I primi gruppi Ultras, e con loro le rivalità fra squadre e tifoserie appartenenti alla stessa provincia, se non città, nascono in Cina solo intorno agli anni ’90, in parallelo con la crescita del calcio professionistico. I derby cittadini sono una novità per il mondo calcistico cinese e si sono originati con la privatizzazione delle squadre e la possibilità per gli investitori di fondare nuovi club. Dalla nascita del campionato della Repubblica Popolare, nel 1951, fino agli anni ai primi anni ’90, le squadre erano tutte di proprietà delle autorità sportive locali (ed erano composte solo ed esclusivamente da cinesi) e non ve ne era più di una per città.
Anche solo ad uno sguardo superficiale, quello che balza all’occhio è che molti gruppi ultras hanno nomi italiani, come gli Aquila Ultrà Destra dello Shandong Luneng, i LFAM (Lotta Fino alla Morte) del Beijing Guoan o le innumerevoli “Curve Nord”. Nonostante la Serie A ora in Cina sia un prodotto di nicchia, principalmente per la sua incapacità di fare branding sui mercati esteri, il calcio italiano rimane un oggetto di culto fra una piccola cerchia di tifosi cinesi, dato che è stato, assieme alla Premier League il primo campionato straniero ad essere trasmesso in Cina.
Oggi nella Chinese Super League abbiamo ben quattro derby cittadini (a Tianjin, a Pechino, a Shanghai e a Guangzhou) oltre a varie rivalità provinciali, come il Delta Yangtze Derby (cioè il Derby del Fiume Azzurro) fra lo Jiangsu Suning e le due compagini di Shanghai; il Derby di Cina, cioè quello tra Beijing Guoan e Shanghai Shenhua (che più o meno rappresentano il Nord e il Sud del Paese); e il JingJin Derby, tra Tianjin Teda e Beijing Guoan (due municipalità del Nord). Le rivalità sono tante, insomma, ma ognuna fa storia a sé, aiutandoci a capire maggiormente la cultura del tifo in Cina, comprese le enormi difficoltà nel concetto di identità.
Il derby di Shanghai
Attualmente, il derby più famoso e acceso di Cina è quello di Shanghai fra lo Shenhua di Martins e Guarin, e il Sipg di Oscar e Hulk. Nel 2016, mentre lo Shanghai Sipg giocava in Giappone la Champions League asiatica contro il Gamba Osaka, tra le fila dei tifosi delle “Red Eagles” (come viene a volte chiamato il Sipg) si introdussero anche alcuni tifosi dello Shenhua, che durante la partita esposero un grande striscione sugli spalti con scritto ‘Only Shenhua Represent Shanghai’. Ne vennero fuori diversi tafferugli nel settore ospiti.
Essendo il club più antico e con maggior tradizione (la sua nascita risale agli anni ’50), la maggior parte delle persone a Shanghai tifa Shenhua. Tra questi c’è anche Cameron Wilson, direttore di “wildeastfootball”, primo sito straniero sul calcio cinese, che vive in Cina da ben oltre un decennio.
Foto di Wen Xiong (Red Boys).
«Siamo la tifoseria più hardcore di Cina», mi dice Wilson «L’atmosfera all’Hongkou Stadium come nella maggior parte degli stadi cinesi è molto bella, le persone ti trasmettono molta energia, vi è la volontà di essere parte di qualcosa, di sapersi identificare. Il derby di Shanghai è veramente speciale. Le prime rivalità sorsero all’inizio degli anni 2000. Nel 2002 il nostro più grande rivale era lo Shanghai International, la partita era molto sentita ed erano match molto duri, molta violenza e spesso risse in campo. Poi lo Shanghai International si trasferì a Xi’an nel nord della Cina. A Shanghai apparvero nuovi team, ma nessuno di questi poteva rivaleggiare con lo Shenhua, poi giunse lo Shanghai Sipg alla sua prima stagione in CSL nel 2013. La rivalità ora è molto forte, persino i due presidenti si odiano e si rifiutano di mettere a disposizione il corretto numero di biglietti per i tifosi ospiti. Ad oggi il Sipg ha un’affluenza di pubblico maggiore, ma solo perché hanno uno stadio più grosso. Anche le partite sono fantastiche, ci sono sempre tanti gol e cartellini rossi... è qualcosa di grande».
