
Nella laguna di Venezia, sull’isola di San’Elena, poco oltre i giardini della Biennale, si alza un manto erboso come una crosta d’erba sull’acqua. Lì sopra ventidue giocatori cercano di vincere una partita di calcio, intorno i tifosi continuano a cantare: «Vincere/Vincere/Vincere/Venezia-Mestre devi vincere/Vincere/Vincere».
Si gioca Venezia-Como, è l’8 dicembre, il giorno del mistero dell’Immacolata Concezione, e sull’Isola di Sant’Elena spira un vento devastante. Le bandierine del calcio d’angolo si piegano fin quasi a terra, le maglie sembrano voler fuggire dal corpo dei giocatori. Tutta attorno la laguna si agita, anche qualche metro sotto il prato, con le sue correnti salmastre. Più in alto volano le gocce di una tempesta di pioggia che attraversa l’aria in orizzontale. I giocatori corrono in mezzo a questa pioggia con gli occhi stretti, cercando di decifrare le traiettorie impossibili del pallone, che il prato risputa a rimbalzi sempre imprevedibili. Quando il calcio si gioca a queste condizioni è ancora calcio?
Venezia-Como è il derby delle due squadre che giocano sopra l’acqua, oppure il derby dell’overtourism, o anche il derby del capitalismo più estroso della Serie A. Da una parte la proprietà creativa del Venezia, con i soldi di Drake, lo sponsor Cynar, le maglie Nocta; dall’altro il capitalismo smaterializzato degli ultra-ricchi del lago di Como, con le maglie Uber e il tentativo di trapiantare il calcio catalano ai confini italiani.
Venezia con la sua turistificazione, ma anche con i suoi musei, lo IUAV, la Guggenheim, gli studenti di arte. Como con le ville sul lago, le SPA, la vita clandestina dei ricchi più ricchi del pianeta. E poi due tifoserie viscerali che riescono a trasmettere una propria autenticità ai rispettivi progetti sportivi.

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In linea teorica, doveva essere una partita patinata, impacchettata per il mercato estero, tra due squadre culto - nell’epoca in cui persino Robbie Williams vuole comprare una squadra di calcio. È stata in effetti una partita spettacolare, anche se in una direzione diversa da quella immaginata. Una partita non dell’ordine ma una del caos: un 2-2 dominato dalle condizioni meteorologiche, sia nella partita giocata che in quella guardata. La pioggia che taglia l’aria in orizzontale rallenta i giocatori in campo, che sembrano muoversi contro una gravità più densa del normale; la pioggia si posa inevitabilmente anche sulle telecamere, ricordandoci che guardiamo sempre le partite attraverso uno schermo materiale, che invece ogni domenica ci offre l’illusione della trasparenza.
Le gocce si posano sullo schermo sempre diverse tra loro, distorcendo i giocatori in campo come quei filtri di TikTok che deformano le facce gonfiandole o stringendole. Oppure, semplicemente, coprono tutto con nastri di stille luminescenti.

Attraverso l’acqua l’inquadratura dall’alto riprende queste due squadre mentre si affrontano, due squadre che sembrano provare a giocare a calcio nonostante tutto, cercando di vedere cosa rimane del calcio dentro condizioni così estreme. Cosa rimane, per esempio, del gioco di posizione ortodosso del Como, come si può praticare un’idea di gioco basata sull’ordine all’interno di un simile caos?
Dietro le gocce e dietro il vento a un certo punto la palla ci sembra entrare in porta. Le maglie azzurre hanno segnato, ma per qualche ragione non sono quelle del Como. Il Venezia ha deciso di giocare in casa con i colori sociali dell’avversario, che per rispondere ha indossato i colori del Venezia. Il marketing è arrivato a questo punto senza ritorno, in cui le squadre giocano a colori invertiti. La palla è entrata per un tiro da fuori del numero 14 Hans Nicolussi Caviglia, ma esulta un altro con la testa bionda, Joel Pohjanpalo, l’unico in campo che indossa solo la maglia a maniche corte. Il tiro di Nicolussi colpisce il tacco del suo piede mentre sta tagliando in orizzontale. Un gol che forse non ci è mai capitato di vedere.
La curva sud del Venezia è in sciopero per i cattivi risultati di inizio stagione, quindi quando qualcuno prova a intonare un coro dopo il gol viene invitato a smettere. Alcuni tifosi si alzano in piedi sui seggiolini, ma i più leggeri di loro hanno paura di venir portati via dal vento - almeno secondo la testimonianza di un amico al Penzo ieri. Nico Paz rientra sul sinistro, calcia, il tiro colpisce la schiena di un avversario e si impenna. La traiettoria sembra innocua ma il vento la distorce e per un momento, un breve momento, la palla sembra poter rientrare verso la porta.

Invece Stankovic la devia in calcio d’angolo. A tre minuti dall’inizio del secondo tempo, mentre l’inquadratura si scioglie verso una forma quasi del tutto liquida, il pallone entra in porta di nuovo. Ce lo ha messo un giocatore con la maglia azzurra del Venezia, ma la porta è la sua. Lo fa, ironicamente, mentre i suoi tifosi gridano dal megafono “NON FATELI PASSARE”. Candela sarà stato ingannato dal vento? O anche lui ha iniziato a vedere la realtà come la vedevamo noi dalla telecamera, cioè come dentro al sottosopra onirico di Lynch?

