Quattro sono le storie.
In L’oro delle tigri Borges scrive che al mondo esistono solo quattro grandi storie, e che nel corso della nostra vita non faremo altro che riproporle trasformate, anche inconsapevolmente. Le storie sono: l’assedio di una città, il ritorno, la ricerca di qualcosa e il sacrificio di un Dio.
Come se fossimo uomini del Rinascimento, questi grandi macro temi sono grimaldelli da usare per scardinare il reale, per renderlo comprensibile, per entrarci dentro.
A inizio secolo, nel 1928, il padre del formalismo russo, Wladimir Propp, aveva già scritto il suo lavoro più grande, Morfologia della fiaba: aveva scoperto che dentro ogni narrazione c’erano elementi identici, che ogni storia era una ripetizione sviluppata di una storia più antica che affondava le sue radici nelle storie iniziatiche dei tempi immemori, tramandate per via orale. Jung, lo psicanalista svizzero a cui dobbiamo la teorizzazione dell’inconscio collettivo, aveva formalizzato l’archetipo dell’eroe, e ispirandosi al suo lavoro lo storico delle religioni Joseph Campbell ne aveva descritto il viaggio e i sacrifici dell’interiorità.
Tutto era pronto: Vinny Pazienza aspettava paziente di incarnare un archetipo fatto apposta per lui: quello dell’eroe che deve trovare dentro di sé la forza per reagire, per narrare declinandola nuovamente la storia epica del ritorno, per fare della sua vita una mitologia.
C’è una cosa bella in questi modi di vedere il mondo, nel pensare che esistano solo un determinato numero di storie e un determinato modo per raccontarle; se si sposa fino in fondo quest’idea si avrà anche una certezza: le storie che si raccontano sono sempre storie vere.
Equilibrio iniziale (esordio)
È il 1976, Vincenzo Edward Pazienza ha quattordici anni. È il figlio di immigrati italiani nati a Cranston, Rodhe Island. Il padre Angelo è cresciuto da queste parti, è tornato un po’ in Italia e poi di nuovo negli States, dove si è messo a fare il barbiere. Vinny esce dal cinema mimando qualche colpo scoordinato, due ganci, qualche montante: ha appena visto al cinema Rocky e ne è uscito impressionato. Di sicuro non si immaginava che avrebbe vissuto qualcosa di molto simile al riscatto che si vede in quel film e forse è questo il punto di tutto, riviviamo solo quello che ci impressiona davvero.
«Ho visto questo stupido film e niente, è tutto. Il giorno dopo ero già fuori e stavo correndo. Il primo film era davvero buono, poi hanno peggiorato sempre di più. Ma il primo era favoloso» dirà in un’intervista.
Mi chiedo quanti ragazzini che hanno visto quell’anno lo stesso film abbiano detto la stessa cosa ai genitori, la sera a cena: da grande voglio fare il pugile, per poi dimenticarsene subito dopo. Ma c’è una cosa particolare, di Pazienza, che dev’essere il materiale di cui è fatto il nocciolo duro del suo essere: Vinny, se dice una cosa la fa. Il padre guardandolo deve aver ripensato a quando, ancora alle elementari, aveva rotto il naso a uno dei bulli della sua classe, che poi lo aveva rincorso per tutto il quartiere.
Comincia ad allenarsi duro, il padre lo accompagna nei primi match amatoriali in giro per lo Stato. Nel 1983 passa ai professionisti e vince con facilità i primi incontri, la maggior parte per KO. Allora il padre si convince che quella testa calda del figlio può davvero farcela. Nel ’79 si fa prestare dalla madre, da Angela la nonna di Vinny, 17.000 dollari per trasformare una vecchia stazione dei pompieri in una palestra solo per il figlio. Vinny diventa un mito nel Rodhe Island.
La palestra si chiama “The father and sons gym” e alla fine costerà più di 70.000 dollari. Ora è la sede di una compagnia che lavora la plastica. La prima sconfitta da professionista, la subirà, ironia della sorte, in Italia, al Palasport di Milano contro un francese mediocre, Abdelkader Marbi. Vinny Pazienza, che ormai si chiama Paz, al quinto round si taglia il sopracciglio, comincia a sanguinare. L’arbitro assegna l’incontro. I parenti italiani che erano arrivati dal Lazio per vederlo combattere vanno fuori di testa, gridano allo scandalo. Ma è solo un incidente di percorso, uno di quelli che ti servono per aggiustare il tiro, per capire che certe cose alla fine succedono, e che non sono poi un dramma.