Se da una parte abbiamo una tifoseria calda e coinvolgente, che gioca le partite in uno stadio senza pista d’atletica, allo Shanghai Stadium troviamo invece una situazione opposta, con il pubblico molto distante dal campo e vari settori dell’impianto vuoti. «Non vi è una particolare ragione per la quale ho iniziato a tifare Sipg al posto dello Shenhua, semplicemente perché la loro sede è vicina a dove abito», mi racconta Wen Xiong, uno degli esponenti del gruppo RedBoy, che non concorda con Cameron Wilson. «Molte persone si sono avvicinate al calcio grazie al Sipg negli ultimi anni, ma credo che l’aspetto culturale del derby sia tutto da costruire, la storia è ancora molto giovane, così come il nostro club, che è nato a metà anni ‘2000 inizialmente come settore giovanile».
La straniante situazione di Tianjin
Non tutte le realtà sono però come quella di Shanghai. A mezzora di treno da Pechino c’è Tianjin, una città da oltre 14 milioni di abitanti che ha profonde connessioni con l’Italia, dato che parte della città fu dall’inizio del XX fino alla seconda guerra mondiale secolo un possedimento coloniale della corona dei Savoia. A Tianjin la cultura italiana è molto viva ancora oggi, anche dal punto di vista calcistico: qui nel 2003 arrivò il primo allenatore italiano, cioè Giuseppe Materazzi (che guidò per una sola stagione il Tianjin Teda). Nel 2009 fu invece la volta di Damiano Tommasi, che disputò il campionato da giocatore con il Teda, mentre nel 2016 e nel 2017 Fabio Cannavaro ha allenato con successo la nuova realtà della municipalità, cioè il Quanjian.
Il Tianjin Quanjian è in realtà un club nomade, se così possiamo chiamarlo. È stato fondato nel 2007 in Mongolia Interna, per poi trasferirsi a Tianjin solo l’anno successivo partendo dalla terza serie. Quello stesso anno il Teda, che ha sempre rappresentato calcisticamente la municipalità, aveva un afflusso medio di 14.000 persone nel suo stadio di proprietà, cifra che è rimasta più o meno costante nel decennio successivo, ma ampliamente sorpassata dai rivali del Quanjian. La squadra di Cannavaro nel 2017, alla sua prima stagione in Chinese Super League, ha fatto registrare una media di 24,877 spettatori: cioè circa 10.000 in più rispetto al Teda.
Foto di Guangpeng Wang.
A leggere questi dati si potrebbe pensare che il Teda ha conservato il suo zoccolo duro di tifosi mentre il Quanjian ha appassionato nuove persone al gioco del calcio costruendosi in modo più efficiente una fan base, ma in realtà non è stato proprio così. «Il contesto del calcio cinese non è stabile», ci racconta Guanpeng Wang, del gruppo organizzato “Flying Tigers of Tianjin”. «In Italia ci sono squadre appartenenti a realtà cittadine molto piccole ed è normale avere una cattiva stagione e retrocedere, ma nonostante tutto, da voi ci sono molti tifosi fedeli. A Tianjin non è affatto così: infatti molti tifosi che prima tifavano il Teda, ora sono passati al Quanjian. Anche alcuni membri originali del nostro gruppo ultràs ci hanno tradito e stanno copiando i nostri canti, il nostro stile. A Tianjin puoi trovare anche persone che sostengono entrambi i club perché dicono: “Sono di Tianjin ed tutti e due i club rappresentano la mia città”. In altre aree della Cina non è così: ad esempio a Shanghai devi scegliere da che parte stare, la stessa cosa a Guangzhou».
Identità e rivalità
La questione dell’identità è molto delicata in Cina. Il Tianjin Quanjian non è stato l’unico club nomade in Chinese Super League, e insieme a esso troviamo il Beijing Renhe, che nel corso della sua storia ha cambiato ben quattro città, conquistando così l’offensiva nomea di “The Ranger Dogs” da parte delle altre tifoserie. Prima di arrivare nella capitale, il Renhe FC ha militato a Shanghai, a Xi’an e a Guiyan, per via degli interessi dell’azienda proprietaria, che costruisce centri commerciali sotterranei.
A Pechino il Renhe non ha una vera e propria fan base. Quando ho assistito alla loro partita casalinga al Fegtai Stadium i tifosi con i quali ho parlato mi hanno confidato che vivevano nei pressi dello stadio e che in precedenza tifavano Beijing Guoan. E non bisogna dimenticare nemmeno quei tifosi che hanno visto partire via il Renhe e sono stati costretti quindi a cambiare squadra.
