ed è un altro dei grandi attori non protagonisti di questa lunga commedia umana: è Leonardo Semplici, ritratto nella sua classica espressione pensosa da uomo perbene che sospetta di star ricevendo una fregatura, ma è troppo elegante e quieto per fare una piazzata; quindi, avvolto nel suo sciarpone biancoceleste, aspetta, soffrendo e sperando che vada tutto bene. Due settimane prima, in SPAL-Fiorentina, gli incolpevoli emiliani erano stati privati del gol del 2-1 per colpa di un fallo da rigore subito da Chiesa 60 secondi prima, che aveva costretto Pairetto ad uno spettacolare dietrofront. Tutto giusto e tutto regolare, ma il Mazza era insorto e la società s'era trovata costretta ad alzare la voce.
I secondi di attesa iniziano a diventare troppi e il pubblico comincia a fischiare, mentre Pasqua ha l'espressione sospesa di un impiegato di banca messo in attesa dall'operatore telefonico della sua stessa banca. Il rosario ricomincia, senza che lo spettatore da casa venga a capo di nulla: si cerca una spinta, un pestone, un'offesa a un lontano parente, niente. Ancora in attesa, Pasqua cerca di tenersi caldo facendo un po' di stretching. Ora gli sguardi dei tifosi sono diventati perplessi e preoccupati, come il fattore del Midwest che vede arrivare l'uragano. Sembra a disagio persino Quagliarella, che da quando ha risolto le sue grane extra-calcistiche è diventato il paladino del Bene e non vuole che nessun essere umano debba più essere dispiaciuto per nulla. Sono momenti di sincera pena in cui tutti i giocatori si rivolgono all'ufficiale di gara allargando le braccia. Pasqua è molto chiaro, “Sto aspettando”. Parte anche qui il “ci avete rotto il cazzo” di prammatica, che dev'essere diventato a nostra insaputa una specie di inno nazionale, la versione arrabbiata e paonazza di “Nel blu dipinto di blu”. L'espressione di Semplici somiglia sempre più a quella del marito cornuto nelle pochade francesi.
A quasi tre minuti dal gol, Pasqua finalmente riceve il via libera per portare il fischietto alla bocca e spostarsi al monitor. Il Mazza esplode in un boato di disapprovazione. Anche gli occhi di Marco Giampaolo vagano in cerca di un appiglio: la sua barba lunga e malcurata aggiunge disagio a disagio. Finalmente, solo ora, abbiamo il conforto delle immagini: le inquadrature scelte dal VAR ci fanno capire che il dubbio riguarda la posizione di fuorigioco di Petagna, che diventerebbe attiva se fosse accertato un suo disturbo su un difensore doriano – e questo può deciderlo solo Pasqua. Non manca anche l'elemento comico che smorza la tensione: il rumore dello stadio e un auricolare difettoso costringono l'arbitro a comunicare con il VAR attraverso un walkie-talkie alla Stranger Things.
Con la ricetrasmittente verso l'orecchio, Pasqua non fa che annuire, come il nipote che al cenone di Natale è costretto a sorbirsi lo zio che monologa sui guasti del signoraggio bancario. Qualcosa si muove: vediamo Petagna saltare ed essere effettivamente un po' d'intralcio ai difensori, ma quanto? Petagna che poi scompare, inghiottito dalle maglie nere dei doriani, mentre l'occhio va sulla palla e quindi su Floccari che incorna in rete. Il conciliabolo tra Pasqua e Manganiello è esso stesso lunghissimo, oltre un minuto, e si conclude con la sentenza di condanna: è fuorigioco. Floccari sbraccia mandando mentalmente tutti a quel paese, più per frustrazione che per reale convinzione. Finalmente, dopo oltre cinque minuti di limbo, arrivano le spiegazioni di Pasqua a Floccari: «Petagna, quando tu vai a saltare di testa, impatta con la testa di [incomprensibile]». Si riprende dopo 5 minuti e 19 secondi con la punizione di Viviano, in un clima di malessere generale e incomunicabilità che sembra preso di peso da un film di Michelangelo Antonioni. Che, non a caso, era nato a Ferrara.