La prima sconfitta di Paz. Al minuto 11 lo si vede reagire contro l’arbitro.
Dopo tre anni arriva il momento di combattere per il primo titolo, l’IBF lightweight contro Greg Haugen. In un articolo del «New York Times» del 6 giugno del 1987, alla vigilia dell’incontro, il padre dichiara (ed è una dichiarazione che vorrebbe avere il sentore di una profezia): «Vinny sarà un campione, il più grande di tutti. Il ragazzo sa come si combatte», mentre Vinny se ne va in giro per quel quartiere di lavoratori con una grossa BMW nera con la targa con su scritto PAZMAN. La sera dopo vince ai punti per decisione unanime dei giudici, anche se con un punteggio risicato.
La boxe di Paz è veloce, aperta, generosa, come la sua guardia sinistra bassa, di sfida, per far divertire il pubblico. Finirà il match con un grosso segno sotto l’occhio sinistro, ma sarà il nuovo campione IBF.
Vinny Pazienza contro Greg Haugen.
Negli anni successivi avrà un grosso problema a mantenere il peso della sua categoria: si sottoporrà a diete e saune assurde per continuare a combattere nei leggeri, ma non sarà mai a suo agio. Si fa scrivere sui calzoncini Kick ass, calci in culo, ma l’anno seguente perderà il titolo nel rematch con Haugen e tutti gli altri incontri per i titoli mondiali: contro Roger Mayweather (zio e allenatore del più famoso Floyd) per il WBC, contro Hector Camacho per il WBO e contro Loreto Garza, per il WBA. Dopo la sconfitta contro Garza decide di passare a un peso a lui più congeniale e sale di categoria.
È la scelta giusta. Paz torna a combattere nel 1990 ed è più in forma che mai, quelli che si seguiranno saranno i match più belli della sua carriera. Quando nel 1991 vince il titolo mondiale WBA dei medi contro Gilbert Dele diventerà il secondo pugile nella storia ad aver vinto il titolo sia nei leggeri che nei medi. Vince al dodicesimo round, dopo un incontro stremante e per niente scontato, per KO tecnico (in Bleed, il film che ne ritrae le gesta vince già al secondo round).
Vittoria del titolo WBA
Paz è rinato, vuole tenersi stretto il titolo, la sua boxe è migliorata e il nuovo peso non lo costringe a maratone di allenamenti sfiancanti. Ma non terrà il titolo per molto.
Rottura dell’equilibrio
Ecco il momento classico di ogni storia di formazione che si rispetti. A questo punto Pazienza dovrebbe veleggiare leggero verso una carriera degna, divertente, senza troppi colpi di scena. E nella leggerezza commettere un errore fatale. Oppure, Paz dovrebbe essere una testa calda, uno a cui piacciono le donne e le macchine, e starsene in giro per strada con i suoi amici, a correre rischi gratuiti: anche questa è una storia già sentita, quella dell’antieroe che spreca il suo talento. Sono storie degne, che vale la pena raccontare: in letteratura non c’è niente che funziona quanto l’auto-sabotaggio. Ma non è questa la storia di Vinny Pazienza, non è un copione da lui.
È passato solo un mese dal giorno della vittoria del titolo. Probabilmente Paz sta pensando alle sue prossime mete, ai suoi prossimi incontri, di sicuro al rematch del titolo contro Dele. È in macchina per le strade del Rodhe Island, vicino casa. Girano a quaranta all’ora, lui è nel sedile del passeggero, guida un suo amico. Una macchina taglia loro la strada, finiscono nell’altra corsia, un furgone li prende in pieno.
«La prima cosa che ricordo dopo l’incidente è che ero in un letto d’ospedale, e che qualcuno stava pregando per me», dirà in un’intervista anni dopo. I dottori lo informano che si è spezzato due vertebre del collo, e che probabilmente non camminerà mai più.
