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Vi piacerebbe votare per il VAR?
29 gen 2018
Testimonianza da un futuro in cui le decisioni arbitrali vengono prese da casa.
(articolo)
16 min
(copertina)
Foto di Marco Bertorello / Getty Images
(copertina) Foto di Marco Bertorello / Getty Images
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Come molte delle idee peggiori avute dall’uomo, anche quella di far decidere al voto popolare l’esito del VAR arrivò da un tweet anonimo.

Le cose erano diventate ancora più pesanti dopo che un’intercettazione era trapelata dalla procura rivelando come due importanti arbitri di Serie A, in una conversazione telefonica privata in cui parlavano per lo più di come andava con le rispettive mogli, figli e cani, avevano etichettato il VAR - la Var? - come “una pagliacciata nelle loro mani”.

Fin dall’inizio della stagione 2017-18, quando il sistema dei VAR (Video Assistant Referee) era stato introdotto in Serie A, la possibilità di avvalersi dell’aiuto delle immagini per decidere i casi più spinosi di una partita aveva creato un cortocircuito nel rapporto tra tifosi ed arbitri: non essendo più possibile sbagliare - perché, appunto, potevi prenderti più o meno tutto il tempo che volevi e utilizzare la tecnologia del replay - veniva meno l’argomento più usato in caso di errore: la classica “buona fede”.

Adesso ogni episodio mal giudicato era diventato un deliberato attacco alla regolarità del campionato. Se l’iniziale buona applicazione del VAR aveva tenuto a freno gli animi dei tifosi, i primi gravi errori avevano montato la protesta fino a che questa non era esplosa senza controllo, a inizio febbraio, dopo l’uscita dell’intercettazione sul Fatto Quotidiano, che aveva legittimato le idee più estremiste dei tifosi riguardo l’esistenza di una cospirazione atta ad affossare la loro squadra - qualunque essa fosse.

Proprio pochi giorni prima il VAR era incappato nella sua peggior giornata, la ventiduesima, in cui diversi episodi dubbi mal gestiti dagli arbitri scatenarono proteste. Soprattutto tre: a Napoli, l’arbitro Mazzoleni - dopo aver guardato le immagini con il VAR - aveva confermato un rigore al Napoli per una mano di Masina poggiata sulla spalla di Callejon: al replay il presunto fallo era sembrato piuttosto veniale per la maggior parte delle persone. Invece l’arbitro Tagliavento, pur dopo aver rivisto le immagini, aveva deciso di annullare un gol regolare al Crotone negli ultimi minuti della sfida contro il Cagliari. Infine a Milano, il gol di Cutrone era stato realizzato non di testa, ma con l'avambraccio. Nessuno se ne accorse “lì per lì”, gli arbitri al Var se dicono qualcosa la dicono con il silent check e le immagini televisive arrivano con grande ritardo - alimentando altri possibili complotti. Tre episodi diversi tra loro ma che, tutti insieme, hanno fatto traboccare il celebre vaso della metafora con le gocce.

I social si rivoltarono, i presidenti delle squadre tempestarono di chiamate i dirigenti e a nulla servirono le spiegazioni a cui furono costretti nel cuore della notte i tre arbitri - da un’altra intercettazione è venuto fuori come Mazzoleni, in pigiama e insonne, provò a spiegare a più di un interlocutore quella stessa notte che neanche con le immagini della TV era riuscito a valutare con certezza l’entità del contatto, confessando anche di aver pensato al ritiro perché la professione di arbitro era “semplicemente impossibile”, ma nessuno gli diede il beneficio del dubbio: come facciamo a sapere che Mazzoleni non sapesse di essere intercettato?

Le istituzioni, in fase di cambiamento dopo la mancata qualificazione dell’Italia ai mondiali, non furono abbastanza forti da respingere la pressione esterna di movimenti nati in quel periodo: VperVar, Rigori e Democrazia e Movimento no fischietti; così in una riunione congiunta tra Lega, Assocalciatori e AIA si decise che dalla successiva giornata di campionato gli arbitri e i suoi assistenti non sarebbero più stati responsabili della valutazione delle immagini, ma che sarebbe spettato ai “cittadini” prendere una decisione finale, tramite l’invio di un emoticon in collaborazione con la famosa app di messaggistica Whatsapp, ad un numero indicato in sovraimpressione durante la partita.