Nel secondo tempo le condizioni diventano sempre più estreme. Persino Pohjanpalo cede e indossa la maglia termica sotto quella a maniche corte. Il Penzo sembra andare sempre più alla deriva verso l’irrealtà, mentre le due squadre continuano a giocare a calcio attraverso gli elementi. Compare una scritta nefasta sotto alla figura tutta imbacuccata di Eusebio Di Francesco.

Il “Gallo” Belotti, più ingobbito del solito, sembra esaltarsi in questo scenario di apocalisse e disperazione. In questa partita alla fine del mondo. Pressa tutti, si butta su tutti i palloni. E poi arriva un messaggio da un altro mondo, come quando vediamo le farfalle posarsi sui prati nei film di Terence Malick. Un improvviso ronzio di insetti sembra disordinare ancora l’inquadratura, mentre Van der Brempt porta palla. È l’annuncio del gol del Gallo del 2-1.
Come sarebbe il calcio visto a bordo del passaggio ponte di una nave? I corpi sembrano sdoppiarsi, lasciare l’ombra della loro anima; i calciatori sono sé stessi ma anche il loro fantasma. Non si muovono verso la zona del pallone, sembrano sciamare.

In una canzone degli Imaginary Landscape (nome tributo a John Cage) la band plasma un suono acquoso che sembra proiettare il senso di un dolce annegamento verso un mondo muto di bolle e liquido.
Non si vede niente, attraverso i cappucci tirati su, e i cappelli di lana indossati come marinai in tempesta. Dentro questa nebbia acquosa l’arbitro vorrebbe espellere un componente della panchina del Venezia, ma i confini fra le cose sono indecifrabili, come tra le lettere di un foglio bagnato. Così per sbaglio espelle uno della Pitch View, l’area riservata di chi ha comprato i biglietti più costosi, e che è così vicino alla panchina del Venezia da essere confuso per uno della squadra.
Mentre il mondo sembra liquefarsi, e Venezia-Como affondare nell’acqua lagunare, Oristanio segna da calcio d’angolo. Chissà se è un colpo di fortuna, o se è riuscito davvero a calcolare le traiettorie del vento come un abile golfista, o come David Foster Wallace racconta d’aver ingannato il vento del Midwest durante le partite di tennis. La palla sembra andare nel mezzo, ma il vento la manomette per mandarla verso la porta e punire Pepe Reina. Da una certa prospettiva, è una parabola che sembra guidata da mano divina.
La stanchezza fa sprofondare la partita verso una penombra sempre più incerta. Le gocce continuano a puntellare l’inquadratura televisiva. Ci viene da vomitare. Eppure sembra poter succede di tutto. Sentiamo imprecazioni e bestemmie in veneto, svariati “oooooooooh”. Pohjanpalo prova a difendere un pallone, che viene risputato verso fuori, arriva Nicolussi Caviglia che - lo sapete tutti - ha alcune caratteristiche peculiari: ascolta Guccini, legge Dostojevski e ha una tecnica di calcio da sturbo. Cinque minuti dalla fine, terreno bagnato, una palla che gli arriva docile verso il suo destro. Nicolussi fa esplodere un tiro secco e lineare verso il primo palo. Si sente un boato anfibio dalle tribune, l’urlo epico delle partite vinte all’ultimo minuto superando la tempesta di elementi. Nicolussi esulta scivolando con la pancia a terra, perché è un giocatore culto in ogni dettaglio.
Il VAR, però, ha deciso che quel momento è troppo perfetto, a coronamento di questa partita onirica. Ricontrolla le immagini e, a quanto pare, metà del corpo di Pohjanpalo è in fuorigioco nel tocco di palla precedente. Lui, in realtà, il pallone non lo tocca; ma il difensore del Como rinvia male perché è disturbato da lui, dunque fuorigioco attivo, dunque rete annullata. L’urlo viene rimangiato dai tifosi del Venezia. Il momento glorioso viene annullato e si trasforma in qualcosa di ridicolo per la sua tecnocrazia. Qual è il vantaggio tratto dal Venezia dal mezzo corpo in fuorigioco del centravanti finlandese?
Di sicuro la maledizione di Eusebio Di Francesco continua, dopo questa vittoria sfumata per pochi centimetri. Una stagione fatta di episodi storti, rimonte subite e mancate, che sembra la naturale prosecuzione della sfortunata retrocessione del Frosinone dello scorso anno. Venezia-Como si inchioda sul 2-2.
Parliamo sempre di cosa è o non è il bello nel calcio. Magari qualcuno non sarà d’accordo, ma credo che questa partita sia una buona rappresentazione di cosa il calcio sia, cioè uno sport proteiforme, che sa assumere tante sembianze diverse e proporre spettacoli di ogni tipo. Uno sport che non si può ridurre, e che anzi diventa più epico quando le sue condizioni deragliano e si confondono. Uno sport che si può giocare anche in mezzo alla laguna, mentre il vento ti taglia la faccia e l’acqua sciama in aria. Uno sport che si può giocare anche quando non si vede niente e la partita sembra un sogno, sembra un’altra realtà.