Al di là della questione dell’identità rispetto a un contesto cittadino, ci sono poi altre grosse differenze rispetto al mondo ultrà occidentale. In Cina, la maggior parte delle persone che fanno parte delle tifoserie organizzate sono molto giovani, principalmente studenti delle scuole superiori o dell’Università. Molti elementi dei gruppi ultras, finiti gli studi, vanno quindi a lavorare in altre province, magari lontanissime da dove avevano studiato, o addirittura all’estero, e questo fa sì che non ci sia molta continuità all’interno di un movimento, che si rinnova in continuazione.
Guanpeng Wang, che ha tradotto in cinese il documentario su “Nonno Ciccio” (storico ultrà del Foggia), mi dice che in Cina non vi ci sono figure del genere alle quali ispirarsi. I gruppi ultras cinesi, inoltre, sono restii a esporre le proprie idee o a fronteggiarsi l’un l’altro a causa delle severità della legge (anche se vi sono alcuni casi eclatanti, soprattutto nei Delta Yangtze Derby). Il rischio del carcere è molto alto, un’eventualità che per la legge cinese influisce negativamente anche nelle opportunità di figli e nipoti.
Against modern football
Diversa è persino l’interpretazione di alcuni concetti, come quello di “calcio moderno”. Quando chiedo ai ragazzi del gruppo ‘The Sector’ del Beijing Guoan cosa ne pensano della nuova proprietà del club, che ha acquistato il 65% delle quote del Beijing Guoan per oltre 400 milioni di euro, loro sembrano non notare il contrasto con i loro striscioni, che recitano “Against modern football”: «Investono tanto per migliorare la squadra, più giocatori stranieri forti possono attrarre più gente allo stadio e migliorare la nostra cultura calcistica».
Foto di Zhetao Pang (AUD).
“Against modern football” non si riferisce agli investimenti faraonici dei club per acquistare nuovi giocatori, ma ai tour delle squadre europee in Cina. Ogni estate queste tournée ci offrono spettacoli stranianti e surreali: dai tifosi cinesi del Milan, che prima della partita con il Borussia Dortmund, fuori dallo stadio di Guangzhou, cantano “Milano siamo noi”, o che durante la partita con il Bayern a Shenzen espongono striscioni con scritto “We are so rich”; ai tifosi cinesi dell’Inter, che a Nanchino cantano cori in italiano; fino ai tantissimi fan del calcio tedesco, che hanno accolto all’aeroporto Borussia Dortmund e Bayern Monaco.
«Più della metà dei tifosi in Cina segue il calcio europeo e tifa più le squadre estere piuttosto che quelle della propria città», mi dice uno dei leader dell’AUD (Aquila Ultrà Destra, principale gruppo organizzato della tifoseria dello Shandong Luneng. «Anche noi guardiamo le partite dei campionati stranieri, perché sono ad un livello molto più alto rispetto al nostro e sono divertenti, è inevitabile che li apprezziamo. Ma non ci sogneremo mai di andare a tifare per una squadra europea che gioca un’amichevole in Cina».
Xie Shulu è uno studente cinese che faceva parte della tifoseria del Guangzhou Evergrande, e adesso commenta le notizie della squadra su un account molto seguito (@FCCantonNews). Anche lui è molto critico riguardo i tour estivi in Cina, che lui definisce “circus games”: «Sono totalmente inutili. Per esempio, il Guangzhou Evergrande due anni fa ha disputato un’amichevole contro lo Schalke 04, ma in quel periodo eravamo indaffarati con le partite del campionato, e per questo siamo scesi in campo con la squadra riserve, mentre gli avversari avevano da poco iniziato la preparazione estiva. Ne è risultato un match noiosissimo, quasi senza pubblico. I club occidentali vengono in Cina solo per ragioni di business, questo non porta a rispettare i fan, dato che alcune amichevoli vengono cancellate solo 5 ore prima del fischio d’inizio (fa riferimento al derby di Manchester, cancellato nel 2016 per le pessime condizioni del terreno di gioco nello Stadio Nido di Rondine a Pechino, nda). Credo inoltre che i tifosi cinesi dovrebbero focalizzarsi sui propri club, quelli che rappresentano la città».