Paz li ascolta con gli occhi sgranati e pensa che loro non sanno chi è l’uomo in un letto d’ospedale davanti a loro.
Peripezie dell’eroe
Nello schema di Propp il terzo punto è quello in cui il protagonista acquista i suoi poteri, il momento in cui impara a fare i conti col mondo e con se stesso. È un periodo lento, di formazione e di dolore, è qui che si compie la vera iniziazione: è qui che si vedrà se il protagonista ha la stoffa per farcela oppure no.
Gli montano una struttura di ferro chiamata “Halo”, con quattro viti attaccate alle ossa del cranio per tenere in tensione il collo. I dottori gli raccomando riposo assoluto, ma lui non ha nessuna intenzione di obbedire. «Non gli ho mai creduto», dice, «non mi è mai passato per la testa che non sarei riuscito a tornare a combattere, nemmeno per cinque secondi».
Si allena di nascosto, con Halo al collo, che è una specie di migliore amico troppo invadente. Durante un’intervista dice: «Il dottore mi ha detto che non boxerò mai più. Ma gli ho detto: Si sbaglia. Lei non capisce che tipo di uomo sono io».
Sono mesi duri, illuminati soltanto dall’immagine chiara di sé stesso di nuovo sul ring, di nuovo in piedi, con il pubblico che acclama il suo ritorno dagli inferi. È il momento delle storie mitiche in cui l’eroe prende davvero possesso delle sue capacità, attraverso un viaggio orrendo e costrittivo nelle tenebre delle sue interiorità. È Parmenide che torna dai morti, Ulisse che aspetta il momento buono per combattere i Proci, Filottete ferito che aspetta di essere curato per tornare a usare il suo arco, Paz che nonostante tutto si allena nella cantina di casa sua di nascosto dai suoi genitori non solo per tornare, ma per tornare e vincere.
«Sapevo di non essere finito. Solo il tipo di uomo che guarda sempre il lato positivo. Non sono uno che si lamenta quando perde. Vado sempre avanti, ed è per questo che oggi sono nella posizione in cui sono».
L’impressionante training di Paz con Halo al collo.
Tiene Halo al collo per tre mesi. Quando glielo tolgono decide di non farsi anestetizzare, perché lui non ha mai preso droghe e pensa di poter resistere a ogni tipo di dolore. Il dottore comincia a girare la prima vite che teneva la struttura attaccata al suo cranio, Vinny stringe i denti e grida: «La sta spingendo dentro!». Ma il dottore stava girando nel senso giusto, solo che il dolore era più grande di come si aspettava. Il dottore va avanti, Vinny resiste ma dal dolore strappa un bracciolo della sedia di legno a cui è aggrappato.
Poi torna ad allenarsi in palestra, ma gli altri ragazzi lo guardano male, hanno paura di combattere contro di lui. Perfino il suo sparring partner abituale non porta colpi abbastanza potenti. Paz si infuria, conosce il suo corpo meglio di tutti gli altri, e sa che il suo collo reggerà. Il primo pugno incassato è una liberazione.
Tredici mesi dopo l’incidente, a trent’anni compiuti da poco, Paz torna sul ring. L’avversario è Luis Santana, 34 anni, troppo lento per Paz. Vinny è veloce, domina l’incontro. Al nono round Santana cade due volte. Pazienza vince, la folla è in delirio. È il più grande ritorno di tutti i tempi. «Sono troppo agitato per sentire dolore. Domani avrò un po’ di fastidio, ma sono sicuro che scomparirà appena arriveranno i soldi».
Ristabilimento dell’equilibrio
I soldi. Nella struttura delle fiabe c’è una regola non scritta: l’eroe non può avere più di quanto è destinato ad avere. L’equilibrio che avrà alla fine del racconto sarà lo stesso dell’inizio, almeno materialmente. Ma sarà un vantaggio assurdo se saprà riconoscere il valore dell’oscuro viaggio dentro sé stesso che è stato costretto a fare: è quello il vero valore dell’iniziazione, del passaggio di status. È quello il tesoro. Tutto quello che verrà dopo, la gloria, i titoli, le ragazze, le notti in carcere, saranno solo un vago sogno complementare alla vita vera, ai quei tre mesi.