La prima Rivoluzione del calcio italiano.

Da quel momento le cose hanno funzionato così: in caso di episodi dubbi, tra quelli per cui era previsto l’intervento del VAR, l’arbitro avrebbe fatto l’ormai famoso gesto disegnando un rettangolo in aria con le dita, e da quel momento sarebbero partiti 60 secondi di replay visibili a tutti: gli stessi per Sky e Mediaset, gli stessi allo stadio per pubblico e calciatori e allenatori.

Dopodiché, chiunque in possesso di uno smartphone (unico limite “sociale” per cui qualcuno parlò di discriminazione immaginando altri complotti) e che si trovasse fisicamente in territorio italiano, avrebbe avuto 120 secondi per votare. L’emoticon faccina triste avrebbe indicato il no: no rigore, no fuorigioco, no espulsione, no annullamento di un gol; l’emoticon faccina sorridente avrebbe indicato il sì: sì rigore, sì fuorigioco, sì espulsione, sì annullamento del gol. Venne valutata anche la possibilità di usare altre emoticon per dare la possibilità di giudizi più sfumati: faccina pensierosa per dire che forse dovremmo far decidere davvero all’arbitro; emoticon occhiali per dire che lo avrebbe visto persino un miope senza supporto che era rigore; faccina che piange per dire una cosa tipo “sarò onesto è rigore, ma mi costa molto visto che va contro la mia squadra del cuore”; emoticon della ballerina per dire che il giocatore si era palesemente buttato, e quindi andava ammonito. Il pubblico votò anche sulla possibilità di inserire queste altre emoticon ma vinse la faccina triste del no.

Cosa cambiò?

Inizialmente la scelta di sgravare gli arbitri dal peso di prendere una decisione con l’ausilio delle immagini mise a tacere il dibattito che si era creato dopo i primi gravi errori, anche la parte più interessante di esso. La difficile convivenza tra l’occhio dell’arbitro e quello della telecamera aveva spinto scienziati, filosofi ed artisti ad interrogarsi sulla differenza tra realtà e percezione, e su come questo scarto stesse aumentando con l’aumentare della tecnologia.

Senza voler citare la quinta stagione di Black Mirror, interamente dedicata al mondo del calcio italiano, il celebre divulgatore Pierluigi Odifreddi scrisse un saggio chiamato La matematica delle sviste, mentre Gianni Vattimo su Linkiesta prese una strada piuttosto impopolare con il suo articolo Siamo sicuri che una telecamera sia meglio della sensazione di un arbitro?

Diego Fusaro - pur impegnato nella campagna elettorale o forse proprio per quel motivo - scrisse un paio di articoli a riguardo, ipotizzando un complotto mondialista della generazione Erasmus al fine di far disinteressare i popoli al nazionalistico calcio dei campionati e avere via libera nella creazione di un’unica lega europea di stampo turbocapitalista.

La scelta di affidare ai “cittadini” la valutazione delle immagini ebbe grande risalto, finendo sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo, ma piuttosto inaspettatamente il discorso intorno a forme alternative di democrazia era così saturo che nessuno pensò fosse originale o interessante il paragone tra questo nuovo tipo di arbitraggio in Serie A e quello che stava accadendo nel mondo reale. L’attenzione si concentrò piuttosto sulla fattibilità in termini meramente pratici: non si sarebbero interrotte troppo a lungo le partite? Quanti arbitri avrebbero deciso di usare il “VAR Pop” (dove “Pop” stava per “Popular”, grazie a una partnership con l’omonimo servizio Uber, reintrodotto in Italia nel mese di marzo)? L’avrebbero usato per lavarsi le mani o, al contrario, si sarebbero messi di traverso? Non sarebbe stato meglio far votare anche quando era il caso di votare? Ma anche, il sistema di votazione era sicuro: l’uso delle emoticon era la miglior opzione a disposizione?