Il concetto di “calcio moderno” in Cina non fa riferimento solamente ai tour dei club europei, ma anche a quei club che sono stati a lungo tempo nomadi, o quelli che si sono costruiti una fan base solamente per grandi acquisti, come il Tianjin Quanjian e l’Hebei Fortune, senza però avere una solida storia alle spalle o una forte identificazione con i propri tifosi.
«Il calcio italiano per me, è più radicato al suo territorio, c’è più identificazione, sono veramente invidioso, quello è il calcio dovrebbe essere per me» mi dice Guangpeng Wang. «Recentemente in Cina abbiamo squadre nuove che sono molto ricche e le persone hanno iniziato a sostenerle solo perché hanno un sacco di soldi e giocatori stranieri forti. Non funziona così in Italia: anche se la tua squadra è piccola e non gioca bene, tu continui comunque a sostenerla. Per me questa è la cultura del calcio, un punto di riferimento. In Italia ho assistito a una partita del Pisa, quando allenava Gattuso, e sono rimasto impressionato dall’atmosfera e dal tifo».
La politica nelle curve
Ma esplorare il mondo delle curve cinesi aiuta anche a capire aspetti culturali e pensiero politico di un paese, la Cina, che da fuori rischia di essere oggetto di stereotipo, o almeno semplificazione.
Il gruppo noto come “The Sector”, una delle principali frange organizzate del Beijing Guoan assieme alla “Royal Army”, ad esempio, si definisce antifascista e allo stesso tempo skinhead, due concetti che a noi potrebbero sembrare in contrasto fra loro.
Il movimento Skinhead in Cina si è sviluppato negli anni ’90 e con esso anche la musica punk, dato che negli anni ’60 la Repubblica Popolare era uno Stato ermeticamente chiuso all’esterno, nel bel mezzo della Rivoluzione Culturale maoista. Il padrino del movimento Skinhead, mi dice Siting Li del gruppo “The Sector”, è stato Lei Jun, un personaggio di culto per la tifoserie del Beijing Guoan e la musica punk cinese, morto nel 2015 per via di un attacco di cuore. Così come in Inghilterra, anche in Cina il movimento skinhead e quello della tifoseria organizzata sono legati, tanto che Lei Jun e la sua band , MiSanDao, hanno scritto uno dei cori principali della tifoseria del Beijing Guoan: “Vittoria finale”.
«MiSanDao è stata la prima band Skinhead a Pechino, dopo la morte del loro leader hanno smesso di suonare, ma il loro spirito rimane indelebile e ha dato vita a molte nuove band», mi racconta Siting Li. «Alcuni vecchi membri dei MiSanDao hanno formato nuovi progetti come i ShavenShut e gli EarlyBus. Il movimento skinhead in Cina è cresciuto con la cultura ultras, così come la musica punk, e lo puoi identificare come Sharp (cioè Skinheads Against Racial Prejudice, ovvero skinhead contro qualsiasi forma di razzismo). Anche per questo ci definiamo antifascisti, vogliamo essere sempre più aperti al mondo e conoscerlo. Il nostro movimento Skinhead non ha nulla a che fare con quelli di estrema destra in Russia o in Mongolia. Il messaggio che hanno tramandato i MiSanDao è quello di amore, pace e coraggio ed è quello che cerchiamo di portare in curva».
Non sono solamente i MiSanDao ad essere legati al mondo delle curve, in quanto negli ultimi anni sono nate alcune band come gli Hangnail o i Shave’n’Shut che sono formati da membri del The Sector e della Royal Army. Nei locali underground di Pechino vi sono serate organizzate all’incontro fra la cultura ultras e la musica punk, come la Peking Ultras Night Kids che si è svolta lo scorso 2 febbraio nel quale si sono esibite le band delle curve e gli Early Bus, il cui leader Ma Ke, era uno dei componenti dei MiSanDao.
Il movimento skinhead e punk a Pechino è una realtà molto ben consolidata, ma negli ultimi sta perdendo di valore, come si legge anche in una recente intervista ai Hangnail, uno dei gruppi street punk più importanti della capitale: «La nostra musica riflette quello che siamo: crediamo che certe cose, come la musica punk, non debbano essere dimenticate. La situazione musicale sta peggiorando sempre di più, molti musicisti vogliono copiare le star straniere senza analizzare quello che sono, il loro contesto».