Pazienza è tornato sul ring e come all’inizio della sua carriera, comincia a inanellare vittorie. È esaltato, non ha niente da perdere. Il pubblico lo adora, a ogni colpo rischia di spezzarsi e che tutto ricominci di nuovo. Per uno che non sapeva se avrebbe camminato di nuovo combattere a quei livelli è una cosa al di là dell’umano.
Combatte per il titolo IBO contro Dan Sherry, vince per KO all’undicesimo round. Ma è il titolo che segue quello che in cui bisogna credere di più: i supermedi IBC contro Roberto “Mani di pietra” Duran.
Si combatte a Las Vegas, è il 25 giugno del 1994. Pazienza ha 31 anni, il suo avversario 43, ma Duran è quello entrato di diritto nel gotha dei grandi pugili, campione del mondo in quattro diverse categorie di peso. In quel momento Vinny ha all’attivo 5 incontri persi e 37 incontri vinti, di cui 27 per KO. Duran risponde con 93 incontri vinti, 9 persi e 64 KO. Il cronista continua a chiamarlo “the young kid”, ma il ragazzo resuscitato non è più così giovane.
L’incontro è pregevole, Paz è una specie di punk rissoso che si getta contro l’avversario senza molta tecnica, Duran è più professionale: sbaglia molto, ma ricorre spesso alla difesa. Paz domina la seconda metà del match e alla fine saranno maschere di sangue entrambi. Paz vince l’incontro ai punti dopo 12 riprese. Duran non ci sta, dice rivolgendo l’attenzione al sopracciglio tagliato di Paz: «Se questo ragazzino è così forte guardategli la faccia, e poi guardate la mia. Io non ho perso». Paz invece dirà che anche se Duran aveva 43 anni nessuno picchiava più forte di lui «Era come sentire una di quelle palle da demolizione contro la faccia».
Invece Duran perderà di nuovo, l’anno successivo, nel rematch. Anche questo incontro sarà una specie di rissa: al nono round Pazienza griderà a Duran «Non mi fai male, non mi fai male». A fine incontro Duran farà dire dal suo interprete che sembrava che Paz avesse della droga in corpo, alludendo al fantasma del doping, che Vinny derubricherà ridendo a “allenamento eccessivo”. Duran è ancora più vecchio, ancora più fuori forma. È un incontro che non avrebbe dovuto combattere.
Pazienza vs Duran II.
L’ultimo titolo mondiale lo vince del 1996, contro Dana Rossemblat. Da Duran in poi Paz combatterà altri sedici incontri: praticamente metà della sua carriera professionista sarà vissuta quella dopo l’incidente. Si ritira nel 2004, dopo aver vinto il suo ultimo round.
Cinque sono le storie
La storia di Paz è una quinta storia da aggiungere alle quattro di Borges, o quantomeno, una diversa modalità di ritorno.
Dopo il ritiro comincia una nuova vita, per Vinny. Continuerà a stare nel giro delle attrici porno, verrà accusato di violenza domestica, di disturbo della quieta pubblica, di velocità eccessiva.
«Mi piace fare festa? Stai scherzando? Smetterò di bere quando sarò morto. E puoi scriverlo», dirà.
Ma la sua caparbietà e la sua simpatia lo farà rimanere uno dei pugili più amati d’America: «Come ti senti Vinny?», gli chiede un giornalista subito dopo l’ennesimo incontro vinto, «Mi sento come se dovessi fare una pubblicità per la Gatorade» gli risponde lui. Avrà una seconda vita in Tv, nei film, nei talk show. Ora gira l’America tenendo incontri motivazionali, firmando autografi, vendendo DVD su come realizzare i tuoi desideri.
Bleed, il film che lo consacra nella leggenda, ha diverse inesattezze ma anche se ha partecipato poco o per niente alle riprese (lo rendevano troppo nervoso) in un’intervista ha detto che l’unica scena davvero diversa è quando nel film hanno fatto passare qualche settimana di troppo dall’incidente agli allenamenti con Halo.
Non erano settimane, era due giorni.
«Ma non ci avrebbero creduto», sottinteso: gli spettatori. Ma anche questo, di solito, è quello che succede con le storie degli eroi.