La prima partita in cui venne sperimentato il nuovo sistema fu Bologna-Fiorentina, domenica 4 febbraio alle 15. Fu considerato un buon banco di prova utile, in quanto le due squadre avevano un bacino di utenza simile, ma sfortunatamente non capitarono episodi sufficientemente dubbi da far richiedere all’arbitro l’ausilio del VAR: l’unico momento di frizione avvenne quando Mattia Destro, pensando di fare cosa furba, si buttò platealmente in area con l’idea di sfidare la sorte del voto popolare, l’arbitro Maresca, però, non si fece ingannare ed ammonì il giocatore spiegandogli, come si evinse dal labiale, che “non è che per ogni cazzata adesso chiamo il popolo a decidere”. Qualcuno, tuttavia protestò contro questa decisione.

Quella stessa settimana si sperimentò anche durante il posticipo tra Benevento e Napoli, partita più delicata. E arrivò subito il primo, storico, utilizzo dell’aiuto da casa, per dirimere un contatto tra Mertens e Brignoli nell’area sannita.

Una ricostruzione virtuale dell’episodio.

L’arbitro Doveri, essendo distante dall’azione, non se la sentì di prendere una decisione e preferì “evocare” il VAR (il termine “evocare” mutuato dal gioco di carte Magic divenne il preferito di certa stampa, tra cui anche l’Ultimo Uomo). La procedura filò abbastanza liscia: i replay dimostrarono in maniera abbastanza lampante che Brignoli aveva colpito Mertens e non il pallone e il voto popolare legittimò il tutto concedendo il calcio di rigore. In maniera molto poco spettacolare il verdetto venne comunicato all’arbitro via radio, il quale indicò il dischetto come fosse stata una sua scelta.

Il giorno successivo la Lega non rilasciò né il numero di votanti né le percentuali di voto, ma lasciò trapelare un certo ottimismo: il rigore c’era e il popolo lo aveva concesso. Ovviamente nessuno era in grado di sapere se questo era accaduto solo perché i tifosi del Napoli sono più numerosi di quelli del Benevento, perché l’episodio in questione era davvero palese, o se, come Tommasi andava ripetendo da giorni, perché «la gente si era autoregolata come su Wikipedia».

Dalla settimana dopo, “Var Pop” venne introdotto per tutto il campionato. Il vero banco di prova, come potete immaginare, arrivò con una partita della Juventus. I bianconeri erano potenzialmente un mistero: da una parte è la squadra più tifata d’Italia, e questo poteva certamente influenzare le votazioni, dall’altra è anche la più odiata. Sul 3-0 contro la Fiorentina, e con meno di un minuto da giocare, l’arbitro chiamò il VAR per decidere se convalidare un gol della Fiorentina in dubbio fuorigioco. Le immagini mostrarono che il piede di Chiellini teneva in gioco Chiesa e lo stesso fece il voto da casa. Nessuno però si espose sulla validità del metodo: vista la situazione di punteggio non era considerato un caso attendibile né in senso positivo né negativo.

Alla fine della prima giornata di campionato con questo nuovo sistema di arbitraggio il voto da casa venne interpellato 8 volte e l’unico risultato dichiarato “strano” fu su un dubbio fallo di mano nell’area del Sassuolo che finì con i voti in parità (si scoprì diverse settimane dopo che i votanti furono solo 8). In quel caso, come da regolamento, la decisione tornò all’arbitro che contro voglia concesse il rigore al Cagliari. Negli altri 7 casi la decisione presa dalla maggioranza dei votanti fu considerata quella corretta da tutti i moviolisti - la categoria che più guadagnò da questo nuovo utilizzo del VAR a livello di popolarità, passando dall’essere i giudici ultimi degli arbitri ad essere i guardiani della democrazia, senza cambiare niente del proprio stile.

I giocatori, tolto l’impacciato tentativo di Destro all’esordio di “Var Pop”, si comportarono come se nulla fosse: le proteste furono contenute, come già era una tendenza dal momento dell’introduzione del VAR, e soprattutto nessuno se la prese con i tifosi avversari nelle dichiarazioni post-partita. Questo rallegrò molto la Lega, che tutto cercava tranne un inasprimento dei rapporti tra giocatori e cittadini.

Ma la pace, come tutte le paci, non poteva durare per sempre.