In una Cina che è formalmente comunista potremmo pensare che tutte le tifoserie siano schierate in qualche modo a sinistra, ma in realtà non è così. Tra le curve cinesi si annidano anche gruppi di estrema destra, come gli Aquila Ultrà Destra dello Shandong Luneng (la squadra nella quale milita Graziano Pellè), un gruppo impregnato del cosiddetto han chauvinism (un termine dispregiativo coniato da Mao Zedong per indicare il razzismo della popolazione Han nei confronti delle altre etnie che vivono in Cina) che crede nella superiorità dell’etnia Han su tutte le altre.
Foto di Siting Li.
«Come saprai l’etnia Han è quella dominante in Cina, siamo circa il 90% della popolazione, ma negli ultimi anni la nostra forza culturale sta diminuendo a causa di quella che è un’invasione di gente che viene dalle campagne verso le città, e dalle varie minoranze etniche che si trasferiscono in cerca di migliori opportunità, negli ambienti di lavoro e nei college», mi dice Zhetao Pang, leader e fondatore dell'Aquila Ultrà Destra. «Nella nostra società c’è un ranking: al primo posto vi sono le persone di etnia Han, al secondo i funzionari di governo e al terzo le minoranze etniche. Anche nelle carte d’identità c’è scritto a che gruppo si appartiene. Il nostro scopo è quello di proteggere la nostra cultura, i nostri ideali, è questo il discorso che stiamo cercando di portare avanti nelle curve».
Quello degli Aquila Ultrà Destra è un gruppo estremamente nazionalista e non vedrebbe di buon occhio la chiamata in nazionale di un giocatore uiguro (l’etnia musulmana e turcofona che vive nella provincia nord occidentale dello Xinjiang) in quanto non rappresenterebbe quella che è la cultura Han.
Sono correnti culturali che si inseriscono in un trend più grande. Negli ultimi anni, in Cina, il nazionalismo è infattisempre più forte, principalmente per via patriottismo propinato dalle autorità governative, che, tra le altre cose, soffiano sull’odio storico per i giapponesi, che è rimasto vivo sotto la cenere dopo oltre mezzo secolo dai crimini compiuti dalle truppe nipponiche durante la seconda guerra mondiale.
L’estremizzazione di queste correnti può portare anche all’apprezzamento per i regimi di estrema destra che abbiamo vissuto in Europa e per i loro leader, in particolar modo per la figura di Hitler. La scorsa estate, per dire di quanto queste componenti culturali stiano risorgendo, due turisti cinesi di 36 e 49 anni sono stati arrestati a Berlino per aver eseguito il saluto nazista di fronte al parlamento tedesco.
La questione tibetana
La cultura ultras influisce anche nella recente politica cinese di espansione nei mercati calcistici europei, a partire da quelli europei.
Nell’estate del 2016 le federazioni calcistiche di Cina e Germania hanno firmato un accordo che prevedeva, tra le altre cose, la partecipazione della nazionale Under 20 cinese nel girone di ritorno della Regionalliga SudWest (un campionato regionale). Il tour della squadra cinese si è però interrotto dopo una sola partita, dato che nel match poi perso 3-0 contro il TSV Mainz, un gruppo di attivisti tedeschi pro Tibet si è presentato sugli spalti sventolando le bandiere del Tibet e inneggiando all’indipendenza della provincia cinese. La partita è stata interrotta, almeno fino a quando la protesta non è stata pacificamente smobilitata, ma il gruppo di protesta si è poi detto pronto ad intervenire nelle partite successive. I manifestanti erano supportati da un gruppo di tifosi tedeschi, chiamato ironicamente “China U20 Ultras Sudwest”, che hanno utilizzato motti come “You’ll never Wok Alone”, al fine di sbeffeggiare – in maniera non proprio elegante, c’è da dire - la cultura ultras cinese.
È bastata questa semplice forma di protesta per indurre la Federazione Cinese a ritirare la propria nazionale, e a mettere a nudo tutti i limiti del proprio soft power.
Ciò che è più importante ai fini di questo reportage, però, è che i tifosi cinesi hanno risposto con un comunicato congiunto su Sina Weibo, il principale social network cinese, dove oltre 20 gruppi ultras hanno firmato un manifesto dal titolo, abbastanza esplicito, “Chinese Ultras against China U20 Ultras Sudwest”. Nelle settimane successive, durante le partite di Chinese Super League, fuori dagli stadi sono comparsi grandi striscioni con la stessa frase.