I problemi della democrazia

Le prime crepe sul vetro arrivarono abbastanza rapidamente, complice l’anticipo di pranzo della successiva domenica: Torino-Juventus. Il problema in quel caso non fu il VAR in sé, piuttosto tutto il contorno generato dalla sua nuova applicazione: lo stadio Olimpico, ad esempio, andò praticamente deserto, vista la difficoltà di usare il telefono all’interno di uno stadio pieno.

I tifosi avevano deciso di rimanere a casa, o comunque in un luogo in cui il telefonino prendeva bene, così da poter votare a favore della propria squadra del cuore in caso di necessità.

Una fotografia dell’Olimpico di Torino, tristemente vuoto a pochi minuti dal calcio d’inizio.

La partita fu piuttosto fiacca. La mancanza del tifo, che era stato sempre un motore per i giocatori della Torino contro la Juventus, influenzò il gioco negativamente e le due squadre avevano la testa altrove. Per la prima volta persino l’arbitro e i guardalinee non sembravano sapere come comportarsi: dopo ogni contatto in area, dopo ogni palla lanciata alle spalle della difesa, dopo ogni azione dubbia per intenderci, si guardava intorno alla ricerca di qualcuno che decidesse al suo posto se chiamare il VAR. Per sua fortuna non successe nulla di veramente dubbio e la partita terminò con uno scialbo 0-0.

Il giorno dopo l’AIA rilasciò una dichiarazione abbastanza dura: i suoi assistiti non dovevano essere gravati della decisione di quando usare il VAR, che diventava a questo punto più delicata della decisione di assegnare o meno un rigore con l’ausilio delle immagini. La loro proposta prevedeva che ogni episodio accaduto in una situazione offensiva a meno di 40 metri dalla porta dovesse finire nelle mani del voto popolare.

Il primo vero torto arrivò poco dopo, durante Napoli-Roma, sabato 3 marzo (un giorno prima delle elezioni parlamentari). L’unione dei tifosi del Napoli + quelli anti Napoli + della Roma + quelli anti Roma + quelli anti Juventus + quelli della Juventus, non poteva non incidere sul voto. Alla Roma venne annullato un gol per un fuorigioco che non c’era (di poco, ma non c’era), mentre al Napoli, sempre tramite giuria popolare, venne accordato un rigore per un intervento disperato, ma pulito, di Manolas su Mertens. L’arbitro della partita decise di affidarsi totalmente all’aiuto a casa, tanto che la gente dovette votare anche su un fuorigioco di oltre un metro di Callejon, allungando a dismisura il tempo di gioco.

A quel punto si aprirono due grandi questioni: gli stadi vuoti e il ruolo degli arbitri come filtro tra i falli e la gente. Se degli stadi vuoti alla fine importò poco (il dibattito rimase circoscritto alle tifoserie organizzate che si chiesero se il loro apporto era più importante in curva con il tifo o a casa coi telefonini, perché in fondo il loro compito era sostenere in ogni modo la squadra), il dibattito intorno agli arbitri monopolizzò l’attenzione a livello nazionale. Gli arbitri, e con essi la maggior parte degli italiani, si divisero tra interventisti e neutralisti.

Gli interventisti volevano un intervento diretto dell’arbitro all’interno della partita: quest’ultimo doveva avere il controllo del fischietto e chiamare il VAR solamente in casi veramente al limite, in cui anche lui non era in grado di decidere (esisteva anche una frangia estremista che chiedeva agli arbitri di non usare mai e poi mai il VAR, e inaspettatamente a capo di questa frangia c’era Alessandro Di Battista, fuoriuscito dal Movimento 5 Stelle). Era la posizione dell’arbitro come uomo forte in controllo del suo destino e di quello delle squadre da lui arbitrate.

Ecco alcuni dei personaggi di maggiore spicco tra gli interventisti della prima ora:

  • Pierluigi Collina

  • Matteo Salvini

  • Paolo Bonolis

  • Alberto Angela

  • gli Afterhours

  • Elio

I neutralisti invece appogiavano la posizione dell’AIA, ovvero quella di limitare l’intervento dell’arbitro all’ordinaria amministrazione (falli a centrocampo, rimesse laterali, lancio della monetina) e lasciare tutto il resto al giudizio dei cittadini. L’arbitro come mero esecutore. I neutralisti credevano nel valore della democrazia e che la sua evoluzione non era la forma rappresentativa, ma quella partecipativa. Alcuni dei più famosi neutralisti erano:

  • Piero Angela

  • Paolo Gentiloni

  • Nicola Rizzoli

  • Samantha de Grenet

  • i Negramaro

  • Faso

Va detto che la percentuale d’errore del pubblico da casa dopo le prime giornate era simile a quella avuta dagli arbitri nel periodo precedente, il che rendeva ancora più difficile decidere quali delle due opzioni fosse la migliore. Ma l’esito del voto in sè perse il suo valore. Complice elezioni politiche che non avevano dichiarato un vincitore, infatti, lo scontro tra neutralisti ed interventisti abbandonò il terreno di gioco e si radicalizzò. Il calcio, come laboratorio sociale, aveva prodotto un mostro. Gli interventisti adesso volevano un governo tecnico guidato da Pierluigi Collina, i neutralisti erano per tornare al voto ad oltranza.

Nel giro di qualche mese i partiti tradizionali (ma anche quelli non tradizionali) vennero spazzati via per lasciare il posto a due grandi movimenti contrapposti, ovviamente interventisti e neutralisti, in cui gli arbitri avevano ruoli di primo piano essendo stati tra i primi a schierarsi.

In mancanza di una maggioranza in grado di governare e vedendo come le recenti votazioni non rappresentavano più il volere del paese, Sergio Mattarella ritenne opportuno si dovesse tornare al voto. La maggior parte degli arbitri di Serie A abbandonò il proprio ruolo per buttarsi in politica, tanto che il campionato terminò con arbitraggi di fortuna. “Var Pop” virò con decisione verso arbitraggi sempre più assurdi, con votazioni palesamente contrarie all’evidenza e inchieste che, in seguito, dimostrarono l’influenza di agenzie apposite che, dietro finanziamento di club e/o tifosi, potevano garantire parecchie migliaia di voti “finti” (la disoccupazione giovanile si abbassò di mezzo punto percentuale in quei quattro mesi, ma in molti casi erano stage o alternanza scuola-lavoro).

I primi di luglio, mentre il resto del mondo era impegnato con i Mondiali (dove era presente il VAR, ma senza il voto da casa) in Italia si tennero nuove elezioni con solo candidati neutralisti presenti. Gli interventisti, dopo accese discussioni interne, decisero che il voto popolare non rispecchiasse più il bene del popolo, e si ritirarono in clandestinità. Il giorno del voto fu tragico: attentati nei seggi elettorali ad opera degli interventisti causarono centinaia di morti e migliaia di feriti, nel disordine generale il Presidente della Repubblica instaurò le leggi marziali, ma le forze dell’ordine erano anch'esse divise e il passo successivo fu la guerra civile, che è in corso ancora oggi.

Oltre ad interventisti e neutralisti si creò un’altra fazione, piccola ma molto resiliente: quelli a cui fregava solo di vedersi qualche bella partita di Serie A. Subito etichettati come dei neutralisti eretici furono costretti a nascondersi nei boschi dell’Abruzzo dove organizzarono un campionato di Serie A clandestino giocato su campi di fortuna.

Chi scrive fa parte di questa piccola combriccola di sognatori. La guerra va avanti da ben 5 anni e non sta a me dire chi ha torto o ragione. Quello che posso dirvi è che l’ultimo campionato di Serie A è stato interrotto a causa di un orso, che con i suoi denti ha bucato gli ultimi palloni che tenevamo nascosti nel Parco della Majella. Il mio diario racconta un pezzo della storia d’Italia e magari un giorno qualche storico potrà ritenerla una testimonianza utile per non ripercorre gli stessi errori. Tutto cominciò quando gli arbitri vennero considerati inadatti a fare il loro lavoro, ma la storia non dovrà ripetersi per forza.

Spero che te che mi leggi, che hai trovato questo diario chissà dove, chissà quanti anni dopo la mia morte (siamo circondati e dal Molise l’avanzata degli interventisti sembra inarrestabile), viva in un mondo dove si è tornato a giocare a calcio. Ricordati che un calcio senza arbitri è impossibile, la prossima volta che ti fischiano un rigore contro.

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