Foto di Zhetao Pang.
«Troviamo il susseguirsi dei fatti completamente assurdo, perché si trattava solamente di una partita di calcio, ma quando ci siamo di mezzo noi deve essere tutto portato ad un livello politico», mi dice Tianye Jia, l’altro fondatore dell'Aquila Ultrà Destra «Tutti i gruppi ultras hanno risposto a questo avvenimento perché siamo contro qualsiasi concetto di separatismo. Siamo tristemente sorpresi che alcuni tedeschi inneggino all’indipendenza del Tibet. Non è affar loro, e non possiamo tollerare inoltre il fatto che queste persone per sbeffeggiarci abbiano usato il nome di “China U20 Ultras SudWest”».
Il fatto potrebbe avere delle ripercussioni non solo nel rapporto fra le due federazioni, ma anche per quel che riguarda il tifo dei cinesi per la Germania, che secondo un’estesa ricerca di Simon Chadwick, professore dell’Università di Salford e direttore del Chinese Soccer Observatory, è la nazionale più seguita e tifata in Cina (per questo studio sono stati intervistati circa 16mila tifosi cinesi).
Gli ultras stranieri in Cina
Ma il rapporto tra tifosi stranieri e cinesi non è così bidimensionale come questo avvenimento potrebbe far pensare. In Cina, infatti, ci sono tanti stranieri che seguono il calcio locale, molti dei quali hanno anche una squadra per cui tifare.
Nella provincia meridionale di Guangdong, ad esempio, troviamo l’unica tifoseria composta unicamente da stranieri, i cosiddetti “Fuligans” del Guangzhou R&F (squadra allenata dal serbo Dragan Stojkovic e nella quale gioca Eran Zahavi).
«Siamo anche riconosciuti ufficialmente dal club», racconta Jhon Asset, leader dei Fuligans «Gli stranieri di solito supportano il club della propria città assieme ai gruppi locali. I Fuligans, invece, sono gli unici che si presentano come un gruppo. Siamo in 73 ad essere in possesso di un abbonamento, siamo molti per un club non così grande come l’R&F. Con l’appoggio del club ci siamo ingranditi ed ora accogliamo persone da 14 differenti paesi, anche famiglie e ragazze che condividono la passione per questo sport».
Jhon dice che i “Fuligans” hanno un rapporto molto amichevole con gli altri gruppi organizzati del Guangzhou R&F, qualcosa che è quasi del tutto estraneo ai nostri stadi: «Credo che apprezzino il fatto che siamo un folle gruppo che sostiene l’R&F, soprattutto quando a due passi da noi c’è l’Evergrande. Noi cantiamo con loro sugli spalti e loro con noi. Abbiamo usanze diverse, i cinesi di solito entrano allo stadio molto presto, noi preferiamo gustarci una birra fuori e fare il nostro ingresso poco prima del fischio d’inizio».
In città da qualche anno vi è uno dei derby più spettacolari di Cina che vede contrapporsi i sette volte campioni del Guangzhou Evergrande e i “Blue Lions” dell’R&F, ma la partita è vissuta molto più tranquillamente rispetto alle accese rivalità del nord (in particolar modo il JingJinDerby fra Beijing Guoan e Tianjin Teda) e il Delta Yangtze Derby ad est. «Non ci sono mai problemi al derby di Guangzhou, è molto amichevole», mi dice Jhon Asset. «Ad esempio, al Tianhe Stadium dell’Evergrande i tifosi stanno fuori assieme, mentre nel nostro stadio c’è un’area dedicata solamente all’R&F, così come il settore ospiti nel quale si ritrova la tifoseria organizzata dell’Evergrande. Per il resto lo stadio è un mix di colori. È molto bella questa atmosfera e spero continui a lungo. Sarà per la differente fan base dei due club che non ci sono mai disordini, oppure per le migliori maniere della gente del sud».
Approcciarsi al mondo ultras cinese, intravederne in controluce le sue sottoculture, significa apprezzare questo tipo di differenze, sfiorare la loro complessità. Alla fine, il calcio è un modo come un altro per vedere da dentro la Cina, un paese che altrimenti saremmo costretti a far rientrare nelle nostre categorie, distorcendolo.